Società del controllo, quarta rivoluzione industriale, guerra, percorsi del capitale per uscire dalla crisi
apr 28th, 2023 | Di Thomas Munzner | Categoria: Cultura e societàSocietà del controllo, quarta rivoluzione industriale, guerra, percorsi del capitale per uscire dalla crisi
di Nicola Casale
L’articolo che segue è stato scritto come contributo al dibattito nell’ambito del movimento che si è opposto alla gestione autoritaria della pandemia, agli obblighi vaccinali e al green pass. Il suo fine è di cercare di riconnettere i fili degli accadimenti per individuarne origine e scopi. Perciò tratta in modo molto sintetico questioni che meriterebbero argomentazioni molto più diffuse.
Tra coloro che si sono opposti alla gestione autoritaria della pandemia, ai vaccini e al GP, si è fatta spazio la consapevolezza che non siamo di fronte solo alla folle distorsione di pratiche sanitarie, ma a un disegno più grande che si ripromette una revisione complessiva di tutti i caratteri della vita sociale, economica, politica, culturale, ecc.
L’aspetto che viene colto da tutti è che stiamo transitando velocemente verso una società del controllo. Una società in cui chi detiene il potere possa controllare ogni aspetto della vita di tutti i cittadini al fine di imporgli comportamenti conformi a quanto da esso deciso.
Il progetto si articola attraverso il ricorso a emergenze continue: una prima pandemia, cui altre sicuramente seguiranno, l’emergenza bellica per difendersi dall’aggressivo e disumano mostro russo e liberare il mondo dalla minaccia della dittatura comunista che s’irradia dalla Cina, l’emergenza climatica causata dall’anidride carbonica di origine antropica, l’emergenza idrica per la siccità indotta dai cambiamenti climatici, l’emergenza della crisi finanziaria ed economica, e così via. Le singole emergenze e la loro combinazione sono utilizzate per disciplinare i comportamenti individuali e sociali contrabbandando il disciplinamento come necessario per il bene comune. E sono utilizzate anche per imporre nuovi prodotti di consumo, come le terapie geniche, e nuovi prodotti che cambiano le relazioni sociali, come le tecnologie della comunicazione, la digitalizzazione, la moneta digitale.
Ognuna di queste emergenze è creata in modo artificioso.
La pandemia di covid è ormai quasi-ufficiale che sia stata originata da un virus prodotto artificialmente in laboratori gestiti o diretti dal governo Usa, ed è stata comunque gonfiata da statistiche taroccate, divieti di cure e autopsie, allarmismo mediatico e feroce repressione del dissenso. Tutto per un primo esperimento in grande stile di disciplinamento sociale e per imporre un primo test di massa di nuove terapie geniche.
L’emergenza bellica è stata preparata da una serie di provocazioni alla Russia, costretta a intervenire per bloccare il rischio di genocidio dei russi del Donbass e contrastare l’accerchiamento politico-militare sempre più minaccioso della Nato. La paura del pericolo cinese è coltivata da decenni, da quando le multinazionali occidentali iniziarono a trasferire le produzioni in Cina per incrementare i propri profitti sfruttando la sua manodopera a basso costo, mentre qui la colpa veniva dirottata contro la concorrenza sleale della Cina. Entrambe servono a implementare un’economia di guerra, con relativo disciplinamento di produzione, consumi e comportamenti sociali in previsione di una guerra, prima o poi, guerreggiata in prima persona dall’Occidente, appena esaurito l’ultimo ucraino o l’ultimo taiwanese.
L’emergenza climatica è fondata su una teoria indimostrata, e indimostrabile, sull’influenza decisiva dell’anidride carbonica prodotta dall’uomo. È utilizzata per modificare le abitudini di consumo e di vita e per diffondere nuove tecnologie che saranno ancora più distruttive per l’ambiente e la vita umana.
Le crisi finanziaria ed economica sono, invece, molto reali, e, tuttavia, anch’esse sono usate in modo artificioso per perseguire soluzioni ai danni dei soliti noti, lavoratori e ceti sociali inferiori dell’Occidente e tutti i paesi non-occidentali.
