La Polonia alla guida dell’Europa centro-orientale
set 5th, 2023 | Di Thomas Munzner | Categoria: Cultura e società
La Polonia alla guida dell’Europa centro-orientale
Chi sono i nuovi ussari alati sotto le insegne della Nato?
di Francesco Galofaro*
La Polonia conta circa 40 milioni di abitanti, pari ai due terzi della popolazione italiana. Nonostante la crescita economica impetuosa, si tratta di un Paese ancora in gran parte poco sviluppato e segnato da grandi contrasti sociali. Nel 1991, per l’italiano medio la Polonia era un semisconosciuto Paese dell’est, patria di Giovanni Paolo II e di Lech Wałęsa, il leader delle battaglie sindacali che Solidarność ha portato avanti contro il governo comunista degli anni ’80. Oggi la Polonia è probabilmente più nota per il suo attivismo nella politica internazionale: guida blocchi di Paesi centro-orientali contro l’Europa a trazione franco-tedesca e contro la concezione liberale della democrazia, promuove un modello di Stato etico ispirato al cattolicesimo conservatore, paternalista e familista, nel tentativo di assoggettare al governo il potere giurisdizionale e il sistema dei media. Al confronto con il protagonismo e l’assertività polacca, stupisce che l’Italia, Paese ampiamente sviluppato e fondatore della UE, giochi un ruolo sempre più marginale nelle relazioni internazionali finendo per contare poco o nulla negli equilibri europei e mondiali. In qualche modo quel che ho descritto fin qui è già il passato: la guerra russo-ucraina ha in realtà colpito molto duramente il modello economico-politico polacco. Nonostante ciò, la Polonia non si adopera per il dialogo, o per una soluzione pacifica e celere, ma si pone alla testa di una coalizione di Paesi manifestamente russofobi i quali spingono perché la NATO e la UE alimentino ulteriormente l’escalation, mettendo in grossa difficoltà l’asse franco-tedesco che sin qui deteneva la supremazia sull’Unione. In questa mia riflessione mi chiederò quali siano le caratteristiche culturali che caratterizzano la Polonia e ne determinano stabilmente la politica estera.
Il lavoro è suddiviso in tre sezioni. La prima presenta brevemente alcune caratteristiche dello sviluppo economico-politico della Polonia a partire dal suo ingresso nella UE (2005). La seconda utilizza gli strumenti della semiotica per descrivere alcune caratteristiche strutturali della cultura polacca, così come si è venuta formando dal tardo medioevo ad oggi. La terza impiega queste caratteristiche per rendere ragione della stabilità delle direttrici della politica estera polacca, le quali non dipendono dal colore dei governi locali né da quello dei Paesi partner.
1. Economia e politica
Tra tutti i Paesi dell’Est Europa, la Polonia è forse quello in cui si è registrato lo sviluppo economico e sociale più impetuoso, percettibile a occhio nudo dai visitatori che in quel periodo la frequentavano assiduamente. Negli anni 2000 si aveva l’impressione che il Paese fosse un unico, grande lavoro in corso: qui una nuova sopraelevata, là un parcheggio multipiano e un megacentro commerciale, mentre immensi grattacieli dalle curvilinee pareti a specchio sopravanzavano i monolitici edifici di epoca staliniana fino a cancellarli dal profilo urbano. La Polonia è forse l’unico Paese del Patto di Varsavia in cui il liberismo, il laissez-faire, le zone economiche speciali detassate abbiano realmente prodotto una crescita impetuosa. Tuttavia, essa si accompagna a tremende disparità tra città e campagna e tra centro e periferia. La destra clericale ha profittato della totale assenza di politiche sociali e di ridistribuzione del reddito per battere i liberali: governa senza interruzione dal 2015 semplicemente perché sostiene la natalità con assegni familiari, dando respiro alle classi sociali impoverite dalla globalizzazione, senza danni per la crescita e senza cambiare l’ispirazione liberista di fondo delle politiche economiche. Tuttavia, questo modello economico, che aveva superato senza problemi la crisi dei subprime, è stato spazzato via dal conflitto russo-ucraino nel 2022, suscitando diverse incognite circa il futuro del Paese.
1.1 Numeri
Per dare un’idea della crescita polacca dal 2005, anno del suo ingresso nell’Unione europea, si possono paragonare alcuni dati economici a quelli italiani dello stesso periodo. Occorre tenere presente che, a partire dal 2008, l’economia occidentale fu colpita dalla crisi dei derivati, innescata dalle speculazioni finanziarie del mercato USA. L’economia italiana entrava in sofferenza; esplodevano disparità sociali; i governi politici erano commissariati da “tecnici” nominati a Bruxelles; nuove forze “populiste” mettevano in crisi il sistema consolidato dei partiti e lo schema dell’alternanza tra centrodestra e centrosinistra. Nulla di tutto questo è accaduto in Polonia: nel periodo 2005 – 2022 il PIL pro-capite è raddoppiato da 8 a 16 mila dollari. I salari polacchi sono cresciuti stabilmente del 5% annuo, esattamente in linea con il tasso di crescita del Paese, mentre il tasso di inflazione si è mantenuto stabilmente intorno allo 0%. Anche il tasso di disoccupazione è calato dal 20% nel 2005 al 12% negli anni tra il 2010 e il 2015, per poi scendere ulteriormente fino all’attuale 5%. Al contrario, nello stesso periodo, in Italia, il PIL pro-capite è sceso da 34mila a 30mila dollari, per poi tornare, nel ’22, a quota 32mila dollari, livello comunque inferiore al periodo precedente la crisi economica. Il tasso di crescita era di poco superiore allo 0, la crescita salariale crollava dal 4% allo 0,5%, il tasso di disoccupazione raddoppiava dal 6% al 13% nel 2015, per poi scendere lentamente fino all’8% attuale.
