Scuola di massa e riforma Gentile
nov 15th, 2022 | Di Thomas Munzner | Categoria: Idee e proposte
Scuola di massa e riforma Gentile
Il primo tentativo di rendere la scuola di massa fu la
Riforma Gentile del 1923 che portò il
nome dell’omonimo filosofo, Ministro dell’Istruzione del
Governo Mussolini. Seppur inquadrata in un’ottica
fortemente classista, riservata ai pochi considerati i
migliori, ossia i figli della borghesia aristocratica e
proprietari terrieri, gli unici che avevano accesso alla
scuola ginnasio l’unica che poi consentiva l’accesso al liceo
classico, l’unico liceo che a sua volta consentiva l’accesso a
ogni facoltà universitaria, mentre per i figli delle classi
popolari era possibile solo l’accesso alla scuola
complementare di avviamento professionale dopo la
scuola elementare unica, la Riforma ebbe il merito di avere
un asse culturale storico-filosofico, che fu applicato anche
alle elementari. Non si tradusse nell’insegnamento della
filosofia alle elementari, bensì fu messa al centro la
religione che, secondo la teoria di Gentile, era la forma
infantile della filosofia, e ritenuta il maggior traguardo per i
cittadini delle classi popolari. Mentre al liceo, che formava
la futura classe dirigente nell’obiettivo di Gentile era
invece obbligatorio lo studio della filosofia e non della
religione, in quanto la filosofia secondo il filosofo era il
maggior traguardo intellettuale nell’educazione di un
futuro cittadino appartenente alla classe dirigente
nazionale. La Riforma Gentile fu mutilata dallo stesso
fascismo a seguito dei Patti Lateranensi tra Stato e Chiesa,
in quanto era considerata eccessivamente laica, con il
Regime che impose lo studio della religione cattolica anche
nei licei contrariando lo stesso Gentile e nel 1940 fu
sostituita dalla Riforma Bottai. La riforma coinvolse l’intero
sistema scolastico del Regno d’Italia e aveva come
obiettivo quello di facilitare l’accesso alle scuole superiori
anche da parte dei ceti meno abbienti, nel contesto di
quello che venne definito “umanesimo fascista”.
In particolare, la riforma dava maggiore importanza alla
scienza e alle attività manuali, ponendole sullo stesso
piano delle discipline umanistiche, preponderanti
nell’istruzione dell’epoca. La riforma mirava anche a
ridurre la mobilità verticale, ma al contempo riduceva il
rischio di fenomeni come l’inflazione dei titoli di studio,
causa l’abbassamento della qualità. La riforma Bottai
unificò i corsi inferiori di Licei, istituti tecnici e
professionali, in scuola media unica ma lasciando il canale
della scuola di avviamento professionale. Il primo
ventennio dell’Italia Repubblicana vide il permanere della
struttura della Riforma Bottai e la conseguenza fu che la
maggioranza della popolazione frequentava la scuola fino
alla quinta elementare o al massimo intraprendeva la
scuola di avviamento personale, mentre la scuola media
unica, quella che dava accesso ai licei continuava a essere frequentata esclusivamente
dai figli della borghesia. La nascita della Scuola Media Unica nel 1963, voluta fortemente dal Governo del centrosinistra
DC-PSI e dove ci fu il contributo del PCI dall’opposizione
mirava a superare definitivamente la struttura elitaria e
classista della scuola gentiliana, ma ebbe il merito di non
rinnegare del tutto Gentile lasciando l’impostazione
umanistico-filosofica dominante, anche se fu affiancata
dalle conoscenze tecnico-scientifiche. Inoltre la Riforma
previde che tutti i licei e non più solo il classico, davano
accesso a ogni facoltà universitaria. Fu una riforma epocale
che significò l’entrata della Costituzione del 1948, carica di principi socialisti e cristiano-sociali (Lorenzo Milani) una scuola dove il sapere,
la formazione della coscienza critica, veniva esteso
anche ai figli delle classi popolari che si accompagnava alla
giustizia sociale come processo di trasformazione, sia
personale che sociale, nonché fondamento per lo
smantellamento delle strutture di oppressione. La riforma
permise anche il superamento tra le classi maschili e le
classi femminili con ragazzi e ragazze che poterono per la
prima volta studiare insieme. Le proteste studentesche del
1968 in quel Movimento noto come il “Sessantotto”
