Invito allo straniamento: I. Costanzo Preve filosofo
mar 25th, 2022 | Di Thomas Munzner | Categoria: Contributi
Il libro della settimana: Alessandro Monchietto e Giacomo Pezzano (a cura di), Invito allo straniamento: I. Costanzo Preve filosofo, Editrice Petite Plaisance, Pistoia 2014, pp. 176, Euro 15,00.
Invito allo straniamento: I. Costanzo Preve filosofo, Editrice Petite Plaisance, curato da Alessandro Monchietto e Giacomo Pezzano va oltre l’opera di circostanza. Tra l’altro, si tratta di un volume pensato e scritto per celebrare i settant’anni di Preve e che purtroppo è uscito pochi giorni dopo la sua morte.
Come è noto, la filosofia, la vera filosofia si nutre di risvolti esistenziale e talvolta tragici. Si pensi alla prigionia e morte di Socrate, al rogo di Bruno, alla follia di Nietzsche, all’esecuzione di Gentile. E Preve? Il filosofo torinese, come scrivono Monchietto e Pezzano, pagherà con «il silenziamento», prima la sua presa di distanza da ogni “ismo”, soprattutto a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, poi la conseguente scelta di combattere « sempre come franco tiratore indipendente, seguendo la propria strada – in solitudine e coerenza – con grande determinazione e coraggio personale» (p. 12). Conducendo, ci permettiamo di aggiungere, un’ esistenza socratica, distinta - così lo ricordiamo – da una sobrietà , persino asciuttezza di modi, che gli veniva naturale. Per inciso, vividissimo, il ritratto di Preve, tracciato dai curatori: « I lampeggianti occhi castani, il capo canuto, il contrasto tra il suo fisico e la profonda intelligenza contribuivano insieme con il brio della sua conversazione, a dare di lui un’impressione indelebile» (p. 13).
Intanto perché «straniamento»? Non dal reale, ma necessariamente dall’apologia del reale come unico esistente possibile. Di qui, secondo i curatori, l’inveramento (per usare un termine, anche, delnociano) da parte di Preve, di alcuni pur notevoli pensatori suoi contemporanei: « Troviamo, rispetto a Virno, un deciso riferimento filosofico ai Greci, riferimento che àncora la sua proposta a un solido orizzonte fondativo e impedisce l’entusiasmo “postmoderno” per il concetto di moltitudine; rispetto a Nancy una profonda consapevolezza delle implicazioni geopolitiche e socio-economiche del superamento dell’organicità in direzione del sovra-nazionalismo; rispetto a Žižek uno straordinario tentativo di rileggere e interpretare l’intera storia del pensiero occidentale, e non solo, tramite il metodo della deduzione genetico-sociale; rispetto ad Esposito l’esigenza di pensare la comunità “concretamente” riferendosi al ruolo dissolutivo esercitato dalla crematistica e concepire la storia come processo fondato sulle potenzialità ontologiche dell’essere umano pur in mancanza di un origine e di un fine precostituiti» (p. 18).
Veniamo, ora, ai singoli interventi.
Veniamo, ora, ai singoli interventi.
Stefano Sissa scorge in Preve il filosofo politico per eccellenza, «in quanto per lui la verità filosofica è un sempre prodotto non arbitrario però, della vita associata» (p. 31). Inoltre, Preve è un «conservatore comunista, ossia […] un comunista comunitarista. Comunista perché si oppone al capitalismo […], comunitarista [perché] è per la conservazione dei legami preventivi del tessuto sociale, per il radicamento anche territoriale […] per i codici di dignità e onore che il mondo della tradizione custodiva: tutti fattori senza i quali ogni argine allo tsunami capitalistico diviene impensabile» (p. 38, i corsivi sono nel testo).
Giacomo Pezzano, autore di un eccellente excursus sulle radici classiche della teoresi previana, sottolinea « che nella prospettiva di Preve siamo tutti greci nel senso che la natura umana che ci caratterizza è proprio quella che la riflessione antica ha saputo cogliere e definire in maniera mirabile e che – con “l’aggiunta” moderno-idealista della storia come teatro dell’acquisizione progressiva da parte dell’intera umanità dall’autoconsapevolezza – rappresenta l’unico vero baluardo, oggi come ieri, per contrastare la crematistica (il capitalismo), denunciando l’alienazione cui sottopone la “vera essenza umana”, che è creatrice e “generica” (Gattungswesen) rinchiudendola “nella sola dimensione unilaterale della riproduzione capitalistica» (pp. 64-65, i corsivi sono nel testo).
