I “fatti di Aigues-Mortes” tra nazionalismo e socialismo

dic 10th, 2021 | Di | Categoria: Recensioni

 

pogrom italiani

I “fatti di Aigues-Mortes” tra nazionalismo e socialismo

di Marco Riformetti

Il presente contributo prende spunto da un’opera che lo studioso Enzo Barnabà ha dedicato ai cosiddetti “fatti di Aigues-Mortes” del 1893 (Barnaba [1994], Barnaba [2009]) che consistettero nel linciaggio di una decina di operai italiani emigrati in Francia. Si tratta di fatti abbastanza noti che al tempo ebbero vasta eco (almeno in Italia) ed il cui studio è certamente utile anche per sviluppare una riflessione sull’attualità e sulle conseguenze del nazionalismo.

 

Il contesto e i fatti in breve

Francia, fine ‘800. L’emigrazione italiana costituisce il 24% dell’intera emigrazione in Francia e circa lo 0,7% dell’intera popolazione presente sul suolo francese [1]. Gli italiani, come accade normalmente a tutte le comunità immigrate, sono concentrati in alcune aree del paese come il Midi – il Mezzogiorno – e il confine orientale.

L’emigrazione italiana in Francia è per la gran parte stagionale ed è alimentata da contadini che sono stati espulsi dalla ristrutturazione delle campagne del Nord Italia, ma non sono stati integrati nello sviluppo industriale. Sono giovani disposti per necessità a spostarsi da un luogo ad un altro e da un mestiere ad un altro, accettando spesso salari più bassi [2], vivendo in baracche e spezzandosi la schiena con giornate lavorative massacranti senza opporre che una scarsa resistenza alle richieste padronali; per questa ragione vengono spesso accusati di essere un fattore di indebolimento del movimento operaio autoctono.

In questo contesto lo sviluppo della solidarietà tra lavoratori francesi e lavoratori italiani è molto difficile ed ha buon gioco la propaganda nazionalista nel cercare di spingere i lavoratori francesi contro i lavoratori italiani e più in generale la Francia contro l’Italia, rea di aver sottoscritto un patto con Germania e Austria dalla chiara matrice anti-francese, la cosiddetta Triplice Alleanza.

Come vedremo, l’effetto della spinta nazionalista francese sarà quello di alimentare la speculare spinta nazionalista italiana.

Già da alcuni anni si susseguono gli attacchi contro gli immigrati e in particolare contro gli immigrati italiani, con scontri che avvengono in diverse parti della Francia; a Marsiglia, dove la comunità italiana costituisce più di un sesto della popolazione (Volpi [2011], pag. 28), già nel 1881 c’era stata una caccia all’italiano che aveva fatto 3 morti e numerosi feriti. Ad Aigues-Mortes il pogrom scatta il 17 agosto 1893 ma le aggressioni cominciano già il giorno 16, dopo che qualcuno ha diffuso ad arte la falsa notizia che 3 francesi sono stati uccisi dagli italiani; secondo le testimonianze, durante la sommossa qualcuno grida “abbasso Crispi” [3] e questo sembrerebbe a prima vista singolare (posto che in quel momento il Presidente del Consiglio italiano è Giolitti, non Crispi), ma assume invece un senso ben preciso se proviamo a supporre che colui che sta gridando sia animato soprattutto da una rabbia politica nazionalista verso gli italiani e in particolare verso chi, ben più di Giolitti, interpreta in senso anti-francese la politica estera italiana.

Il 17 si scatena una caccia all’uomo che non si fermerà neppure dopo la promessa che gli italiani saranno deportati e che prosegue con la parola d’ordine “morte agli italiani!”. E così sarà: una decina di lavoratori italiani verranno assassinati e molte altre decine feriti, anche gravemente.

Alla fine, tutti gli italiani saranno deportati e verrà impedito loro di tornare negli anni successivi; al processo (27-30 dicembre 1893) gli aggressori saranno sostanzialmente assolti (Barnaba [1994], pag. 74); evidentemente, nessun giudice francese è disposto a mettersi nella “scomoda” situazione di condannare altri francesi per le violenze inflitte agli odiati italiani.

Enzo Barnabà ricostruisce in modo approfondito la dinamica dei fatti e non ha senso ripercorrerla qui in dettaglio. Ci sono però una serie di elementi che meritano di essere evidenziati ed uno in particolare perché ha un certo impatto sulla lettura storica che possiamo dare.