1.2 Caratteristiche dello sviluppo polacco
Negli anni 2000 la Polonia conobbe una crescita impetuosa, dovuta ad alcuni fattori. Il primo è senz’altro la massiccia emigrazione. All’epoca, alcuni partiti di destra francesi incitavano la popolazione a diffidare dell’idraulico polacco, che divenne perfino una figura ricorrente della commedia borghese. In Italia, le donne polacche furono a lungo considerate badanti per antonomasia. In questo modo i governi socialdemocratici e liberali non hanno dovuto far fronte alla povertà del Paese con politiche redistributive, mentre l’afflusso di capitali permetteva alle famiglie di far studiare i figli e costruire nuove case. Grazie alla qualità del suo sistema di istruzione superiore e universitario, alla caduta del comunismo si formò rapidamente una classe media preparata e a buon mercato quanto a stipendi, il che attrasse investimenti da parte di grandi società multinazionali. Inoltre, allora come ora la Polonia è un Paese in larga parte poco sviluppato, in cui – grazie a ingenti finanziamenti europei – si sono create infrastrutture, collegamenti, ferrovie, autostrade, fognature, acquedotti. Nel periodo 2007-2015 ciò corrispose al governo della destra liberale ed europeista guidata da Donald Tusk, il cui non-modello di sviluppo era basato sul laissez faire. La grande borghesia di Varsavia ha subito preso a prestito idee e valori dal mondo anglosassone, inviando i propri rampolli nei college inglesi, considerando il proprio successo come frutto di intelligenza e preparazione, e la povertà crescente nel Paese come frutto dell’ignoranza e dell’idiozia congenita nelle campagne. È a questa stessa stupidità che i liberali imputano la vittoria, a partire dal 2015, della destra conservatrice e del suo mix di nazionalismo, conservatorismo e clericalismo. La realtà è che il Partito di Jarosław Kaczyński, Andrzej Duda e Mateusz Morawiecki ha semplicemente intercettato un malessere che i liberali si ostinano a non voler vedere, generato da un modello che premiava (e premia tuttora) le metropoli a danno delle province e delle periferie.
1.3 Il conflitto ucraino
Dallo scoppio del conflitto in Ucraina, il tasso di crescita annuale del PIL polacco è crollato in pochi mesi dall’8% allo 0%. L’inflazione è schizzata fino a toccare quasi il 20%, per assestarsi negli ultimi mesi al 12%. È il doppio di quella che si registra in Italia. Anche da noi la guerra si è mangiata il rimbalzo post-COVID della crescita del PIL italiano, ma il tasso si mantiene comunque intorno all’1,2%. Se possibile, il prezzo che la Polonia sta pagando alla guerra ucraina è anche più caro di quello italiano; eppure, mentre qui da noi l’opinione pubblica è piuttosto scettica sull’invio di armi all’Ucraina, quella polacca supporta entusiasticamente l’escalation in Europa. Per comprendere i motivi del crollo economico, si può pensare alla Polonia come alla porta d’oriente europea (o un hub, per usare un barbarismo). Dalla Bielorussia e dall’Ucraina passava una delle infrastrutture ferroviarie della BRI (Belt and Road Initiative) grazie alla quale l’Europa scambiava merci con la Cina. È in funzione di questo ruolo, oggi pregiudicato, che la Polonia aveva ristrutturato il proprio sistema ferroviario negli anni 2010, avvalendosi di fondi europei e acquistando il Pendolino italiano. Per comprendere le potenzialità strategiche della cooperazione tra Polonia e Cina anteriormente al conflitto si può vedere Jakubowksi et al. (2020). Sfortunatamente per i polacchi, il ruolo di porta d’oriente che la Polonia potrebbe giocare è ostacolato da alcune strutture culturali. Come vedremo nella prossima sezione, la cultura polacca si autorappresenta come bastione d’Europa contro il pericolo del risveglio dell’Asia. Il fatto che persegua una politica di conflitto con la Russia anche a danno della propria economia è coerente con questa impostazione.
