Discorso di Vladimir Putin al Valdai Discussion Club (integrale)
nov 4th, 2022 | Di Thomas Munzner | Categoria: Politica Internazionale
Discorso di Vladimir Putin al Valdai Discussion Club (integrale)
Il Capo del Cremlino è intervenuto al 19esimo incontro del Valdai Discussion Club giovedì 27 ottobre 2022
Il tema del forum di quest’anno era: “Il mondo oltre l’egemonia: giustizia e sicurezza per tutti”. L’incontro, durato quattro giorni, ha riunito 111 esperti, politici, diplomatici ed economisti provenienti dalla Russia e da altri 40 Paesi, tra cui Afghanistan, Brasile, Cina, Egitto, Francia, Germania, India, Indonesia, Iran, Kazakistan, Sudafrica, Turchia, Uzbekistan e Stati Uniti.
Gentili partecipanti, signore e signori, amici!
Ho avuto un piccolo assaggio delle discussioni che si sono svolte qui nei giorni precedenti – tutte molto interessanti e istruttive. Spero che non vi siate pentiti di essere venuti in Russia e che abbiate modo di parlare l’uno con l’altro.
Sono felice di vedervi tutti.
Al Valdai Club abbiamo parlato molte volte di quei profondi ed importanti cambiamenti che sono già avvenuti e che stanno avvenendo nel mondo, [abbiamo parlato] dei rischi associati al deterioramento delle istituzioni internazionali, all’erosione dei princìpi della sicurezza collettiva, alla sostituzione del diritto internazionale con le cosiddette “regole” – regole i cui ideatori sono noti, avrei voluto dire, ma forse non è esatto. In generale, infatti, non è chiaro chi le abbia inventate, quali siano le basi di queste regole, che cosa contengano.
Stiamo assistendo, pare, al tentativo di affermare un’unica regola affinché chi è al potere – si parlava di potere, ora parlo di potere globale – possa vivere senza alcuna regola e sia autorizzato a fare quello che vuole, a farla franca. Sono queste, infatti, le regole che, come si suol dire, ci vengono ripetute in modo ossessivo, [le regole], insomma, di cui si parla sempre.
Il valore delle discussioni del Valdai sta nel fatto che sono state fatte diverse valutazioni e previsioni. Quanto queste fossero accurate lo dimostrerà la vita stessa, il più rigoroso ed oggettivo dei giudici: la vita.
Ahimè, finora gli eventi hanno continuato a seguire quello scenario negativo di cui abbiamo parlato più di una volta durante le precedenti riunioni. In più, questi eventi si sono tramutati in una crisi sistemica su larga scala, non solo nella sfera politico-militare, ma anche in quella economica e umanitaria.
Il cosiddetto Occidente – chiamato così convenzionalmente, ovviamente, poiché è unito (è chiaro che è un conglomerato molto complesso) – comunque, volevo dire che l’Occidente ha compiuto una serie di passi verso l’escalation negli ultimi anni e soprattutto negli ultimi mesi. In effetti, [i paesi occidentali] sono sempre soliti alzare la posta in gioco, non è una novità. Mi riferisco all’istigazione del conflitto in Ucraina, alle provocazioni intorno a Taiwan, alla destabilizzazione dei mercati alimentari ed energetici globali. Quest’ultima, ovviamente, non è stata fatta di proposito, non c’è dubbio, ma è la conseguenza di una serie di errori sistematici da parte proprio di quelle autorità occidentali che ho già citato. A questo si aggiunge, come stiamo vedendo, la distruzione dei gasdotti paneuropei. È una cosa assurda, inimmaginabile, eppure stiamo assistendo proprio a questi sfortunati eventi.
Il dominio sul mondo è proprio ciò su cui il cosiddetto Occidente ha puntato la propria partita. Ma si tratta di un gioco senz’altro pericoloso, sanguinoso e, direi, sporco. E’ un gioco che nega la sovranità dei paesi e dei popoli, la loro identità ed unicità, e non attribuisce alcun valore agli interessi degli altri Stati. Anche se non si parla direttamente di negazione, nei fatti è proprio così. Nessuno, tranne coloro che formulano le regole che ho citato, ha infatti il diritto di sviluppare la propria identità: tutti gli altri devono attenersi a queste regole.
A tal proposito, ricordo le proposte della Russia ai partner occidentali circa il rafforzamento della fiducia e la costruzione di un sistema di sicurezza collettiva. [Proposte che] a dicembre dello scorso anno sono state nuovamente messe da parte.
Ma nel mondo di oggi non si può certo stare con le mani in mano. Chi semina vento, come si dice, raccoglierà tempesta. La crisi è diventata davvero globale, riguarda tutti. Non bisogna farsi illusioni.