diffuse in tutto il Mondo Occidentale arrivarono anche in
Italia. Gli studenti erano in lotta contro una scuola, che per
quanto si stava avviando alla “democratizzazione” era
ancora intrisa di classismo (la Lettera di Don Milani a una
Professoressa denuncia proprio questo), autoritarismo con
il codice disciplinare che era lo stesso del regime fascista e
professori e presidi dalla mentalità autoritaria, una scuola
che impediva l’ascensore sociale, escludendo
dall’Università gli studenti diplomati provenienti dagli
Istituti Tecnici, la cui maggioranza erano di estrazione
popolare, mentre i Licei, che erano gli unici a dare accesso
alle facoltà universitarie, erano ancora frequentati
esclusivamente dai figli della borghesia, di cui la quasi
totalità dei “sessantottini” facevano parte. L’insegnamento
nelle Università era in mano ai «baroni», i docenti dei corsi
importanti si rivolgevano a una calca di allievi che a stento
ne percepivano la voce, era sottovalutata o ignorata
l’esigenza di laboratori e seminari che preparassero gli
studenti all’attività professionale, e molti professori
comparivano solo per le lezioni e con i ragazzi non avevano
nessun rapporto umano.
Il Sessantotto italiano,
contrariamente a quello degli altri paesi occidentali, si unì
all’ “Autunno Caldo” operaio del 1969 e portò come prima
conquista la Riforma Codignola dell’Università del 1969,
che porta il nome di Tristano Codignola, esponente del PSI,
aprì le porte dell’Università anche agli studenti
provenienti degli istituti tecnici. Le lotte sindacali di inizio
anni settanta con importanti scioperi che, insieme al PCI,
facevano importanti pressioni sui partiti di governo quale
DC e PSI portarono alla nascita dei Decreti Delegati sulla
scuola del 1974, la più grande conquista del mondo della
scuola, che si proponevano di attuare nella scuola italiana i
principi della Costituzione del 1948. I Decreti
Delegati portarono ad aumenti salariali, abolizione di ogni
forma di valutazione (le famigerate note di qualifica) e di
controllo burocratico sul lavoro scolastico con
l’introduzione dell’autonomia nella definizione collettiva
(insegnanti e studenti nella scuola secondaria di secondo
grado) dei piani di lavoro da discutere e verificare negli
organi collegiali; il diritto alla difesa e alla tutela sindacale a
tutti i livelli col riconoscimento dell’applicabilità dello
Statuto dei lavoratori. E la nascita di organi collegiali come
il Collegio dei Docenti, il Consiglio di Istituto con una
rappresentanza anche degli studenti nelle scuole superiori
e il Consiglio di Classe con rappresentanza dei genitori.
I Decreti Delegati sulla scuola del 1974 si proponevano
l’obiettivo che la scuola doveva avere la sua funzione
sociale e rapporti con le famiglie, con il territorio, con la
comunità. Inoltre grazie al Documento Falcucci, che
prendeva il nome da Franca Falcucci, successivamente
Ministro della Pubblica Istruzione dal 1982 al 1987, garantì
l’effettiva integrazione degli alunni con handicap e disabili,
fino a quel momento esclusi dalla scuola pubblica.
Tuttavia restarono molti problemi irrisolti come la
mancanza di asili nido, l’insufficienza di scuole materne
pubbliche e mantenimento, con congrui finanziamenti,
degli asili gestiti da organizzazioni religiose (il 50 per cento
dei bambini dai 3 ai 6 anni non frequentava la
scuola materna), assenza di una politica democratica per
l’infanzia dai 3 ai 6 anni, la mancanza di un razionale piano
di sviluppo dell’edilizia scolastica che dava luogo al
fenomeno dei doppi e tripli turni e delle pluriclassi, non
funzionalità degli edifici alle esigenze di movimento e di
organizzazione del lavoro e dello studio, affollamento delle
classi come fenomeno generalizzato anche nella scuola
superiore, non gratuità dell’obbligo scolastico (libri di
testo, trasporti, mense, biblioteche), parziale istituzione
del tempo pieno mai preso in seria considerazione, tanto è
vero che si cercò di chiudere anche i doposcuola,
mancanza di un qualsiasi programma per l’educazione
permanente e per il recupero della scolarità da parte dei
lavoratori, ma soprattutto la mancata riforma della
scuola secondaria di primo grado (la scuola media).
