“Ricordare il futuro”
ott 22nd, 2022 | Di Thomas Munzner | Categoria: Primo Piano
“Ricordare il futuro”
di Salvatore Bravo
Ricordare un autore significa renderlo compagno di viaggio nel presente, solo in tal modo il suo pensiero può dispiegarsi verso ciò che verrà. Non si tratta di idolatrica venerazione, nulla è più distante dalla filosofia, ma di confronto dialettico e plastico. Pensare un autore è confliggere, discorrere, prendere le distanze da errori e posture ideologiche non condivisibili. Il nuovo ha il suo “humus” nell’incontro-scontro, si tratta di un urto fecondo dal quale possono emergere nuove prospettive. Nessun autore pensato “resta nell’astratto” della mente, pensare in filosofia è prassi critica, per cui il pensiero si concretizza nell’effettualità della storia ponendo un proficuo circolo dialettico.
L’attività del pensiero è intenzionalità significante, pertanto gli autori nascono a nuova vita nella razionalità che li accoglie. Siamo vicini al decennale della morte di Costanzo Preve, nel 2023 saranno dieci anni dalla sua morte. La morte di un autore non conclude il suo ciclo razionale, in quanto le sue idee possono germinare al sole della critica e della ricerca.
Le sue parole sono state un confronto aspro e profondo con il suo e il nostro tempo, ciò che ha scorto e ha anticipato con lo sguardo della filosofia è tra di noi. Non voglio, pertanto soffermarmi sui testi pubblicati o solo sull’analisi al capitalismo, ma, forse, è il caso di porre in atto un riorientamento gestaltico, cambiare prospettiva, palesare gli aspetti costruttivi presenti nella filosofia di Costanzo Preve attraverso le sue interviste. Queste ultime si connotano per la spontaneità colloquiale non disgiunta dalla chiarezza concettuale.
La filosofia non è solo “domandare profondo” che apre campi semantici di ricerca, ma è anche fatica della risposta.
La fatica del concetto è l’incontro tra domanda e risposta.
Vi sono nel pensiero previano ipotesi e abbozzi progettuali, con essi ci si deve confrontare. Si possono dischiudere spazi di discussione e riflessione che mancano nel nostro quotidiano segnato dal capitalismo nella sua fase integralista e annichilente.
Il non essere è il vuoto del logos, a tale mancanza dobbiamo rispondere con risposte che possano evidenziare la prassi della filosofia, la quale è prassi critica, ovvero processo di trasformazione, e questo non può che rendersi reale e concreto nel connubio domanda-risposta.
Lavoro e guerra
Il punto imprescindibile per Costanzo Preve è il lavoro, il quale non è riducibile a semplice produzione o reddito, ma è espressione dell’identità individuale e servizio alla comunità. L’hegelo-marxiano Costanzo Preve non può non mettere il dito-parola nella piaga del capitale. La svalutazione del lavoro a favore della finanza è giunta al punto che con l’euro nelle situazioni di crisi non potendo svalutare la moneta si deprezza il lavoro. I lavoratori sono merce di poco conto dinanzi al potere della finanza.
L’oligarchia ha svuotato la democrazia del suo senso, in quanto ha condotto una guerra contro il lavoro e i lavoratori. La svalutazione del lavoro coincide con lo stato di sussunzione dei lavoratori e delle classi medie da cui l’oligarchia astrae il lavoro vivo per renderlo astratto. I lavoratori sono i nuovi servi della gleba dominati nella mente e nel corpo:
“Ciò si presenta però in una situazione storica nuova, nella quale assistiamo al completo venir meno della sovranità monetaria dello stato nazionale e, pertanto, all’innesco di dinamiche finanziarie globalizzate non più controllabili. È una crisi di svalutazione del lavoro; essendosi l’Unione Europea basata sull’impossibilità di svalutare la moneta nazionale, in tempi di crisi si svaluta la moneta o il lavoro. O si svaluta la moneta, e questo rende possibile una maggiore concorrenzialità della moneta nazionale, come è stato per duecento anni in Europa, oppure si svaluta il lavoro. In questo momento si sta facendo questo. Ecco l’aspetto più noto della crisi per i lavoratori europei, particolarmente i giovani. Ma le cose che dico sono ben note a tutti. La causa strutturale è che con l’avvento della globalizzazione l’Europa non è in grado di sostenere il modello neo-liberale mantenendo le conquiste sociali del welfare state che hanno caratterizzato il Novecento europeo in tutte le sue varianti: comunista, fascista, socialdemocratica1”.