Ora ci sono essenzialmente due strade per l’umanità: o continuare ad accumulare un carico di problemi che inevitabilmente ci schiaccerà tutti oppure lavorare insieme per trovare delle soluzioni che, per imperfette che siano, funzionino e possano rendere il nostro mondo più stabile e sicuro.
Sapete, ho sempre creduto nel potere del buon senso. Sono quindi convinto che prima o poi sia i nuovi centri dell’ordine mondiale multipolare, sia l’Occidente dovranno dialogare alla pari sul nostro futuro comune – e prima lo faranno meglio sarà, ovviamente. A tal proposito, vorrei sottolineare alcuni punti molto importanti per tutti noi.
Gli eventi attuali hanno messo in ombra le questioni ambientali – curiosamente, è proprio da qui che vorrei partire. Le questioni relative al cambiamento climatico non sono più in cima all’agenda. Ma queste sfide cruciali non sono scomparse, non sono svanite, sono solo aumentate.
Una delle conseguenze più pericolose dello squilibrio ecologico è la riduzione della biodiversità. E qui vengo al tema principale per cui siamo tutti riuniti: gli altri tipi di diversità – culturale, sociale, politica, di civiltà – sono forse meno importanti?
Eppure l’appiattimento, la cancellazione di ogni differenza è diventata quasi l’essenza dell’Occidente moderno. Cosa c’è dietro tutto questo? C’è innanzitutto la perdita del potenziale creativo dell’Occidente stesso e il desiderio di frenare, di bloccare il libero sviluppo di altre civiltà.
Naturalmente c’è anche un interesse manifestamente commerciale: imponendo i propri valori, le proprie abitudini di consumo, il conformismo, i nostri avversari – li chiamerò così, sarò cauto – cercano di ampliare i mercati dei loro prodotti. Non è un caso che l’Occidente sostenga che la propria cultura e la propria visione del mondo debbano essere universali. Se non lo dicono direttamente – anche se spesso lo dicono anche direttamente – agiscono comunque in questo senso ed insistono […] sul fatto che questi stessi valori dovrebbero essere accettati incondizionatamente da tutti gli altri partecipanti alla comunicazione internazionale.
Vi riporto una citazione del famoso discorso di Aleksandr Solzhenitsyn ad Harvard. Già nel 1978 [Solzhenitsyn] osservava come l’Occidente fosse caratterizzato da una “persistente cecità di superiorità” – che perdura tutt’ora – [condizione] “che è alla base dell’idea per cui tutte le vaste aree del nostro pianeta debbano svilupparsi ed essere dominate dagli attuali sistemi occidentali…”. 1978. Non è cambiato nulla.
Nell’ultimo mezzo secolo questo accecamento di cui parlava Solzhenitsyn – di natura palesemente razzista e neocoloniale – ha assunto forme sgradevoli, soprattutto da quando è nato il cosiddetto mondo unipolare. Con questo intendo dire che la fiducia nella propria infallibilità è una condizione molto pericolosa: è ad un passo dal desiderio degli stessi “infallibili” di distruggere semplicemente chi non è di loro gradimento. “Cancellare”, come dicono. Riflettiamo perlomeno sul significato di questa parola.
Anche all’apice della Guerra Fredda, al culmine del confronto tra sistemi, ideologie e la rivalità militare, non è mai venuto in mente a nessuno di negare l’esistenza stessa della cultura, dell’arte e della scienza dei propri avversari. A nessuno! Sì, sono state imposte alcune restrizioni alle relazioni in ambito accademico, scientifico, culturale e, purtroppo, anche sportivo. Tuttavia, sia i leader sovietici che quelli americani dell’epoca avevano compreso che la sfera umana doveva essere trattata con delicatezza, studiando e rispettando l’avversario e talvolta prendendo persino in prestito qualcosa da lui al fine di preservare, almeno per il futuro, le basi per relazioni sane e proficue.
E cosa sta succedendo ora? I nazisti ai loro tempi arrivarono a bruciare i libri, ora i “liberisti e progressisti” occidentali sono arrivati a mettere al bando Dostoevskij e Tchaikovsky. La cosiddetta cultura della cancellazione e, in concreto, l’attuale cancellazione della cultura, impoverisce tutto ciò che è vivo e creativo e non permette al libero pensiero di svilupparsi in nessun ambito: né in quello economico, né in quello politico, né in quello culturale.
La stessa ideologia liberale oggi è diventata irriconoscibile. Mentre il liberalismo classico originariamente intendeva la libertà di ognuno come la libertà di dire ciò che si vuole, di fare ciò che si vuole, già nel XX secolo i liberali hanno iniziato a dire che la cosiddetta società aperta ha dei nemici […] e la libertà di tali nemici può e deve essere limitata o addirittura eliminata. Ora hanno raggiunto un tale livello di assurdità per cui qualsiasi punto di vista alternativo viene dichiarato come propaganda sovversiva e minaccia alla democrazia.