1.4 Il problema dei rifugiati
Si calcola che oltre 3 milioni di rifugiati ucraini abbiano attraversato la Polonia nei primi mesi del conflitto. Da paese monoetnico, monoreligioso e monolinguistico la Polonia si è trasformata in pochi mesi in un crogiuolo di culture, lingue e religioni; il mercato immobiliare e degli affitti è salito alle stelle; molti rifugiati – non essendo migranti economici – non si adattano a qualsiasi lavoro, moltiplicando le occasioni di conflitto entro le classi sociali (dunque: tra lavoratori, tra proprietari, tra industriali ecc.). L’accoglienza che il Governo ha riservato ai rifugiati, accompagnato alla propaganda russofoba, può suonare come una grossa contraddizione: la Polonia ha sempre fatto ostruzionismo rispetto a ogni tentativo della UE di redistribuire i migranti provenienti dai Paesi che affacciano sul Mediterraneo. I polacchi non si sono ammorbiditi neppure quando la proposta di redistribuzione proveniva da Giorgia Meloni, la quale presiede il gruppo europeo dei conservatori cui fa riferimento il governo polacco. D’altronde, l’atteggiamento polacco nei confronti degli immigrati, come anche quello nei confronti di Russia e Germania, riposa sul mito del Commonwealth polacco-lituano, che esplorerò nella seconda parte di questo scritto. In base a questo mito, la missione storica della Polonia è incarnare il baluardo della civiltà europea contro le minacce esterne che provengono dall’Asia e dal mondo islamico. In questa visione del mondo, l’Ucraina è considerata come se fosse ancora parte integrante della confederazione polacco-lituana del XVI secolo. Al di là delle canzoni popolari polacche nostalgiche delle bellezze che popolano la verde Ucraina, gli ucraini sono stati per secoli una popolazione di servi della gleba mantenuti in uno stato di ignoranza e sfruttamento dalla nobiltà polacca. Questo spiega bene il successo, nell’opinione pubblica, dell’atteggiamento paternalista assunto dalla Polonia nei confronti dell’Ucraina, vista tutt’oggi come la terra della felicità perduta. La prossima sezione sarà dedicata ai miti fondativi della cultura polacca, nel tentativo di comprendere meglio le caratteristiche strutturali della sua politica estera.
2. Una cultura di frontiera
Il mio interesse scientifico per la Polonia nacque molti anni addietro, nel 2005, pochi mesi dopo il suo ingresso ufficiale nella UE. La cultura e la politica polacca rappresentavano per molti versi un’incognita, mentre oggi le cronache ci hanno trasmesso un’immagine sicuramente più definita del Paese della Vistola. Il fenomeno che attrasse all’epoca la mia attenzione fu la quantità di prodotti dal nome italiano venduti sul mercato polacco. Nell’ambito della moda, delle calzature e degli alimentari, molti marchi polacchi o tedeschi “imitavano” lo stile italiano, all’epoca ancora inaccessibile per i bassi salari e stipendi locali. Il fenomeno assomigliava molto al prestito linguistico, ma oltrepassava i confini della lingua per estendersi a una serie di prodotti “italiani”: scarpe, gelati, vino, vestiti per bambini e molto altro ancora.
2.1 Il prestito semiotico
Secondo i linguisti, una lingua prende a prestito termini in settori in cui riconosce ad un’altra cultura una sorta di supremazia. La quantità di barbarismi dall’inglese presenti oggi nella lingua italiana riflette bene l’egemonia culturale esercitata dagli Stati uniti sulla società italiana contemporanea. Allo stesso modo, guardando ai prodotti polacchi che imitavano lo stile italiano, era possibile nel 2005 farsi un’idea di come gli italiani siano visti all’estero: mangiano con raffinatezza, vestono con stile, sono creativi nel disegno industriale, amano bellezza e comodità. La borghesia italiana era un modello per il nascente ceto medio polacco, educato e cresciuto dopo la caduta del muro di Berlino e la fine del socialismo in quel Paese. All’epoca chiamai “prestito semiotico” questa generalizzazione del prestito linguistico ai codici vestimentari, del design e della moda. Chiaramente, ogni italiano avrebbe facilmente riconosciuto degli “adattamenti” dello stile italiano ai gusti locali, molto simili ai cambiamenti di significato che le parole straniere conoscono quando vengono inserite nel vocabolario italiano. Per paradosso, in Polonia la moda imparava l’italiano in un periodo in cui in Italia adottava l’inglese (summer collection, fashion stylist, personal shopper, image consulting …).
