Note critiche sulla guerra, la competizione, la centralizzazione, e il nuovo conflitto imperialista

gen 28th, 2023 | Di | Categoria: Recensioni

 

 

Alberto Gabriele

1 Il libro di Brancaccio Giammetti e Lucarelli La guerra capitalista. Competizione, centralizzazione, nuovo conflitto imperialista (Brancaccio et al. 2022 e’ probabilmente il lavoro di ispirazione marxista più diffuso e apprezzato oggi in Italia ( vedi Cremaschi 2022, Schettino 2023, Zolea 2023, Ciccarelli 2023; per una valutazione più critica, vedi Bargigli 2023). Il fatto stesso che uno studio come questo abbia raggiunto un certo grado di popolarità e di diffusione e’ certamente un fatto positivo. Queste brevi note, dando quasi per scontata la correttezza della principale tesi di fondo che gli autori corroborano con nuovi risultati statistici ed econometrici di grande valore, si focalizzano su quella che io ritengo essere una debolezza di fondo della loro analisi, che può purtroppo indurre i lettori a una grande confusione su un punto cruciale: which side are you on1? (da che parte stai?).

2 Brancaccio et al. criticano giustamente la timidezza degli scienziati sociali gli studiosi contemporanei appaiono in larghissima parte timorati dinanzi a qualsiasi tentativo di generalizzazione del corso degli eventi storici. 2 Al punto che la negazione di ogni “legge” generale di tendenza potrebbe esser considerata la base metodologica comune dell’economia, della sociologia, della storiografia, e di tutto il complesso delle scienze sociali del nostro tempo. ”3 (p.8). Al contrario, gli autori rivendicano la legittimità e la necessità di identificare, analizzare e dimostrare empiricamente le leggi di movimento del capitalismo. Una tra le più importanti e’ la legge della centralizzazione (LC), che afferma che in regime capitalista la proprietà e il controllo del capitale- già di per sé diseguale, per definizione, in questo modo di produzione – tendono a concentrarsi sempre di più in poche mani.4

3 Gli autori osservano che la LC fu chiaramente identificata e analizzata da Marx5, e successivamente da studiosi e rivoluzionari del calibro di Hilferding, Lenin e molti altri, anche non marxisti, fino ai giorni nostri (si pensi ad esempio, a due fenomeni ben diversi ma in realtà tra loro collegati, come al movimento Occupy del 2011-2012 con il suo slogan a We are the 99%, e al successo planetario del contributo di Piketty6), ma i tentativi di dimostrare scientificamente la sua validità empirica sono sorprendentemente pochi.

Gli autori applicano un approccio metodologico realistico adeguato a individuare chiaramente chi controlla di fatto una azienda o una corporation. Come spiegano bene nel libro, l’agente che controlla l’azienda, data la grande dispersione della proprieta’ azionaria, in molti casi possiede formalmente una frazione relativamente piccola del capitale, molto inferiore al 50%. Utilizzando tecniche statistiche e econometriche molto avanzate, e lavorando su basi di dati molto ampie, gli autori dimostrano che “a livello mondiale oltre l’ottanta per cento del capitale azionario è oggi sotto il controllo di meno del due per cento degli azionisti, e questa piccola percentuale di grandi capitalisti si riduce ulteriormente a cavallo delle crisi economiche” ( p. 10).

I risultati riportati nel libro rappresentano un grande passo avanti nello sforzo per dare rigore e concretezza scientifica a qualcosa che tutti intuiscono e sperimentano quotidianamente sulla propria pelle nel mondo capitalistico: i ricchi diventano sempre più ricchi e comandano sempre di più, e ci sono sempre meno ricchi e più poveri ma quei pochi ricchi sono sempre più potenti e arroganti. Il fatto di dimostrare scientificamente qualcosa di così ovvio può sembrare banale, ma invece ha grande importanza non solo per fare avanzare la conoscenza in sé, ma anche per appoggiare la lotta ideologica sia nell’ambito accademico che in quello più generale del conflitto tra le classi per influenzare ed egemonizzare il senso comune del popolo.