Qualsiasi cosa provenga dalla Russia è tutta una “macchinazione del Cremlino”. Ma guardatevi! Siamo davvero così onnipotenti? Qualsiasi critica nei confronti dei nostri avversari – qualsiasi! – viene percepita come un “complotto del Cremlino”, dietro c’è “la mano del Cremlino”. È un’assurdità. A che punto sono arrivati? Usate un po’ il cervello, dite qualcosa di più interessante, presentate il vostro punto di vista in modo più concettuale. Non si può dare la colpa di tutto agli intrighi del Cremlino.
Tutto ciò è stato profeticamente descritto da Fedor Michailovich Dostoevskij nel XIX secolo. Uno dei personaggi del suo romanzo “I demoni”, il nichilista Shigalev, descriveva così il futuro radioso che immaginava: “parto dalla libertà illimitata e approdo al dispotismo illimitato” – che, per inciso, è proprio ciò a cui sono arrivati i nostri avversari occidentali. Gli fa eco un altro personaggio del romanzo, Petr Verchovenskij, sostenendo che sono necessari il tradimento, la delazione, le spie e che la società non ha bisogno di talenti o abilità superiori: “A Cicerone viene tagliata la lingua, a Copernico vengono cavati gli occhi, Shakespeare viene lapidato”. Ecco a cosa stanno arrivando i nostri avversari occidentali. Cos’è questa se non la moderna cultura occidentale della cancellazione?
Grandi erano i pensatori, e sono grato, sarò sincero, ai miei assistenti per aver trovato queste citazioni.
Cosa si può dire a riguardo? La storia metterà sicuramente ogni cosa al proprio posto e cancellerà non le più grandi opere dei geni della cultura mondiale universalmente riconosciuti, quanto piuttosto coloro che oggi per qualche motivo hanno deciso di avere il diritto di disporre di questa cultura mondiale a loro discrezione. La presunzione di queste figure è fuori scala, come si suol dire, ma tra qualche anno nessuno ricorderà più i loro nomi. E Dostoevskij continuerà a vivere, così come Tchaikovsky e Pushkin, che lo si desideri o meno.
Anche il modello globalizzazione occidentale, neocoloniale nella sua essenza, si è basato sul livellamento, sul monopolio finanziario e tecnologico, sulla cancellazione di tutte le differenze. Il compito era chiaro: rafforzare il dominio incondizionato dell’Occidente nell’economia e nella politica mondiale e, a tal fine, mettere al suo servizio le risorse naturali e finanziarie, le capacità intellettuali, umane ed economiche dell’intero pianeta, seguendo il motto della cosiddetta nuova interdipendenza globale.
Vorrei qui ricordare un altro filosofo russo, Aleksandr Aleksandrovich Zinov’ev, del quale tra pochi giorni, il 29 ottobre, ricorre il centenario. Oltre 20 anni fa disse che per la sopravvivenza della civiltà occidentale al livello da essa raggiunto “è necessario uno spazio pari all’intero pianeta e tutte le risorse dell’umanità”. Questo è ciò che vogliono, è proprio così.
In questo sistema, inoltre, l’Occidente ha avuto un enorme vantaggio, poiché ha sviluppato da sé i propri princìpi e meccanismi – come ora [ha sviluppato] quei princìpi di cui si parla sempre e che sono un incomprensibile “buco nero”: cosa siano, nessuno lo sa. Ma non appena la globalizzazione ha iniziato ad apportare benefici non ai Paesi occidentali, quanto ad altri Stati, soprattutto i grandi Stati dell’Asia, l’Occidente ha immediatamente modificato, se non addirittura abolito, molte regole. E i cosiddetti sacri princìpi del libero scambio, dell’apertura economica, della concorrenza equa, persino del diritto di proprietà vengono improvvisamente dimenticati. Non appena possono trarre profitto da qualcosa cambiano le carte in tavola.
Oppure, un altro esempio di sostituzione di concetti e significati. Per anni gli ideologi e i politici occidentali hanno continuato a dire al mondo che non c’è alternativa alla democrazia. E’ vero, loro d’altra parte parlavano del modello occidentale, cosiddetto liberale, di democrazia. Rifiutavano le altre forme di democrazia, le guardavano con disprezzo e – ci tengo a sottolinearlo – con arroganza. Questo atteggiamento ha radici che risalgono fino all’epoca coloniale: considerano tutti persone di “seconda categoria”, mentre loro sono esclusivi. E’ stato così per secoli e continua ad esserlo ancora oggi.
