Concretezza e storicità della contraddizione
feb 22nd, 2024 | Di Thomas Munzner | Categoria: Teoria e critica
Concretezza e storicità della contraddizione
di Salvatore Bravo
La contraddizione è la legge oggettiva della storia, è sinolo di universale e particolare; la legge della contraddizione è concreta e storica, perché si esplica nelle contingenze particolari. Capire la contraddizione significa coglierla nei suoi movimenti storici. La tensione tra particolare e universale necessita della valutazione attiva e consapevole degli uomini e delle donne in lotta. Non tutte le contraddizioni hanno lo stesso valore, ci sono priorità che devono essere oggetto di azione e pensiero, in modo da discernere le contraddizioni antagoniste dalle secondarie e calibrare le risposte alle circostanze che si presentano.
La duttilità del pensiero di Mao Tse-tung ha la sua genesi nella lotta per liberare la Cina dalla “grande mortificazione”, a cui l’aveva sottoposta l’Occidente con le guerre dell’oppio fino all’invasione giapponese nel 1937. L’aggressione giapponese è stata parte del disegno egemonico liberalista di spartizione del pianeta in aree di influenza e di saccheggio delle risorse. Dinanzi alla Cina devastata dall’invasione giapponese Mao Tse-tung dichiara la guerra di liberazione della Cina “contraddizione principale”, per cui l’alleanza con il Kuomintang diviene il mezzo con cui liberare la Cina dal nemico giapponese. Le contraddizioni interne alla Cina con relative visioni politiche sono valutate secondarie rispetto alla lotta di indipendenza della Cina:
“Dato che la contraddizione fra la Cina e il Giappone è divenuta la contraddizione principale e che le contraddizioni interne sono passate in secondo piano e vengono subordinate alla prima, si sono verificati cambiamenti nelle relazioni internazionali e nei rapporti tra le classi all’interno del paese; questi cambiamenti hanno segnato l’inizio di una nuova fase nello sviluppo dell’attuale situazione.
Già da tempo la Cina è dilaniata da due contraddizioni acute, fondamentali: la contraddizione fra l’imperialismo e la Cina e la contraddizione fra il sistema feudale e le masse popolari. Nel 1927 la borghesia, rappresentata dal Kuomintang, tradì la rivoluzione e vendette gli interessi nazionali all’imperialismo; ne derivò quindi un aspro antagonismo fra il potere operaio e contadino e il potere del Kuomintang e il Partito comunista cinese dovette assumersi da solo il compito di attuare la rivoluzione nazionale e democratica1”.
La politica del Partito comunista cinese applica l’azione a seconda delle circostanze, La Lunga Marcia è in questa flessibilità mai relativistica, in quanto non vi è soggettivismo e non vi è semplice adattamento irrazionale alle circostanze. Il soggettivismo è trasceso con l’esame e con l’indagine oggettiva delle circostanze mediante la legge della contraddizione, il “che fare” scaturisce, dunque, dalla valutazione oggettiva. Il fine è salvaguardare la realizzazione del socialismo e del comunismo nelle contingenze storiche che si materializzano e dalle quali non si può prescindere, per cui i mezzi devono essere ripensati in funzione del fine ultimo. L’alleanza con il Kuomintang è strategico, è necessario allearsi “fra cinesi” per liberare la patria:
“La contraddizione fra la Cina e il Giappone ha cambiato l’aspetto delle cose per le masse popolari di tutto il paese (proletariato, contadini e piccola borghesia urbana) e ha modificato la politica del Partito comunista. La lotta del popolo per la salvezza della patria assume proporzioni sempre maggiori. Il Partito comunista, dalla politica condotta dopo l’Incidente del 18 settembre 1931 e diretta a concludere, a tre condizioni (cessazione delle offensive contro le basi d’appoggio rivoluzionarie, garanzia delle libertà al popolo, armamento del popolo), un accordo antigiapponese con quella parte del Kuomintang che desiderava cooperare con noi nella resistenza al Giappone, è passato alla politica della creazione del fronte unito antigiapponese di tutta la nazione2”.