2.2 La Polonia come cultura di frontiera
Cercai di rappresentare la situazione descritta sopra con gli strumenti della semiotica della cultura (Galofaro 2006). Come ogni altra cultura, anche quella polacca è un modello del mondo, e lo suddivide in uno spazio interno [IN] ed esterno [ES]. Lo spazio esterno è valorizzato negativamente: è lo spazio della natura, della non cultura, dell’assenza di informazione: della barbarie, ma anche di quel che “minaccia la nostra società”. Nel caso della Polonia, è stato via via lo spazio del paganesimo, dell’ortodossia russa e delle scorrerie dei cosacchi, del protestantesimo tedesco e svedese, dell’Islam turco. Lo spazio culturale [ES] alla cultura polacca è sovente suddiviso tra Germania e Russia, con differenze importanti. Il mondo tedesco è ciò con cui si deve competere quanto a sviluppo, e con il quale sono possibili collaborazioni economiche. Il mondo russo è al contrario identificato con l’arretratezza, la burocrazia soffocante, l’oblomovismo. Tale suddivisione dello spazio culturale [ES] è geograficamente incorporata nella Polonia stessa, la quale è divisa in un ovest sviluppato e in un est arretrato: un retaggio attribuito alla spartizione operata da Prussia, Russia e Austria nel corso dell’800 e alle differenze rispettive nell’amministrazione pubblica e nelle politiche di sviluppo. Quanto allo spazio IN, risultava molto chiaro come la Polonia operasse una seconda demarcazione tra un “centro” e una “frontiera”, collocandosi entro quest’ultima. Così, il grande numero di marchi e prodotti pseudo-italiani sul mercato polacco nel 2005 manifestavano un orientamento della cultura polacca, di “frontiera”, verso quella italiana, vista come “centro”, almeno in ciò che riguarda lo stile di vita della borghesia. In modo molto simile, nel periodo orleanista, la borghesia francese vedeva un modello nel parlamentarismo inglese: prendeva a prestito il lessico, la moda e perfino il modo di annodare le cravatte delle classi dominanti in Gran Bretagna (Greimas 2000). In quanto frontiera, la cultura polacca ha il potere di scegliersi il proprio centro, ossia il proprio modello. Così, nel ‘300 i prestiti semiotici attestano un orientamento diretto al mondo germanico quanto alla stratificazione sociale e all’amministrazione cittadina (ispirata al Diritto di Magdeburgo). Nel 1518 Bona Sforza diviene regina di Polonia e il vettore cambia radicalmente, orientandosi verso l’Italia, da cui si importano architetti, urbanisti, scultori, musicisti, piante e usanze alimentari, e perfino le buone maniere: si traduce in polacco (o meglio si adatta) Il Cortegiano, di Baldassarre Castiglione. In seguito, l’aristocrazia polacca imparerà a parlare francese – precedendo di un buon secolo quella russa – e produrrà addirittura una letteratura in quella lingua, come testimonia il Manoscritto trovato a Saragozza, di Jan Potocki.
2.3. Russia e Polonia: differenze
Si nota qui un’importante differenza tra la cultura polacca e quella russa. A uno sguardo superficiale, esterno, le due possono sembrare molto simili. Si parla una lingua slava; si mangiano piatti analoghi, come il barszcz; nelle fiabe la strega si chiama Baba Jaga; nelle chiese si venerano le icone … Le analogie in cui ci si imbatte, a livello fenomenico, sono davvero molte. Ma la cultura russa, come spiega bene Juri Lotman (2001), è in qualche modo double face. Ha un vettore d’orientamento rivolto verso l’Europa, occidentalista, ed uno slavofilo, simmetricamente rivolto verso l’Asia. La sua bistabilità si può leggere nel campo della letteratura (Dostoevskij vs. Tolstoj); della musica (Musorgskij vs. Rimskij-Korsakov); in politica (Ivan il terribile vs. Pietro il grande) … Al contrario della Russia, la Polonia si autorappresenta stabilmente come frontiera d’Europa. Così, il mito del risveglio dell’Asia ha un valore profondamente negativo nella letteratura polacca. Esso è auspicato nichilisticamente, alla stregua di un cupio dissolvi, in opere come Insaziabilità di Witkiewicz, Lucifero disoccupato di Aleksander Wat; in Russia esso rappresenta un mito largamente positivo e addirittura anticoloniale (Lenin 1974).