Ma oggi la maggioranza assoluta della comunità mondiale chiede democrazia negli affari internazionali e non accetta alcuna forma di diktat autoritario da parte di singoli Paesi o gruppi di Stati. Che cos’è questa se non l’applicazione diretta dei princìpi della democrazia nell’ambito delle relazioni internazionali?
E qual è la posizione dell’Occidente “civilizzato” (tra virgolette)? Se siete democratici, allora dovreste accogliere favorevolmente questo naturale desiderio di libertà di miliardi di persone. E invece no! Per l’Occidente è una minaccia all’ordine liberale basato sulle regole ed ecco che avvia guerre economiche e commerciali, sanzioni, boicottaggi, rivoluzioni colorate, prepara e conduce ogni tipo di colpo di stato.
Uno di questi ha portato a tragiche conseguenze in Ucraina nel 2014. Lo hanno sostenuto, dicendo persino quanto denaro era stato speso per il colpo di Stato. Sono fuori di testa, non si vergognano di nulla. Hanno ucciso Soleimani, un generale iraniano. Si può pensare ciò che si vuole di Soleimani, ma è un funzionario di un altro paese! Lo hanno ucciso sul territorio di un paese terzo e hanno detto: sì, lo abbiamo ucciso noi. Ma cos’è? Dove viviamo?
Washington, per consuetudine, continua a chiamare l’attuale ordine mondiale all’americana “liberale”, ma in realtà ogni giorno questo famigerato “ordine” non fa che accrescere il caos e, aggiungerei, diventa sempre più intollerante anche verso gli stessi Paesi occidentali, verso i loro tentativi di mostrare una qualche indipendenza. Questi tentativi vengono soppressi fino alla radice e vengono imposte sanzioni ai loro stessi alleati, senza alcuna remora! E questi ultimi accettano tutto, a testa bassa.
Ad esempio, le proposte da parte dei parlamentari ungheresi a luglio di includere nel Trattato UE l’impegno a favore dei valori e della cultura cristiana europea non sono state recepite nemmeno come una sorta di dissenso, ma come un vero e proprio atto ostile. Che significa questo? Come deve essere interpretato? Sì, ad alcuni può piacere, ad altri no.
Qui in Russia nel corso di mille anni si è sviluppata una cultura unica fatta dell’interazione tra tutte le religioni del mondo. Non c’è bisogno di cancellare nulla: né i valori cristiani, né quelli islamici, né quelli ebraici. Nel nostro Paese sono presenti anche altre grandi religioni. Occorre soltanto trattare gli uni e gli altri con rispetto. In molte parti del nostro Paese – lo so per esperienza diretta – la gente esce insieme, celebra [insieme] le feste cristiane, islamiche, buddiste e ebraiche e lo fa con gioia, congratulandosi e festeggiando gli uni e gli altri.
Ma non qui. E perché no? Che almeno se ne parlasse. Incredibile!
Tutto questo, senza esagerare, non è nemmeno una crisi sistemica, ma proprio dottrinale del modello neoliberale americano dell’ordine mondiale. Non hanno idee in senso creativo e sviluppo positivo, semplicemente non hanno nulla da offrire al mondo se non la conservazione del proprio dominio.
Sono convinto che la vera democrazia in un mondo multipolare presupponga innanzitutto la possibilità per ogni nazione – voglio sottolinearlo – per ogni società, per ogni civiltà di scegliere la propria strada, il proprio sistema socio-politico. Se gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno un tale diritto, allora senz’altro lo hanno anche i Paesi asiatici, gli Stati islamici, le monarchie del Golfo Persico e gli Stati di altri continenti. Naturalmente anche il nostro Paese, la Russia, ha questo diritto e nessuno potrà mai imporre al nostro popolo che tipo di società dobbiamo costruire e su quali princìpi.
La minaccia principale al monopolio politico, economico e ideologico dell’Occidente è che nel mondo possano emergere modelli sociali alternativi – modelli più efficaci (voglio sottolinearlo), più efficaci nel mondo di oggi, più interessanti, più attraenti. Ma tali modelli si svilupperanno, è inevitabile. Tra l’altro, i politologi americani, gli esperti, ne scrivono ormai apertamente. È vero che le autorità non prestano loro ancora molta attenzione, anche se non possono non vedere queste idee espresse sulle pagine delle riviste di scienze politiche e nei dibattiti.
Lo sviluppo deve avvenire nel dialogo tra le civiltà, sulla base di valori spirituali e morali. Sì, le varie civiltà hanno una diversa comprensione dell’uomo, della sua natura – ma spesso è diversa solo in superficie, e tutte riconoscono la suprema dignità e l’essenza spirituale dell’uomo. Ed è estremamente importante il terreno comune, la base comune su cui possiamo e dobbiamo costruire il nostro futuro.