Da alcune testimonianze [4] emerge che durante il periodo estivo (in cui si fa ricorso alla manodopera italiana) nelle saline di Aigues-Mortes l’attività è divisa in due fasi: nella prima fase – l’agglomeramento del sale (gamellage) – francesi e italiani sono pagati nello stesso modo (5 franchi al giorno) e dunque non c’è concorrenza (Barnaba [1994], pag. 37); invece, la seconda fase di trasporto (roulage“non è più pagata a giornata, ma a cottimo con tariffa unica” (ibidem, pag. 38).

Dunque, l’elemento che differenzia i salari dei lavoratori è quello del cottimo che, come si sa, è costituito da quella parte della retribuzione che viene calcolata in base alla quantità di prodotto “trattato” (in questo caso, trasportato). I lavoratori italiani sono in genere giovani e tendono a lavorare con maggiore intensità per capitalizzare il massimo risultato economico nella loro “trasferta” all’estero e quindi alla fine riescono a ottenere paghe complessivamente più alte rispetto ai lavoratori francesi.

Non c’è bisogno di dire quanto sia deleterio il sistema del cottimo per i lavoratori [5], ma bisogna tuttavia riconoscere che tale sistema non è stato introdotto alla fine dell’800 dai lavoratori autoctoni né da quelli stranieri, e tanto meno dagli emigranti italiani o di qualsiasi altra nazionalità, visto che esiste dagli albori del movimento operaio ed è stato largamente usato per lunghissimo tempo (in Italia almeno fino agli anni ‘70 [6] del ‘900).

Questo tema del cottimo è importante perché, come vedremo tra poco, la lettura diffusa degli emigranti italiani come fattore di concorrenza salariale al ribasso, se può essere vera in generale [7], probabilmente è vera solo in parte per Aigues-Mortes.

Ovviamente, si può dire che le paghe uguali per tutti fossero già calmierate dalla presenza dei lavoratori italiani; e c’è anche chi ha affermato che il cottimo fosse usato proprio a causa degli italiani che lo preferivano in quanto permetteva salari più alti. Si può dire (ed è stato detto) che tutti i mali del mondo del lavoro dipendono dall’arrivo degli immigrati, ad Aigues-Mortes e ovunque, ma è certamente molto più vero quello che dice Antonio Labriola

“al di sopra di Francia e d’Italia insieme, sta il sistema capitalistico tutto intero. […] Di tale sistema sono vittime, così i trucidati, che portano sul mercato del lavoro l’inferiorità del loro modo di vivere e l’urgenza dei loro bisogni, sì da essere sempre pronti a concorrere, come i trucidatori, che, ignoranti e passionali, rivolgono le loro ire e i loro attacchi non contro il sistema, ma contro i più maltrattati, i più avviliti, i più schiacciati dal sistema stesso” (Labriola [1954], pag. 71)

Le origini del pogrom di Aigues-Mortes devono essere ricercate, oltre la concorrenza tra lavoratori (che pure ovviamente esisteva), in un concorso di fattori che vanno dalle tensioni sociali derivanti da una situazione di crisi economica e di intenso sfruttamento del lavoro fino all’agitazione nazionalistica [7] e alla debolezza “culturale” del movimento dei lavoratori (le cui organizzazioni politiche e sindacali, nazionali e internazionali, stavano nascendo proprio in quegli anni).

Per certi aspetti è anche la tesi di Barnabà

“Nella zona mancava un’organizzazione in grado di sviluppare la coscienza di classe tra gli operai (autoctoni o immigrati che fossero)” (Barnabà [1954, pag. 65])

E che la confusione regnasse sovrana nella mente dei lavoratori francesi si evince anche dal fatto che durante l’attacco essi lanciavano contemporaneamente slogan nazionalisti e slogan “anarchici”, e che issavano contemporaneamente la bandiera tricolore e la bandiera rossa [9]. Un “ribellismo reazionario” che trovava la facile via del capro espiatorio piuttosto che quella, assai più ardua, della rivolta sociale e politica contro il capitale.