Ci sono, poi, emergenze più subdole, che partecipano agli stessi scopi. L’emergenza del razzismo viene, per esempio, utilizzata per promuovere la cancel culture, ossia una rimozione da storia, cultura e linguaggio di tutti i termini e concetti che avrebbero fomentato il razzismo, il cui scopo è indurre a pensare nel modo deciso dai padroni del discorso, anche qui, naturalmente, per il bene di tutti. L’emergenza dei diritti all’identità di genere, oltre a partecipare alla cancel culture, è straordinariamente efficace per accelerare la diffusione della procreazione assistita, e, dietro di essa, l’ingegnerizzazione della procreazione, da strappare alle donne e consegnare alla tecnologia (fino all’utero artificiale) e alle sue promesse eugenetiche.
Assieme a questo nugolo di emergenze viene diffusa anche la suadente prospettiva di un potenziamento dell’uomo attraverso l’applicazione della scienza genetica e la relazione con macchine dotate di Intelligenza Artificiale (IA), per realizzare il superamento dei limiti umani attraverso il transumanesimo.
Chi ha occhi per vedere, orecchie per ascoltare e un cuore che batte ancora a ritmi umani, si rende perfettamente conto di come tutto ciò sia artificiale, ossia sapientemente costruito e diligentemente perseguito, sfruttando, da un lato, le paure adeguatamente gonfiate, e, dall’altro, il desiderio di uscire da situazioni di vita sempre più penose, immaginando utopici potenziamenti delle proprie capacità e mettendo la propria vita nelle mani di chi sembra possedere il segreto del successo.
Se tutto è artificiale, è d’obbligo la domanda: chi l’artefice e quali gli scopi?
Le risposte che circolano a tale domanda sono, per lo più, tese a individuare cupole occulte che tramano dietro le quinte. Per alcuni si tratta di antiche e auto-riproducentesi logge massoniche, per altri di circoli che detengono il potere finanziario mondiale, per altri ancora di lobby ebraiche, per altri ancora di cupole ancora più misteriose. Lo scopo sarebbe di assumere il potere totale su tutta l’umanità per realizzare una sorta di neo-feudalesimo, in cui una manciata di potenti viva nella ricchezza e nella goduria sfruttando il lavoro servile, se non schiavistico, del resto della popolazione, ridotta alla condizione di neo-plebe.
Questa spiegazione risulta a un tempo suggestiva e confortante. Suggestiva perché accarezza una visione semplicistica delle relazioni sociali, dividendo il mondo tra potenti e sottomessi, come le vecchie fiabe che avevano per protagonisti re, regine, principi e principesse, che agivano, secondo i casi, in virtù del bene o del male, ma sempre con potere assoluto sugli inermi sudditi. Confortante, perché se davvero si trattasse di un nugolo così ristretto di cattivi, sarebbe relativamente semplice per i buoni, una volta coscientizzati, liberarsi di loro, con l’affermazione di un potere davvero democratico, ossia della maggioranza del popolo.
Per chi comprende l’urgenza dell’opposizione a questo disegno è indispensabile domandarsi se questa risposta sia appropriata, se siamo cioè veramente dinanzi all’azione concertata di una qualche cupola per attuare il proprio smisurato desiderio di potere e di ricchezza. Non solo per necessità di chiarezza nell’analisi, ma, soprattutto, perché, da essa dipende anche l’efficacia delle soluzioni al problema.
Al tale proposito è utile concentrare l’attenzione su uno degli scopi ufficialmente dichiarati: la quarta rivoluzione industriale.
