Alcuni osservazioni sui temi di mia competenza, ovvero quelli più direttamente sociologici.
1 ) Il capitalismo è, stante la sua logica profonda, costitutivamente privo di una qualsiasi etica. In astratto potrebbe possedere una morale (così riteneva Adam Smith – cfr. la sua “teoria dei sentimenti morali”), o, per meglio dire, fondarsi su individui morali. Nel concreto però la logica del capitalismo non sopporta alcuna morale, perché in tal caso saebbe comunque vincolato a un “metron”, ma allora cesserebbe di esistere. Il capitalismo non sopporta alcuna misura: lo dimostrò precocemente la crisi dei tulipani nell’Olanda del secolo XVII, lo dimostra la crisi attuale Le “bolle speculative” non sono degenerazioni, ma capitalismo al meglio della sua espressività. In generale, come ci racconta Weber: “La comunità di mercato come tale è la relazione di vita pratica più impersonalein cui gli uomini possono reciprocamente imbattersi… perché il mercato è orientato in modo specificamente oggettivo in base all’interesse per i benii di scambio e solo a questi. Dove il mercato è lasciato alla sua autonomia, conosce solo una considerazione delle cose, non delle persone, non doveri di fratellanza e devozione, non una delle relazioni umane originarie arrecate dalle comunità personali. Queste costituiscono tutte degli ostacoli allo sviluppo della nuda connessione di mercato… (Weber, “Economia e società, III, Comunità, Donzelli, 2005, p. 175).
2) La “speranza aristotelico-marxiana” può non essere negata, ma può essere benissimo destinata a restare tale. Perché il capitalismo dovrebbe produrre “contraddittoriamente” i suoi antagonisti? In Omaggio a Hegel? Ottemperando ad una qualsiasi “legge della storia”? Mah… Il capitalismo produce capitalisti (relativamente pochi) e lavoratori-consumatori (molti) connessi dalla (e connessi alla) stessa logica. Chi lo dice? Proprio Marx, ascoltiamolo: “man mano che la produzione capitalistica procede, si sviluppa una classe operaia che per educazione, tradizione, abutudine, riconosce come leggi naturali ovvie le esigenze di quel modo di produzione. L’organizzazione del processo capitalistico sviluppato spezza ogni resisteza… Per il corso ordinario delle cose l’operaio può rimanere affidato alle “leggi naturali della produzione”, cioè alla sua dipendenza dal capitale che nasce dalle stesse condizioni della produzione , e che viene garantita e perpetuata da esse” (Il capitale, I, Editori riuniti, 1989, p. 800). Dopo di che, solo i miracoli della dialettica (è la trappola geheliana in cui cadde proprio Marx) potyrebbero trasformare qualcuno in antagonista del capitale. In ogni caso non è accaduto, la classe operaia (non i lavoratori manuali) è scomparsa e non si vedono altri candidati all’antagonismo.
3) La globalizzazione esiste; è iscritta del DNA del capitalismo fin dalla prima costruzione dell’economia-mondo nel secolo XVI (Wallerstein, “Il sistema mondiale dell’economia moderna”, Il Mulino, 1974). In questo momento, miliardi di di dollari. megatonnellate di merci, centinaia di migliaia di uomini e donne stanno varcando un confine. In questo momento i centri R&S delle grandi imprese stanno progettando prodotti globali per loro natura: una playstation o “Avatar” di Cameron sono stati concepiti per un mercato planetario limitato soltanto, verso il basso, dalla capacità di mercato dei singoli. Lo stesso vale per Ipod. cellulari, pezzi musicali, libri di Dan Brown, ecc. Globale è anche il desiderio: i contadini poveri del terzo mondo (o ex tali) li vediamo all’opera nelle nostre città.:Dove l’integrazione ha successo, hanno esattamente gli stessi desideri e le stesse aspirazioni dei nostri fan di Vasco (peraltro, la cosa è del tutto legittima). Così, almeno, la mia esperienza mi insegna, e anche diverse ricerche.
4) Totalmente d’accordo sulla morte della borghesia e del proletariato, quanto meno come gruppi sociali (classi?) capaci di produrre una specifica Weltanschauung. Che la borghesia si sia suicidata o sia stata uccisa (col proletariato) dallo stesso mercato è invece questione da approfondire, anche se, personalmente, propendo più per l’omicidio che per il suicidio. Ma ho già rubato troppo spazio.
Alcuni osservazioni sui temi di mia competenza, ovvero quelli più direttamente sociologici.