2.4 Il mito del Commonwealth polacco-lituano e la sua trasmissione
I libri di storia della mia generazione erano molto focalizzati sulla storia italiana e dell’Europa occidentale al di qua della cortina di ferro. Per motivi ideologici, sintetizzavano o ignoravano del tutto la storia di tutte le entità politiche ad est dello spazio germanico. Tra queste, la Confederazione polacco-lituana, sancita ufficialmente a Lublino nel 1569 dopo un processo di fusione delle dinastie regnanti nei due Paesi in atto da almeno due secoli. Al suo apogeo, la confederazione polacco-lituana giunse a comprendere un immenso territorio che includeva Boemia, Ungheria, Prussia orientale, Ucraina e Bielorussia occidentali. Inoltre, lo Stato polacco ha potuto affermarsi nei secoli solo a spese dello spazio culturale germanico e russo. A questo proposito si possono ricordare, per il loro valore simbolico, due grandi battaglie. Con la battaglia di Grunwald (1410) il regno polacco assoggetta lo stato teocratico dei cavalieri teutonici, destinato, dopo la riforma protestante, a trasformarsi nello Stato prussiano. Con la battaglia di Klušino (1610) le truppe polacche vittoriose entrarono a Mosca e imposero uno zar polacco ai boiardi russi. Il mito della grande Polonia nacque, come e ovvio, dopo la sua scomparsa e fu trasmesso di generazione in generazione in primo luogo dalla letteratura. Come si dirà nella prossima sezione, nel corso dell’800 lo Stato polacco era stato smembrato e spartito tra Russia, Austria e Prussia. Nel corso del XIX secolo, il mito della grande Polonia venne costruito in romanzi storici come la “trilogia” di Henryk Sienkiewicz, nobel per la letteratura nel 1905. Come è noto, si tratta del periodo in cui il romanzo borghese aveva pienamente soppiantato il poema nell’espressione dell’epos. Più precisamente, nella periodizzazione proposta da Lukács (1935), il periodo in cui scrive Sienkiewicz è considerato come quello della crisi della borghesia e dei suoi eroi positivi, che prelude alla dissoluzione della forma-romanzo. Tuttavia, lo sguardo di Lukács si posa in via esclusiva sulla letteratura prodotta dai Paesi a capitalismo avanzato. Sienkiewicz è pressappoco contemporaneo di Zola, ma in Polonia il problema dell’unità nazionale prevale sul realismo sociale. In Polonia Sienkiewicz è considerato un positivista; i temi trattati e la funzione politica della sua letteratura possono ricordare romanzi italiani della generazione precedente quali Ettore Fieramosca di M. D’Azeglio (1833). Per ciò che riguarda l’Italia caratteri di questa letteratura sono ben delineati in Gramsci (1931-1932, § ⟨135⟩): opere di stile non aulico e ricercato che aveva il fine di educare il popolo “senza tuttavia arrivare ad esso”, rimanendo in molti casi lontana dagli interessi popolari e rivolgendosi piuttosto a quella borghesia che, non avendo interessi letterari, può tuttavia accostarsi all’arte. L’equivalente polacco della “borghesia” italiana cui si riferisce Gramsci va individuato nell’intelligencija, in possesso dello statuto morale e intellettuale per esprimere la classe dirigente del Paese. Tali opere hanno alimentato le aspirazioni e le speranze dei polacchi verso uno Stato indipendente. In Polonia, questo genere di letteratura è tutt’ora oggetto di studio fin dalle elementari. Con funzioni diverse, il medesimo mito rivive nel cinema in costume: ad esempio, I cavalieri teutonici, di Aleksander Ford (1960) – uno dei film preferiti di Martin Scorsese – è tratto dall’omonimo romanzo in quattro volumi di Sienkiewicz dedicato alla battaglia di Grunwald. Il Colossal fu finanziato dal governo comunista, all’epoca in conflitto con la Repubblica federale tedesca. È inevitabile il paragone con Aleksandr Nevskij di Sergej M. Ėjzenštejn (1938), che rispolvera un analogo mito russo in funzione antinazista. La stessa epica, perduto il proprio messaggio politico contingente, si immilia oggi nelle miniserie televisive. In quanto “frontiera”, la cultura polacca ha inoltre ereditato il mito delle kresy. Il termine designa in particolare le terre perdute dell’Ucraina occidentale e, più in genere, Lituania e Bielorussia. Queste terre hanno dato alla Polonia i loro massimi scrittori, da Adam Mickiewicz (nato a Nowogródek, oggi in Bielorussia) a Bruno Schulz (nato e vissuto a Drohobyč, oggi in Ucraina). Lo spazio culturale polacco è dunque proiettato verso est: la Polonia pensa all’Ucraina con il medesimo atteggiamento che i Paesi occidentali hanno nei confronti delle proprie ex-colonie. I polacchi non dimenticano, ma soprassiedono sui tanti conflitti etnici di cui è costellata la storia del loro rapporto con gli ucraini. A mio parere, ciò avviene perché, fin dal primo sorgere del conflitto tra Ucraina e Russia, l’esercito ucraino ha rappresentato per i Polacchi una funzione culturale simile a quella delle truppe coloniali indigene (gli Àscari per l’Italia, i Goumiers per la Francia …): soldati leali, fidati e fedeli da utilizzare nel conflitto contro la propria nemesi storica.