4 Vi e’ però una altra dimensione del discorso diBrancaccio et al. che lascia molto perplessi e preoccupati. Gli autori sembrano parlare di un mondo antico, dove tutto e’ capitalismo e non c’e’ ancora stata ne’ la Rivoluzione d’Ottobre – che ha portato per la prima volta sulla scena mondiale una potenza socialista – ne’ quella cinese, ne’ quella vietnamita, ne’ quella cubana etc. L’esistenza stessa della URSS modificò radicalmente i rapporti di forza mondiali, e contribuì direttamente e indirettamente alla decolonizzazione e all’emergere di una sorta di compromesso storico tra le classi nei paesi capitalistici avanzati, risultando in un grande miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori in questa parte del mondo.7

Tuttavia, l’antagonismo della guerra fredda, l’isolamento della URSS e dei suoi alleati, e lo specifico modello di sviluppo socialista che vi si era consolidato mantennero i paesi socialisti quasi totalmente separati dal mercato mondiale capitalistico, influenzando quindi in misura minima le fondamentali leggi di movimento della maggior parte della economia globale, durante i primi tre decenni dopo la seconda Guerra mondiale.

A questo proposito, come ho affermato precedentemente, concordo con l’approccio metodologico auspicato da Brancaccio et al. Lo sforzo volto alla identificazione e analisi delle leggi di movimento proprie delle diverse categorie di formazioni socioeconomiche nelle quali l’uno o l’altro modo di produzione possa essere identificato come dominante e’ un compito necessario e ineludibile degli scienziati sociali. Con una semplificazione quasi eroica8 necessaria dato il livello di astrazione e generalizzazione e la distanza dei diversi piani epistemici, e’ possibile chiamare leggi di movimento del socialismo quelle che governano lo sviluppo delle formazioni socioeconomiche in cui il socialismo può identificato come dominante9.

A mio parere, il quadro complessivo e’ cominciato a cambiare alla fine degli anni ’70. Il mondo moderno e’ diverso da quello antico, ed e’ fortemente condizionato dall’emergere della RPC, del Vietnam e di altri paesi che perseguono più o meno coerentemente un modello di sviluppo fondato sul moderno socialismo di mercato.10 Al contrario della URSS e del COMECON, le economie di Cina e Vietnam sono fortemente integrate nel mercato mondiale11, rappresentano ormai una parte molto importante dell’ economia planetaria, ed esercitano un ruolo ancora più rilevante della loro percentuale del PIL globale in molti ambiti, tra cui spicca il loro posizionamento cruciale nelle catene internazionali del valore. La Cina, in particolare, oltre ad esercitare un ruolo diplomatico e geopolitico di grande importanza, ha sviluppato un sistema nazionale di ricerca e sviluppo ed innovazione estremamente avanzato e dinamico, ed svolge una funzione di straordinaria rilevanza strategica per lo sviluppo del Sud globale in quanto prestatore e finanziatore di ultima istanza.

Le leggi basiche di movimento del socialismo – contrariamente alla vulgata occidentale – sono state solo apparentemente arrestate o invertite dal crollo del primo tentativo di costruire una economia socialista della storia, la cui debolezza di fondo può essere individuata nel non avere saputo – o potuto – comprendere e interiorizzare adeguatamente la natura dialettica della contraddizione tra stato e mercato.12

5 Dovrebbe essere ovvio riconoscere che questi sviluppi epocali hanno cambiato e continuano a cambiare completamente le regole della lotta ideologica e di classe su scala mondiale, e hanno dimostrato ad abundantiam che una strategia di sviluppo orientata al socialismo non solo può funzionare, ma e’ strutturalmente ed intrinsecamente superiore rispetto ai tradizionali modelli capitalistici. Ma Brancaccio et al non sembrano vedere l’elefante nella stanza, e liquidano l’esperienza cinese con una semplice nota a piè di pagina, allineandosi sostanzialmente alla posizione di due autori ultra-conservatori particolarmente filistei e ignoranti, quali Coase e Wang (vedi Coase e Wang 2012, How China Became Capitalist, Springer) 13.14

