Prime considerazioni sulle elezioni in Sudan
apr 21st, 2010 | Di Matteo Brumini | Categoria: Politica Internazionaledi Matteo Brumini
L’11 aprile scorso si sono tenute in Sudan le elezioni. I mezzi di informazione nostrani le hanno definite “presidenziali” ma in realtà, oltre che per il presidente, in Sudan si è votato anche per il parlamento nazionale, quelli regionali e per gli organi locali. Questa precisazione è fondamentale per capire l’andamento di queste elezioni soprattutto in relazione con il comportamento tenuto dalle opposizioni ed in particolare dal SPLM (Sudan People’s Liberation Movement) del Sud Sudan mettendo queste elezioni in correlazione con il referendum per l’autodeterminazione del Sud Sudan che si terrà l’anno prossimo.
Vediamo dunque come si è arrivati a queste elezioni. Il primo aprile nove partiti dell’opposizione (tra cui anche il partito comunista) hanno dichiarato che avrebbero boicottato le elezioni accusando il governo al-Bashir di aver truccato le modalità di scrutinio dei voti. Tali accuse hanno di fatto delegittimato le prime elezioni multipartitiche nel paese dopo 24 anni. In questo contesto la parte del leone l’ha fatta chiaramente il SPLM. Yassir Arman, il candidato presidenziale del SPLM, iscritto al governo di unità dal 2005, a fine marzo annuncia il suo ritiro dalle elezioni sottolineando il fatto che la regione del Sudan non sarebbe preparata a sostenere questo voto, a dir suo gli stessi sfollati dei campi della regione, gli avrebbero richiesto di non partecipare alle elezioni. A questo punto il presidente Bashir minaccia di annullare il referendum sull’indipendenza del Sud Sudan qualora il SPLM non partecipi all’appuntamento elettorale. Prontamente intervengono i rappresentanti dei paesi occidentali nella regione contestando le dichiarazioni di Bashir e sostenendo assieme al SPLM che le elezioni non possono essere messe in correlazione con il referendum; in realtà proprio gli accordi di pace di Nairobi tra Khartoum e SLPM stabilivano una chiara relazione tra elezioni generali e referendum nel sud sull’eventuale secessione.
Prima ancora di votare dunque la delegittimazione delle elezioni sul piano internazionale e nazionale è già avvenuta.
Si arriva al voto e le urne rimangono aperte per cinque giorni. Il sedici inizia lo spoglio delle schede. Il primo dato che emerge è l’affluenza che si attesta attorno al 60%; prima ancora che escano i primi risultati il Partito del Congresso del presidente uscente Bashir propone all’opposizione di dare vita ad un’ampia alleanza di governo, proposta che viene rifiutata da tutta l’opposizione.
Il 20 aprile i dati disponibili sono quelli usciti dal 35% delle sezioni scrutinate e vedono in forte vantaggio (superiore al 70% delle preferenze) il presidente uscente Bashir ed il Partito del Congresso.
Come era atteso e prevedibile si sono rinnovate dopo il voto le accuse di brogli elettorali sia da parte delle opposizioni che degli organismi internazionali occidentali presenti nel paese. Le accuse vanno da quella delle intimidazioni, a quella dei brogli negli scrutini sino alla generica accusa di “non raggiungimento degli standard internazionali”.
Analizziamo ora meglio l’andamento del voto nel Sud Sudan.
Come ricordato sopra, tali elezioni non riguardavano solo gli organi di governo centrale (presidente e parlamento nazionale) ma anche quelli di governo regionale e locale. Ebbene, dopo gli annunci da parte del SPLM del boicottaggio generale delle elezioni, su consiglio e pressione degli stati occidentali, il movimento ha deciso per un cambiamento di tattica: boicottaggio delle elezioni presidenziali, del parlamento nazionale e degli stati settentrionali ma partecipazione negli stati del Sud ovvero dove la vittoria del SPLM appariva ed appare scontata.
In questa maniera l’SPLM in attesa del cruciale e fondamentale appuntamento referendario del prossimo anno ottiene una triplice vittoria: mantenimento degli accordi di Nairobi, delegittimazione del governo centrale e di Bashir sul piano interno ed internazionale e consolidamento del potere territoriale politico nel Sud che tatticamente è il risultato più importante. La disputa infatti tra governo centrale e SPLM è tutta sui confini del futuro stato del Sud; le zone contese difatti sono a composizione etnico-religiosa complessa e soprattutto ospitano nel sottosuolo i maggiori giacimenti petroliferi del paese.
Per Bashir dunque si prospetta una vittoria con le spalle al muro e che porta con sé un cambiamento interno nei rapporti di forza con i quali si arriverà al referendum del 2011 e per il quale scenderanno in campo oltre al Sudan anche le potenze occidentali, la Cina e i paesi arabi.
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