Dopo la riforma della scuola media del 1963, in molti si
auspicarono che il passo successivo doveva essere la
riforma della scuola superiore. Lo stesso Tristano
Codignola lo disse lucidamente (“la scuola media si è trovata ad operare
come un’isola riformata, in mezzo a strutture antiquate”, scrive nel
1977); già tra gli anni sessanta e settanta vennero
presentati diversi progetti per un percorso unitario fino ai
sedici anni. Nessuno è andato in porto. Negli anni ottanta e
novanta questo fronte è stato abbandonato e da allora la
struttura tradizionale della scuola superiore non è stata
mai toccata. Il risultato è che oggi nella scuola superiore, l’abbandono
scolastico calcolato come differenza tra gli iscritti all’inizio
di un quinquennio (calcoli di Tuttoscuola) è del 24,7% (a.s.
2017-18), ma è ben più alto nei tecnici (27,3%) e
professionali (32,1%) rispetto ai licei (19,2%).
L’obbligo scolastico in Italia non è più a 14 anni, come nel
1963, ma a 16 anni. Quindi oggi ci si trova di fronte a una
discriminazione sociale che per certi versi non si discosta
da quello di sessant’anni fa: in pieno obbligo scolastico, a
14 anni, i ragazzi entrano in un sistema selettivo, cioè
boccia e esclude, nel momento più fragile dell’obbligo,
quello conclusivo e fortemente differenziato per indirizzi,
in cui questi sono gerarchizzati e segreganti dal punto di
vista sociale.
Negli anni novanta, con la fine della Prima Repubblica, dei
partiti di massa fuoriusciti dalla Resistenza (DC, PSI e PCI) e
delle politiche socialdemocratiche di redistribuzione della
ricchezza, anche la scuola si adegua al nuovo corso
neoliberista richiesto dalla nascente Unione Europea ed
espressione del potere economico e della finanza sulla
politica. Il padre fu Luigi Berlinguer che approvò la Riforma
che porta il suo nome che ha cominciato a trasformare
la scuola da un luogo di crescita culturale, di dibattito, di
formazione umana, di opportunità per tutti a un’azienda.
Fece nascere l’autonomia scolastica, funzionale solo a
dividere le scuole fra quelle di serie A e quelli di serie B, fra
quelle destinate ai ragazzi delle famiglie più abbienti e ai
figli di proletari, fra la classe dirigente di domani e quella
lavoratrice e precaria. Ricalcando, in chiave moderna e nel
nome del neoliberismo, esattamente la struttura classista
della scuola italiana che vi era fino agli anni sessanta.
Le figure del Preside presente nelle scuole medie e scuole
superiori e del Direttore Didattico presente nelle
elementari vennero unificate nel Dirigente Scolastico con
compiti spiccatamente padronali, come controllo,
supervisione, verifica di produttività (valutazione),
campagna acquisti (ricordiamo le scuole che a inizio
settembre non accettavano studenti sotto una certa media
voti), quadratura dei conti, e via dicendo.
Figura del Preside come manager rafforzata
successivamente dalla Riforma Moratti del 2003 e dalla
“Buona Scuola” di Renzi del 2015. Tale linea della scuola
confindustriale di Berlinguer fu confermata anche dalle
successive Riforme Moratti e Riforma Gelmini, con
quest’ultima riforma che rappresentò un’autentica
catastrofe per il mondo della scuola dove nel
triennio 2008-2011 portò a un taglio netto di oltre 90.000
cattedre intere. Nel triennio dal 2008-2009 al 2010-2011,
come conseguenza della Riforma Gelmini, le classi calarono
di 10.617 unità, nonostante il numero degli alunni in Italia
non sia mai diminuito accentuando il fenomeno delle
“classi pollaio”. Dal 2008-2009 al 2009-2010 persero
l’incarico ben circa 30.000 supplenti con incarichi annuali.