Di cosa si tratta? La prima rivoluzione industriale fu quella della macchina a vapore. Questa sostituì l’energia prodotta da uomo, animali, vento e acqua (mulini), con l’energia meccanica prodotta da macchine funzionanti con combustibili dapprima vegetali (legno) poi fossili (carbone). Con essa fu possibile introdurre nella produzione primi macchinari che infrangevano i limiti alla produttività del lavoro umano: nello stesso tempo di lavoro aumentava, infatti, la quantità di prodotto. Ciò favorì la diffusione del capitalismo, ossia di grandi complessi manifatturieri costruiti e diretti da possessori di capitali che mettevano a lavoro grandi masse di lavoratori retribuiti a tempo, col salario. La seconda rivoluzione industriale fu dovuta alla scoperta di una nuova forma di energia, l’elettricità, anch’essa prodotta per lo più da fonti fossili (carbone e petrolio). L’elettrificazione consentì lo sviluppo di nuovi macchinari industriali. Questi favorirono anche lo sviluppo della frammentazione del processo lavorativo in mansioni sempre più semplici. Le macchine elettrificate e l’applicazione della scienza chimica e meccanica (taylorismo) al processo produttivo incrementarono potentemente e ulteriormente la produttività del lavoro: la quantità di prodotto nello stesso tempo di lavoro si moltiplicava. Per terza rivoluzione si intende l’applicazione al processo produttivo dell’informatica. Anche questa ha aumentato ulteriormente la produttività del lavoro. In realtà si discute se l’incremento sia stato davvero notevole o si siano incrementati soltanto i profitti delle aziende informatiche a scapito altrui…
Ognuna di queste rivoluzioni ha, quindi, perseguito l’incremento della produttività del lavoro. E, non ha rivoluzionato solo il processo produttivo, ma anche tutto il resto delle relazioni economiche, anche negli ambiti diversi dalla produzione, di quelli sociali (aumento dei consumi, della mobilità, ecc.), nonché, a cascata, di quelli politici, amministrativi, culturali, familiari, ecc.
Dalla prima alla terza rivoluzione sono anche facilmente individuabili due processi specifici.
Il primo relativo alla potenza del capitale: più si accresce la produttività del lavoro, più crescono i profitti, più esso assume potere sul lavoratore e sull’insieme dei rapporti sociali, che finiscono sempre più per dipendere da esso e sono, perciò, indotti a conformarsi sempre più alle sue necessità (si pensi, per esempio, come la stessa vita umana sia ormai valutata sulla base del valore economico prodotto e realizzato, fino alla mostruosa -questa sì!- monetizzazione della propria immagine e opinione, come per gli influencer).
Il secondo relativo al rapporto tra uomo e macchine: più si accresce il ruolo delle macchine nella produzione, più il lavoro umano si trasforma in un’appendice del sistema delle macchine. Anche questo non si è limitato alla sola sfera della produzione, ma ha invaso la vita stessa, come, per esempio, con la dipendenza compulsiva dalla comunicazione virtuale attraverso macchine (computer, smartphone, ecc.).
La quarta rivoluzione industriale si pone in linea di perfetta continuità con le precedenti. Essa si prefigge di incrementare enormemente la produttività del lavoro umano, unica fonte di valore che si trasforma in profitto, e lo fa, da un lato, perfezionando il sistema delle macchine, messe in grado di dialogare tra loro (internet delle cose), essere comandate a distanza in tempo reale, sviluppare in proprio modifiche, adattamenti, correzioni, ecc. del processo lavorativo, tramite l’IA, e, dall’altro, rendendo l’uomo un’ancora più perfetta appendice delle macchine, con una sua diretta integrazione nel loro sistema, tramite anche l’inserimento di apparecchi sul proprio corpo.
Come le precedenti rivoluzioni anche la quarta non si limita alla sfera della produzione, o più in generale alla sfera di attività che producono valore, e quindi profitti, ma è destinata a estendersi a ogni altra attività individuale e sociale che il valore non lo produce ma lo consuma, in modo da ottimizzarne l’impiego a vantaggio della parte che si trasforma in profitto.
Come le precedenti anche la quarta si prefigge di estendere ancora di più il dominio del capitale su ogni attività umana, di sottomettere, cioè, ogni attività alla logica del valore, e, quindi, del profitto.