La guerra è l’altro volto dell’euro, in un mondo multipolare, l’Europa unita in nome dell’euro e fedele suddita degli Stati Uniti non può che cercare compulsivamente nuovi mercati e materie prime. Il primato nel controllo delle aree geopolitiche fondamentali non può che condurre al conflitto con la Russia, la Cina e le altre potenze emergenti. La globalizzazione ha reso il conflitto la normalità delle relazioni tra gli Stati e all’interno dei mercati, il micro e il macro sono l’espressione della stessa bellicosa sostanza: sfruttamento e plusvalore.
Nella lotta geopolitica per un presente ed un futuro a misura di essere umano, Costanzo Preve distingue le oligarchie dai popoli. L’avversione politica non è mai contro i popoli, è la finanza il pericolo. I popoli sono pedine all’interno dei giochi dei signori cosmopoliti. La chiarezza del nemico è la condizione per l’unità dei popoli nel comune obiettivo di abbattere i nuovi oligarchi globali. L’imperialismo della finanza è antiumanesimo militante, lo scopo è la colonizzazione dei popoli come dei singoli: occupazione violenza delle menti e dei territori per desertificare le differenze in nome dei diritti universali usati come arma contro i resistenti:
“L’euro è stata un’idea sbagliata, un azzardo. È un fallimento che non potrà trascinarsi a lungo e provocherà una divaricazione ancora più forte tra le due Europe, quella del centro-nord e quella del centro-sud. Altra conseguenza prevedibile è il peggioramento della situazione geopolitica in Medio Oriente, probabilmente con il tentativo di distruggere il governo della Siria di Assad e il governo dell’Iran. La tendenza alla guerra è evidente, ma questo non necessariamente comporta una vera e propria guerra come quella contro la Libia o la Serbia2”.
Il disordine mondiale foriero di guerre e tensioni è guidato dalla furia iconoclasta statunitense, la quale in nome della presunta superiorità etnico-culturale vorrebbe guidare le sorti del pianeta. L’ideologia puritano-protestante spogliata di ogni valore trascendente è divenuta la religione mondana della globalizzazione a guida anglofona. L’economicismo crematistico è il cuore della nuova missione divina, bisogna trasformare ogni popolo in produttore-consumatore. Nessuna identità deve sopravvivere alla furia omologante. La guerra coloniale e militare conduce dalla Terza guerra mondiale (guerra fredda) alla Quarta guerra mondiale (gobalizzazione) come verifichiamo nei nostri tristi e concitati giorni:
“Gli USA hanno vinto due guerre mondiali e la Guerra Fredda, o Terza Guerra Mondiale. Questa vittoria ha permesso di estendere il dominio sui Paesi dell’Europa dell’Est e adesso, con la cosiddetta Primavera Araba, fenomeno completamente occidentalizzante, anche in Medio Oriente. Queste sono due gigantesche vittorie geopolitiche. Non vi sono potenze avversarie e quelle emergenti (Brasile, Russia Cina e India) non hanno intenzione di opporsi in modo strategico. Molto pericolosa è l’ideologia che gli USA portano con sé, un’ideologia puritano-protestante, di origine veterotestamentaria, che li spinge a ritenersi il popolo eletto. Persino i non credenti si considerano parte di questo popolo, eletto dalla Storia e da Dio. È una concezione che si arroga il diritto di portare il bene del mondo attraverso gli interventi militari3”.
La missione degli Stati Uniti è annientare ogni comunità dalla famiglia alla patria, alla fine di questo processo di distruzione in nome dei soli diritti individuali non deve restare che l’individuo liquido senza legami comunitari, identitari e affettivi. L’opposizione attuale è comunità-individuo, da questa verità si deve partire per ipotizzare un’alternativa storicamente fondata alla bellicosa deriva nichilistica attuale.