2.5 Il trauma della spartizione
Nella cultura polacca vi è un grande trauma mai superato: quello della spartizione, avvenuta in più fasi nel corso del XVIII secolo, che portò infine alla scomparsa di una statualità polacca indipendente. Russia, Prussia e Austria suddivisero e incorporarono parte della Polonia entro i loro confini. Il romanticismo polacco culturale e politico coincide col tentativo di preservare la cultura polacca dalla germanizzazione e dalla russificazione, sotto forma di riconquista dell’indipendenza. Il più noto, se non il più grande poema epico polacco, Pan Tadeusz di Adam Mickiewicz, offre più di uno spunto di riflessione sull’attualità: i polacchi, divisi da ancestrali faide nobiliari, si uniscono per partecipare alla spedizione napoleonica contro la Russia nella speranza di ottenere l’indipendenza. La storia è inoltre ambientata in Lituania, la quale, come si è detto sopra, è una delle due “radici” del Commonwealth polacco. Da notare che il regista Andrzej Wajda realizzò nel 1999 una riduzione cinematografica del poema, mantenendone la versificazione. La Polonia coltiva tutt’oggi il mito delle sue insurrezioni fallite, del sacrificio fino all’ultimo uomo, delle struggenti Polonaise di Chopin. La partecipazione di patrioti polacchi al Risorgimento italiano è ancora viva nell’epica polacca (e pressoché dimenticata da noi). La composizione dell’inno nazionale polacco avviene a Reggio Emilia nel 1797, lo stesso luogo e lo stesso anno di nascita del Tricolore. Il mito del grande passato polacco ha perduto il proprio valore in relazione alla riunificazione del Paese per caricarsi, in seguito, di altre valenze; è stato utilizzato dalla cinematografia socialista nel tentativo di ricostruire l’unità nazionale negli anni ’50, dopo le lacerazioni del Secondo conflitto mondiale; oggi è divenuto un mito nazionalista, che agita la paura del nemico per spingere all’attacco preventivo. Poiché dialetticamente ogni cosa si trasforma nel proprio contrario, l’epos romantico finisce così per alimentare una pericolosa torsione nazionalista. Anche in questo caso, il mito negativo della spartizione si perpetua anche attraverso le istituzioni scolastiche, le quali sono responsabili anche della sua interpretazione storica piuttosto acritica e autoassolutoria. La crisi e la scomparsa della grande Polonia viene spiegata con il complotto dei suoi nemici, e non attraverso il conflitto tra monarchia e la piccola nobiltà diffusa nelle campagne, avida di privilegi e per nulla disposta a sacrificarsi per l’ideale nazionale. Detto questo, il mito negativo della spartizione continua a influire tanto sull’interpretazione del periodo comunista quanto su quello della Russia di Putin. Non è esagerato dire che, nonostante l’ingresso della Polonia nella NATO renda piuttosto improbabile questo scenario, ogni polacco considera un’invasione russa come una possibilità realistica al punto che, allo scoppio del conflitto Russa – Ucraina, alcuni giustificavano in questo modo la necessità di un attacco preventivo alla Russia, approfittando di un suo supposto indebolimento.
3. Lo spazio polacco
La Polonia è un Paese quasi del tutto privo di ostacoli naturali; nel corso della sua storia, le sue pianure sono state attraversate da ogni tipo di esercito, le città rase al suolo più volte, e nei secoli i suoi confini politici si sono spostati in continuazione. Alla fine della Seconda guerra mondiale, ad esempio, ha perduto Leopoli e Vilnius a est, incorporando, a ovest, Stettino e Breslavia. Chiusa tra due fronti, la principale direttrice della politica estera polacca è (e rimane) evitare una saldatura degli interessi russi e tedeschi, i due sottospazi in cui la cultura polacca suddivide il mondo esterno [ES], come si è detto nella sezione precedente.
3.1 L’Europa centro-orientale
Nel periodo della guerra fredda, tutte le nazioni oltre Trieste erano considerate “Paesi dell’est”. Pertanto, alla caduta del muro di Berlino, era indispensabile per la Polonia e per altri componenti del defunto Patto di Varsavia trovare un’etichetta che li distinguesse dalla Russia e al contempo non li “schiacciasse” nell’orbita della Mitteleuropa germanica. Una soluzione fu proposta da Piotr Wandycz (2001), professore emerito alla Yale University e presidente dell’Istituto Polacco di Arti e Scienze d’America, trasferitosi negli USA nel 1939, quando l’Unione sovietica ha invaso la Polonia. Egli ha coniato l’espressione geografico-culturale “Europa centro-orientale”, a significare le specificità e le similitudini storiche di Paesi come la Polonia, la Cecoslovacchia e l’Ungheria. Tutta la storia è storia contemporanea: proprio questi tre Paesi avevano dato vita, nel 1991, al gruppo di Visegràd, che ha in seguito aderito alla NATO (1999) e all’Unione europea (2004) costituendo un blocco geopolitico omogeneo e conservatore unito fino allo scoppio della guerra Russo-Ucraina. Inoltre, nel 2016 si è tenuta l’inaugurazione del Trimarium, un forum, giunto ormai alla settima edizione, comprendente, oltre alla Polonia, Austria, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia. L’idea geopolitica del Trimarium si fonda sull’Intermarium, teorizzato nel periodo tra le due Guerre dal dittatore polacco Józef Piłsudski per riunire in una confederazione i Paesi che affacciano su Baltico, Adriatico, mar Nero. Restano fuori da quest’area la Germania, a ovest; ad est, Bielorussia e Russia. L’Ucraina è divenuta partner ufficiale nel giugno 2022. Vediamo ancora una volta tornare in vita il mito della Confederazione polacco-lituana, travestito in abiti contemporanei.