Si pensi, per esempio, alla procreazione che da atto riproduttivo naturale si vuole trasformare in atto industriale, con l’impiego di scienza e tecnologia, usando il corpo delle donne come macchina, o facendo procreare direttamente le macchine, trasformando, in ogni caso, la generazione di nuovi uomini in atto produttivo di valore per i capitali impiegati. O si pensi alla sanità che si vuole trasformare in prevenzione con l’uso massiccio di vaccini prodotti da piattaforme geniche, per ridurre i costi dei sistemi sanitari gonfiando, nel contempo, i profitti del settore farmaceutico. Nella sanità, inoltre, si estenderà la tele-medicina, che consiste nel trasferire nelle macchine la conoscenza medica, con risparmi nei costi di strutture e personale e lauti profitti per i gestori di sistemi di IA.
Di esempi se ne potrebbero fare molti altri. Un campo molto importante è l’agricoltura. Anch’essa ha subito profonde trasformazioni a ogni rivoluzione, finalizzate a incrementare la produttività della terra e dellavoro,, ma anche a trasferire quote di profitto dalla produzione agricola alla trasformazione industriale. Con la quarta rivoluzione è messa in cantiere una vera e propria sostituzione dell’agricoltura o almeno di una sua parte rilevante, con la produzione di cibo effettuata direttamente dall’industria, come nell’allevamento di insetti e nella produzione di cibi sintetici tramite la manipolazione genetica e la coltura chimica e biologica.
Ogni rivoluzione industriale ha suscitato resistenze sociali e politiche, ma è riuscita, in ultima istanza, a imporsi e generalizzarsi. Questo è stato dovuto a due motivi principali.
Il primo è la forza crescente del capitale che ha assunto nel tempo il ruolo decisivo per la riproduzione della vita di ciascuno: per procurarsi, infatti, i mezzi per sopravvivere è necessario lavorare, ossia vendere la propria capacità lavorativa, scambiandola con denaro, a chi detiene le condizioni di produzione, servizi, amministrazione, ecc. Anche coloro che non vendono il proprio lavoro in cambio di salario, ma esercitano attività in proprio, con piccoli capitali, non hanno ormai alcuna autonomia dai possessori di grandi capitali: infatti, le piccole attività possono sviluppare i loro affari se il circuito generale degli affari funziona, e questo dipende dal grande capitale. Inoltre, tramite la finanza e la diffusione delle tecnologie informatiche, il grande capitale non solo sta assumendo un sempre maggiore controllo del piccolo, ma lo sta trasformando in un suo tributario, espropriandogli una parte crescente dei profitti che produce.
Il secondo è che ogni rivoluzione si è realizzata anche come risultato di esigenze che emergevano dal basso. Sia perché ogni innovazione scientifica e tecnologica non è mai prodotta dall’attività isolata di qualche genio, ma è sempre il frutto della combinazione di esperienza lavorativa, osservazione e studio. Sia perché ogni rivoluzione industriale ha prodotto degli effetti positivi anche per chi la subiva: l’impiego di nuove fonti di energia e delle macchine ha, senza dubbio, ridotto l’apporto della fatica fisica (che, tuttavia, non è certamente scomparsa in molti settori e nella maggioranza di mondo che vive ancora in condizioni di sottosviluppo), permesso anche di ridurre l’orario di lavoro (che all’inizio dell’epoca industriale era di 12-14 ore al giorno per 6 giorni la settimana), mentre l’incremento della produttività abbassava il costo dei prodotti facilitando l’aumento dei consumi anche per le classi inferiori. Anche questi benefici non hanno riguardato solo i lavoratori coinvolti nel processo produttivo, ma si sono estesi all’insieme delle attività lavorative e delle relazioni sociali, generando, inoltre, una sostenuta crescita demografica.
La quarta rivoluzione industriale è, quindi, un ulteriore passaggio lungo un percorso iniziato con il capitalismo, o meglio con l’affermazione di questo modo di produzione rispetto ai modi precedenti, sostituzione avvenuta, in Europa e negli Usa, a partire dalla seconda metà del 1800 e accelerata all’inizio del 1900. Non di meno essa contiene delle differenze importanti rispetto a quelle che l’hanno preceduta.