La scure colpì il Personale ATA (bidelli, che oggi si chiamano
Collaboratori Scolastici proprio per dare l’idea di una
scuola-azienda, e personale amministrativo delle
segreterie) con un taglio di 74.000 unità (30.000 nel 2009 e
2010 e 14.000 nel 2011) tra il 2009 e il 2011. La scuola
divenne ancor di più confindustriale con la
Riforma “Buona Scuola” di Renzi che oltre ad accentuare e
aumentare i poteri manageriali ai dirigenti scolastici, istituì
l’alternanza scuola-lavoro per gli studenti al fine di dare
una manodopera gratuita per le aziende. Nel frattempo i
vari governi di centrodestra e centrosinistra hanno dato
fior di fondi alle scuole private, elevate a “scuole paritarie”
sul principio della “libertà di scelta” delle famiglie, con lo
scopo di rendere la scuola pubblica accessibile alle classi
popolari di qualità scadente mentre ad avere un’istruzione
di “qualità” che spesso coincide con titoli comprati, nelle
scuole private sono i figli della borghesia, che spesso
proprio per la frequentazione di scuole e Università private
trovano poi posto in ruoli dirigenziali. A quasi trent’anni di
distanza dalla Riforma Berlinguer, il risultato odierno è che
la scuola oggi è un’azienda con dirigenti scolastici che si
comportano come dirigenti d’azienda, dove in alcuni casi
sfocia in vero e proprio abuso di potere (basti pensare
all’ultimo caso di cronaca dove una Preside di un Liceo di
Brescia impose a un bidello di lavargli i vetri della
macchina) e dove il Presidente dell’Associazione Nazionale
Presidi chiede direttamente che i Presidi facciano
assunzioni dirette. I Docenti della nuova generazione
svolgono il lavoro non più come una “missione” come
accadeva in precedenza ma semplicemente come un
lavoro come un altro con la conseguenza che il livello
culturale, soprattutto tra gli insegnanti delle scuole
elementari, si è abbassato notevolmente e totalmente
appiattito sull’ideologia dominante neoliberista. Il ruolo
dei docenti, soprattutto alle elementari dove non possono
mettere note, è notevolmente svilito, dove non hanno più
nessuna forma di autorità a causa del fatto che le scuole
tendono esclusivamente a soddisfare i genitori in una
logica di soddisfazione del cliente. E gli studenti oggi
imparano le nozioni in maniera dogmatica senza una
riflessione di pensiero, sul perché, sulle cause, in quanto
oggi la scuola è ispirata nella didattica, da un’ideologia,
deleteria, dell’oggettività della valutazione, eliminando la
soggettività dell’insegnante. Un insegnante che corregge
un tema e dà sei e mezzo, un altro che invece dà sette e
mezzo, questo, secondo i pedagogisti neoliberisti di
centro-sinistra è un gravissimo problema e di conseguenza
bisogna arrivare a un sistema di valutazione oggettivo. Ciò
ha portato, unito all’impostazione dogmatica e all’assenza
di ogni autorità da parte degli insegnanti a un crollo
culturale della scuola, che ormai oggi è un’azienda che
tratta i genitori e alunni come dei “clienti” che fanno a gara
per soddisfare le esigenze della “domanda” dei genitori, e
gli “Open Day”, ossia eventi organizzati dalle scuole al fine
di attrarre nuove iscrizioni degli alunni di prima, e quindi
nuovi fondi che arrivano dal Ministero ai Presidi, sono
emblema di ciò. Inoltre a questo quadro si aggiungono i
problemi di precariato tra il corpo docente e il personale
ATA e la carenza di insegnanti ma soprattutto di bidelli e
personale amministrativo. Su quest’ultimo punto, nel 2020
il Governo Conte II per garantire il rispetto delle norme
sanitarie di distanziamento e per fronteggiare la pandemia,
approvò un organico aggiuntivo, detto “organico Covid”
quantificato in 75.000 unità, di cui 50.000 tra il Personale
ATA e 25.000 docenti. L’ “organico Covid” servì a coprire la
carenza di personale che le scuole si portavano dietro dai
tagli della Gelmini e che permise lo sdoppiamento delle
classi. Successivamente è stato abbassato a 50.000 dal
Governo Draghi per l’anno scolastico 2021/22 e non
riconfermato per l’anno scolastico 2022/23 facendo
ripiombare la scuola nella situazione di insostenibile
carenza di personale con classi pollaio e molti plessi
scolastici chiusi a causa della carenza di bidelli. Il Governo
Draghi ha abbassato la spesa destinata all’istruzione dal 4
% al 3.5 %, mentre al tempo stesso ha inviato armi del
valore di miliardi di euro all’Ucraina per asservimento
all’imperialismo statunitense nella guerra contro la Russia.
