La corsa della Regina Rossa
mag 7th, 2024 | Di Thomas Munzner | Categoria: Cultura e società
La corsa della Regina Rossa
L’Occidente non ha una strategia. I suoi esperti con le foglie di lauro al posto dei neuroni hanno solo una visione statica della realtà, una visione di corto periodo, come i suoi politici.
Guardano il singolo fotogramma e non il film e prendono decisioni in base alle ultime immagini istantanee che hanno visto, cioè in base a una percezione frammentaria della realtà, dalla quale di conseguenza rimangono sconnessi.
Perché la realtà è una dinamica non catturabile da nessuna loro equazione, né politica né economica.
Sono intellettualmente dei complottisti, proprio come quelli che essi censurano. Ne sono l’immagine speculare rovesciata.
La sconnessione cognitiva è ormai una costante fra i nostri decisori (e fra i complottisti, cosa però molto meno gravida di nefaste conseguenze, data la loro irrilevanza).
La sconnessione cognitiva si autoalimenta perché si auto-giustifica. È il corto circuito analisi viziata-menzogna. Sconnessione cognitiva che si esprime come dissonanza cognitiva.
E così nel febbraio 2022 erano convinti che la Russia sarebbe collassata in pochi mesi se non addirittura in pochi giorni. Era con quella previsione in testa che la Nato l’aveva trascinata per i capelli nella guerra in Ucraina.
Erano convinti che un pacchetto di sanzioni l’avrebbe messa in ginocchio. Siamo al tredicesimo pacchetto e le sanzioni hanno colpito come un boomerang l’Occidente mentre hanno esortato la Russia a rilanciare la propria economia anche in settori in cui dipendeva pesantemente dall’Occidente rendendosi sempre più autonoma, come era prevedibile. Ci dicevano che la Russia sarebbe stata isolata. Al vertice dei BRICS di Johannesburg dell’anno scorso, ventidue importanti Paesi hanno chiesto di entrate. E molti altri sono in coda per associarsi all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai.
Un mese sì e uno no si diceva che la Nato avrebbe fornito a Kiev una Wunderwaffe, una V2, un’arma miracolosa che sarebbe stata “game changer” nel conflitto. Erano gli invincibili tank tedeschi Leopard, erano gli indistruttibili tank americani Abrams, erano gli imbattibili blindati Bradley, erano gli efficientissimi Patriot. Erano le brigate addestrate e armate dalla Nato. Bruciano tutte in quantità industriali sui campi di battaglia ucraini. Uomini e mezzi. Gli Usa hanno addirittura ritirato i loro Abrams e la 47ª brigata meccanizzata autonoma, fiore all’occhiello della Nato, è stata quasi completamente distrutta, richiamata in ogni punto critico del fronte (al posto dei battaglioni nazisti che si sono rifiutati di combattere) e senza possibilità di rotazione.
Ora le Wunderwaffen sono i missili a lunga gittata, come gli Atacms e gli Storm Shadow. Sono serviti e serviranno per attacchi sui civili in centri abitati della Russia. Puro terrorismo in mancanza d’altro. O per cercare di distruggere il ponte di Crimea, classico obiettivo lineare e pertanto difficilmente danneggiabile seriamente (il 30 aprile un attacco di 6 Atacms ha avuto come esito l’interruzione del traffico per 45 minuti per motivi di sicurezza, cosa che sicuramente ha fatto tremare il Cremlino: tutti abbattuti, anche se la Casa Bianca “non ammette”, cioè nega, come i bambini dell’asilo).
Secondo il ministro della Difesa britannico, Grant Shapps, anche il governo Meloni ha rifornito Kiev di Storm Shadow, smentendo spudoratamente la propria promessa che avrebbe fornito solo armi difensive. E smentendo la nostra Costituzione.
Siamo anche noi quindi coinvolti a pieno titolo nell’escalation verso il conflitto diretto Nato-Russia. E poi ci sorprendiamo se le filiali di Ariston e Bosch passano sotto amministrazione russa. E in Russia la UE ha assets per 1.5 o forse addirittura 2.5 trilioni di euro. Un disastro visto che i governi occidentali, di destra e di sinistra, sono tutti votati al servilismo per Washington fino alla nostra rovina.
