Disumane dipendenze
gen 20th, 2023 | Di Thomas Munzner | Categoria: Cultura e societàDisumane dipendenze
di Salvatore Bravo
Il totalitarismo tecnocratico si svela nella pratica pedagogica e didattica. Il totalitarismo si caratterizza per il controllo massiccio e pervasivo della formazione di ogni ordine e grado. Sulla formazione il dominio si gioca il futuro, in quanto la scuola e l’università preparano la futura classe dirigente, pertanto controllare l’ordine del discorso e filtrarlo significa controllare i saperi e attraverso di essi le parole e le coscienze. Il totalitarismo è una megaoperazione di filtraggio dei contenuti e dei messaggi. Il potere riproduce se stesso con il controllo e la programmazione pianificata delle parole che possono essere pronunciate e pensate. Il linguaggio crea mondi ed ermeneutiche, pertanto formare al linguaggio del capitalismo implica disegnare confini invalicabili, imporre frontiere al linguaggio e al logos. Le tecnologie sono il mezzo più efficace per la riproduzione del dominio, sono controllate da privati che selezionano informazioni e siti, e nel contempo, sono un immenso affare. I dispositivi tecnologici sono la merce più acquistata dalle giovani generazioni e non solo.
In assenza di una paideutica all’uso consapevole dei mezzi tecnologici si assiste all’occupazione dello spazio e del tempo delle nuove generazioni, le più indifese, con i dispositivi tecnologici. Per il nuovo totalitarismo è un doppio affare: le nuove generazioni sono un mercato fertile per il plusvalore, e inoltre comprano ciò che, in non pochi casi, li rende destrutturati nel carattere e nello spirito con la dipendenza dai dispositivi. Lo schiavo compra le proprie catene, poiché il dispositivo tecnologico consegna chi lo usa al sistema attraverso le informazioni che la rete acquisisce e mediante i messaggi che circolano in rete, i quali “possono colonizzare” la mente.
Le tecnologie potrebbero essere spazi di libertà, ma spesso sono il mezzo con cui isolare e manipolare chi li usa senza la conoscenza condivisa degli stessi. La dipendenza è fenomeno comune, poiché le nuove generazioni sono consegnate alle tecnologie e al mercato nel silenzio degli adulti e delle istituzioni che hanno abdicato alla loro responsabilità critica ed educativa. Ogni limite e “no” è socialmente condannato, per cui il vuoto dell’autorità e dell’autorevolezza è sostituito dall’autoritarismo anonimo del mercato. Il male di vivere si materializza nella dipendenza dai dispositivi, i quali sostituiscono le relazioni, e specialmente “normalizzano” lo stato di solitudine e abbandono in cui versano le nuove generazioni tradite dagli adulti. Le ferite sono nel corpo e nello spirito come denuncia la “Relazione della Commissione permanente per l’istruzione del Senato” sugli effetti dei dispositivi:
“Ci sono i danni fisici: miopia, obesità, ipertensione, disturbi muscoloscheletrici, diabete. E ci sono i danni psicologici: dipendenza, alienazione, depressione, irascibilità, aggressività, insonnia, insoddisfazione, diminu zione dell’empatia. Ma a preoccupare di più è la progressiva perdita di facoltà mentali essenziali, le facoltà che per millenni hanno rappresentato quella che sommariamente chiamiamo intelligenza: la capacità di concentrazione, la memoria, lo spirito critico, l’adattabilità, la capacità dialettica… Sono gli effetti che l’uso, che nella maggior parte dei casi non può che degenerare in abuso, di smartphone e videogiochi produce sui più giovani. Niente di diverso dalla cocaina. Stesse, identiche, implicazioni chimiche, neurologiche, biologiche e psicologiche”1.