Innanzitutto la sua esigenza è caratterizzata da una parossistica urgenza. L’intero sistema si trova, infatti, in un’acuta crisi manifestatasi con forza nel 2007-8, che, nonostante i tentativi di contrastarla, continua a incrementare le sue minacce di esplosione. Per lo più, tanto nel mainstream quanto negli ambienti alternativi, essa viene imputata alla finanza, ai suoi eccessi, alla sua de-regulation, alla sua opacità, ecc. Questa visione presuppone l’esistenza di un capitale finanziario, speculatore e usuraio, e un capitale industriale, che per natura sarebbe più sano. Altri ricorrono a una definizione diversa dello stesso contenuto, tra economia di carta ed economia reale. Entrambe distorcono la realtà dei fatti in quanto la differenza tra capitale finanziario e industriale non esiste. Ormai tutto il capitale industriale è anche capitale finanziario; tutte le aziende grandi, che dominano il mercato e ne condizionano l’andamento, la grande parte delle medie, nonché molte delle piccole, sono, infatti, possedute da capitali espressi in azioni, che sono, appunto, titoli finanziari di ripartizione delle quote proprietarie, ma anche titoli finanziari che alimentano il circuito, o -se si vuole- il circo, della finanza. Inoltre tutte le aziende, anche quelle che non sono per azioni, ricorrono, per finanziare le attività, a crediti bancari e obbligazioni, a loro volta titoli finanziari che navigano nel mare magnum della compra-vendita speculativa del circo finanziario.
Spiegare la crisi come effetto dell’impazzimento finanziario è anch’esso deviante e consolante, in quanto alimenta la speranza che separando l’economia reale dalla cartacea si possa preservare la prima dagli effetti perversi della seconda. Una prospettiva illusoria fatta balenare da illusionisti noti (uno a caso, Tremonti), ma a cui si aggrappano molti dei, sicuramente più sinceri, esponenti della galassia alternativa. In quest’ultima l’illusione prende anche forme apparentemente più originali (come il far tornare la finanza al servizio dell’economia reale, o la Modern Money Theory, che argomenta l’irrogazione di denaro da parte dello Stato senza ricorso al debito pubblico), ma viziate dalla stessa incomprensione della natura della crisi.
Questa, infatti, è dovuta non alla mancanza di capitali, ma a un loro eccesso. I capitali accumulati in decenni di cicli economici sono divenuti ormai una massa enorme, consolidatasi nella sua stragrande maggioranza, nella parte di mondo (alcuni paesi europei, Nord America, Giappone, Australia) che per prima e da più tempo ha sviluppato capitalismo, e ha edificato le grandi multinazionali e gli Stati potenti in grado di sottomettere l’economia mondiale alle proprie esigenze. Questi capitali per loro natura sono costretti a esigere una continua rivalutazione, ossia a crescere sempre di più, cioè ad appropriarsi di nuovi profitti. La speculazione finanziaria può dare l’impressione, in alcuni momenti, che i profitti possano sgorgare dal suo seno, ossia che il denaro crei denaro. Ma, puntualmente e ciclicamente il redde rationem si presenta: l’unica fonte di valore che può incrementare il capitale è il lavoro umano. Perciò più la crisi dell’accumulazione si manifesta, più diviene urgente incrementare la produzione di profitti reali. La quarta rivoluzione è esattamene un tentativo di innalzare potentemente la produttività del lavoro in ogni ambito della società.