Cosa voglio sottolineare qui? [Che] i valori tradizionali non sono un insieme fisso di postulati a cui tutti devono aderire. Certo che no. Si differenziano dai cosiddetti valori neoliberali in quanto sono unici in ogni contesto, poiché derivano dalla tradizione di una particolare società, dalla sua cultura e dalla sua esperienza storica. Per questo i valori tradizionali non possono essere imposti a nessuno, ma devono essere semplicemente rispettati, tenendo conto di ciò che ogni nazione ha scelto per secoli.
Questo è il nostro modo di intendere i valori tradizionali e il nostro approccio è condiviso e accettato dalla maggioranza dell’umanità. Le società tradizionali dell’Oriente, dell’America Latina, dell’Africa e dell’Eurasia costituiscono infatti la base della civiltà mondiale.
Il rispetto delle specificità dei popoli e delle civiltà è nell’interesse di tutti. A dire il vero, è anche nell’interesse del cosiddetto Occidente. Perdendo la propria supremazia, [l’Occidente] sta rapidamente diventando una minoranza sulla scena mondiale. E ovviamente il diritto di questa minoranza occidentale alla propria identità culturale – voglio sottolinearlo – deve essere garantito, deve essere trattato con rispetto, ma – ci tengo a sottolineare – su un piano di parità con i diritti di tutti gli altri.
Se le élite occidentali intendono instillare nelle menti dei loro popoli, delle loro società, nuove mode a mio avviso strane come decine di generi e le sfilate dei gay pride, allora ben venga. Che facciano ciò che vogliono! Ma non possono pretendere che gli altri seguano la stessa strada.
Osserviamo come nei Paesi occidentali sono in corso processi demografici, politici e sociali complessi. Ovviamente è una loro questione interna. La Russia non interferisce in queste questioni e non intende farlo – a differenza dell’Occidente, non ci intromettiamo negli affari altrui. Speriamo tuttavia che prevalga il pragmatismo e che il dialogo della Russia con l’Occidente autentico e tradizionale, così come con altri centri di sviluppo paritari, rappresenti un importante contributo alla costruzione di un ordine mondiale multipolare.
Ci tengo a sottolineare che il multipolarismo è una possibilità reale, e di fatto anche l’unica, per la stessa Europa, di recuperare la propria soggettività politica ed economica. Non è un segreto, lo sappiamo tutti, e lo dicono anche in Europa: oggi la personalità giuridica dell’Europa è, come dirlo in modo da non offendere nessuno, fortemente limitata.
Il mondo è per sua natura sfaccettato e i tentativi da parte dell’Occidente di riunire tutti sotto un unico modello sono oggettivamente destinati a fallire.
L’arrogante ambizione alla leadership mondiale o, di fatto, al comando, al mantenimento della leadership attraverso i diktat, si traduce in un declino dell’autorità internazionale dei leader del mondo occidentale, Stati Uniti compresi, e in una crescente mancanza di fiducia nelle loro capacità di negoziare in generale. Un giorno dicono una cosa e il giorno dopo un’altra; [un giorno] firmano dei documenti, e il giorno dopo li rigettano; fanno quello che vogliono. Non c’è stabilità in nulla [di ciò che fanno]. Non è per nulla chiaro su che basi vengano sottoscritti determinati documenti, cosa dicano, in cosa si possa sperare.
Mentre un tempo solo pochi Paesi si permettevano di contestare l’America e la cosa assumeva caratteri quasi sensazionali, ora è consuetudine che una serie di Paesi rifiutino le richieste infondate di Washington, per quanto questi cerchi continuamente di mettere tutti alle strette. Una politica assolutamente errata, che non porta da nessuna porta. Ma lasciate che facciano, anche questa è una loro scelta.
Sono sicuro che i popoli del mondo non ignoreranno una tale politica di coercizione che si è screditata da sé e ogni volta che l’Occidente cercherà di mantenere la propria egemonia dovrà pagare un prezzo sempre più alto. Se fossi in queste élite occidentali prenderei seriamente in considerazione una simile prospettiva, così come la stanno considerando, come ho già accennato, alcuni politologi e politici negli Stati Uniti.
Nell’attuale clima di duro conflitto, dirò alcune cose senza mezzi termini. La Russia, come civiltà indipendente e distinta, non si è mai considerata né si considera nemica dell’Occidente. L’americanofobia, l’anglofobia, la francofobia, la germanofobia sono forme di razzismo al pari della russofobia e dell’antisemitismo, così come tutte le manifestazioni di xenofobia.
È necessario comprendere bene che ci sono, come ho detto prima, due Occidenti, almeno due, o forse più, ma almeno due: l’Occidente dei valori tradizionali, prima di tutto cristiani, [l’Occidente] della libertà, del patriottismo, della ricchezza culturale, e ora anche dei valori islamici, perché una parte significativa della popolazione di molti Paesi occidentali professa l’Islam. Questo Occidente ci è in un certo senso vicino, per molti aspetti abbiamo radici comuni, persino antiche. Ma c’è un altro Occidente, aggressivo, cosmopolita, neocoloniale, che agisce come strumento delle élite neoliberali. E sono proprio i dettami di questo Occidente che la Russia non tollererà mai.