Alessandro Volpe e Piotr Zygulski, autori di una densa disamina del concetto previano di verità, ritengono che per il filosofo torinese « la concretizzazione non può che avvenire storicamente: la verità – la natura umana, l’anima umana – non può essere collocata su un piano sottratto allo scorrere del tempo, altrimenti si presenterebbe eterna, immutabile e “rispecchiabile” geometricamente». Cosicché « proprio in merito a questo punto è possibile rintracciare lo spirito intimamente “hegeliano” della concezione di verità di Preve. Se, infatti, l’intera filosofia di Hegel può essere sintetizzata nella nota formula secondo cui il “ vero è l’intero” e questo “è soltanto l’essenza che si completa mediante il suo proprio sviluppo”, essa esprime anche il nodo fondamentale della proposta filosofica intrapresa da Preve: il ritorno a un’idea di totalità anche attraverso “un buon uso dell’Universalismo”, che tenga in considerazione la dialetticità dei rapporti sociali e dei fattori storici » (p. 78).
Dobbiamo invece a Diego Fusaro una tecnicamente impeccabile puntualizzazione dell’approccio previano, quale « deduzione sociale delle categorie del pensiero […], espressione mutuata da Alfred Sohn-Rethel» con la quale Preve « allude al fatto che i pensieri, le idee e, più in generale, il piano del simbolico deve geneticamente essere spiegato a partire dalla strutturazione storica della società anziché essere dedotto dai cieli della mera speculazione astratta» (p. 80). Saremmo così davanti a una sorta di geniale riequilibro tra «genesi e validità» delle idee che, a detta di Fusaro, sembra discendere in Preve da un «idealismo comunitario ispirato a Fichte, Hegel e Marx, oltre che naturalmente alla saggezza greca» (p. 95).
Andrea Bulgarelli si sofferma acutamente sull’interpretazione previana della contemporaneità passando in rassegna alcune questione concettuali sollevate dal filosofo (comunismo storico novecentesco, capitalismo assoluto, categorie di destra e sinistra, questioni geopolitiche, etica della resistenza e comunismo comunitario, solo per ricordarne alcune). Bulgarelli preconizza « che se mai potrà nascere una cultura altra rispetto a quella attuale, il pensiero di Costanzo Preve vi giocherà un ruolo, e che l’etica della resistenza potrà essere affiancata da un’etica alternativa al dominio della forma merce» (p. 115, il corsivo è nel testo).
Ammirevole lo sforzo di Giacomo Pezzano rivolto a condensare in poco più di una trentina di pagine le cinquecento di Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammmino Ontologico-sociale della filosofia ( Petite Plaisance 2013), magnum opus di Preve. Tra l’altro Pezzano trova spazio e tempo anche per battagliare con Locke e dialogare con Hegel. «Possiamo dire senza timore - osserva nelle conclusioni, citando da M. Mazzeo, Melanconia e rivoluzione (Editori Internazionali Riuniti 2012) – che il pensiero previano intimamente antiadattivo, spinge proprio “alla ricerca non solo di una descrizione del mondo ma anche del suo cambiamento”, a riconoscere che “ogni cosa è ciò che è, senza però arrendersi all’idea che non possa esser trasformata in un’altra cosa”» (p. 149, i corsivi sono nel testo).
Gli fa eco, Luca Grecchi, nella Postfazione, dove dopo aver ripercorso la storia del suo decennale rapporto intellettuale e umano con Preve, giustamente mostra di confidare nel fatto «che il tempo possa essere galantuomo nei confronti di Preve» perché siamo dinanzi a un pensatore, che a differenza di altri filosofi contemporanei dediti al bricolage teoretico, si è fatto portatore di un discorso « carico di senso e di valore» (pp. 158-159)..
Ora, alcune riflessioni finali.
In primo luogo, ricordiamo che a questo volume ne seguirà un altro dedicato alla ricostruzione del rapporto fra Preve Marx e il marxismo: aspetto non secondario, quello marxiano, quantitativamente importante in relazione al ruolo giocato dal filosofo di Treviri, visto che fino al 2002, come osserva Grecchi «la quota maggioritaria dell’opera di Preve era stata indirizzata alla interpretazione di Marx» (p. 154).
In secondo luogo, Invito allo straniamento non forza mai il pensiero filosofico previano, restituendolo ai lettori nella sua ricchezza e complessità. Senza ignorare quella tensione, insita nell’opera di Preve, tra le cose come sono e come invece dovrebbero essere, fattasi nel tempo sempre più stringente.
Perciò non ci spieghiamo - in terzo luogo - la sottovalutazione di alcune questioni, forse di sottotesto ma comunque presenti nell’opera di Preve (probabilmente, degli anni Duemila). Pensiamo in particolare al tema della decadenza e al problema dell’ordine sociale, problemi che Preve, pur rifiutando la ciclicità del divenire storico e sociale, in qualche misura avvertiva. E che ritroviamo, seppure fra le righe, in alcuni libri: L’ideocrazia imperiale americana (2004), Dove va la destra? Dove va la sinistra? (2004), Filosofia del presente (2004), Del buon uso dell’Universalismo (2005), Dove va la sinistra Il paradosso de Benoist (2006), Hegel antiutilitarista (2007). Ma su questi aspetti rinviamo alla nostra Introduzione a Del buon uso dell’Universalismo ( nostro titolo, generosamente accettato da Preve, in una tiepida serata romana, seduti ai tavoli all’aperto di una trattoria, sullo sfondo protettivo di Castel Sant’Angelo).