Ogni “ismo” dev’essere rigettato, in quanto è veicolo di misologia e violenza. La comunità è il luogo dove sviluppare forme di partecipazione democratica, il pubblico è il centro della comunità, i cittadini sono chiamati ad esercitare il logos e il metron che ne consegue. La solidarietà fondata sulla natura umana comunitaria da “definire nella storia” è l’orizzonte verso cui muoversi, è il katecon alla deriva distruttiva individualista che reca la guerra dentro e fuori della comunità ridotta a immenso ipermercato dello spreco:
“Passando al cosiddetto “comunitarismo”, e ricordando ancora una volta che si tratta di un ismo di cui non faccio parte, bisogna distinguere storicamente il suo profilo vecchio ed il suo profilo nuovo. Il profilo vecchio, che ha contrapposto la comunità (Gemeinschaft) alla società (Gesellschaft), è ormai un pezzo archeologico da museo della storia delle ideologie in Europa, ed è legato al conflitto fra l’Inghilterra vittoriana e la Germania guglielmina, come Domenico Losurdo ha brillantemente mostrato in una serie di opere storiche. Il profilo nuovo, che non c’entra assolutamente più nulla con quello vecchio, ormai morto e sepolto, è legato alla dialettica fra individualismo e comunitarismo attuali, o più esattamente al tentativo dall’alto di imporre un individualismo anomico legato alle nuove modalità di consumo e di colonizzazione della vita quotidiana, ed alle resistenze dal basso contro queste strategie di imposizione. Dal momento che questo nuovo comunitarismo, che a differenza del vecchio non presenta più elementi apologetici della gerarchia e dell’organicismo, si struttura e si sviluppa sulla base di strategie e di tattiche di resistenza, inevitabilmente differenziate caso per caso, ne consegue che non c’è nessun bisogno che si cristallizzi un ismo dottrinario con annesse forme di copyright ideologico di identità e di appartenenza. È un’ennesima ragione per respingere, cortesemente ma con decisione, ogni etichettatura dottrinaria di “comunitarismo”. Ma questo non dovrei più ripeterlo, perché mi sembra ormai chiaro, almeno per chi vuole confrontarsi con me in modo non pregiudiziale o polemico a priori. Per quanto riguarda la presunta opposizione fra un essere sociale (società) ed un dover essere sociale (futura comunità solidale senza classi), dichiaro solennemente, da filosofo professionale, di respingerne la formulazione di tipo neokantiano (o se si vuole, bobbiano). È vero che Marx concepisce il comunismo in termini al 100% comunitari, o più esattamente comunitario-solidali, ma è anche vero che Marx, che si richiamava filosoficamente a Hegel e non certo a Kant (più esattamente alla dialettica hegeliana e non certo alle antinomie di Kant o alle dicotomie di Bobbio), riteneva che a questa comunità ideale del futuro non si sarebbe mai arrivati se non esistessero già qui ed ora, nel presente storico in cui viviamo, delle comunità di resistenza e di progetto4”.
Pensare per progettare
Elaborare un progetto politico che possa contenere le derive in atto non può che fare appello a un diverso modo di testimoniare la filosofia, la quale deve uscire dal politicamente corretto delle accademie per denunciare i conflitti e le contraddizioni. I lavoratori sono ridotti a rango di esercito di riserva, si incentiva la migrazione per poter tener basso il costo del lavoro e organizzare il conflitto orizzontale tra migranti e lavoratori precarizzati. La filosofia deve contribuire a neutralizzare l’ideologia guerrafondaia facendo cadere il velo dell’ignoranza, in modo che i lavoratori possano acquisire la coscienza di classe.
Non bisogna cadere nell’inganno del biopotere, filosofia popolare e organica al sistema, poiché affermando la circolarità del potere non distingue tra carnefici e vittime. Si rischia di porre sullo stesso piano la “manovalanza costretta all’esecuzione di mansioni di controllo” e gli oligarchi. La filosofia deve emancipare dalla fascinazione delle filosofie organiche al capitalismo:
“Gli ultimi venti anni io li vedo come una specie di orgia del capitale finanziario mondiale, liberato dalla presenza del comunismo novecentesco e dallo stato keynesiano. Questo ha portato a una finanziarizzazione dell’economia incredibile, il cui effetto principale è il lavoro flessibile e precario normale, la vera novità, perché non tocca più solo i vecchi artigiani, ma riguarda tutti; tutti sono esercito industriale di riserva. Naturalmente la corporazione universitaria non si è affatto occupata di questo, si è inventata la biopolitica, come se il problema non fosse il lavoro precario, ma il controllo poliziesco, alla Foucault. Si tratta di un pensiero alla fine del quale risulta che un maestro elementare e una guardia carceraria sono entrambi agenti della repressione: un altro tradimento dei chierici5”
L’ontologia dell’essere sociale è il fondamento metafisico della natura umana. L’essere umano per sua natura è autocoscienza, è relazione comunitaria nella storia con la quale diviene consapevole della sua singolarità concreta, poiché ogni singolarità presuppone la relazione con altre coscienze. Solo in tale cornice le potenzialità dei singoli, delle comunità e della storia possono essere attualizzate. Le potenzialità si sviluppano in un clima favorevole “all’umano”.