La contraddizione principale, ovvero la liberazione dal nemico giapponese, rende secondarie le contraddizioni tra le classi sociali, queste ultime devono essere gestite in modo da non degenerare in contraddizioni antagoniste. A tal scopo il partito comunista deve regolare le contraddizioni in funzione della realizzazione del socialismo e sul comunismo, il quale deve realizzare la pace, l’unità e la democrazia:
“ Lo sviluppo della contraddizione nazionale fra la Cina e il Giappone ha fatto sì che, dal punto di vista ell’importanza politica, le contraddizioni fra le classi e fra i blocchi politici all’interno del paese abbiano assunto minore importanza, siano passate in secondo piano e vengano subordinate alla prima. Tuttavia queste contraddizioni esistono nel paese come prima, non sono né diminuite né sono scomparse. Lo stesso avviene con le contraddizioni fra la Cina e gli Stati imperialisti (eccettuato il Giappone). Perciò al Partito comunista cinese e al popolo cinese si pone il seguente compito: regolare in modo appropriato quelle contraddizioni sia interne sia esterne che oggi è possibile e necessario regolare, affinché quadrino con il compito generale dell’unità per la resistenza al Giappone. È proprio questo che determina la linea politica del Partito comunista cinese che vuole la pace e l’unità, la democrazia, il miglioramento del tenore di vita del popolo e negoziati con gli altri paesi che si oppongono al Giappone3”.
Contraddizione e virtù comunista
Per poter risolvere la contraddizione principale è necessario l’impegno dei combattenti tutti, si delinea, pertanto, una “virtù comunista”.
L’azione dev’essere calibrata nei tempi, e rimandarla favorisce il nemico, altrettanto fondamentale è la “testimonianza vissuta” della priorità degli obiettivi politici. Chi lotta, deve abbandonare la vita di “superficie e il soggettivismo” per porsi al servizio del popolo cinese. Per vincere le forze regressive e conservatrici bisogna imparare ad elevarsi oltre i personali egoismi: il comunismo è formazione politica ed etica. L’antidogmatismo è nella forza della parola materiale e vissuta che vince il nemico esterno e, specialmente, “il liberista che si cela in ognuno”:
“ L’imperialismo giapponese intensifica oggi i preparativi per l’aggressione contro la parte della Cina che si trova a sud della Grande Muraglia. Agendo di comune accordo con Hitler e con Mussolini, che si stanno intensamente preparando a una guerra di rapina in occidente, in oriente il Giappone, in conformità con il piano tracciato, tende tutte le sue forze per preparare le condizioni che possano permettergli di conquistare la Cina in un sol colpo: al proprio interno condizioni militari, politiche, economiche e ideologiche; sul piano internazionale condizioni diplomatiche; in Cina sostegno alle forze filogiapponesi. La propaganda della cosiddetta “collaborazione cino-giapponese” e una certa moderazione nell’attività diplomatica del Giappone sono dettate precisamente da necessità tattiche nel quadro della sua politica di aggressione alla vigilia della guerra. Si avvicina il momento critico in cui la Cina dovrà affrontare il problema della sua sopravvivenza; occorre accelerare al massimo i preparativi per resistere al Giappone e salvare la nazione. Noi non siamo affatto contro questi preparativi, ma siamo contro la teoria di una preparazione prolungata, contro la vita frivola e dissipata dei funzionari civili e militari che mette in pericolo la nazione; in realtà sono tutte cose che aiutano il nemico e alle quali bisogna porre termine al più presto4”.
La rivoluzione è in marcia, eppure essa è già nel tempo presente, in quanto le contraddizioni non antagoniste o secondarie devono essere oggetto di una attenta gestione politica del partito comunista. Proprietà e competenze della borghesia devono essere poste al servizio del benessere materiale del popolo cinese in lotta. La politica del partito comunista deve amministrare le contraddizioni secondarie e orientarle verso il comunismo, con tale operazione il partito comunista rende reale e razionale nel presente il comunismo, il quale non è rimandato in un tempo e in uno spazio indeterminato:
“La parola d’ordine della repubblica democratica degli operai e dei contadini non è in contrasto con il compito della rivoluzione democratica borghese, ma significa al contrario decisa realizzazione di questo compito. Nella pratica della nostra lotta, noi non abbiamo adottato alcuna misura politica che non corrisponda a tale compito. La nostra politica, che comprende la confisca delle terre dei proprietari terrieri e l’introduzione della giornata lavorativa di otto ore, non esce dai limiti del sistema della proprietà privata capitalista, non implica l’attuazione del socialismo. Quale sarà la composizione della nuova repubblica democratica? Proletariato, contadini, piccola borghesia urbana, borghesia e tutti coloro che nel paese approvano la rivoluzione nazionale e democratica. Tale repubblica rappresenterà l’alleanza di tutte queste classi nella rivoluzione nazionale e democratica. La borghesia; infatti, nella situazione attuale, è possibile che la borghesia cooperi di nuovo con noi e partecipi alla resistenza contro il Giappone; il partito del proletariato non deve quindi respingerla, ma deve al contrario attirarla a sé e allearsi nuovamente con essa nella lotta comune, onde favorire l’avanzata della rivoluzione cinese. Per mettere fine ai conflitti armati all’interno del paese, il Partito comunista è disposto a cessare la politica di confisca con la forza delle terre dei proprietari terrieri e, nel corso dell’edificazione della nuova repubblica democratica, è pronto a risolvere il problema agrario per via legislativa o con altri metodi appropriati. Il primo problema da risolvere è quello di sapere a chi appartiene la terra cinese, se ai giapponesi o ai cinesi. Poiché la soluzione del problema agrario dei contadini è subordinata alla difesa della Cina, è assolutamente necessario passare dalla confisca con la forza a nuovi metodi più appropriati5”.
