Lavoro: Che fare ?

apr 24th, 2010 | Di | Categoria: Capitale e lavoro, Primo Piano

di Giovanni De Francesco

Brevi note sulla ristrutturazione del mercato del lavoro in Italia e sulla riforma del diritto del lavoro

cordaDa diversi anni è in corso un progetto di ristrutturazione generale del mercato del lavoro presentato ufficialmente come politica di sviluppo economico del Paese.
Questo deve passare attraverso la creazione di nuovi mercati per le imprese con la competitività dei prodotti. Competitività che significa vendita dei prodotti a prezzi inferiori di quelli di altre imprese.

Nel ciclo produttivo l’unica variante su cui incidere per ridurre il prezzo di un prodotto è il costo della manodopera. La competitività passa, pertanto, attraverso la riduzione del costo della manodopera e, cioè, la riduzione dei diritti dei lavoratori. Non a caso una delle accuse che da diverso tempo viene rivolta ai lavoratori italiani è quella che costano troppo per le imprese.

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3 commenti
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  1. Di fronte a questo scenario al quale si giunge tramite una storia costellata da misure targate “centrosinistra”, uno scenario che rischia di essere ancora più cupo di quello in essere durante il regime fascista, dobbiamo chiederci e chiedere con insistenza che senso abbia il richiamo alla costituzione di un CNL in funzione antiberlusconiana (richiamo improprio e insultante della memoria della lotta partigiana); che senso abbia, ad esempio, il voler “allearsi anche col diavolo” ripetuto in ogni occasione dal segretario di Rifondazione.
    Si evoca un “fascismo” berlusconiano – in agguato da ben tre lustri – che evoca per converso un “comunismo” inesistente, per nascondere una trama paziente e “bipartisan” di azioni contro i lavoratori, la cui messa in opera e il cui devastante impatto sociale richiedono speculari misure liberticide.
    Se ha un senso la chiamata alla difesa della democrazia, essa lo ha su questo terreno disertato dagli “antifascisti” istituzionali, essi stessi attori primari in questo attacco a livelli di civiltà che erroneamente si pensavano acquisiti.
    Il gioco, concorrenziale, delle parti tra “fascisti” berlusconiani e “antifascisti” antiberlusconiani deve essere denunciato. Sul terreno economico e sociale esso fa il paio con quello giocato in politica estera, in cui la “vocazione atlantica” (così si chiama il servilismo verso gli USA) della sinistra ha addirittura un ruolo di “pivot” usato, per l’appunto, per far più punti dell’altro giocatore.
    E’ evidente che qualsiasi richiamo ad una “unità antifascista e democratica” con chi all’insegna della “modernizzazione”, del “nuovo che avanza” e della “globalizzazione” ha iniziato quest’opera di devastazione, dopo aver ricevuto ordini e suggerimenti sul panfilo Britannia, può portare solo al disastro più completo (anticipato da sintomi evidenti, come la trasformazione della cintura rossa delle periferie romane in cinture nerissime e di quelle operaie del Nord Italia in terreno di coltura del leghismo).
    E’ necessario quindi rilanciare un discorso complessivo autonomo di resistenza allo stato di cose presenti e a quello che cupamente si prospetta. Ma anche un discorso di resistenza potrà derivare la sua forza solo da una rinnovata analisi e da rinnovate modalità d’azione anticapitalistiche, senza voli pindarici, senza estremismi che gettano il cuore oltre l’ostacolo, bensì con metodo, scienza e passione. Ovvero col ben noto lavoro della “vecchia talpa”.

    Piero

  2. Bravo Piero. C’è poco da aggiungere.

  3. Avvertenza: il documento di Giovanni De Francesco rischia di considerare approvate riforme che non mi risulta siano neanche mai state discusse (unificazione di salario lordo con salario netto? Trasferimento al lavoratore dell’onere dell’assicurazione per malattia?).
    E’ però certamente interessante se lo si considera come una proiezione di una tendenza che effettivamente è in atto. Su questo punto però rimango convinto che il problema non sta nel diritto del lavoro (che arriva sempre dopo a formalizzare i rapporti di forza) quanto nei rapporti di forza. E da questo punto di vista è auspicabile che le lotte operaie riescano a far saltare il tappo impostole da CGIL-CISL e UIL (e spero che la FIOM apra la strada in questo senso). Detto questo, la speranza è che le lotte sul posto di lavoro si connettano con le altre lotte sociali, per affrontare la causa principale ovvero la finanziarizzazione, la globalizzazione e la privatizzazione dei beni comuni. Chiedo scusa se allargo troppo il discorso, ma credo che una impostazione come quella del documento di De Francesco sia perdente se non inserita in un ragionamento più ampio. Una per tutte: non credo che l’arbitrato proposto da Ichino rappresenti necessariamente la fine dei diritti dei lavoratori.
    Possiamo discuterne, se interessa.

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