Non a caso il filosofo Jean-Luc Nancy ha fatto notare che in latino singolo esiste solo al plurale. Ogni essere umano senza la relazione è solo un atomo consegnato alla violenza del mercato e dell’alienazione che ne consegue:
“Nel mio libro Marx inattuale quando si parla di ontologia dell’essere sociale ci si riferisce alle caratteristiche strutturali dell’essere sociale, indipendentemente dal fatto che sia schiavistico, feudale o capitalistico. Significa considerarlo distinto dall’essere naturale. Quest’ultimo viene indagato dalle scienze della natura, ma cosa li distingue? L’autocoscienza. Mentre l’essere naturale ha una sua storia evolutiva ma non è caratterizzato dal passaggio dall’essere in sé all’essere per sé, l’essere sociale è caratterizzato dal passaggio dalla coscienza all’autocoscienza e questo deve essere messo al centro della filosofia. Ora, nella misura in cui il marxismo a partire da Engels fu fuorviato come Naturprozess e Naturgeschichte, era necessario restaurare l’ontologia dell’essere sociale come centro del marxismo stesso. Accettare tale ontologia significa rifiutare l’inevitabilità del passaggio al socialismo o al comunismo in quanto l’essere sociale, a differenza della natura, ha la possibilità di scegliere e quindi non ci può essere alcuna ineluttabilità nelle trasformazioni sociali, la scelta è sempre fondamentalmente non deterministica6”.
L’ontologia dell’essere sociale deve tradursi in prassi politica. La filosofia è attività comunitaria, Costanzo lo ha dimostrato nella sua Una nuova storia alternativa della filosofia, la filosofia non può astrarsi dalla realtà politica e storica, ma deve cambiare il mondo, deve contribuire alla sua trasformazione senza titanismo. Coerentemente con l’ontologia dell’essere sociale, e dunque con la comune natura sociale e solidale del soggetto umano Costanzo Preve indica tre principi non contrattabili su cui stabilire un progetto politico rispettoso dell’universale concreto che coniuga identità e comunità, uguaglianza e differenza, comunità e democrazia:
“La mia bussola di orientamento oggi si basa su tre parametri interconnessi:
a) il principio di eguaglianza massima possibile all’interno di un popolo su diritti, consumi, redditi, partecipazione alle decisioni. Centralità del tema dell’occupazione. Posto fisso preferibile al lavoro temporaneo, flessibile e precario. Diritti eguali agli immigrati (che non significa immigrazione incontrollata). Messa sotto controllo del capitale finanziario speculativo di ogni tipo. Preferenza del lavoro rispetto al capitale. Difesa della famiglia e della scuola pubblica;
b) il rifiuto del colonialismo e dell’imperialismo, che oggi hanno come aspetto principale l’impero USA ed in Medio Oriente il suo sacerdozio sionista, che utilizza per i suoi crimini il senso di colpa dell’Europa e dei suoi intellettuali rispetto al genocidio effettuato da Hitler, che ovviamente non mi sogno affatto di negare. Diritto assoluto alla lotta per la liberazione patriottica (lo stato nazionale esiste, eccome, ed è un bene e non un male, come dicono i seguaci di Negri e del Manifesto) per l’Iraq, l’Afghanistan e la Palestina. Appoggio a tutti i governi “sovranisti” indipendenti (Venezuela, Iran, Birmania, Corea del Nord, Bolivia, eccetera), il che non implica necessariamente l’approvazione di tutti i loro profili interni ed esteri;
c) considerazione dell’elemento geopolitico e rifiuto della sua virtuosa ed infantile rimozione. A differenza di Losurdo, non penso affatto che la Cina abbia una natura sociale “socialista”. Ma la appoggio egualmente, perché un equilibrio multipolare è preferibile ad un unico impero mondiale USA con vari vassalli (fra cui l’Italia è la più servile, con possibile eccezione di Panama e delle Isole Tonga,). Chi appoggia questa cose è per me dalla parte giusta. Se poi si dichiara di destra o di sinistra, questo è affare suo, della sua biografia politica e della sua privata percezione valoriale. Ma la percezione valoriale è un affare privato, come i gusti sessuali e letterari e la credenza o meno in un Dio creatore7”.