La Repubblica comunista e democratica si crea nella lotta. Il comunismo non è un sogno; il comunista non è una creatura astratta che guarda il mondo dall’alto; il comunismo forma “comunisti” nella lotta. Il materialismo storico è la condizione, affinché il comunismo sia “reale e razionale”. Il titolo di comunista spetta a coloro che dissolvono ogni forma di soggettivismo nella lotta per il comunismo:
“Molti compagni hanno chiesto qual è la natura e quali sono le prospettive della repubblica democratica. Ecco la nostra risposta: per la sua natura di classe, la repubblica democratica rappresenta l’alleanza di tutte le classi rivoluzionarie; nelle sue prospettive essa può avanzare verso il socialismo. La nostra repubblica democratica si crea nel corso della guerra di resistenza nazionale, si crea sotto la guida del proletariato, si crea in una situazione internazionale nuova (vittoria del socialismo nell’Unione Sovietica, vigilia di un nuovo periodo della rivoluzione mondiale). Perciò, anche se per le sue condizioni sociali ed economiche essa resta uno Stato di carattere democratico borghese, per le sue condizioni politiche concrete essa deve essere uno Stato fondato sull’alleanza degli operai, dei contadini, della piccola borghesia e della borghesia e in ciò differisce dalle repubbliche borghesi in generale. Perciò, per quanto riguarda le sue prospettive, sebbene possa prendere la direzione del capitalismo, esiste anche la possibilità che imbocchi la via del socialismo e il partito del proletariato cinese deve lottare con tutte le sue forze per questa seconda alternativa6”.
Formare comunisti
La forza del partito comunista è nei “quadri” che si sono formati negli anni della lotta e hanno sostenuto il centralismo democratico. I “quadri” non sono burocrati di partito, ma uomini che vivono la quotidianità della storia e conoscono direttamente la vita dei contadini e dei proletari. In questa relazione e direzione il partito diventa popolo e dal popolo emergono i suoi dirigenti. Il partito non è una sovrastruttura di dominio, ma marcia al ritmo del popolo, ogni comunista è chiamato a partecipare alla rivoluzione:
“Per dirigere una grande rivoluzione occorre avere un grande partito e un gran numero di ottimi quadri. Sarebbe impossibile in Cina, con i suoi 450 milioni di abitanti, portare a termine una grande rivoluzione, una rivoluzione che non ha precedenti nella storia, se a dirigerla ci fosse un piccolo gruppo chiuso in se stesso o se il Partito comunista cinese disponesse soltanto di dirigenti e quadri incompetenti, gretti e dall’orizzonte limitato. Il Partito comunista cinese è già da lungo tempo un grande partito; malgrado le perdite subite nel periodo della reazione, è rimasto un grande partito e conta molti buoni dirigenti e molti buoni quadri; tuttavia il loro numero non è ancora sufficiente. Le organizzazioni del nostro partito devono essere estese in tutto il paese: dobbiamo perciò formare, coscienziosamente, decine di migliaia di quadri e centinaia di ottimi dirigenti delle masse. Devono essere quadri e dirigenti con una profonda conoscenza del marxismo-leninismo, politicamente lungimiranti, capaci nel lavoro, pronti a ogni sacrificio, in grado di affrontare da soli i problemi, incrollabili di fronte alle difficoltà, leali e dediti al servizio della nazione, della loro classe e del partito. È su questi quadri e su questi dirigenti che il partito conta per mantenere i legami con la base e con le masse, ed è facendo affidamento sulla loro ferma direzione delle masse che il Partito può riuscire a sconfiggere il nemico. Questi quadri e questi dirigenti devono essere liberi da ogni forma d’egoismo, di eroismo individualistico, di ostentazione, di indolenza, di passività e di arrogante settarismo ed essere invece disinteressati eroi della loro nazione e della loro classe7”.
