Sull’idealismo di Marx
giu 6th, 2024 | Di Thomas Munzner | Categoria: Teoria e criticaFonte: Flores Tovo
Sull’idealismo di Marx
di Flores Tovo – 05/06/2024
Sebbene due grandissimi pensatori, quali Hegel e Marx, siano quasi del tutto scomparsi nelle riflessioni storico-filosofiche del presente, la loro attualità, pur nascosta, è sempre viva, anche se momentaneamente coperta dalla fuligine del pensiero nullo.
Uno dei pochi temi ancor discussi nell’ambito di quei pensatori che si rifanno alle loro teorie riguarda il problema se Marx sia da considerare un idealista o un materialista. Un tema assai sviscerato, ma mai completamente risolto. Di solito il motivo di coloro che avversavano la filosofia di Marx era quello dovuto al fatto che ritenevano che questi fosse un materialista. Del resto spesse volte Marx si proclamava tale. Inoltre molti suoi seguaci che si rifacevano alle sue vedute e a quello del suo sodale, Engels, si dichiaravano apertamente materialisti. Tuttavia in epoca recente un filosofo da poco scomparso, che si era sempre palesato come un marxista mai pentito, ossia Costanzo Preve, aveva espresso la convinzione che Carlo Marx fosse da annoverare in linea di massima come un filosofo idealista, in quanto unico e vero erede di Hegel: il che ha scombinato gli abituali e maggioritari giudizi che appunto reputavano Marx un filosofo materialista per antonomasia. Gli argomenti che Preve ha addotto sono vari, sebbene siano incentrati in quattro punti principali che, secondo il suo parere, rivelavano l’idealismo sostanziale di Marx, ossia: 1) il concetto di alienazione; 2) il feticismo delle merci; 3) la definizione di modo di produzione e di struttura economica; 4) l’uso del principio logico di contraddizione dialettica. Si tratta allora di esaminare queste questioni, cominciando per ordine e con lo scopo di accertare se Marx sia davvero un “idealista”.
In primis, secondo Preve, per Marx la categoria di alienazione è una categoria di tipo qualitativo, poiché riguarda la spiritualità umana in generale: essa infatti si riferisce innanzitutto all’essenza dell’uomo stesso che i Greci antichi avevano individuato come un esserci sociale dotato di ragione. Ora proprio per questo, dice Preve, la qualità spirituale precede la quantità corporale estensiva. Egli, facendo riferimento alla “Scienza della logica” di Hegel e in particolare alla prima parte che riguarda la “Logica dell’essere”, concernente il passaggio dialettico dalla qualità alla quantità, così scrive:
“… la quantità deriva dalla qualità, nel senso che ne costituisce una negazione, come dimostra il fatto che un essere dotato di determinate qualità, non cambia per il fatto che si presenti in quantità maggiore o minore (per esempio un tessuto di tela rimane tale e quale nonostante la sua lunghezza). Per questo il pensiero ricorre alla misura, cioè a una qualità quantificata. Ho già fatto notare che la misura (metròn) intesa come unità di qualità quantificata e di quantità qualificata, è stato il concetto filosofico più importante della filosofia greca antica, ed anche il criterio di regolazione della riproduzione della comunità sociale, l’unico che potesse portare alla concordia (omònia) e che potesse contrastare (Kathèkon) la dissoluzione politica. Il primato della qualità sulla quantità permette a Marx di innestare la categoria (qualitativa) di alienazione (Entfremdung) sulla categoria quantitativa di valore (value, valuer, Wert)…L’innesto della teoria filosofica dell’alienazione sulla teoria economica del valore, infatti, comporta il primato della categoria qualitativa dell’alienazione sulla categoria quantitativa del valore, ma nello stesso tempo la fusione dialettico-ontologica di entrambe. La teoria del valore di Marx, quindi, ha un aspetto qualitativo dominante sull’aspetto quantitativo dominato” (1).