La conoscenza avviene e si forma mediante il passaggio imprescindibile dai cinque sensi, da Democrito a Tommaso D’Aquino l’esperienza sensoriale è stata giudicata imprescindibile per i processi cognitivi e di astrazione. Si astrae dai dati sensoriali, senza il contatto con la realtà fenomenica i processi cognitivi sono interrotti e completi, inoltre il contatto diretto consente di conoscersi e di comprendersi nella relazione. Senza tali esperienze basilari si ottiene una contrazione dell’intelligenza cognitiva ed emotiva:
“Nei primi anni di vita, infatti, la conoscenza di sé e del mondo passa attraverso tutti e cinque i sensi: sollecitare prevalentemente la vista, sottoutilizzando gli altri quattro sensi, impedisce lo sviluppo armonico e completo della conoscenza. È quel che accade nei bambini che trascorrono troppo tempo davanti allo schermo di un iPad o simili. Per quest’insieme di ragioni, non è esagerato dire che il digitale sta decerebrando le nuove generazioni, fenomeno destinato a connotare la classe dirigente di domani2”.
Malgrado l’appello nella “Relazione della Commissione del Senato” a contenere e a dare la misura nell’uso dei dispositivi, si continua imperterriti ad investire nelle tecnologie, le scuole traboccano di dispositivi, si spinge all’innovazione didattica solo nell’ottica delle tecnologie. Nessuna riflessione accompagna la tentacolare presenza dei dispositivi nelle scuole che abbagliano alunni e genitori, i quali restano stupiti dinanzi alle straordinarie capacità delle tecnologie, e le reputano indispensabili per lo sviluppo di figli e studenti. Ci si adatta al dicitur, in quanto la pressione all’uso è fortissima e non si alzano voci autorevoli a denunciare i pericoli e le conseguenze. La scuola tace, essa è il mercato dei produttori di dispositivi. La Relazione validissima nella sua analisi rimuove il problema fondamentale, ovvero i luoghi della formazione sono ormai il mercato delle multinazionali a cui non si può dire di “no”:
“Avanziamo alcune ipotesi: – scoraggiare l’uso di smartphone e videogiochi per minori di quattordici anni; – rendere cogente il divieto di iscrizione ai social per i minori di tredici anni; – prevedere l’obbligo dell’installazione di applicazioni per il controllo parentale e l’inibizione all’accesso a siti per adulti sui cellulari dei minori; – favorire la riconoscibilità di chi frequenta il web; – vietare l’accesso degli smartphone nelle classi; – educare gli studenti ai rischi connessi all’abuso di dispositivi digitali e alla navigazione sul web; – interpretare con equilibrio e spirito critico la tendenza epocale a sopravvalutare i benefici del digitale applicato all’insegnamento; – incoraggiare, nelle scuole, la lettura su carta, la scrittura a mano e l’esercizio della memoria3”.
I processi di dipendenza sono favoriti dalla deriva nichilista e crematistica, abituati a calcolare e mai a pensare, non si osa giudicare la qualità dei dispositivi, se essi rispondono al bisogno delle persone e dei produttori. Il PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza, per la scuola prevede investimenti nel digitale, in funzione del “mercato” e della “competizione globale”.
Il silenzio rassegnato con cui gli adulti accettano fatalmente l’abbandono della responsabilità educativa è il sintomo palese del vuoto veritativo ed etico in cui versa l’Occidente. Il mercato avanza, in quanto gli adulti senza paradigmi e punti di riferimento non sono capaci di proteggere e formare le nuove generazione. Giudicare non è atto moralistico, ma giudizio sulla qualità e sul senso dell’azione, se non si ha la chiarezza del “bene” e del “male” non si può giudicare. L’adiaforizzazione in cui siamo è il prodotto dei processi crematistici e causa dell’espansione dell’economicismo.
Simone Lanza nel bel testo “Perdere tempo per educare, educare all’utopia nell’epoca del digitale”, ha il non comune “coraggio” di divergere dal “politicamente corretto” per denunciare la necessità di una nuova stagione pedagogica che abbia la forza etica di porre al centro la persona e non il mercato:
“Gli adulti, infatti, si sentono sempre meno responsabili del mondo in cui fanno nascere i propri figli. Nella società vige ormai una sorta di diffusa paura di giudicare, così ben diversa dal principio evangelico e molto più vicina al qualunquismo, dietro cui si cela il dubbio che nessuno sia responsabile delle azioni che ha commesso”4.