Per realizzare il programma comunitarista è necessaria la logica del movimento e non del partito. Il movimento si distingue dal partito, in quanto si caratterizza per una osmosi vertice-base. Il movimento deve connotarsi per la sua organizzazione diffusa sul territorio, non deve avere le chiusure lobbistiche dei partiti. I movimenti sono organismi vivi, sono forme di democrazia radicale in cui si impara la libertà e la socratica pratica del logos:
“Movimento” e non Partito, anche se ovviamente un movimento organizzato funziona poi come un partito, in quanto deve avere strutture di direzione chiare, riconoscibili, democraticamente elette e democraticamente revocabili. Questo non implica assolutamente “movimentismo”. L’opposizione astratta fra movimentismo e partitismo è pura metafisica scolastica. Tuttavia, linguisticamente, il termine “partito” indica maggiormente una “rappresentanza”, o di interessi economici o di missione storica (anzi, sovrastorica), mentre il termine “movimento” indica maggiormente una “attivazione” che intende favorire aggregazioni8”.
Preve filosofo della prassi
La partecipazione comunitaria dev’essere finalizzata a trascendere la “democrazia oligarchica” per concretizzare il comunitarismo democratico, a tal fine è necessario avere la chiarezza del nemico e, specialmente, bisogna imparare la resistenza. Non si impara a resistere e a pensare nell’individualismo spregiudicato del mercato, la possibilità c’è, ma è estremamente rara e difficile. L’essere umano necessita di relazioni positive e di comunità nelle quali sia riconosciuto nella propria differenza sul sostrato dell’universale comune.
Si impara a non sentirsi stranieri e monadi, ma a sentirsi razionalmente parte dell’universale mediante la famiglia, le istituzioni, la patria e l’umanità in un positivo crescendo dialettico. La consapevolezza della comune umanità motiva alla lotta: non ci si percepisce più come atomi impotenti, ma come umanità in cammino.
La resistenza si impara praticando il logos e ponendo all’esame della pubblica discussione l’atomismo nichilistico del capitalismo assoluto. Il comunitarismo è dialettica democratica, la quale non può che essere perennemente minacciata dagli oligarchi e dalle loro manipolazioni:
“(I) Resistenza alla dittatura oligarchica dell’economia capitalistica, senza un’imposizione contestuale di un solo profilo ideologico che dovrebbe fare da unico fondamento legittimo di questa resistenza,
(II) Resistenza all’attuale struttura imperialistica del mondo, di cui l’impero militare americano non è che l’odierno aspetto dominante, ma che certamente non è l’unico o quello cui bisogna ricondurre tutto,
(III) La scelta di tenersi integralmente fuori dal bipolarismo Ulivo-Polo, non per ragioni di. principio
astoriche eterne, ma sulla base di un giudizio politico determinato, che potrebbe anche essere modificato in futuro se cambiasse il panorama politico europeo e mondiale9”.
La filosofia è prassi critica, la resistenza è il concetto incarnato dalla storia dal cui rizoma germinano le potenzialità occultate dall’individualismo assoluto.
Lo scopo della filosofia nell’attuale congiuntura storica è l’elaborazione di un progetto anticapitalistico.
Il capitalismo è negazione della natura umana e del logos.
Il logos è la materializzazione della natura umana, esso è misura del necessario, esodo dalla distruttività dell’illimitato.
Il capitalismo assoluto espressione utilizzata da Costanzo Preve per definire l’attuale fase del capitalismo non implica l’ipostatizzazione del capitale e il trionfo del valore di scambio. L’espressione capitalismo assoluto denota il tentativo del capitale di eternizzarsi con la cultura dell’astratto e con l’assimilazione di ogni forma di vita e cultura all’interno del solo valore di scambio, al punto che il capitale non vede che se stesso, fino alla fanatica illusione di essere il punto finale della storia. Il capitalismo è inclusivo, non lascia nulla fuori di sé.
Progettare è conoscere filosoficamente il capitale, è organizzare la resistenza. Costanzo Preve è nel nostro presente, le sue analisi attendono le nostre risposte e il nostro impegno. I filosofi sono scomodi ed inquietano, in quanto ci rammentano il dovere di agire anche ad un passo dall’abisso, si è umani per questo.
Non fu oratore al capezzale del potere
Non fu un oratores al capezzale del potere, non raccolse le briciole che cadevano dalla tavola del dominio. Ha portato nel presente la filosofia quale attività politica autonoma. L’indipendenza del pensiero l’ha pagata con un volontario isolamento. Ha dimostrato che la possibilità di deviare dal politicamente corretto è realtà, se ci assume la responsabilità di testimoniare nel presente una tradizione millenaria senza mummificarla.