Secondo Coase e Wang, la Cina contemporanea non e’ affatto socialista, e anzi la sua grande crescita economica si deve esclusivamente alla saggia decisione di abbandonare completamente il socialismo e rientrare senza sé e senza ma nei ranghi dell’ortodossia capitalistica15.

Eppure, non tutti gli analisti anticomunisti anglosassoni o Chinese- American sono così beceri. Più seriamente, alcuni di loro sanno che i loro padroni hanno ottime ragioni per temere la RPC, e propongono una interpretazione realistica e pragmatica della differenza “ontologica” tra la Cina e il mondo capitalista, sottolineando in particolare il ruolo dominante (quantitativo e qualitativo) dello Stato nell’economia – che peraltro si attardano a etichettare con il termine inconsistente e fuorviante di “capitalismo di stato”16. Vedi ad esempio Szamosszegi and Kyle (2011) Scissors, 2012, 2016).

A un livello intellettuale e accademico ben più alto non si può ignorare in particolare il valore dei contributi di Naughton, il maggiore esperto occidentale non marxista di economia cinese (vedi Naughton 1995, 2017a, 2017b, 2018; Naughton, B., & Segal, A. 2003). Molto interessante, in particolare, e in gran parte condivisibile, la valutazione di Naughton su quanto avanzata sia la Cina sulla strada del socialismo:

Oggi la domanda “la Cina e’ socialista?”può ragionevolmente essere posta e lasciata aperta… la Cina di oggi soddisfa chiaramente i nostri primi due criteri17:il governo ha le capacità e l’intenzione di determinare i risultati economici. Sul terzo e quarto criterio –redistribuzione e ricettività – la Cina ha punti più bassi che sui primi due.

L’obbiettivo dell’intervento dello Stato cinese e’ chiaramente cambiato, dalla crescita a ogni costo a una gamma più complessa di meteche include la redistribuzione e la sicurezza economica e sociale. La Cina sotto il suo attuale presidente( e segretario generale del partito) Xi Jinpingsi si sta muovendo verso una piu’ esplicita adozione (internalizzazione, prioritizzazione)del socialismo e un impegno più forte per realizzare le mete del socialismo, come e’ esemplificato dall’ambizioso obbiettivo del piano quinquennale di eliminare la povertà assoluta entro il 202018. Dunque, sembra essere in sostanza corretto considerare che la Cina sta muovendosi verso una versione di “socialismo”, sia pure una sorta di socialismo che e’ autoritario e verticistico, ma von una economia di mercato basta soprattutto sulla proprieta’ privata…

A mio pare, la Cina non puo’ essere considerata un paese socialista finché non fa molto piu’ progresso nel realizzare i suo stessi obbiettivi dichiarati di politica economica di sicurezza sociale universale, modesta ridistribuzione del reddito, e miglioramento dei problemi ambientali. A sua volta, raggiungere questi obbiettivi richiederà quasi certamente programmi molto piu’ robusti di riforme economiche (Naughton 2017, pp.21-22).

6 Brancaccio et al., quindi, rispetto al fenomeno più importante della realtà sociale, economica e geopolitica del secolo XXI, finiscono con l’aderire alla propaganda anticomunista dei sicofanti neoclassici più rozzi, che proclamano incessantemente : “Il socialismo non può funzionare mai e da nessuna parte, e se per caso qualche volta funziona non e’ socialismo!19 Proletari di tutto il mondo, rassegnatevi alla vostra sorte e continuate eternamente a farvi sfruttare e umiliare dai vostri padroni, secondo la legge naturale, universale e immutabile dell’esistenza!”