Il riportare questa lunga citazione era necessario per comprendere se effettivamente Marx è perlomeno un idealista tendenziale piuttosto che un filosofo-economista materialista. Bisogna quindi partire dalle definizioni date dallo stesso Marx nei suoi “Manoscritti economico-filosofici del 1844”. L’alienazione è un fenomeno psicologico-sociale che si manifesta quando i lavoratori salariati vengono estraniati durante il processo produttivo verso il prodotto della loro attività, verso l’attività lavorativa stessa, verso la loro essenza e verso il prossimo. La rivoluzione industriale capitalistica, soprattutto durante la seconda metà del Settecento e per oltre metà dell’Ottocento, comportò lo smantellamento delle corporazioni, l’allungamento illimitato dell’orario di lavoro (il che provocò il Luddismo, cioè il sabotaggio delle macchine), lo sfruttamento forsennato della popolazione, compresi i bambini. Insicurezza, precarietà, distruzione dell’artigianato, controllo spietato dei ritmi di lavoro, licenziamento senza nessuna giusta causa: questo fu quello che poi fu chiamato progresso. L’umanesimo degli illuministi contro l’umanità. L’analisi di Marx sull’alienazione è da inserire in questo contesto storico, che fra l’altro, sta ritornando nella sua originaria dimensione, in quanto, per il momento, il modo di produzione capitalistico, che la genera, non ha più competitori alternativi e che quindi si manifesta nella sua forma assoluta.
Il lavoro nel mondo greco e medievale era inteso come poìesis, ossia come un agire guidato da un eidòs (un’idea). Questo termine significa, anche, lavoro produttivo che si sviluppava attraverso un saper fare (una tèchne) che implicava in sé creatività e poesia. Il lavoro non era quindi labor, fatica e sofferenza, ma la pratica (pràxis) con cui una persona attuava il proprio bene e quello altrui, seguendo un fine razionale. Ecco che tra i quattro aspetti dell’alienazione prima elencati, il più importante è sicuramente quello che riguarda lo stravolgimento dell’essenza (Wesen) dell’uomo, poiché questi non lavora più per un progetto consapevole e creativo, ma solo per il profitto del capitale. Il valore materiale del denaro va a dominare la spiritualità fondamentale in cui ogni uomo può realizzare pienamente la propria personalità: ossia il lavoro, che è l’attività che rende libero e pienamente consapevole di sé una persona. “Il lavoro forma” scriveva Hegel nel descrivere la figura servo-signore, in cui il servo grazie al lavoro si emancipa dal signore. Con l’industrialismo capitalistico il lavoro diventa invece ripetizione scimmiesca, parcellizzazione, riduzione del lavoratore a macchina con la conseguente deformazione della natura umana.
Si può tuttavia notare una incongruenza nel pensiero di Preve. Come s’è detto Hegel fa derivare la quantità dalla qualità. La qualità, che è la proprietà che determina gli attributi, ossia le molteplici caratteristiche positive, negative, modali ecc. di un ente, di un qualcosa, genera la quantità, poiché la qualità per specificarsi compiutamente in un ente determinato deve quantificarsi come estensione corporea. In questo senso la quantità rappresenta il negativo della qualità, poiché essa si caratterizza per la sua esteriorità indifferente rispetto alla ricchezza delle determinazioni qualitative. La quantità è grandezza, numero, in cui prevalgono i rapporti meccanici ed estrinseci: essa è un impoverimento rispetto alla qualità, ed è appunto la sua negazione. Ora se l’alienazione è da intendersi come una qualità spirituale, ossia come una determinazione propria dell’esserci umano, a rigore si avrebbe la conseguenza che l’economia capitalistica, che è soprattutto quantitativa, dovrebbe essere generata dall’alienazione stessa. Ma questa, per Marx, è invero il prodotto e la conseguenza del modo di produzione capitalistico. In altre parole col capitalismo la quantità, sotto tutti gli aspetti economici, da quello produttivo a quello scientifico, s’impone sulla qualità, provocando una distorsione dell’essenza umana che viene trasmutata in essenza alienata. Perciò in Marx la quantità precede la qualità, e in questo senso si viene a negare il suo presunto idealismo. Essa poi dovrebbe essere tolta (superata) attraverso la misura che rappresenta nella logica speculativa la negazione della negazione, ossia la sintesi fra qualità quantificata e la quantità qualificata. (Per inciso questo è un discorso in cui si può notare la presenza di un embrione di pensiero rivoluzionario, poiché la misura richiede il superamento del capitalismo). In risposta a tali conclusioni si avrebbe potuto asserire che il capitalismo non è solo un sistema socio-economico atto alla produzione di merci, ma che è anche ideologia. Infatti esso fu predisposto dal 1.500 in poi a diventare il sistema dominante della borghesia, grazie alla Riforma religiosa protestante, soprattutto nella sua variante calvinista (vedasi Weber nella sua opera “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”), e grazie alle opere filosofiche di J. Locke, D. Hume e A. Smith. Tra questi Hume spiccò per completezza teorica generale. Ecco che allora, in base a queste precisazioni, si può ben affermare che il primato della qualità (ossia l’ideologia) viene sancito: in tal senso essa si presenta perciò come il positivo da cui deriva il negativo (l’economia) determinato dalla quantità.