Crisi dell’autorità
L’autorità del mercato è ottenuta con prodotti mediatici che ridicolizzano l’autorità degli adulti, i quali si trovano nella condizione, dati i ricorrenti messaggi che pongono “alla berlina” qualsiasi forma di autorità e autorevolezza rappresentandoli come illiberali di non poter esercitare la responsabilità e la funzione educante. Il risultato finale è una omologazione diffusa tra i comportamenti degli adulti e dei giovani. La fuga dalla responsabilità è sostenuta con il mito della giovinezza sempiterna e con l’abbattimento della figura maschile, la quale è l’archetipo del katéchon, dona il limite per proteggere e perché il giovane possa formarsi. L’autorità non coincide con l’autoritarismo.
Il sistema agisce secondo due modalità per porre in atto la sua rivoluzione antropologica: le nuove generazioni sono addestrate all’uso ossessivo e compulsivo dei dispositivi e dei loro linguaggi, mentre gli adulti sono ridotti all’impotenza, in tal modo il mercato governa incontrastato, determina il ritmo dei giorni e derealizza in modo differente, ma con lo stesso risultato, giovani e adulti. La realtà è distopica e si fonda sulla distruzione dell’autorità, la quale è il katéchon alla dismisura:
“Oggi non solo la tv, ma ogni forma di schermo contiene un messaggio ossessivo: la messa in ridicolo dell’autorità adulta, spesso accompagnata da messaggi pubblicitari più o meno occulti”5.
L’essere umano è logos, è linguaggio con cui porsi in relazione creativa nella realtà comunitaria, non vi è comunità che nella misura. Le buone relazioni pongono le ali alla parola, traducono in atto ciò che l’essere umano è in potenza. La dismisura e le dipendenze neutralizzano la parola, pertanto il linguaggio si destruttura, si contrae fino a portare ad una diffusa incapacità di esprimere i concetti e di elaborarli. Il pensiero è linguaggio, attaccare frontalmente il linguaggio non può che condurre a ridurlo a chiacchiera senza impatto politico e senza capacità critica:
“Il risvolto più preoccupante del tempo-schermo prolungato (…) è senza dubbio l’indebolimento del potere della parola”6.
Il tempo che dovrebbe essere spazio interiore di riflessione, è stato estroflesso, sono gli schermi dei dispositivi con la loro seduzione a determinare , anche, il tempo degli adulti, in tal modo ci si derealizza, si vive una fuga indotta dalla realtà storica. Il tempo-schermo è il tempo della passività, non vi è concetto, ma si è prigionieri delle immagini che scorrono sugli schermi, è la gabbia d’acciaio della contemporaneità:
“La proprietà principale del tempo-schermo – ricordiamoci- è il divertissment, distrazione e divertimento. In estrema sintesi la didattica è sempre più orientata al divertissment che è il contrario della coscientalizzazione”7.
Demariage e crisi educativa
La demagogia della simmetria tra genitori e figli, conduce i genitori a cercare di “piacere” ai propri figli, poiché la liquidità dei rapporti induce le coppie a porre al centro della relazione i figli, poiché sono il vero collante della coppia. In tale cornice l’autorità evapora, non resta che la seduzione. I genitori sono ossessionati dai figli, ricercano il loro consenso, la felicità del figlio è il segno che la coppia funziona e può continuare la sua storia: i “seduttori” diventano i servi dei figli nuovi tiranni dal carattere “capriccioso e autoritario”:
“L’unica certezza rimasta alla coppia, ciò che la rende unita, è esclusivamente la filiazione. Da questo orizzonte derivano diverse implicazioni pedagogiche. Innanzitutto, dal momento in cui si viene a creare una famiglia democratica, con regole variabili in continua contrattazione tra le singole parti, la relazione educativa predominante è di tipo seduttivo. L’autorità genitoriale diventa invisibile, evapora, e restano soltanto le persone, che si trovano a interagire in base a una relazione paritaria”8.