Un cedimento ideologico e analitico di questa portata non può che portare danni seri. Ed e’ così che il libro, malgrado il valore dei suoi risultati statistici e la correttezza della principale tesi di fondo (l’esistenza di una legge di movimento del capitalismo che porta a una crescente centralizzazione), finisce con il proporne una interpretazione meccanicistica e campata per aria, anche se infarcita di una sorta di gergo marxista che ricorda i fasti della Terza Internazionale – o della Quarta). Secondo gli autori, la legge ferrea della centralizzazione non e’ scevra di contraddizioni, e come risultato il mondo sarebbe alla mercé della lotta apocalittica tra due forme di capitalismo imperialista combattuta da due fazioni uguali e contrarie, quella dei “debitori”, guidati dagli USA, e quella dei “creditori”, capitanati proprio dalla Cina20. Inutile dire che di fronte a questo scontro megagalattico i lavoratori e gli intellettuali progressisti non possono fare praticamente nulla … a meno che forse ci si attenda messianicamente una rivolta spontanea delle moltitudini informi, alla Negri e Hardt21.

Piuttosto deprimente.

7 A mio parere, invece, nel mondo contemporaneo esistono molti elementi di socialismo, in continuo sviluppo dialettico e a volte contraddittorio, e questo fatto fondamentale deve indurci a una visione d’insieme assai diversa, e per certi versi opposta, a quella proposta da Brancaccio et al. Ne riporto alcuni tratti essenziali, ripresi da un mio recente intervento:22.

Nella sinistra occidentale, e perfino tra le sue componenti più radicali e anticapitalistiche, tende a prevalere l’idea che il comunismo/socialismo (uso questo termine orribile per sottolineare come sia comune la confusione tra due categorie che dovrebbero invece essere tenute ben distinte) sarebbe una gran bella cosa, ma purtroppo non c’è da nessuna parte, probabilmente non c’è stato mai da nessuna parte, e tantomeno ci si sta avvicinando da nessuna parte. A mio parere, questa convinzione pecca di semplicismo e di essenzialismo, e ha anche un impatto fortemente demoralizzante.

Per capire la natura e il significato del socialismo contemporaneo è necessario comprendere e sviluppare creativamente le categorie fondamentali del marxismo. In termini estremamente semplificati … si deve partire da una parziale reinterpretazione delle categorie di Modo di Produzione (MP), Formazione Economico-Sociale (FES) e di Legge del Valore (LV).

Il MP  va visto come una struttura logica pura e astratta, piuttosto che – come nel caso delle FES del mondo reale – una manifestazione storica concreta. In quanto tale, ad un alto livello di astrazione, si può in qualche modo affermare paradossalmente che l’essenza centrale di ogni MP è data e immutabile.” (Gabriele e Jabbour 2022, capitolo 29, trad. mia).

In ogni FES coesistono nella pratica due o più MP, che presentano gradi diversi di forza e potenziale di sviluppo (anche se in alcuni di essi il predominio nazionale di un MP è schiacciante, al punto da oscurare la presenza di altri MP).  L’interrelazione tra i diversi MP evolve in uno stato di flusso perenne, in cui lunghi periodi di relativa calma e stabilità si alternano ad altri più turbolenti e instabili. Durante i primi, le caratteristiche distintive della longue durée e della stabilità consentono di identificare in ogni paese una FES dotata di caratteristiche specifiche e ben definite. Durante i periodo di instabilità, invece spesso è difficile prevedere quale MP alla fine prevarrà a livello nazionale.