Ma c’è una ricompensa: i nostri rappresentanti diplomatici potranno saltare la fila all’esibizione inaugurata il 1º maggio a Mosca delle Wunderwaffen della Nato distrutte, come già è concesso con un cartello a quelli di Usa, UK, Polonia e Francia. O si arriva subito ai negoziati o tra non molto dovremo scegliere tra resa incondizionata (che non è una garanzia di pace) e guerra “all-out” con alta probabilità che diventi nucleare data l’impossibilità della Nato di ottenere il predominio operativo convenzionalmente.
La mostra delle armi catturate a Mosca |
Ma l’Occidente vede solo qualche fotogramma, non vede il film della Storia perché non ha gli strumenti per farlo, e non ha gli strumenti per farlo perché sono antitetici agli interessi che difende e quindi sono inconcepibili.
Questi strumenti non definiscono infatti una metodologia (la scienza dei nullatenenti, come diceva il geniale corruttore Lucio Colletti). No, nessuna metodologia: questi strumenti definiscono una visione politica e filosofica, una Weltanschauung, una visione del mondo.
E loro ne hanno un’altra. Non sbagliata, ma tragicamente criminale.
Rimettere i neuroni al posto delle foglie di lauro non è infatti una questione di comprensione. È una questione di classe, di rinuncia agli onori e ai privilegi e di rifiuto della difesa degli interessi di oligarchie che divorano lo spazio e il tempo materiali, politici e ideali delle comunità e delle singole persone, per poter tornare a una visione umanistica e universalistica ormai uccisa in Occidente.
Nella sua recensione al numero di Limes intitolato “Mal d’America”, Carlo Formenti consiglia di leggere criticamente le analisi interne agli Stati Uniti e allo schieramento atlantista, che vedono il male nel giro vizioso dell’espansionismo imperiale, cioè nella tendenza ad «affrontare i problemi della propria sovratensione estendendosi ulteriormente», perché alla fine sempre di scontri di classe si tratta e sempre di scontri di classe occorre quindi parlare. E ha ragione.
Alcuni studiosi degli imperi chiamano il risultato di quel giro vizioso “sovradimensionamento strategico”, sintomo classico ricorrente di una prossima decadenza.
Ma il giro vizioso si potrebbe più propriamente definire come “corsa della Regina Rossa”, quella di “Alice oltre lo specchio”: dover correre sempre più forte fino alla massima velocità possibile per rimanere fermi, e per potersi spostare dover correre almeno due volte più veloce del massimo possibile. E a sua volta, per usare una quasi-metafora economica di Giovanni Arrighi, questa necessità la si può far risalire al fenomeno dei “rendimenti decrescenti”. Dico “quasi-metafora” perché in realtà descrive la logica capitalistica dell’accumulazione senza (un) fine, della sovraccumulazione come suo esito e la continua necessità di espansione come unico rimedio ad essa: la finanziarizzazione (che è per definizione un giro vizioso essendo sostanzialmente uno “schema Ponzi”), l’appropriazione di settori non ancora pienamente capitalistici, aree geografiche/Paesi/economie/lavoro, e di quello che era il dominio pubblico (debito pubblico, trasporti, sanità, istruzione, e anche l’aria da respirare – vedi la sedicente “transizione ecologica” con le sue manovre nascoste dietro la parola “sostenibile” che è insostenibile essa stessa dato che ormai qualsiasi cosa è “sostenibile”) e infine la riappropriazione di spazi che erano stati ceduti alle lotte, come le conquiste del lavoro ora non più tollerabili e non più funzionalizzabili.
E, ovviamente, la sottrazione degli spazi democratici.
David Ignatius sul Washington Post del 26 aprile scorso si interroga così: «Is the sun slowly setting on U.S. power? That depends on us». E inizia in questo modo:
«The United States might be stumbling toward a decline from which few great powers have ever recovered. It has many of the tools of national recovery but doesn’t yet have a shared recognition of the problem and how to fix it»:
https://www.washingtonpost.com/opinions/2024/04/26/david-ignatius-rand-study-us-forecast-decline/
No, dottor Ignatius, no. Si ricordi che no great power has ever recovered from its decline.
Gli Usa sono una grande potenza con enormi risorse e hanno i mezzi per adattarsi ai cambiamenti del mondo, ma non per opporvisi.
Ma l’adattamento è, ancora una volta, eminentemente un problema di classe.