La seduzione non può che favorire un individualismo acefalo e delirante. Il capitalismo non può che sollecitare, favorire e organizzare la produzione in serie di narcisisti dominati dai loro desideri illimitati, essi sono i principali finanziatori del mercato con il loro denaro e specialmente con le loro personalità sempre più “minime” e “dipendenti”:
“L’iperindividualismo ha corroso il principio di autorità e il senso di responsabilità fin dentro la famiglia, portando all’evaporazione dell’autorità adulta; la deregulation economica è anticipata pedagogicamente nella deregulation educativa, così che mai come oggi è vero il <<principio di responsabilità>> descritto da Karl Marx: nella società capitalistica quanto più l’autorità all’interno si ritira la società, tanto più è forte l’autorità all’interno della produzione. Infatti, l’unica autorità che gli adulti percepiscono è quella nei confronti del proprio capo, anziché la propria di fronte ai figli”9.
Le famiglie sono sempre più precarie, poiché non si dona il proprio tempo, ovvero la propria gratuita presenza per crescere assieme. Il tempo è denaro, per cui gli adulti investono il loro tempo nella carriera, sono “aziende viventi”, la casa, in tale contesto, è solo uno spazio privo di senso. Le nuove generazioni sono preda del tempo-schermo che sostituisce la comunità famigliare assediata dal demariage. La famiglia non è più un valore primario, in quanto è luogo-tempo del dono, è tempo sottratto alle logiche del mercato. Il sistema favorisce il demariage, in quanto teme li legami stabili, essi potrebbero essere trasgressivi rispetto all’ordine del discorso economicistico:
“Il tempo è diventato scarso, al lavoro le persone si lamentano di non avere tempo per fare ciò che è davvero importante, il tempo libero si struttura come un’agenda lavorativa, ma poi si scopre che mediamente le persone trascorrono sempre più ore al giorno davanti agli schermi. Il tempo di cervello disponibile scarseggia e il marketing se lo sta contendendo”10.
Il deserto emotivo e razionale non può formare nessuno, ma può deformare la natura umana, fino ad essere causa di malattia psichiatrica. La natura umana razionale ed etica è sottoposta a condizionamenti che provocano un rilevante disagio psichico generale, il capitalismo sostituisce la natura razionale ed etica con il solo calcolo e con il gruppo dedito agli acquisti e al godimento temporaneo. Il logos è comunicazione, il capitalismo forma artatamente succedanei della comunicazione. Il risultato finale di un’esistenza vissuta in modo non adeguato alla natura umana. Il malessere generale si manifesta nel disagio psicologico: le depressioni infantili e degli adolescenti con annessi disturbi alimentari sono il sintomo della malattia in corso che non può essere risolta dalla medicalizzazione del disagio, in quanto le cause sono strutturale e metafisiche. Al deserto metafisico bisogna opporre il vero paradigma della formazione: la comunità che “perde tempo” per accogliere, conoscere e accompagnare alla conoscenza di sé. Solo la comunità responsabile di ciascun membro che la compone è “comunità educante”. La deresponsabilizzazione generale mascherata da libertà è il volto ideologico del capitalismo, è la solitudine che destabilizza le personalità e consente il dogmatico trionfo del capitale :
“La mediazione, in quanto <<selezione del mondo>>, richiede la consapevolezza di possedere dei mezzi per promuovere la continuità culturale e la trasmissione di conoscenze. Questa mediazione col mondo presuppone un essere umano, un/una careviger che si confronti con una comunità educante, uno spazio in cui chi media possa confrontarsi, cioè mediare la sua mediazione. Laddove l’atto è individuale, infatti, non avviene una vera e propria educazione, perché quest’ultima è un atto di mediazione generazionale: è necessario un ambito plurale in cui l’individuo che educa possa confrontarsi e avere dei rimandi rispetto alle proprie mediazioni, uno spazio che si potrebbe definire di “mediazione della mediazione”. L’educazione come mediazione, dunque, presuppone la mediazione di un gruppo di adulti: per crescere un bambino ci vuole un villaggio intero, la comunità educante”11.
La crisi della formazione rende manifesto l’antiumanesino in cui siamo, non abbiamo tempo da donare, non abbiamo spazi con cui condividere gratuitamente la presenza dell’altro. Da tale constatazione si solleva una domanda:
“Che tipo di umanità è l’umanità incapace di donare il proprio tempo?”