Il secondo aspetto, che si è volto prendere in esame e che è strettamente connesso con il primo, è il famoso e importante concetto del “feticismo delle merci”. Marx, sulla scia dell’economista Ricardo, riteneva che in una merce si può distinguere il valore d’uso e il valore di scambio. Se si prende a esempio un tavolo, il suo valore d’uso sarà il contenuto di utilizzabilità che è in lui incorporato, ma se lo si scambia ecco che questo tavolo, dice Marx nel “Capitale”, “si trasforma in un cosa sensibilmente soprasensibile”. La merce come valore di scambio contiene, dice Preve, “… un aspetto sensibile (il valore) ed un aspetto sovrasensibile (l’alienazione)” (2). E’ chiaro che anche il questo caso Marx dialettizza il concetto di merce, servendosi del metodo speculativo hegeliano. “Il valore, egli osserva, … non porta scritto in fronte quello che è. Anzi il valore trasforma ogni prodotto in un geroglifico sociale”. Le merci appaiono alla coscienza come cose che hanno in se stesse il loro valore, restando nascosti i processi e i rapporti sociali e lavorativi della loro valorizzazione. Ma è anche chiaro che, anche in questo caso, la preminenza spetta all’aspetto materiale di valore su quello di alienazione. Il feticismo delle merci dimostra in modo illuminante come gli uomini, o meglio i consumatori, siano completamente succubi di un mondo da loro prodotto attraverso il lavoro. La quantità ottenuta con la meccanizzazione e la riproduzione allargata domina sulla capacità di scelta dei più e quindi sulla qualità.
Il terzo aspetto riguarda il concetto di modo di produzione, che è quello più importante perché concerne il pensiero fondamentale di Marx che era incentrato sulla concezione materialistica della storia, detta anche materialismo storico. Bisogna tuttavia chiarire subito che il materialismo concepito da Marx era di natura prettamente socio-economica e non quello proprio della scienza del Sei-Settecento basata sul meccanicismo di stampo newtoniano. Il materialismo di Marx parte “…dagli individui reali e dalle loro condizioni materiali di vita” , in altre parole dal rapporto bisogni-soddisfazione dei bisogni. Per questo la struttura economica (Struktur) in un determinato periodo storico costituisce la base su cui e attorno alla quale, secondo il filosofo, ruota la vita degli uomini. Ecco quindi che il modo di produzione socio-economico sostituisce, o meglio capovolge l’Idea hegeliana, cioè lo Spirito Assoluto. Il rovesciamento della filosofia di Hegel sta qui, sebbene il movimento logico interno della struttura sia quello della dialettica speculativa hegeliana. Anche in questo caso bisogna analizzare gli elementi che costituiscono la struttura: per Marx sono due e precisamente le forze produttive materiali e i rapporti di produzione. Ora, di primo acchito, potrebbe sembrare che la struttura socio-economica sia in sé puramente materiale. In realtà per forze produttive materiali egli intendeva fondamentalmente: 1) gli uomini, che producono (la forza-lavoro); 2) i mezzi (terra, macchine, ecc.) che servono per produrre; 3) le conoscenze tecniche e scientifiche connesse al lavoro produttivo. I rapporti di produzione sono invece i rapporti giuridici e organizzativi che si instaurano all’interno dei luoghi in cui il processo produttivo avviene.