Nel 2000, dopo essere stato eletto Presidente, quello che ho affrontato lo ricorderò per sempre: ricorderete il prezzo che abbiamo pagato per distruggere il covo di terroristi nel Caucaso settentrionale, che l’Occidente all’epoca sosteneva quasi apertamente. La maggior parte di voi presenti in questa sala sanno di cosa sto parlando. Sappiamo esattamente ciò che è accaduto nella pratica: sostegno finanziario, politico e informativo. Lo abbiamo sperimentato tutti.
Inoltre, [l’Occidente] non ha solo sostenuto attivamente i terroristi sul territorio russo, ma ha anche alimentato questa minaccia in molti modi. Lo sappiamo. Tuttavia, una volta che la situazione si è stabilizzata e le principali bande terroristiche sono state sconfitte, anche grazie al coraggio del popolo ceceno, abbiamo deciso di non voltarci indietro, di non serbare rancore, di andare avanti, di costruire relazioni anche con chi in realtà aveva agito contro di noi, di instaurare e sviluppare rapporti con tutti coloro che lo desideravano, basati sul mutuo vantaggio e sul rispetto reciproco.
Si pensava che fosse nell’interesse comune. La Russia, grazie a Dio, è sopravvissuta a tutte le difficoltà di quel periodo, ha resistito, si è rafforzata, ha affrontato il terrorismo interno ed esterno, ha preservato la sua economia, ha iniziato a svilupparsi e la sua capacità di difesa ha iniziato a migliorare. Abbiamo cercato di costruire relazioni con i principali Paesi dell’Occidente e con la NATO. Il messaggio era uno: smettiamo di essere nemici, viviamo insieme come amici, dialoghiamo, costruiamo la fiducia e, quindi, costruiamo la pace. Eravamo assolutamente sinceri, voglio sottolinearlo: comprendevamo bene la complessità di questo riavvicinamento, e ci siamo impegnati.
E cosa abbiamo ottenuto in risposta? In breve, abbiamo ottenuto un “no” a tutte le principali aree di possibile cooperazione. Abbiamo ottenuto una pressione sempre maggiore su di noi e la creazione di focolai di tensione vicino ai nostri confini. E qual è lo scopo di questa pressione? Qual è? Fare un po’ di pratica? Certo che no. L’obiettivo è rendere la Russia più vulnerabile. L’obiettivo è trasformare la Russia in uno strumento per il raggiungimento dei propri obiettivi geopolitici.
In verità, si tratta di una regola universale. Ciascuno viene trasformato nello strumento al fine di realizzare i propri obiettivi. E a coloro che non cedono a questa pressione, che non vogliono essere uno strumento di questo tipo, ecco che vengono imposte sanzioni, restrizioni economiche di ogni tipo, contro di essi vengono preparati e, se possibile, attuati colpi di stato e così via. E alla fine, se non sono comunque riusciti nel loro intento, l’obiettivo finale è lo stesso: distruggere, cancellare [gli altri] dalla mappa politica. Ma non è stato e mai sarà possibile attuare un simile scenario nei confronti della Russia.
Cos’altro volevo ancora aggiungere? La Russia non intende sfidare le élite occidentali. La Russia sta semplicemente difendendo il proprio diritto di esistere e di svilupparsi liberamente. Al contempo non abbiamo intenzione di diventare un nuovo egemone. La Russia non intende sostituire l’unipolarismo con il bipolarismo, il tripolarismo e così via, il dominio dell’Occidente con il dominio dell’Est, del Nord o del Sud. Ciò porterebbe inevitabilmente ad una nuova situazione di stallo.
E qui vorrei citare le parole del grande filosofo russo Nikolaj Yakovlevich Danilevskij, secondo cui il progresso non consiste nell’andare tutti in un’unica direzione, come alcuni dei nostri avversari ci spingono a fare – in tal caso il progresso cesserebbe presto, dice Danilevskij – ma nel “procedere su tutto il campo che costituisce l’attività storica dell’umanità, in tutte le direzioni”. E aggiunge anche che nessuna civiltà può vantarsi di rappresentare il punto più alto dello sviluppo.
Sono convinto che alla dittatura si possa contrapporre solo il libero sviluppo dei Paesi e dei popoli, alla degradazione degli individui [si possa opporre solo] l’amore per l’uomo come creatore, alla semplificazione primitiva e ai divieti la fioritura della complessità delle culture e delle tradizioni.