3.2 La scelta della NATO
Non è corretto identificare le direttrici della politica estera polacca e il governo conservatore che ha governato il Paese senza interruzioni dal 2015: le prime non cambiano a seconda dei governi e si dimostrano stabili e coerenti nel tempo: esse prevedevano l’ingresso nella NATO (e, in seguito, nella UE) per trasformare la Polonia nel bastione orientale dell’alleanza contro la Russia. Al contempo, la Polonia si è messa con successo a capo di un blocco antirusso per contare entro la NATO ed entro la UE. Si tratta ancora una volta dell’identità di frontiera della Polonia che ho descritto nella sezione 2. Nel caso specifico, il vettore di orientamento della cultura polacca ha finito per selezionare gli USA come proprio centro. La talassocrazia statunitense è vista come una garanzia rispetto all’avversario russo; è inoltre un alleato per competere con la Germania, dato che gli Stati uniti non vedono di buon occhio la sua autonomizzazione e il ruolo egemone che svolge nella UE. Nonostante le simpatie politiche e le affinità ideologiche dei conservatori polacchi per Donald Trump nel periodo della sua presidenza, al succedersi degli inquilini della Casa Bianca il vettore di orientamento non è mutato. Dunque, la fedeltà atlantica è vista come la leva per esercitare una supremazia regionale ai danni di Russia e Germania. Il più grande fautore dell’ingresso della Polonia nella NATO fu Aleksander Kwaśniewski, l’ex leader comunista e, in seguito alla caduta del muro di Berlino, socialdemocratico il quale sconfisse Lech Wałęsa nelle elezioni del 1995 ponendo fine al governo di Solidarność, riportando così al governo una parte significativa della leadership ex socialista. Nel 2014, durante gli ultimi mesi della presidenza del liberale Donald Tusk, fu Obama ad annunciare uno stanziamento da un miliardo di dollari per spostare in Polonia il baluardo delle strutture difensive NATO contro la Russia. Tale politica che non mutò dopo l’elezione di Trump: in seguito alla polemica tra il presidente USA e Angela Merkel sulle spese militari dell’alleanza, il neopresidente polacco Andrzej Duda, conservatore, invitò gli USA a ricollocare le truppe sul proprio confine orientale. Seguì un accordo, firmato il 12 giugno 2019, che comportava anche l’acquisto dei noti caccia F35 americani e una fornitura di otto miliardi di dollari del (peraltro carissimo) gas americano per far fronte ai pericoli comportati dal comune nemico, il gasdotto Nordstream tra Russia e Germania (Galofaro 2022). Nonostante la posizione dei democratici americani sui diritti sia quanto di più lontano dalla sensibilità degli elettori polacchi, anche il presidente Biden è elogiato nella misura in cui fornisce armi e supporto agli ucraini contro i russi. Insomma: che negli USA governino i democratici o i repubblicani e che in Polonia governino i liberali o i conservatori fa poca differenza: la politica filostatunitense della Polonia sceglie di schierarsi a favore di una talassocrazia lontana dai propri confini in funzione antirussa e antitedesca. Washington non può che vedere con favore il contrappeso polacco all’UE a trazione francotedesca, la quale, prima della guerra, si era in qualche caso autonomizzata dagli interessi USA coltivando buoni rapporti con avversari quali Russia e Cina. Questo spiega i toni belluini cui la Polonia ci ha abituati fin dal principio del conflitto, e che hanno posto inizialmente in imbarazzo Berlino. D’altro canto, un’opera come il gasdotto Nord Stream simboleggiava – prima del misterioso sabotaggio che l’ha messa fuori uso – proprio quella convergenza russo-tedesca che la politica estera polacca ha da sempre temuto e osteggiato.
3.3 Identità polacca e differenza
La Polonia è identitariamente anticomunista? La risposta è, a mio parere, negativa. Il comunismo è considerato alla stregua dello slavofilismo: un’ideologia volta a celare, dietro un orizzonte ideale di fratellanza, nient’altro che le mire egemoniche della Russia. L’identità polacca si è mostrata estremamente flessibile proprio in reazione all’ideologia del nemico. Tra le due guerre fu una dittatura laica e anticomunista, dopo l’inglorioso conflitto polacco-sovietico (1919 – 1921) il quale fu, peraltro, voluto e scatenato proprio da Piłsudski per espandere la Polonia ai danni della Russia in piena guerra civile. Alla fine degli anni ‘70, quando si trattava di boicottare la Repubblica popolare, la Polonia si riconvertì in baluardo del cattolicesimo conservatore. A proposito di questo, il giudizio della Polonia post-comunista sul periodo del Patto di Varsavia è decisamente autoassolutorio, proprio come si è visto a proposito della spartizione. Nel discorso politico polacco, la storia della Repubblica popolare è descritta riduttivamente come un’occupazione quarantennale ad opera dei Russi e di una minoranza di collaborazionisti, trascurando del tutto l’elemento del consenso. Naturalmente, con questo non si vuole assolvere i dirigenti polacchi dalle svariate crisi che il Paese ha attraversato a causa della loro incapacità. Basandosi sulla propria esperienza personale, Hobsbawn (2011) descrive efficacemente i dirigenti polacchi della stagione politica che precedette il colpo di stato del generale Jaruzelski come una casta che, abbandonato il marxismo per il pragmatismo, riteneva di conoscere ed effettuare sempre e comunque la scelta migliore per il popolo. Detto questo, l’identificazione della Polonia comunista con uno Stato di occupazione russa con la “scusa” dell’ideologia risente ancora una volta del mito della spartizione polacca e ha lo scopo di porre un’equazione tra Vladimir Putin, Josif Stalin e la zarina Caterina II.
