One down, two down, no bridge
mar 27th, 2010 | Di Pietro Garante | Categoria: Contributi, Politica internadi Pietro Garante
Nell’articolo precedente sulle amministrative francesi, al momento di fare i calcoli ho scambiato la percentuale degli astenuti con quella dei votanti. Me ne scuso, ma sono scherzi che capitano quando si lavora contemporaneamente su fronti diversi.
In realtà moltiplicando la percentuale dei voti per quella dei votanti, la percentuale dei consensi al probabile vincitore sarebbe stata ancora più bassa.
Ora abbiamo i risultati definitivi e lo scenario, nonostante i trionfalismi, non è cambiato: 51,2% dei votanti, 54,3% alla sinistra, 36,1% a Sarkozy, 8,7% al Fronte Nazionale, per un totale arrotondato di consensi, sugli aventi diritto, del 27,8% alla sinistra, del 18,5% a Sarkozy e del 4,45% agli xenofobi.
Nel gioco del bridge, quando uno va sotto di una presa rispetto a quelle che aveva dichiarato di fare in sede di contrattazione, si dice “Vabbè, può succedere”. Se va sotto di due si fa una smorfia, ma rientra ancora nelle possibilità ammesse. Se va sotto ancora di più si dice “No bridge”, nel duplice significato che l’accordo col partner era fallimentare e che il giocatore è una frana dal punto di vista del gioco in questione.
A franare qui è tutta una stagione politica, quella che nella nostra penisola è stata chiamata “Seconda Repubblica” pensando ad una italica specificità perché la nostra vera specificità, che è quella di guardarci esclusivamente il nostro ombelico, non permetteva di accorgerci che con stili a volte differenti era in definitiva quanto succedeva in altre parti d’Europa e del mondo, ecumenicamente, e in modo bipartisan.
Ma “the show must go on”; e si continua a far mostra di essere specificatamente sani o insani, come può essere sano o insano solo un popolo di santi, poeti e navigatori.
Gli organizzatori della manifestazione di Sabato scorso contro la privatizzazione dell’acqua – obiettivo sacrosanto – hanno sparato che in piazza eravamo in 200.000. Anch’io ero lì a manifestare e me lo sono visto tutto il corteo, dai gonfaloni dei comuni e lo striscione iniziale tenuto da Alex Zanotelli, ai cordoni di polizia finali: in realtà eravamo meno di 10.000. Da disprezzare? No, perbacco. Se l’obiettivo è sacrosanto, sono sacrosante anche le 10.000 persone che lo rivendicano.
E’ infantile e non serve a nulla, però, pensare che quell’obiettivo sacrosanto raccolga un consenso fuori dalla realtà: ci si fa del male da soli, perché non si vedono i rischi, non si vedono le lacune e soprattutto non si vede il lavoro politico da fare.
Nonostante lo sforzo organizzativo e il denaro profuso, anche la manifestazione del PDL pare che non abbia sortito l’adunata oceanica che gli organizzatori volevano: 1 milione secondo loro, 150.000 per la questura.
Oramai, passato il periodo in cui anche la geometria e la matematica erano questioni ideologiche, si è capito che bisogna moltiplicare i metri quadrati di una piazza o di un viale, per il numero massimo di persone che un metro quadrato può accogliere (4 per una piazza, molto meno per una strada che ospita un corteo). E la moltiplicazione è quella, non dipende dalla volontà o dai sogni politici degli organizzatori.
E’ allora importante la geometria? No, ancora una volta ciò che è importante è la politica. Ma, avvertiva Marx, gli uomini fanno la propria storia nelle condizioni che trovano di fronte. E con la geometria che hanno a disposizione, possiamo aggiungere. Per le piazze è quella euclidea e dice che i consensi franano anno dopo anno, che non basta un obiettivo sacrosanto per raddrizzare una politica fallimentare che varia dalla schizofrenia (difendo l’articolo 18 ma chiedo di votare per una che lo detesta e lo vorrebbe abolire – Emma Bonino; sono contro le guerre in Afghanistan e in Iraq, ma chiedo di votare per una che le giustifica; vado in piazza contro la privatizzazione dell’acqua ma appoggio una che quella privatizzazione l’ha approvata al Senato) all’opportunismo puro e semplice, per finire al collaborazionismo; e, soprattutto, una politica che è priva di una piattaforma sociale ed economica credibile e praticabile che possa creare quel blocco sociale in grado – non di abbattere, perché sarebbe infantile crederlo – ma di porre un argine agli strapoteri finanziari ed economici che ci stanno preparando un futuro molto buio.
Perché vedrete se tra poco, Berlusconi o non Berlusconi, non si ritireranno fuori i conti pubblici e altra compagnia contante assieme alle agenzie di rating governate dalle solite manine d’oltreoceano e alla governance economica europea, per privatizzare quel che resta dell’economia pubblica o mista – penso all’ENI -, per ridurre e privatizzare i servizi, alzare l’età pensionabile, ridurre le future pensioni, frenare i già frenatissimi salari, precarizzare ciò che ancora non è precario.
Abbiamo già visto questo film? Sì, l’abbiamo già visto, non molto tempo fa, ma magari la prossima stagione di lagrime e sangue sarà dipinta come un prezzo che dobbiamo necessariamente pagare per la deberlusconizzazione della nostra politica.
Finalmente l’Italia tornerebbe ad essere un paese normale. Dal canto nostro, noi saremo tutti in mutande viola ma, perbacco, tutti in tripudio: alè! Un po’ come quel carabiniere che tornava a vedere “Ben Hur” sperando che la corsa delle bighe quella volta la vincesse un altro.
great post as usual!