E il Governo Draghi, spietato con la scuola pubblica e con
tutto il suo personale al tempo stesso è stato magnanimo
nell’invio di 200 milioni di euro all’Ucraina per pagare gli
stipendi degli insegnanti ucraini, che insegnano a odiare i
“mostri russi”.
Il compito di ogni movimento socialista, comunista, anticapitalista, dei
Lavoratori, anti-imperialista e nazionalitario, oltre a rivendicare la
fuoriuscita dell’Italia dall’Alleanza Atlantica, deve
rivendicare anche una politica dove invece di dare soldi per
le armi e finanziare una guerra imperialista, bisogna
destinarli in scuole e ospedali, i settori maggiormente
colpiti dalla politica neoliberista di tagli allo Stato Sociale,
dove i maggiori effetti di questi li hanno subiti
maggiormente il Sud e Sicilia, grazie alla Riforma del Titolo
V della Costituzione del 2001.
Con la conseguenza dell’alto tasso di abbandono scolastico in tali territori
e l’emigrazione sanitaria verso il Nord arricchendo le casse
delle regioni del Nord, che con il progetto dell’“autonomia
differenziata” portato avanti dal governo di destra-centro
della Meloni porterà definitivamente allo sfascio della
Sanità e Scuola pubblica, con creazione di una “Sanità e
Istruzione di Serie A” nelle regioni che hanno l’autonomia
differenziata, “Sanità e Istruzione di Serie B se non di Serie
C nel resto del paese”. Il movimento dei lavoratori,
socialista, comunista, anti- imperialista, Anticapitalista e nazionalitario
sul capitolo scuola si dovrebbe fare portavoce di un programma, che il
sottoscritto, in quanto bidello precario e che quindi
conosce il mondo della scuola in maniera più approfondita
rispetto ad altri settori, ha pensato e scritto e che
consisterebbe nei seguenti punti:
- Abolizione di tutte le Riforme scolastiche degli ultimi 30
anni a partire da quella Berlinguer e abolizione
dell’autonomia scolastica, in modo che non ci siano più
scuole di serie A e scuole di Serie B
- No al progetto dell’autonomia differenziata che avrebbe
effetti devastanti sull’istruzione pubblica
-Abolire l’impostazione scolastica del formare gli studenti
come manodopera ubbidiente per le aziende, ma piuttosto
tornare a formare gli studenti come uomini, cittadini
consapevoli e partecipi.
Ciò deve essere accompagnato anche dall’abolizione
dell’insegnamento dogmatico-nozionistico con la scuola
che invece deve avere un asse culturale storicista, che
abbraccia sia le materie umanistiche- filosofiche che in
quelle scientifiche spiegando il significato storico, le cause
di eventi storici, pensieri filosofici o delle leggi scientifiche.
- Tornare ai Decreti Delegati sulla Scuola del 1974 come
principale riferimento normativo e che devono
rappresentare una vera e propria “Costituzione della
Scuola” apportando a tale “Costituzione” delle migliorie
come:
- L’elettività dei presidi (con funzioni di coordinamento e di
animazione, trasferendo i loro poteri agli organi collegiali
formato da docenti, personale non docente, genitori e
studenti nelle scuole superiori) e l’abolizione dei ruoli
direttivi, manageriali e ispettivi riservato al Preside in
coerenza con la gestione sociale della scuola.