3.4 La contraddizione tra i conservatori europei
Come si è detto, la politica estera polacca non cambia con il colore dei governi. Ecco perché, anche a fronte della critica del liberalismo europeo condotta dal governo attuale, clericale e conservatore, i pronostici di una Polexit si sono rivelati sbagliati (cfr. Galofaro 2021). Tuttavia, le direttrici della politica estera polacca entrano parzialmente in contraddizione con il progetto, coltivato da Giorgia Meloni, di sostituire il gruppo dei conservatori europei a quello dei socialdemocratici nell’alleanza coi popolari per guidare l’Europa. Per molti versi, la destra polacca, clericale e conservatrice, può porsi l’obiettivo di porre fine a una serie di imposizioni europee e di multe che essa denuncia come una violazione della propria sovranità. Non si tratta soltanto dei diritti LGBTQ, ma anche delle sanzioni per il modo in cui il governo ha assoggettato il potere giurisdizionale eliminando svariati contrappesi democratici costituzionali. Tuttavia, se l’asse Meloni – Von der Leyen dovesse finire per puntellare la pericolante egemonia tedesca sull’Europa, che la Polonia ha costantemente tentato di minare, il suo governo non potrà che mettersi di traverso. Questa è la lettura che si può dare della recente nella partita sui migranti, in cui Italia e Commissione europea sembravano aver trovato un accordo quadro, che ha incontrato la ferma opposizione di Varsavia nonostante il protagonismo di Giorgia Meloni e la sua visita al primo ministro Morawiecki.
Conclusioni
Ricapitolo alcune caratteristiche della cultura polacca che ho presentato nel corso dell’articolo. La cultura Polacca si considera frontiera e baluardo dell’Europa. In quanto frontiera, nei secoli ha “scelto” il centro culturale rispetto al quale porsi come bastione: nel basso medioevo, si trattava della Germania dei Comuni medioevali; nel primo rinascimento, l’Italia; in età moderna, la Francia; oggi sceglie gli Stati Uniti d’America, in coerenza con la direttrice storica della sua politica estera, che cerca di affermare la propria esistenza impedendo una saldatura tra gli interessi germanici e quelli russi, visti come minaccia esterna. Tale politica si rende necessaria per affermare il diritto a esistere di una cultura che in passato era minacciata di assimilazione da parte di potenti vicini; tale lotta per l’esistenza è stata spesso travestita da missione storica, della quale la Polonia si sente investita: un buon esempio è il mito di Jan Sobieski, che accorse in aiuto dell’imperatore Leopoldo I contro le forze ottomane sconfiggendole nella Battaglia di Vienna (1683). In questa chiave la Polonia si propone oggi come leader dell’Europa centro-orientale, ammodernando formule geopolitiche ispirate al mito della Confederazione lituano-polacca, il grande stato che dominò l’Europa centro-orientale tra il XIII e il XVIII secolo. In questa chiave, nell’attuale conflitto tra Ucraina e Russia, la Polonia guida i Paesi russofobi della NATO anche con lo scopo di contendere l’egemonia tedesca sulla UE sotto un profilo politico-militare. Tale caratteristica della politica estera polacca è strutturale: non dipende cioè dall’attuale maggioranza clerico-conservatrice, al punto che essa entra per certi versi in contraddizione con il progetto dei conservatori europei, guidati da Giorgia Meloni, di sostituire i socialdemocratici nell’alleanza coi popolari alla guida dell’Unione europea: tale sostituzione ha un senso solo se ridimensiona – e non puntella – l’egemonia tedesca sulla UE. Come si è visto, le direttrici della politica estera polacca e le sue caratteristiche culturali pongono oggi il Paese di fronte a una grave incognita. Infatti, esse impongono il sacrificio del modello di sviluppo economico vincente, perseguito fin qui, alle esigenze di autoaffermazione politico-militare della Polonia come potenza regionale leader dell’Europa centro-orientale. Inoltre, impediscono di vedere le potenzialità che la Polonia potrebbe avere come porta d’oriente, terminale della Belt and Road Initiative cinese. Tale porta oggi è chiusa: la via della seta è stata dirottata verso altre rotte commerciali. Bisognerà vedere se la Polonia potrà resistere alla fine dello sviluppo economico, alle tensioni culturali derivanti dai tre milioni di rifugiati ucraini che ospita, all’impoverimento, e al dissanguamento determinato dal trascinarsi del conflitto russo-ucraino senza prospettive.
* Docente di semeiotica Università IULM di Milano; del Gruppo Questioni Internazionali e Relazioni internazionali del Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo”
Riferimenti
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