Il significato dell’attuale momento storico consiste nel fatto che davanti a tutte le civiltà, agli Stati e alle loro varie forme di associazione e integrazione si aprono realmente le possibilità di un proprio, democratico, originale percorso di sviluppo. E crediamo prima di tutto che il nuovo ordine mondiale debba basarsi sulla legge e sul diritto, [debba] essere libero, originale e giusto.
Di conseguenza, l’economia e il commercio mondiali devono diventare più equi e aperti. La Russia considera inevitabile la formazione di nuove piattaforme finanziarie internazionali, anche ai fini degli investimenti internazionali. Tali piattaforme dovrebbero essere al di fuori delle giurisdizioni nazionali, sicure, depoliticizzate, automatizzate e non dipendenti da un singolo centro di controllo. È possibile realizzare qualcosa del genere o no? Certo che lo è. Ci vorranno molti sforzi, gli sforzi congiunti di molti Paesi, ma si può fare.
Ciò escluderebbe la possibilità che si verifichino abusi all’interno della nuova infrastruttura finanziaria globale e consentirebbe di gestire in modo efficiente, redditizio e sicuro le transazioni internazionali senza il dollaro e le altre cosiddette valute di riserva. Tanto più che, usando il dollaro come arma, gli Stati Uniti e l’Occidente in generale hanno screditato l’istituzione delle riserve finanziarie internazionali. Prima le avevano indebolite per mezzo dall’inflazione del dollaro e dell’euro e poi – tsap-tsap – si sono intascati le nostre riserve estere.
Il passaggio alle valute nazionali prenderà attivamente slancio, inevitabilmente. Dipende, ovviamente, dalle condizioni degli emittenti di queste valute, dalle condizioni delle loro economie, ma si rafforzeranno e questo tipo di regolamenti diventerà gradualmente dominante. Questa è la logica della politica economica e finanziaria sovrana in un mondo multipolare.
Oggi i nuovi centri di sviluppo globale possiedono già tecnologie ed innovazioni scientifiche uniche in diversi campi e in molti settori possono competere con successo con le multinazionali occidentali.
E’ ovvio che abbiamo un interesse comune, piuttosto pragmatico, ad uno scambio scientifico e tecnologico equo e aperto. Insieme tutti traggono più vantaggio che da soli. I benefici dovrebbero andare alla maggioranza, e non a singole società iper-ricche.
Com’è la situazione odierna? Se l’Occidente vende ad altri Paesi farmaci o sementi, allora ordina di distruggere l’industria farmaceutica nazionale e l’agricoltura nazionali di questi Paesi – in pratica, tutto si riduce a questo. Se fornisce macchinari e attrezzature, allora distruggerà l’industria metalmeccanica locale. Quando ero Primo Ministro l’ho capito: non appena si apre il mercato ad un certo gruppo di materie prime, ecco che il produttore locale “va giù” e gli sarà pressoché impossibile rialzarsi. È così che si costruiscono le relazioni oggi. In questo modo si sequestrano mercati e risorse, si privano i Paesi del proprio potenziale tecnologico e scientifico. Questo non è progresso, ma schiavitù, riduzione delle economie a un livello primitivo.
Lo sviluppo tecnologico non dovrebbe esacerbare le disuguaglianze globali, ma ridurle. Questo è almeno il modo in cui la Russia ha tradizionalmente attuato la propria politica estera in campo tecnologico. Ad esempio, costruendo centrali nucleari in altri Stati, creiamo contemporaneamente centri di competenza, formiamo personale nazionale: creiamo un’industria, non solo un’impresa, ma un’intera industria. In sostanza, diamo agli altri Paesi l’opportunità di fare un vero passo avanti nello sviluppo scientifico e tecnologico, di ridurre le disuguaglianze e di portare il proprio settore energetico ad un nuovo livello di efficienza anche nel rispetto dell’ambiente.
Lo sottolineo ancora una volta: sovranità e sviluppo indipendente non implicano in alcun modo isolamento e autarchia, ma piuttosto una cooperazione attiva e reciprocamente vantaggiosa basata princìpi giusti ed equi.
Se la globalizzazione liberale è spersonalizzazione, imposizione del modello occidentale al mondo, l’integrazione, al contrario, consiste nel liberare il potenziale di ogni civiltà a beneficio della collettività, a beneficio del bene comune.
Se il globalismo è un diktat (perché alla fine si riduce a questo), al contrario l’integrazione consiste invece nell’elaborare strategie comuni che siano vantaggiose per tutti.
A questo proposito, la Russia ritiene che sia importante avviare più attivamente meccanismi volti a creare grandi spazi basati sull’interazione di Paesi vicini la cui economia, il cui sistema sociale, base di risorse e infrastrutture si completino a vicenda. Questi grandi spazi, in sostanza, costituiscono anche la base di un ordine mondiale multipolare – la base economica. Dal loro dialogo nasce la vera unità dell’umanità, che è molto più complessa, peculiare e sfaccettata rispetto alle idee semplicistiche di alcuni ideologi occidentali.