Il Preside, eletto tra gli insegnanti, deve tornare a essere
animatore culturale e sociale, leader educativi deputati a
favorire il rapporto democratico tra famiglie, alunni,
docenti, coinvolti direttamente nel processo di
progettazione pedagogica. Deve tornare a essere
coordinatori di assemblee e riunioni, promuovere
l’aggiornamento professionale degli insegnanti, curare il
rapporto con il territorio.
I docenti e i bidelli non devono essere più dei dipendenti di
rango inferiore ma dei lavoratori pari con i quali
condividere la gestione sociale della scuola insieme alle
famiglie degli alunni. Il Preside deve avere soprattutto le
capacità relazionali e pedagogiche, per poter essere il
garante dello sviluppo di una comunità scolastica
democratica e non un autoritario “manager” come invece
accade oggi.
-Riforma della Scuola Media Unica aumentando gli anni dai
3 attuali ai 5 anni, facendolo coincidere con il termine
dell’obbligo scolastico fissato a 16 anni, al fine di
contrastare efficacemente l’abbandono scolastico che si
verifica proprio, come sopraccitato in precedenza, nella
fase finale dell’obbligo scolastico tra i 14 e i 16 anni,
affinché tutto il periodo dell’obbligo sia di crescita della
persona e del cittadino, e non ne predetermini
socialmente il destino.
La Scuola Media Unica dovrebbe essere ribattezzata come
“Scuola Ginnasio” in quanto deve essere una scuola che
miri a un sapere esteso a tutti, con uno studio
approfondito di materie come la storia, la filosofia, che
deve sostituire l’insegnamento della storia delle religioni
insegnate alle elementari, e le scienze, al fine di formare
coscienza critica basata sulla giustizia sociale come
processo di trasformazione, sia personale che sociale.
Perchè tale scuola deve portare che anche l’operaio, lo
spazzino e il bidello che hanno il “quinto ginnasio” devono
essere dei cittadini consapevoli, partecipi, con una buona
cultura di base e avere coscienza dei propri diritti al pari
dell’insegnante, ingegnere, avvocato, medico laureato.
Quando siamo in presenza di ciò siamo in presenza di una
società più giusta.
-I licei e istituti tecnici, con abolizione della differenza tra
istituti tecnici e istituti professionali con questi che
diventano istituti tecnici e il sopraccitato aumento degli
anni della scuola secondaria di primo grado, devono essere
triennali a indirizzo specializzato. Licei e Istituti Tecnici che
devono essere accessibili a tutti ma al tempo stesso
devono dare agli studenti una vera e propria formazione
pre – universitaria dove gli studenti del liceo devono
affrontare due sessioni bimestrali di esami, una invernale
tra gennaio e febbraio una estiva tra giugno e luglio e una
extra a settembre per gli studenti che non hanno raggiunto
la sufficienza in determinate materie, ultima spiaggia per
evitare la ripetizione dell’anno e ricalcando un po il
modello universitario. Ciò per far acquisire nuovamente
valore al Liceo e Istituti Tecnici, contrastando l’odierno
appiattimento culturale al ribasso e abituare gli studenti
che scelgono il proseguo degli studi dopo la scuola
dell’obbligo, ai sacrifici degli eventuali studi universitari, e
formarli, nel caso degli Istituti Tecnici, anche come
lavoratori specializzati. Anche al fine di ciò che bisogna
innalzare come sopraccitato gli anni della scuola media /
ginnasio da tre a cinque anni in quanto uno studente a 16
anni, dopo aver terminato la scuola dell’obbligo, è più
consapevole se vuole affrontare il liceo o istituto tecnico o
smettere.
In poche parole una “scuola gentiliana” che miri a formare
dei “migliori” e una classe dirigente preparata
culturalmente o lavoratori specializzati ma con la
differenza che invece di essere classista deve essere
democratica, socialista ed egualitaria dove anche il figlio
dell’operaio può studiare al Liceo. D’altronde i licei e
istituti tecnici nell’ex Unione Sovietica, accessibili a tutti,
così come le Università non erano meno “rigidi” rispetto ai
licei e Università “gentiliane” italiane.