Tuttavia, solo alcune configurazioni di MP possono verificarsi sia a livello nazionale che internazionale, per l’esistenza di un insieme di vincoli strutturali immanenti e universali legati alla vigenza della LV anche nelle FES che possono considerarsi più avanzate in senso socialista[iii]. Questi vincoli limitano i gradi di libertà di tutti i tentativi nazionali di perseguire una strategia di sviluppo coerente con i principi base di ogni specifico MP (compreso il socialismo), anche nei periodi in cui un nuovo MP sta diventando progressivamente egemonico su scala globale, segnalando così il passaggio a un nuovo MP globalmente dominante a livello mondiale. Di norma, un MP tende ad essere globalmente dominante, ma ci sono periodi storici in cui si verifica una transizione da un MP globalmente dominante a un’altro. Evidentemente, è ancora più difficile prevedere quale MP è destinato a prevalere a livello mondiale nel lunghissimo periodo, anche se è possibile identificare e analizzare alcune tendenze chiave (Gabriele 2022).

8   Tra le varie forme  più o meno autentiche e più o meno imperfette di socialismo che si sono manifestate in vari paesi dal 1917 a oggi, la più avanzata è il socialismo di mercato contemporaneo23, che si è venuta sviluppando in modo indipendente ma con caratteristiche strutturali straordinariamente simili in Cina e in Vietnam a partire dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso (vedi Gabriele e Jabbour  2022).

A questo punto molti obietteranno: ma la Cina e il Vietnam) sono formazioni economico-sociali veramente socialiste, o rappresentano una variante particolarmente efficace di capitalismo (magari “di stato”24)?  A questa domanda non si può rispondere in modo manicheo e dicotomico, come se si trattasse di distinguere il bianco dal nero. Sarebbe come dire, ad esempio, che la Francia del XVIII secolo era completamente feudale, al 100%, mentre quella del XIX non lo era più per niente – o che l’Inghilterra del 1790 non era affatto capitalistica, ma quella del 1820 lo era al 100%. Detto questo, la mia opinione è che il sistema socio-economico della  Cina contemporanea:

  1. presenta caratteristiche strutturali così diverse da quelli dei paesi capitalisti da non potere essere considerato anch’esso capitalista;
  2. malgrado le sue numerose imperfezioni e contraddizioni, è anche parecchio socialistico25, come dimostrano alcuni dati, stime e fatti stilizzati a cui faccio rifermento nel prossimo paragrafo in modo telegrafico.

In ultima analisi, il socialismo di mercato contemporaneo è superiore ad altre forme più o meno realizzate di “socialismo” che esistono o sono esistite precedentemente in Cina, in Vietnam e in atri paesi, perché interiorizza ed endogenizza una lezione fondamentale, che deriva direttamente dalla interpretazione corretta di una delle  più importanti categorie marxiane: la necessità di tenere conto dei vincoli imposti dalla LV nel quadro della pianificazione socialista. Gli straordinari successi di Cina e Vietnam nello sviluppare le forze produttive, combattere la povertà e promuovere lo sviluppo umano sono noti e non avrebbero bisogno di essere ulteriormente dimostrati, essendo stati riconosciuti da varie agenzie delle Nazioni Unite e da quasi tutti gli osservatori seri occidentali. Tuttavia, nei paragrafi seguenti mostro alcuni dati basici:

Crescita economica

“ Nel periodo 1971-2020, grazie allo straordinario ritmo di crescita dell’economia cinese, il PIL della RPC è passato dal rappresentare appena un 5% del PIL degli Stati Uniti  a costituirne il 76%. Se agli inizi degli anni ’70 l’economia cinese era di dimensioni quasi pari a quella indiana, adesso il PIL della RPC è quasi sei volte più grande di quello dell’India.” (Gabriele 2022)

Eliminazione della povertà

«Nel 1990 c’erano più di 750 milioni persone in Cina che vivevano sotto la linea internazionale di povertà assoluta – circa due terzi della popolazione. Nel 2012, il loro numero era sceso a meno di 90 milioni» (Goodman 2021). Nel febbraio 2021 la RPC ha dichiarato di avere completamente eliminato la povertà assoluta (Zhuoran Li 2021, Huaxia 2021a,b , The State Council Information Office of the People’s Republic of China 2021, ibid.)