1 ) Il capitalismo è, stante la sua logica profonda, costitutivamente privo di una qualsiasi etica. In astratto potrebbe possedere una morale (così riteneva Adam Smith – cfr. la sua “teoria dei sentimenti morali”), o, per meglio dire, fondarsi su individui morali. Nel concreto però la logica del capitalismo non sopporta alcuna morale, perché in tal caso saebbe comunque vincolato a un “metron”, ma allora cesserebbe di esistere. Il capitalismo non sopporta alcuna misura: lo dimostrò precocemente la crisi dei tulipani nell’Olanda del secolo XVII, lo dimostra la crisi attuale Le “bolle speculative” non sono degenerazioni, ma capitalismo al meglio della sua espressività. In generale, come ci racconta Weber: “La comunità di mercato come tale è la relazione di vita pratica più impersonalein cui gli uomini possono reciprocamente imbattersi… perché il mercato è orientato in modo specificamente oggettivo in base all’interesse per i benii di scambio e solo a questi. Dove il mercato è lasciato alla sua autonomia, conosce solo una considerazione delle cose, non delle persone, non doveri di fratellanza e devozione, non una delle relazioni umane originarie arrecate dalle comunità personali. Queste costituiscono tutte degli ostacoli allo sviluppo della nuda connessione di mercato… (Weber, “Economia e società, III, Comunità, Donzelli, 2005, p. 175).
2) La “speranza aristotelico-marxiana” può non essere negata, ma può essere benissimo destinata a restare tale. Perché il capitalismo dovrebbe produrre “contraddittoriamente” i suoi antagonisti? In Omaggio a Hegel? Ottemperando ad una qualsiasi “legge della storia”? Mah… Il capitalismo produce capitalisti (relativamente pochi) e lavoratori-consumatori (molti) connessi dalla (e connessi alla) stessa logica. Chi lo dice? Proprio Marx, ascoltiamolo: “man mano che la produzione capitalistica procede, si sviluppa una classe operaia che per educazione, tradizione, abutudine, riconosce come leggi naturali ovvie le esigenze di quel modo di produzione. L’organizzazione del processo capitalistico sviluppato spezza ogni resisteza… Per il corso ordinario delle cose l’operaio può rimanere affidato alle “leggi naturali della produzione”, cioè alla sua dipendenza dal capitale che nasce dalle stesse condizioni della produzione , e che viene garantita e perpetuata da esse” (Il capitale, I, Editori riuniti, 1989, p. 800). Dopo di che, solo i miracoli della dialettica (è la trappola geheliana in cui cadde proprio Marx) potyrebbero trasformare qualcuno in antagonista del capitale. In ogni caso non è accaduto, la classe operaia (non i lavoratori manuali) è scomparsa e non si vedono altri candidati all’antagonismo.
3) La globalizzazione esiste; è iscritta del DNA del capitalismo fin dalla prima costruzione dell’economia-mondo nel secolo XVI (Wallerstein, “Il sistema mondiale dell’economia moderna”, Il Mulino, 1974). In questo momento, miliardi di di dollari. megatonnellate di merci, centinaia di migliaia di uomini e donne stanno varcando un confine. In questo momento i centri R&S delle grandi imprese stanno progettando prodotti globali per loro natura: una playstation o “Avatar” di Cameron sono stati concepiti per un mercato planetario limitato soltanto, verso il basso, dalla capacità di mercato dei singoli. Lo stesso vale per Ipod. cellulari, pezzi musicali, libri di Dan Brown, ecc. Globale è anche il desiderio: i contadini poveri del terzo mondo (o ex tali) li vediamo all’opera nelle nostre città.:Dove l’integrazione ha successo, hanno esattamente gli stessi desideri e le stesse aspirazioni dei nostri fan di Vasco (peraltro, la cosa è del tutto legittima). Così, almeno, la mia esperienza mi insegna, e anche diverse ricerche.
4) Totalmente d’accordo sulla morte della borghesia e del proletariato, quanto meno come gruppi sociali (classi?) capaci di produrre una specifica Weltanschauung. Che la borghesia si sia suicidata o sia stata uccisa (col proletariato) dallo stesso mercato è invece questione da approfondire, anche se, personalmente, propendo più per l’omicidio che per il suicidio. Ma ho già rubato troppo spazio.
Leggo ora questo commento. Complimenti, sono osservazione acute ed interessanti. Mi piacerebbe capire meglio il riferimento alla dilettica hegeliana.