I fatti di Aigues-Mortes furono rapidamente accantonati in Francia, ma ebbero un impatto molto forte in Italia: in primo luogo perché le ampie manifestazioni di protesta che si svolsero furono duramente represse provocando morti, feriti, arresti…[10] e, in secondo luogo, perché concorsero alla caduta del Governo Giolitti e al ritorno di Francesco Crispi alla guida del Governo, il che ebbe tra i suoi effetti anche quello di una decisa virata in senso nazionalista della politica estera italiana.

 

La lettura dei socialisti italiani

I fatti di Aigues-Mortes sono una “tragedia del lavoro”, dice Antonio Labriola. Una tragedia, ovvero, che si consuma tra le fila dei lavoratori a causa della concorrenza che nasce tra poveri e più poveri. Ma questa concorrenza non è un fatto nuovo e lo stesso Karl Marx aveva già mostrato in alcune conferenze giovanili – ante litteram [11], potremmo dire – come la forza-lavoro sia a tutti gli effetti una merce e, in quanto tale, sottoposta alle leggi del mercato; una merce, dunque, che quando risulta sovrabbondante fa sorgere una competizione al ribasso del suo prezzo – il salario – ovvero una competizione tra i lavoratori per accaparrarsi l’opportunità di essere sfruttati

“Spinto dal bisogno, [il lavoratore] rende ancora più gravi gli effetti malefici della divisione del lavoro. Il risultato è il seguente: più egli lavora, meno salario riceve, e ciò per la semplice ragione che nella stessa misura in cui egli fa concorrenza ai suoi compagni di lavoro, egli si fa di questi compagni di lavoro altrettanti concorrenti, che si offrono alle stesse cattive condizioni alle quali egli si offre, perché, in ultima analisi, egli fa concorrenza a sé stesso, a sé stesso in quanto membro della classe operaia” (Marx [2006])

Perché è interessante il ragionamento di Marx? Perché egli vede la concorrenza tra i lavoratori non come un fatto dettato da una qualche particolarità nazionale o da una qualche specificità storica, ma come una tendenza inerente al modo di produzione capitalistico in sé e quindi come una condizione endemica con la quale si deve necessariamente fare i conti per tutta un’epoca.

Ed ecco il punto: non si elimina la concorrenza eliminando i lavoratori stranieri; al massimo, in casi particolari, la si rallenta. Ma ciò che davvero fa la differenza rispetto alle condizioni materiali dei lavoratori non è la “guerra tra poveri” ma la “guerra dei poveri” ovvero la lotta sociale e politica dei lavoratori contro il capitale, la costruzione e lo sviluppo delle organizzazioni politiche e sindacali del movimento operaio.

Di questo i socialisti sono consapevoli anche nel contesto di Aigues-Mortes

“Noi sappiamo che i nostri operai emigranti all’estero sono di non poco impaccio all’azione dei partiti socialistici, e di grave turbamento alla resistenza operaia nella linea strettamente economica dei salari. Noi perciò invitiamo le organizzazioni operaie straniere a studiare i modi e le vie per estendere la loro propaganda ed azione agl’immigranti italiani, perché questi divengano membri attivi del proletariato militante. E noi vi offriamo tutti gli aiuti di cui siamo capaci” (Labriola [1954], pag. 75)

Aigues-Mortes non è il semplice prodotto della concorrenza dei lavoratori italiani verso i lavoratori francesi; affermarlo significa istituire un nesso causale tra concorrenza e scontro che conduce più o meno consapevolmente ad una sorta di giustificazione della violenza xenofoba e nazionalista (e, per quello che si vedrà nella storia successiva, fascista).

Aigues-Mortes è davvero una “tragedia del lavoro”, un problema soprattutto interno al campo dei lavoratori francesi e italiani, incapaci di unirsi per essere, assieme, più forti contro la vera causa delle loro sofferenze.

Giustamente, pur riconoscendo che una certa disponibilità degli emigranti italiani ad accettare livelli di sfruttamento più alti poneva un grande problema, i socialisti erano consapevoli che questo problema avrebbe potuto trovare soluzione solo grazie ad una lotta economica sviluppata su basi internazionali e connotata da un forte spirito di solidarietà e di cooperazione.

 

Le lezioni della storia (di Aigues-Mortes)

Della storia si dice spesso che è “magistra vitae” ma forse bisognerebbe considerare questo motto più che altro come auspicio giacché in realtà ben raramente la storia viene presa a riferimento per non commettere errori già molte altre volte commessi.