L’unità dell’umanità non si costruisce a suon di “fai come me”, “sii come noi”. Si forma tenendo conto e sulla base delle opinioni di tutti, rispettando l’identità di ogni società e nazione. Questo è il principio su cui può svilupparsi un’interazione a lungo termine in un mondo multipolare.
A tal proposito, vale forse la pena soffermarsi a pensare anche a come la struttura delle Nazioni Unite, compreso il suo Consiglio di Sicurezza, possa riflettere in misura maggiore la diversità delle regioni del mondo. Dopo tutto, il mondo di domani dipenderà dall’Asia, dall’Africa e dall’America Latina molto più di quanto si creda oggi, e una tale crescita dell’influenza di queste regioni è senza dubbio positiva.
Vi ricordo che la civiltà occidentale non è l’unica neanche nel nostro comune spazio eurasiatico. Peraltro, la maggior parte della popolazione si concentra proprio nella parte orientale dell’Eurasia, dove sono nate le più antiche civiltà dell’umanità.
Il valore e il significato dell’Eurasia consiste nel fatto che questo continente è un complesso autosufficiente, con gigantesche risorse di ogni tipo ed enormi possibilità. E quanto più ci adoperiamo per aumentare la connettività dell’Eurasia, per creare nuovi modi e forme di cooperazione, tanto più impressionanti saranno i nostri progressi.
Sono sicuro che il successo delle attività dell’Unione Economica Eurasiatica, la rapida crescita dell’autorità e dell’influenza dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, le iniziative su larga scala nell’ambito della One Belt, One Road, i piani di cooperazione multilaterale per la realizzazione del Corridoio di trasporto Nord-Sud e altri, tanti altri progetti in questa parte del mondo rappresentino l’inizio di una nuova era, una nuova fase dello sviluppo dell’Eurasia. I progetti di integrazione in questo caso non sono contraddittori, ma complementari – ovviamente se vengono sviluppati da paesi tra loro vicini nel proprio reciproco interesse, anziché venire promossi da forze esterne per dividere lo spazio eurasiatico e trasformarlo in una zona di confronto tra blocchi.
Parte naturale della Grande Eurasia potrebbe essere anche la sua estremità occidentale: l’Europa. Tuttavia, molti dei suoi leader sono ostacolati dalla convinzione che gli europei siano migliori degli altri, che non debbano quindi partecipare a qualsivoglia iniziativa su un piano di parità con gli altri. Per via di questa arroganza non si accorgono nemmeno di essere diventati già loro stessi la periferia di qualcun altro, di essersi trasformati in vassalli – e spesso senza diritto di parola.
Cari colleghi!
Il crollo dell’Unione Sovietica ha distrutto anche l’equilibrio delle forze geopolitiche. L’Occidente si è sentito vittorioso e ha proclamato un ordine mondiale unipolare in cui solo la sua volontà, la sua cultura e i suoi interessi avevano il diritto di esistere.
Ora la fase storica di dominio indiviso dell’Occidente sugli affari mondiali sta volgendo al termine, il mondo unipolare sta diventando un ricordo del passato. Ci troviamo di fronte ad un momento storico, in vista di quello che sarà forse il decennio più pericoloso, imprevedibile e allo stesso tempo importante dalla fine della Seconda guerra mondiale. L’Occidente non è in grado di gestire da solo l’umanità, ma sta disperatamente cercando di farlo e la maggior parte dei popoli del mondo non vuole più tollerarlo. Questa è la principale contraddizione della nuova era. Usando parole di altri tempi si può dire che la situazione è in qualche modo rivoluzionaria: le “classi superiori” non sono in grado, e le “classi inferiori” non vogliono più vivere in questo modo.
Questo stato di cose è carico di conflitti globali oppure di una catena di conflitti, il che rappresenta una minaccia per l’umanità, compreso lo stesso Occidente.
Cambiare le pietre miliari è un processo doloroso ma naturale ed inevitabile. Il futuro ordine mondiale sta prendendo forma sotto i nostri occhi. E in questo ordine mondiale dobbiamo ascoltare tutti, tenere conto di ogni punto di vista, di ogni nazione, società, cultura, di ogni sistema di visioni del mondo, idee e credenze religiose, senza imporre a nessuno un’unica verità, e solo su questa base, comprendendo la nostra responsabilità nei confronti del destino – il destino dei popoli, del pianeta – costruire la sinfonia della civiltà umana.
Su questo vorrei concludere ringraziandovi per la pazienza con cui avete ascoltato il mio intervento.
Grazie mille.