Ci si potrebbe chiedere: considerato che gran parte di mondo vive ancora in condizioni di sottosviluppo, perché non investire i capitali in eccesso dove c’è ancora grande spazio per lo sviluppo industriale, agricolo e così via? Per il semplice motivo che questa parte di mondo deve essere costantemente mantenuta nel sottosviluppo, perché solo così si possono depredarne a basso costo le risorse naturali e produttive, oltre a sottometterla alla rapina dei prestiti esteri, che producono, tramite il pagamento del servizio del debito, un prelievo sulla ricchezza ivi prodotta e uno strumento di assoggettamento economico e politico. Alcuni ritengono che la Cina costituisca un’eccezione a questa regola, ma si sbagliano. La Cina è un paese ancora povero, costretto a produrre una grande quantità di merci per le grandi multinazionali occidentali, che pagano ai cinesi prezzi irrisori, mentre incassano sul mercato prezzi ben più elevati. Quando ha provato a elevare il proprio livello produttivo, dotandosi in proprio di mezzi produttivi più moderni, la Cina è stata immediatamente stroncata, dal duo Trump-Biden, che hanno vietato la vendita alla Cina dei microchip più moderni e delle macchine per produrli, consapevoli che per quanti capitali e lavoro la Cina possa investire nella rincorsa per produrli in proprio, le sue condizioni di storica arretratezza sul piano tecnologico non le consentiranno mai di raggiungere lo stesso livello occidentale.
Questa considerazione delinea anche il secondo percorso per cercare di uscire dalla crisi dell’accumulazione: incrementare l’estrazione di valore da tutti i paesi sottosviluppati. Il caso della Russia è, in questo senso, emblematico. L’aggressione contro di essa (iniziata già negli anni ’90) non si fa ormai scrupolo di ammettere il proprio disegno: distruggerne lo Stato unitario, frammentarla in 6-7 unità in conflitto tra di loro, per poterne depredare a prezzi stracciati le immense risorse minerali e naturali. D’altronde, non si tratta certo di una politica nuova. È stata ampiamente utilizzata contro molti paesi che avevano cercato di sottrarsi allo sfruttamento indiscriminato delle proprie risorse (solo negli ultimi tre decenni sono stati aggrediti e distrutti Iraq, Yugoslavia, Libia, Siria, e sono sotto pressante minaccia Venezuela, Cuba, Iran, Bolivia, Nicaragua, ecc.). La Russia, certo, ha un potenziale demografico, economico, militare, superiore alle precedenti vittime. Più ostico sottometterla, e per questo si programma una guerra infinita contro di essa, per logorarla in tutti gli aspetti (anche per l’Iraq furono necessari 12 anni!). Una guerra in cui gli obiettivi dei più potenti paesi europei (tra cui l’Italia) e gli Usa coincidono alla perfezione, al contrario di quel che pensano quanti ancora oggi immaginano che vi siano interessi contrastanti tra Europa e Usa: entrambi ambiscono alle risorse russe, ed entrambi ambiscono a procacciarsele ai costi più bassi possibili, per cercare, appunto, di fare fronte alla sempre più pressante crisi di accumulazione del capitale.
Al riguardo, va tenuto presente anche un altro aspetto. L’introduzione di nuovi standard produttivi di energia, sistemi di produzione e prodotti, motivati con l’esigenza di contrastare la crisi climatica, introduce un ulteriore cuneo tra le economie più potenti (che detengono le nuove tecnologie) e le sottosviluppate, che sono costrette a dipendere ancora di più dagli aiuti delle economie maggiori, sottoforma di nuovo strozzinaggio creditizio. Anche su questo gli sforzi della Cina di sviluppare la produzione di pannelli solari e batterie al litio sono una bazzecola di fronte agli enormi costi che avrebbe per ridurre seriamente la dipendenza dall’energia fossile. Costi che sarebbero in grado di troncare ogni possibilità di continuare, sia pure lentamente, il suo sviluppo, e, dai quali, tuttavia, non potrà sottrarsi, dato che per vendere merci sui mercati mondiali le politiche di salvaguardia del clima impongono ad aziende e prodotti vincoli sempre più stringenti di sostenibilità ambientale. E la Cina non può fare a meno di vendere sui mercati mondiali, essendo il suo mercato interno poco solvibile per via di una maggioranza di popolazione che vive ancora di misera agricoltura di sussistenza, salvata dalla povertà assoluta solo dalle integrazioni di reddito statali.