Dal grande pogrom nazista del ‘900 contro gli oppositori politici e contro ebrei, zingari, slavi, omosessuali, disabili… fino alla persecuzione degli immigrati in tempi più recenti il vecchio e il nuovo millennio non hanno certo brillato nell’esser stati buoni allievi della storia.

Sarebbe indiscutibilmente scorretto paragonare la persecuzione nazista con il pogrom anti-italiano di Aigues-Mortes; ma è pur vero che esiste un importante elemento che questi due “momenti”, pur così diversi, condividono: la tendenza alla costruzione del caprio espiatorio e il ricorso a quella che appare la via più facile per risolvere le contraddizioni sociali. Non è affatto un caso che a soffiare sul fuoco ad Aigues-Mortes siano state pulsioni nazionalisteche non molti anni dopo si sarebbero trasformate in movimenti interventisti, fascisti, nazisti. In questo senso la tragedia di Aigues-Mortes non è solo “tragedia del lavoro”, ma è tragedia di tutti.

Come insegna George Mosse (Mosse [2009]) la “nazionalizzazione delle masse” è un fenomeno che abbraccia tutto l’800 per poi sfociare nella grande tragedia del ‘900. E se una cosa abbiamo imparato dal ‘900 (e non solo) è che il nazionalismo è sempre foriero di venti di guerra (e da questo punto di vista l’attuale rigurgito neo-nazionalista in Europa è di certo una pessima notizia).

Per capire i fatti di Aigues-Mortes è necessario evitare letture unilaterali.

È necessario rifiutare una lettura puramente economicista in cui domina la rabbia scaturita dalla concorrenza dei lavoratori italiani nei confronti di quelli francesi in una condizione di crisi; sembra a prima vista una lettura più “strutturalista” [12], più marxista, ma rischia invece di essere solo una lettura determinista, per quanto in certa misura avallata dalla stessa Seconda Internazionale che peraltro, proprio sul tema dell’internazionalismo, e non a caso, troverà la sua fine [13].

Ma è necessario anche rifiutare una lettura puramente ideologica che enfatizza eccessivamente il ruolo della propaganda nazionalista come spiegazione degli eventi e domandarci perché questa propaganda sia riuscita a dominare l’atteggiamento dei lavoratori francesi ad Aigues-Mortes ed anche una buona parte delle manifestazioni di protesta contro il massacro che si svolsero in Italia. Per quali ragioni in una situazione di crisi, di ignoranza, di povertà… il nazionalismo spesso funziona meglio dell’internazionalismo? La risposta la dà in un certo senso proprio Antonio Labriola quando spiega che l’internazionalismo è un obbiettivo da raggiungere [14] – e dunque, nell’immediato, non ancora raggiunto – mentre i sentimenti nazionalistici, regionalistici, campanilistici… hanno avuto un lunghissimo trascorso alle spalle.

Solo un approccio che sappia cogliere il legame dialettico tra la dimensione “strutturale” (situazione economica, situazione occupazionale, concorrenza tra lavoratori…) e la dimensione “sovra-strutturale” (propaganda nazionalista, debolezza politica e culturale del movimento operaio…) permette di affermare che l’esito di Aigues-Mortes non era inevitabile e che se i lavoratori francesi e italiani avessero potuto disporre di organizzazioni politiche e sociali capaci di indirizzare la rabbia verso il capitale e non verso altri lavoratori le cose sarebbero andate diversamente.

Il discorso di Labriola va in questa direzione: se i lavoratori italiani sono deboli e accettano ogni imposizione del padrone sta ai lavoratori francesi organizzarli in modo da renderli forti [15]. Ma si tratta di un compito arduo se è vero com’è vero che ancora oggi siamo alle prese con le stesse dinamiche di Aigues-Mortes.