Il partito comunista deve formare l’uomo comunista, il quale deve modellarsi secondo due direzioni di confronto dialettico: il nemico esterno e il nemico interno. La lotta principale è contro il nemico interno, ovvero il soggettivismo egoistico. Ovunque prevalga l’egoismo e il calcolo puramente strumentale, si è in presenza del liberalismo. Mao Tse-tung individua due tipologie umane, quasi due archetipi, che si manifestano nella storia: il liberista, espressione dell’egoismo regressivo, e il comunista, ovvero colui che lotta per la giustizia sociale ed è disponibile a cambiare e a sublimare l’egoismo e il calcolo soggettivistico:
“Tutte queste sono manifestazioni di liberalismo. Il liberalismo è estremamente nocivo in una collettività rivoluzionaria. È un corrosivo che distrugge l’unità, mina la coesione, conduce all’apatia nel lavoro e crea dissensi. Il liberalismo priva i ranghi rivoluzionari di un’organizzazione compatta e di una rigorosa disciplina, impedisce che la politica venga applicata fino in fondo e opera un distacco tra le organizzazioni del partito e le masse che esso guida. È una tendenza estremamente nociva. Il liberalismo deriva dall’egoismo piccolo-borghese che pone al primo posto gli interessi personali e al secondo posto quelli della rivoluzione; è così che nasce il liberalismo in campo ideologico, politico e organizzativo. I sostenitori del liberalismo considerano i principi del marxismo come dogmi astratti. Approvano il marxismo, ma non sono disposti a metterlo in pratica o a metterlo in pratica integralmente; non sono disposti a sostituire il loro liberalismo con il marxismo. Questa gente ha un suo marxismo, ma anche un suo liberalismo parla di marxismo, ma pratica il liberalismo; applica il marxismo agli altri e il liberalismo a se stessa. Tiene in magazzino ambedue i tipi di merce e per ognuna trova un uso. È così che funziona il cervello di certa gente. Il liberalismo è una manifestazione di opportunismo ed è radicalmente in conflitto con il marxismo. È qualcosa di negativo e oggettivamente ha l’effetto di aiutare il nemico. Per questo il nemico è ben contento che il liberalismo permanga tra di noi. Essendo questa la natura del liberalismo, non deve esserci posto per esso nelle file della rivoluzione. Noi dobbiamo servirci dello spirito positivo del marxismo per vincere il liberalismo che è negativo8”.
Il comunismo è formazione di uomini e di donne nella partecipazione diretta al benessere collettivo. Non è imposto, esso può diventare reale, se la lotta affianca la pedagogia comunista, la quale mediante la dialettica viva e la partecipazione totale ai destini politici del popolo tutto, diviene guida per il superamento consapevole delle forze liberiste che albergano in ogni individuo:
“Il liberalismo è una manifestazione di opportunismo ed è radicalmente in conflitto con il marxismo. È qualcosa di negativo e oggettivamente ha l’effetto di aiutare il nemico. Per questo il nemico è ben contento che il liberalismo permanga tra di noi. Essendo questa la natura del liberalismo, non deve esserci posto per esso nelle file della rivoluzione9”.
Il pensiero di Mao Tse-tung è scomparso dall’orizzonte culturale occidentale, sopravvive solo nel semplicismo censorio che associa il comunismo di Mao al “grande balzo” senza spiegarlo e senza renderlo razionale e decodificabile nei suoi errori e nelle sue valutazioni. Ogniqualvolta che una prospettiva filosofica e politica si oscura fino ad essere invisibile, si è in presenza di un sistema totalitario, che teme il confronto dialettico con altri modelli sociali e politici. L’esodo dal totalitarismo del pensiero unico può esplicarsi in una pluralità di modi, ma forse la modalità più pugnace e duratura è riconquistare ciò che il sistema ha sottratto alla visibilità e al pensiero. Rileggere Mao significa rompere la fosca nube dell’ignoranza che si nutre e si consolida con il “politicamente corretto”.