L’artefice del grande piano di ristrutturazione è, perciò, individuabile nel grande capitale, strettamente intrecciato ai grandi Stati in cui è dislocato, nonché alle loro istituzioni comuni. Lo scopo non è solo salvare sé stesso, ma salvare l’intero sistema di produzione e di rapporto sociale sul quale domina incontrastato.
I percorsi per cercare di contrastare la crisi generale del sistema, e fornire nuovi profitti alla massa di capitali accumulati sono, dunque: quarta rivoluzione industriale e incremento dello sfruttamento del Terzo Mondo, o del Sud globale, o di come altro lo si voglia chiamare.
Il progetto è, nelle sue linee di fondo e nei suoi dettagli, oltre che chiaramente intellegibile, anche adeguatamente articolato e definito. Ha fatto già notevoli passi avanti, ma la sua realizzazione dovrà, non di meno, scontrarsi con molti ostacoli.
Innanzitutto, la quarta rivoluzione industriale è molto urgente, e già questo inserisce un elemento di difficoltà nella sua concretizzazione che, per molte innovazioni, richiederebbe tempi lunghi.
Secondariamente, essa deve essere condotta in contemporanea a un nuovo assalto al resto del mondo per sottrargli una quota ancora maggiore del valore che produce. Ciò potrebbe suscitare forti resistenze. In effetti, la Russia sta già resistendo (militarmente ed economicamente, almeno per ora), la Cina appare sempre più consapevole di dover iniziare a innalzare la scala della propria difesa economica, finanziaria e militare. Attorno a Russia e Cina si stanno, al momento, radunando sempre più paesi stanchi dell’oppressione e dei diktat occidentali. Ma, un riequilibrio dei rapporti economici, finanziari e politici mondiali non avverrà mai in condizioni pacifiche, il grande capitale e gli Stati occidentali non possono permettersi di perdere i loro privilegi, e chiamano a raccolta anche le proprie popolazioni, che da quei privilegi ottengono un po’ di briciole. Insomma, la terza guerra mondiale è sempre più dietro l’angolo.
C’è, non di meno, un terzo aspetto che può introdurre ulteriori ostacoli nell’ingranaggio della quarta rivoluzione industriale. Essa, infatti, a differenza delle precedenti, non ha da offrire neanche alle grandi masse dell’Occidente nuovi benefici, ma, al contrario, deve spogliarle di gran parte di quelli ottenuti finora.
Le popolazioni lavoratrici, e di piccoli capitalisti, dei paesi occidentali stanno già per essere travolte da una dinamica di progressivo impoverimento, che la piena attuazione della quarta rivoluzione renderà ancor più drammatico, transitando per una crisi finanziaria e una recessione sempre più incombenti. Milioni di persone non solo perderanno il lavoro, ma sono destinate a diventare vera e propria popolazione in eccesso, per la quale non è possibile alcuna occupazione redditizia né alcun supporto da parte dei bilanci statali. Il rischio, perciò, di resistenze, o di vere e proprie rivolte, si staglia con sempre maggiore nettezza all’orizzonte. Per fargli fronte potranno venire utili mezzi di sfoltimento che accelerino la dipartita di un po’ di gente, ma, in ogni caso, è in allestimento da parte degli Stati un apparato di rigido controllo di ogni individuo, con i potenti strumenti offerti proprio dallo sviluppo della quarta rivoluzione, che si cercherà di espandere sfruttando tutte le emergenze, artificiali o meno, spacciandolo come misure di controllo esercitate per il bene di tutti, in prosecuzione di quanto già avviato con vaccini e GP. E, ove questo non bastasse, gli Stati stanno rinforzando oltre ogni limite gli apparati repressivi e danno dimostrazione, si veda la Francia di queste settimane, di grande determinazione a utilizzarli senza remore o scrupoli di sorta.