Aspettativa di vita

Tra tutti gli indicatori di sviluppo umano, l’aspettativa di vita – che dipende da molti fattori tra loro interconnessi, tra cui il reddito, la sicurezza alimentare e l’educazione (soprattutto femminile) – è per ragioni evidenti quello più importante e significativo. L’aspettativa di vita in Cina è cresciuta da 43,5 anni nel 1950 a 77.1 anni nel 2020, aumentando a un tasso elevato soprattutto durante il periodo maoista. Secondo stime preliminari, l’aspettativa di vita in Cina ha superato recentemente quella degli USA, devastati dal COVID, dove questo indicatore è sceso a 77 anni nel 2020 (1,8 anni in meno che nel 2019). Nel 2022, si stima che l’aspettativa di vita in Cina sia arrivata a 77,3 anni (vedi Knoema 2022, Macrotrends 2022, Santhanam 2021) 

Difesa dell’ambiente

A differenza dei casi precedenti, non si può certo affermare che la Cina (come tutti gli altri paesi26) abbia sostanzialmente risolto il gravissimo problema epocale della contraddizione tra sviluppo umano e limiti ambientali. Tuttavia, almeno dall’inizio del secolo, il governo cinese ha accordato una priorità altissima e sempre crescente alla difesa dell’ambiente e alla lotta all’inquinamento, sviluppando una serie di iniziative e di programmi ambientali (tra cui la riforestazione di gran parte del territorio) su una scala di molto superiore a quella delle potenze industriali capitalistiche ( vedi EU Parliament 2022, World Bank 2022, OECD 2022).

Il XIV piano quinquennale attualmente in vigore (2021-2025) fissa obiettivi ecologici molto ambiziosi, tra cui una riduzione del 18% della intensità di CO2 e il 13.5% dell’intensità’ energetica, e fa riferimento ad obiettivi più avanzati da raggiungere entro il 2025 (Carbonbrief 2021),

Inoltre, la Cina e’ ormai all’avanguardia nello sviluppo delle più moderne ( e pur sempre insufficienti) tecnologie industriali eco-friendly , tra cui l’energia solare e le automobili elettriche (Yeung 2022, McKerracher 2022)

9. In conclusione, la guerra attualmente in corso in Ucraina non può essere interpretata essenzialmente come uno scontro tra opposti imperialismi capitalistici uguali e contrari, applicando meccanicisticamente e deterministicamente categorie teoriche discutibili, anche se certamente di derivazione marxista, che avrebbero avuto certo più senso all’epoca di Lenin27 – quando il lungo , tormentato e contraddittorio processo di sviluppo del socialismo mondiale era in fasce – che non nel secolo XXI. A mio parere, questa specifica guerra ha soprattutto motivazioni di natura geopolitica e di sicurezza nazionale28, ma in una ottica globale si inserisce in un quadro generale caratterizzato soprattutto dalla lotta tra le potenze capitalistiche centrali e il Sud del mondo, che vede le prime lottare per mantenere il loro predominio imperialistico, coloniale e neocoloniale iniziato agli albori dell’era moderna29. A sua volta, questa lotta va vista come un aspetto importante, ma non certo l’unico, del secolare contrasto tra capitalismo e socialismo, destinato a durare molto a lungo.

RIFERIMENTI

Brancaccio E.,  Giammetti R.,  Lucarelli S., 2022, La guerra capitalista. Competizione, centralizzazione, nuovo conflitto imperialista,  Mimesis

Camilli E . 2014, Sicurezza nazionale: tra concetto e strategia, in https://www.sicurezzanazionale.gov.it/sisr.nsf/wp-content/uploads/2014/03/Sicurezza-nazionale-tra-concetto-e-strategia-Edoardo-Camilli.pdf

Campbell D. and Klaes M. 2005, The principle of institutional direction: Coase’s regulatory critique of intervention Cambridge Journal of Economics, Vol. 29, No. 2 (March 2005), pp. 263-288 (26 pages), abstract).

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