Bibliografia
BARNABÀ E. (1994), Aigues-Mortes 1893. Il massacro degli operai italiani, Introduzione di Alessandro Natta, Edit Service, Torino, 1994.
BARNABÀ E. (2008), Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Introduzione di Alessandro Natta, Prefazione di Gian Antonio Stella, Infinito Edizioni, 2008.
DEL CARRIA R. (1970),Proletari senza rivoluzione. Storia delle classi subalterne italiane dal 1860 al 1950, Vol. I, Edizioni Oriente, Milano, 1960
LABRIOLA A. (1954), Ancora sui fatti di Aigues-Mortes, dalla Capitale di Roma del 10 novembre 1893 e ripubblicato in Scritti vari, cit. Lettera ad un socialista italiano di Parigi, in Democrazia e socialismo in Italia, a cura di L. Cafagna, Cooperativa del libro popolare, Milano 1954.
MARX K. (2006), Lavoro salariato e capitale, Editori Riuniti, 2006.
MARX K. (1970), Il Capitale, Libro I, Traduzione di Delio Cantimori, Introduzione di Maurice Dobb, Einaudi, Torino, 1970.
MOSSE G. (2009), La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1815-1933), il Mulino, Bologna, 2009.
NOIRIEL G. (2010), Le massacre des Italiens. Aigues-Mortes, 17 août 1893, Fayard, Paris.
SANNA G. (2006), Gli immigrati italiani in Francia alla fine dell’Ottocento e il massacro di Aigues Mortes, Studi Storici , Jan. – Mar., 2006, Anno 47, No. 1 (Jan. – Mar., 2006), pp. 185-218, Fondazione Istituto Gramsci.
VOLPI A. (2011), Migrazioni. Un motore dello sviluppo economico in Italia, Edizioni Firenze, 2011.

Note
[1] 38 milioni di francesi più circa 1 milione e 200 mila stranieri di cui 300.000 italiani.
[2] cnche se, come vedremo, non sembra essere questo il caso di Aigues-Mortes.
[3] ASMAE, s. Z Contenzioso, b. 128, Verbali delle deposizioni di 49 operai italiani profughi di Aigues Mortes, raccolti dal 18 agosto al 15 settembre, Marsiglia 1893, in Satta [2010].
[4] In particolare dalla testimonianza di un operaio pavese, Salvatore Gatti, intervistato da “Il Secolo XIX” pochissimi giorni dopo i fatti.
[5] Per Marx [1970] il cottimo costituisce addirittura il sistema preferito dai capitalisti.
[6] In forme meno esplicite il cottimo sta persino tornando, da alcuni anni a questa parte.
[7] Perché è evidente che le imprese ricorrono alla forza-lavoro straniera in quanto è più vantaggiosa, da diversi punti di vista, rispetto al fine di realizzare profitti.
[8] “…preoccupante ascesa del nazionalismo, che aveva visto l’irrompere nello scenario politico del generale Boulanger e l’esaltazione del sentimento di appartenenza alla ‘nazione’ Francia sfociato nell’affaire Dreyfus che scosse e divise il paese per molti anni” (Sanna [2010])
[9] Le grida di Vive L’armée si coniugarono con quelli di Fourmies, la bandiera rossa con il tricolore nazionale, il canto della Marsigliese con l’esaltazione di Ravachol” (Barnabà [1954], pag. 65)
[10] Secondo una lettura “ottimistica” (Del Carria [1970], pag. 242) le manifestazioni di protesta che si svolsero in diverse città italiane a seguito dei fatti di Aigues-Mortes nacquero come manifestazioni nazionaliste anti-francesi, ma si trasformarono ben presto in manifestazioni sociali anti-statali (sebbene Del Carria arruoli nel novero della “ribellione” “di classe” l’attacco ai negozi o alle imprese francesi).
[11] In quanto il termine “forza-lavoro” sarebbe stato introdotto solo successivamente a queste conferenze.
[12] Perché sembra mettere al centro le dinamiche della struttura economico-sociale a discapito di quelle della sovrastruttura politico-culturale.
[13] In sostanza, in occasione del voto sui cosiddetti “crediti di guerra” nella Prima Guerra Mondiale.
[14] L’Internazionale dei Lavoratori è una tendenza, che si svolge fatalmente dai contrasti e dalle contraddizioni del presente sistema economico” in Labriola [1954], pag. 72.
[15] Compito non facile dal momento che un certo nazionalismo serpeggiava anche tra le fila dei socialisti: “la question des etrangers iniziava ad emergere, e lo stesso Jules Guesde, mettendo da parte la solidarietà internazionale, dai suoi editoriali del Cri du peuple gridava all’invasione dei barbares e dei nuovi Sarrasins” (Cfr. J. Cubero, Nationalistes et étrangers. Le massacre d’Algues Mortes, Paris, Editions Imago, 1996, in Sanna [2010])

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