Le popolazioni lavoratrici, dipendenti, autonome, piccoli capitalisti, si dovranno confrontare anche con un altro problema. Se finora la logica del profitto ha colonizzato menti, abitudini relazionali, comportamenti individuali, oggi esige un passo ulteriore: entrare direttamente nel corpo di ciascuno, iniettandogli veleni, facendolo dipendere da macchinette intelligenti, fino ad applicargli sul o dentro il corpo macchinette miniaturizzate, con ciò elevando al massimo livello la potenzialità del controllo, ma rendendo anche possibile dettare comandi al corpo direttamente dal sistema delle macchine. Un uomo-robot, decisamente più produttivo, in quanto fisicamente più flessibile, di qualunque macchina-robot, ma anche più facilmente controllabile in ogni sua azione/reazione sociale e politica.
L’invasione nel corpo genererà un generale rifiuto, sancendo così il deragliamento della quarta rivoluzione e di tutti gli addentellati che la contornano? Se guardiamo a quanto successo nella pandemia, dobbiamo prendere atto che la grande maggioranza si è lasciata inoculare e s’è dotata diligentemente del GP. Pur di sentirsi inclusi in uno sforzo collettivo per il bene di tutti, pur di dimostrarsi conformi ai desideri di un potere ritenuto l’affettuoso erogatore del bene e l’unico argine contro il male, pur di conservare il diritto a sopravvivere tramite il lavoro, vaccini e GP sono stati accettati di buon grado. Gli stessi motivi porteranno sicuramente una grande parte della popolazione ad aderire a richieste anche più invasive. Tuttavia, contro la gestione della pandemia, i vaccini e il GP, una minoranza, piccola ma combattiva, ha sviluppato una resistenza decisa. In particolare, è stata notevolmente significativa quella minoranza che, in tutti i paesi che hanno disposto obblighi, ha resistito persino al ricatto del posto di lavoro. Ciò dà legittimità alla speranza che minoranze combattive diano battaglia anche contro nuove invasioni nel corpo e nella vita di ciascuno di dispositivi di controllo e veleni vari, gettando così le premesse per una resistenza più generale, che si intrecci e inglobi tutti gli altri motivi (economici, sociali, politici, bellici) di opposizione.
Per una resistenza davvero efficace, tuttavia, è indispensabile che ci sia un intreccio solido anche tra l’opposizione nei paesi occidentali e quella che si svilupperà nei paesi non-occidentali. L’avversario di entrambi è, infatti, comune. Solo da ciò potrà emergere un’alternativa reale non a questo o quello aspetto del capitalismo, ma alla sua totalità. Per costruire una nuova comunità umana che cooperi fraternamente rimuovendo tutti i filtri costituiti dai rapporti sociali fondati sulla produzione e appropriazione di valore. Perciò senza capitale, salario e denaro.
Questo può apparire impossibile se non del tutto utopico. Eppure, ormai è evidente che il capitalismo può sopravvivere solo realizzando la quarta rivoluzione industriale, il più pesante soggiogamento del Terzo Mondo, con il corollario di impoverimento generalizzato, controllo dispositivo e pervasivo e gli inevitabili nuovi distruttivi conflitti bellici. Molti sperano che questo processo possa essere fermato con il ritorno a un (mitico) capitalismo dal volto umano, che elimini lo strapotere dei grandi capitali e in cui i paesi riconquistino la propria sovranità per costruire rapporti reciproci di pacifica convivenza. Una visione -questa sì- utopica, perché il capitalismo non può fare a meno della concorrenza, e questa genera inevitabilmente grandi concentrazioni di capitali e relativi monopoli, che assumono, di conseguenza, il potere sul mercato mondiale, da cui ormai nessun paese può tirarsi fuori, e, per starci, deve necessariamente confrontarsi con il livello di competitività produttiva imposto dai capitali più potenti. Tanto per dire: un’Italia fuori della UE e/o fuori dalla Nato non potrebbe evitare la quarta rivoluzione industriale e tutto ciò che vi è correlato.
Il capitalismo sta affrontando una crisi di dimensioni inaudite. Può uscirne e perpetuarsi solo incrementando la devastazione sociale e ambientale e mettendo a rischio l’esistenza stessa della vita nel mondo con catastrofici conflitti nucleari. Il tempo della lotta per un mondo senza capitalismo è adesso.