Ora se si esamina attentamente il concetto di struttura si nota benissimo come per Marx essa comprendesse anche aspetti spirituali, qualitativi per usare la precedente terminologia: infatti le conoscenze tecnico-scientifiche e i rapporti giuridici ed organizzativi appartengono alla sfera del pensiero (deformato) e non della materia. Gli stessi uomini che rappresentano le forze produttive non possono essere intesi solo come macchine. Tuttavia Marx ritiene che anche sulla struttura economica si elevi una gigantesca sovrastruttura composta dai rapporti politici, giuridici in generale, e dalle forme religiose, artistiche ecc., che dipende dalla struttura stessa. Questo suscita sicuramente dubbi sul suo ipotetico idealismo. È utile riportare alcuni passi della famosissima prefazione alla “Per la critica dell’economia politica” del 1859: “ …nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono ad un determinato grado delle loro forze produttive materiali… non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza…” (3).
Il fatto è che spesse volte Marx è impreciso nell’uso e nel significato dei termini, in particolare quando egli a volte adopera il verbo condizionare, e altre volte il verbo determinare. E comunque l’aspetto deterministico, come si può notare dai brani testè citati, è prevalente. Il condizionamento allude ad una relazione più aperta di reciprocità fra struttura e sovrastruttura, mentre la determinazione implica un rapporto di necessità ineludibile, meccanico. In verità Marx ha sempre bazzicato sin dalla gioventù con pensatori materialisti come Democrito, Epicuro, e poi Le Mettrie e Feuerbach, e per questo il suo materialismo deterministico affiora spesse volte qua e là. Lo stesso Preve riconosce che la categoria logico-ontologica che prevale in Marx è quella modale della necessità. Forse sono stati scritti moltissimi libri su Marx proprio per questa ambiguità lessicale che consente agli interpreti di esprimere opinioni diversissime.
Veniamo al quarto ed ultimo punto che abbiamo elencato: ossia quello riguardante l’accettazione e l’uso, da parte di Marx, del lògos speculativo dialettico tratto da Hegel. Ora, come si è potuto osservare, già il concetto stesso di struttura contiene in sé il principio speculativo della contraddizione dialettica. La struttura non è una sostanza fissa e stabile, ma contiene in sé la contraddizione, che diventa sempre più insanabile con l’andar del tempo, fra forze produttive e rapporti di produzione. Inoltre, essendo essa la base da cui tutto si diparte a livello socio-economico, la sua natura contrastante si riverserà anche sugli aspetti politici e culturali della società, e cioè sulla sovrastruttura. Dobbiamo dire che comunque non ci si occuperà della teoria del rispecchiamento fra struttura e sovrastruttura, perché questo non è il tema del nostro saggio breve. Bisogna invece sottolineare come Marx mutui con un linguaggio socio-economico il concetto di sostanza hegeliano. Per Hegel la sostanza non è quella intesa dalla tradizione aristotelica basata sui connotati di stabilità, permanenza e identità con se stessa, bensì è intesa come “relazione sostanziale”, cioè come una totalità che si scinde e si differenzia in se stessa: da un lato essa è unità, dall’altro è una molteplicità di accidenti, ossia di determinazioni. Per chiarire ancora, in Marx la sostanza è la struttura che si accidentalizza nei rapporti di produzione al proprio interno e nella sovrastruttura all’esterno.
Ora, la struttura che viene da lui studiata è quella capitalistica, in particolare nel suo capolavoro “Il capitale”.Il metodo, o meglio, la forma di esposizione (Darstellungsweise) con cui Marx affronta l’analisi del modo di produzione capitalistico è prettamente hegeliano. E’ un metodo tratto dalla “Logica dell’essenza” che costituisce la seconda parte della “Scienza della logica”. Il capitalismo viene esaminato come una totalità organica, in cui tutti gli elementi accidentali vengono unificati nel concetto stesso di capitale: produzione, distribuzione, scambio, consumo appartengono alla stessa unità. Ogni aspetto è concausa di un altro. Ciò significa che la causa è l’effetto, e l’effetto è la causa secondo la categoria relazionale dell’ “azione reciproca”. E qui sta la grande abilità di Marx nel vedere, a livello storico, la stretta relazione che vi è nelle varie componenti di un sistema. E in questo egli è stato, come giustamente afferma Preve, il più grande erede di Hegel. Questo metodo gli consentirà di rivelare in modo incontrovertibile che l’essenza del capitalismo è il profitto ricavato dal plus-valore. Egli avrebbe potuto scrivere in quattro pagine questa verità, ma la verità la si può conseguire solo con un lungo percorso rivelativo.