In quarto luogo, la questione dell’utilitarismo: ricorrente argomento di conversazione nei nostri incontri. E di divisione. Perché, chi scrive, riteneva e ritiene troppo appiattita, nonostante il recupero della crematistica aristotelica in chiave anticapitalista e procomunitarista, la posizione di Preve sul presunto antiutilitarismo di Marx ( tema sul quale, da buon lettore di Louis Dumont, avevo chiesto provocatoriamente a Preve un saggio per “Contra”, mai scritto purtroppo e che sicuramente, sospettiamo, sarebbe ruotato intorno all’idea di Gattungswesen ). Probabilmente, una ridefinzione dell’utilitarismo da appendice della anti-crematistica, ricostruita secondo una linea aristotelico-hegeliana-marxiana, a mentalità socioculturale trans-storica (in senso sorokiniano) dalle diverse sfaccettature (idealistica, passiva, cinica, pseudo-ideazionale) avrebbe costretto Preve a una riorganizzazione del suo pensiero, analiticamente basato sull’uso di categorie concettuale storicamente determinate, e non su categorie metapolitiche, nel senso di costanti storicamente ricorrenti.
Il che apre – in quinto luogo – una questione fondamentale: quella della riduzione di tutto il liberalismo ad appendice dell’utilitarismo e del capitalismo (quindi appendice due volte…). Scelta che implica il rischio di ridurre un fenomeno storico, altrettanto complesso come il marxismo, a pura e semplice caricatura. Certo, comprendiamo benissimo che il discorso previano, metodologicamente, si muove sul piano del rapporto tra categorie logiche e strutture sociali. E quindi a un livello teoreticamente molto alto: ontologico-sociale per l’appunto. Ma riflettiamo pure sui guasti provocati da libri come La Distruzione della ragione di Lukács, testo che mette bene in luce, purtroppo, la grande distanza, rispetto a un sociologo-filosofo della statura di Simmel, che separa il Lukács giovane da quello maturo (ma questa è un’altra storia… tra l’altro l’influenza di Simmel sul giovane Lukács, in termini di ontologia della dicotomia forma/contenuto era un altro degli argomenti di conversazione, sfociato in una promessa da parte di Preve di approfondimento…). Quindi, riassumendo, perché ignorare, sul piano sociologico il liberalismo politico antieconomicista di autori – solo per fare qualche nome – come Tocqueville, Mosca, Ferrero, Croce Weber, Ortega y Gasset, de Jouvenel, Aron, Berlin, Schumpeter, Freund?
Infine, in sesto e ultimo luogo, andrebbe approfondito - e qui ci ricolleghiamo alle questioni dell’ordine e della decadenza – il realismo politico che sembra segnare il pensiero previano. Certo si tratta di un realismo sempre tragicamente in tensione con il dover essere dell’idea. Si pensi però alla questione della “resistenza” al capitalismo assoluto, di terza generazione, basata su un assioma realista: il nemico del mio nemico e mio amico. Inoltre, si consideri anche la sua prudenza verso le forme di democrazia diretta, frutto maturo – crediamo – della consapevolezza, tutta politica, di Preve verso l’inevitabilità della stratificazione sociale e istituzionale. Ovviamente, le nostre sono pure e semplici ipotesi di lavoro che provengono da un umile sociologo digiuno di filosofia e forse troppo affamato di classificazioni.
Infine, in sesto e ultimo luogo, andrebbe approfondito - e qui ci ricolleghiamo alle questioni dell’ordine e della decadenza – il realismo politico che sembra segnare il pensiero previano. Certo si tratta di un realismo sempre tragicamente in tensione con il dover essere dell’idea. Si pensi però alla questione della “resistenza” al capitalismo assoluto, di terza generazione, basata su un assioma realista: il nemico del mio nemico e mio amico. Inoltre, si consideri anche la sua prudenza verso le forme di democrazia diretta, frutto maturo – crediamo – della consapevolezza, tutta politica, di Preve verso l’inevitabilità della stratificazione sociale e istituzionale. Ovviamente, le nostre sono pure e semplici ipotesi di lavoro che provengono da un umile sociologo digiuno di filosofia e forse troppo affamato di classificazioni.
In conclusione, un bel libro, scritto con scienza, amore e passione. Il che, di questi tempi, può fare certamente bene alla testa e all’anima dei lettori.
Carlo Gambescia