-Estendere il tempo pieno soprattutto al Sud e Isole, con
orario delle lezioni dalle 8 alle 14, alle elementari e
svolgimento dei compiti nel pomeriggio tra le 15 e 16:30,
dopo il pranzo e la ricreazione pomeridiana.
Creare un sistema di stato sociale dove i genitori abbiano
permessi illimitati per andare a prendere i figli della scuola
materna ed elementare a scuola e garantire il doposcuola
agli alunni, dove quest’ultimi gratuitamente possono
seguire i vari corsi (pianoforte, canto, disegno eccetera) e
corsi sportivi (calcio, pallavolo, scacchi, pallacanestro)
- Immissione in ruolo (ossia contratti a tempo
indeterminato) dei docenti abilitati vincitori di concorso,
concorsi che devono essere per titoli post-laurea e non a
quiz in quanto già l’Università è fortemente dura e
selettiva, abolendo il precariato.
-Aumento delle cattedre attraverso il meccanismo di 15
alunni per classe per le elementari e ginnasio e 20 nelle
scuole superiori, in modo che ci sia il beneficio anche della
qualità didattica. È molto più semplice la gestione di una
classe di 15-20 alunni piuttosto che 30 anche perché ogni
alunno può essere seguito meglio e aiutato a sopperire le
carenze, ma soprattutto privilegiare lo sviluppo umano e
culturale di ciascuno studente.
-Aumento del Personale ATA tra assistenti tecnici, applicati
di segreteria che possono espletare con efficienza le varie
incombenze, e bidelli. Su quest’ultimo profilo, dove deve
essere abolita la dicitura Collaboratore Scolastico e
ripristinata ufficialmente la parola bidello, non ci deve
essere più il criterio del 1 bidello ogni 100 studenti ma
bensì quello sulla base della grandezza degli spazi
scolastici, sulle aule da pulire con un tetto massimo di 3
aule da pulire più il bagno.
Inoltre al fine di un insegnamento pedagogico e di
formazione di cittadini rispettosi dei beni comuni e del
valore del lavoro, a rotazione due studenti al giorno
devono spazzare la classe e puliscono i banchi, dando così
una mano ai bidelli che si devono occupare esclusivamente
del lavaggio del pavimento e della pulizia dei bagni,
corridoi e scale.
- Allo scopo di insegnare il valore del lavoro agli studenti e
il ricordare agli insegnanti e preside il valore del lavoro
manuale e per cementare il valore della comunità, una
volta al mese, invece delle lezioni vi è la giornata delle
Pulizie Generali dove tutto il personale della scuola, dal
preside ai bidelli e gli studenti debbano fare pulizie
approfondite degli spazi scolastici.
- Abolizione del sabato scolastico, permettendo a tutto il
personale della scuola e agli studenti un fine settimana
libero dedicato al riposo, alla cura della persona, della
famiglia, alla coltivazione dei rapporti umani e delle
passioni individuali.
-Le Graduatorie di Terza Fascia per il Personale ATA devono
rimanere con aggiornamento triennale ma devono essere
ad esaurimento, ossia non devono esserci nuovi
inserimenti in Graduatoria fino a che la graduatoria non è
esaurita. Così si eviteranno diplomi comprati con 100, titoli
comprati, ecc…ecc…. anzi per il profilo di bidello togliere il
requisito del diploma o corso professionale mettendo
come titolo di accesso la scuola dell’obbligo (il sopraccitato
quinto ginnasio) dove il punteggio viene dato dal voto con
la quale ha conseguito il quinto ginnasio (da 6 a 10), 1
punto se ha il diploma socio-sanitario (assistenza a persone
disabili e che serve per assistenza agli alunni disabili), 0,60
punti se ha svolto servizio civile o servizio militare. Il
diploma deve invece essere il requisito minimo per il
personale della segreteria. Così si garantisce il diritto al
lavoro, nei vari profili, nella scuola più persone possibili,
dal quinto ginnasio alla laurea e impedendo una “guerra
tra poveri” e uno sbarramento classista a chi ha il quinto
ginnasio. Per diventare bidello abbassare l’età a 16 anni e
fino ai 60, per diventare applicato di segreteria, età minima
18 anni.