Possiamo perciò ragionevolmente dire che chi nega un qualsiasi valore nei confronti del pensiero di Hegel e Marx, di fatto rinuncia a comprendere i lineamenti della storia del nostro tempo, e in parte anche del passato, poiché si rinuncia ad una metodologia di indagine logico-ontologica fondamentale.
A questo punto possiamo perciò, in base a quello che si è scritto, giudicare Marx un idealista? Secondo il nostro parere, da quanto abbiamo scritto, risulta evidente una risposta negativa. Marx è pur sempre un pensatore materialista, poiché la storia umana è, secondo il suo pensare, determinata principalmente dalla quantità e non dalla qualità. Si tratta invero, come s’è detto, di un materialismo socio-economico, che contiene sicuramente aspetti idealistici colti dal pensiero di Hegel e calati nel mondo della quantità economica. Certo però che parlare di un materialismo idealistico è un ossimoro, perché alla fine quello che va colto è il senso profondo della filosofia marxiana, che si muove sempre all’interno del regno della quantità, sebbene egli colga con acume speculativo le contraddizioni terribili che essa provoca (4). Il capitalismo è a tutti gli effetti una forma di produzione che con la sua scienza e tecnica rappresenta compiutamente il regno totalitario della quantità.
Marx è e resta un pensatore del mondo finito che esclude una qualsiasi forma di realtà spirituale superiore. C’è una sua famosa frase che chiarisce definitivamente questa sua dimensione materialistica: “ …essere radicale vuol dire cogliere le cose alla radice. Ma la radice, per l’uomo, è l’uomo stesso”. Qui c’è la cifra del suo pensiero: il fondamento dell’uomo è l’uomo stesso. Dirà a proposito Heidegger: “… nella teoria che spiega esplicitamente che l’uomo è l’essere supremo per l’uomo, viene in definitiva fondato e confermato il fatto che l’Essere in quanto essere non è più niente (nihil) per l’uomo” (5). L’escludere ogni forma di trascendenza, o meglio, qualsiasi differenza ontologica fra Essere ed esserci umano, implica necessariamente avere una visione puramente quantitativa dell’uomo, poiché viene a mancare una qualsiasi forma qualitativa superiore. In Marx vi è il conseguimento completo del nichilismo estremo, proprio perchè il suo pensiero si muove sempre all’interno di una visione antropocentrica, svuotata di ogni dimensione sacra e trascendente, e al di dentro di una dimensione comunista che viene altresì proposta come una finalità inevitabile e necessaria. Ma il comunismo, che, tendenzialmente, dovrebbe cancellare le differenza fra gli uomini stessi, cos’altro non è, se non il trionfo della quantità che annullando le qualità, porta con sé il delirio del nulla e che conduce ad una violenza incontrollata? C’è da aggiungere, comunque, che se il comunismo ha cessato di essere una idea-forza nel nostro mondo, oggi il sistema liberal-liberista sta realizzando con molto più successo lo stesso obiettivo, usando metodi molto più complessi e persuasivi.
Infine crediamo che il pensiero di Marx resta, nonostante tutte le osservazioni e critiche che si possono fare, uno strumento importante per comprendere l’intima natura del sistema in cui viviamo. I grandi filosofi non sono né di destra, né di sinistra: sono solo grandi filosofi.
NOTE
• PREVE, “La scienza filosofica di Karl Marx”, sta in “Una nuova storia alternativa della filosofia”, Ed. Petite Plaisance, Pistoia 2013, p. 306.
• IDEM, p. 307.
• MARX, “Per la critica dell’economia politica”, ed. Editori Riuniti, Roma 1957, pp. 10-12.
• Si legga il libro di D. HARVEY, Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo, Feltrinelli ed., Milano 2014.
• HEIDEGGER, “Seminari” ed Adelphi, Milano 1992, p. 172.