La filosofia del futuro, coerentemente con la sua storia migliore, dev’essere autonoma pur partecipando alla prassi del mondo, non può appiattirsi all’interno di una cornice ideologica. L’intellettuale organico non è mai libero, ma è al servizio dell’istituzione o del partito nei migliore dei casi, ma facilmente “il servizio ad una causa” può diventare “servitù volontaria o involontaria”.
Il filosofo deve conservare una carsica anarchia creativa che lo induce ad una distanza critica e costruttiva dalle trappole del potere. La filosofia deve denunciare le derive ideologiche e condurre verso la fatica del concetto con una inesauribile dialettica. Non fu un intellettuale secondo i canoni attuali, ed è l’eredità più rilevante che il filosofo ci consegna per il futuro:
“Con tutti i miei difetti soggettivi, psicologici e caratteriali, e con tutte le mie insufficienze oggettive, scientifiche e filosofiche, rivendico però a mio onore l’avere capito fino in fondo che l’autoidentificazione illusoria e fantasmatica con il gruppo sociale degli “intellettuali”, impegnati e/o organici che siano, non poteva che svilupparsi dialetticamente verso la rovina e l’autodissoluzione, che sono comunque sotto i nostri occhi (Veltroni, Sarkozy, eccetera). Gli intellettuali sono una forma moderna e postmoderna di clero, sia pure un clero non tenuto al celibato ma anzi invitato alla libera scopata postfamiliare. Eretico o ortodosso, giornalistico o universitario, celibe o scopatore, un clero rimane clero. Non dico che un clero non sia talvolta necessario. A volte lo è. Ma oggi il problema non è quello di aggregarsi per produrre collettivamente (inesistenti) profili ideologici articolati e sistematizzati per uso politico, ma di differenziarsi dai greggi esistenti per tentare di avanzare ipotesi teoriche radicalmente nuove. Questo è impossibile se si intende compatibilizzare l’avanzamento di questa ipotesi con l’appartenenza a gruppi intellettuali oggi esistenti, il cui conservatorismo è tale da produrre automaticamente l’esclusione del reo. Termino allora qui questa modesta autocertificazione. Il signor Costanzo Preve è stato a lungo un “intellettuale”, sia pure di seconda fila e non di prima. Ma oggi non lo è più, e chiede di essere giudicato non più sulla base di illusorie appartenenze di gruppo, ma sulla base esclusiva delle sue acquisizioni teoriche. E di queste cominceremo finalmente a parlare10”.
Il filosofo vive la pienezza della “dynamei on”, testimonia che la possibilità del logos e della buona vita è di tutti, ma nel filosofo è realtà vivente nel presente. Non detiene verità indiscutibili, ma è la consapevolezza che il presente non è tutto. Il capitalismo e l’individualismo assoluto sono forme storiche nelle cui pieghe e contraddizioni dolorose vi è un futuro a misura di essere umano.
Questo è stato Costanzo Preve con le sua umane imperfezioni e il coraggio di divertere dalla dittatura del politicamente corretto.
Il futuro non vive nella cancellazione del passato, ma nella continuità-discontinuità, bisogna discernere ciò che dobbiamo portare nel futuro da ciò che bisogna abbandonare. Costanzo Preve è punto di riferimento per questa operazione complessa e problematica di continuità-discontinuità.
Fondamentale, perché vi sia un futuro, è non segare l’albero su cui siamo seduti:
“Ragioniamo piuttosto sulla metafora del “ramo”, che solo uno sciocco segherebbe se c’è ancora seduto sopra. Ma siamo proprio sicuri che ci siamo ancora seduti sopra, o piuttosto siamo doloranti da tempo con il culo per terra? E poi, per continuare con la metafora del ramo, tenersi stretti ad un ramo che la corrente impetuosa trascina verso una cascata non è altrettanto stupido?
Io non penso che siamo seduti su di un ramo chiamato “marxismo”. Io penso invece che siamo bensì seduti, ma seduti su di un grande albero frondoso con profonde radici, che è l’albero della tradizione filosofica razionalistica e dialettica, che c’era prima di Marx e ci sarà dopo Marx, e di cui Marx è ancora un ramo fiorito mentre nell’essenziale il marxismo è già da tempo un ramo spezzato, e spezzato dalla storia, non da uno sciocco che ha deciso di segarlo. Le metafore non sono mai innocenti11”.
Sta a noi fare in modo che la fioritura e i rami continuino ad esserci: Costanzo Preve è ora uno dei rami su cui poggia il nostro futuro.