- Aumentare i posti di organico di diritto (ossia il ruolo) per
il Personale ATA, abolendo i contratti fino al 30 giugno, con
immissione in ruolo una volta svolti 12 mesi, anche non
continuativi, invece che i 24 mesi requisito di accesso
dell’attuale Graduatoria di Prima Fascia che viene anzi
abolita, lasciando in essere solo la Graduatoria di Terza
Fascia che serve esclusivamente per le supplenze su
malattia, maternità, infortunio eccetera. Per rimpiazzare il
bidello o l’applicato di segreteria che è andato in pensione,
la scuola provvede ad assegnare una supplenza dal 1
settembre fino al 31 agosto a chi ha punteggio più alto
nella Graduatoria che aiuta a maturare i 12 mesi necessari
al passaggio al ruolo.
- diritto di assemblea in orario di servizio aperta agli
studenti, alle famiglie, ai lavoratori, ai rappresentanti dei
sindacati.
- Democrazia nella composizione degli organi collegiali con
partecipazione a tutti i livelli delle forze sociali e possibilità
d’intervento autonomo del sindacato per il confronto e la
verifica su tutta l’attività degli organismi scolastici.
- Il ripristino dei Distretti Scolastici, abrogati dal Governo
Berlusconi nel 2001, che servono allo svolgimento di
attività parascolastiche, extrascolastiche e interscolastiche
ai servizi di orientamento scolastico e professionale,
nonché a quelli di assistenza scolastica ed educativa ai
servizi di medicina scolastica e di assistenza
psicopedagogica ai corsi di scuola popolare, di istruzione
degli adulti e alle attività di educazione permanente e di
istruzione ricorrente al potenziamento delle attività
culturali e sportive destinate agli alunni ad attività di
sperimentazione
-Iniziare l’anno scolastico il Primo di Ottobre di ogni anno
coincidente con l’inizio dell’anno accademico universitario
con termine delle lezioni tra l’8 e 12 giugno, in modo che
possa essere garantita la vacanza e il turismo da giugno a
settembre.
- Gli esami di ginnasio e e istituti tecnici devono essere
svolti entro il 30 giugno e consistenti in due prove scritte
(italiano e matematica nel ginnasio e italiano e materia di
indirizzo negli istituti tecnici) più un colloquio orale. Nei
licei invece la sessione estiva nel terzo anno, limitata al
mese di giugno, svolge la funzione di esami di maturità
seguito infine da un colloquio orale a luglio che permette il
conseguimento del diploma.
-Investimenti sull’edilizia scolastica, riapertura delle scuole
chiuse abbandonate o riconversione a scuole di spazi chiusi
abbandonati nelle città in modo da rivalorizzare edifici
storici e massiccia apertura di asili nido pubblici,
soprattutto al Sud e nelle Isole dove sono maggiormente
carenti
-La scuola materna deve essere un momento importante
dello sviluppo fisico, intellettuale e culturale dei bambini e
non un «parcheggio» dei bambini né semplicemente
preparatoria della scuola elementare.
-Gratuità dei libri di testo, trasporti e biblioteche nel
periodo di obbligo scolastico, prezzi calmierati al ribasso
invece per le scuole superiori e per i corsi universitari.
- Chiusura e nazionalizzazione di tutte le scuole private e
cattoliche.
- Ripristino del nome “Ministero della Pubblica Istruzione”
al posto di “Ministero dell’Istruzione e del Merito” e
abolizione del “Ministero dell’Università e Ricerca”
facendo tornare sotto competenza del Ministero della
Pubblica Istruzione la gestione dell’Università e della
Ricerca.
Questi sarebbero i punti base affinché la scuola torni a
essere un luogo di crescita culturale, di dibattito, di
formazione umana, di opportunità per tutti per lo sviluppo
di una società più giusta dove la scuola deve essere,
insieme alla sanità e al lavoro, al centro di un governo che
faccia gli interessi del popolo, dei lavoratori.
Andrè Siciliani