Il futuro come merce: Luciano Gallino e la critica del finanzcapitalismo
nov 18th, 2021 | Di Thomas Munzner | Categoria: Cultura e societàIl futuro come merce: Luciano Gallino e la critica del finanzcapitalismo
di Riccardo Barbero
Negli ultimi anni del suo lavoro di studioso Luciano Gallino ha scritto tre libri sul tema della finanza speculativa: nel 2011 Finanzcapitalismo, in cui fin dal titolo ha coniato questo neologismo che ha avuto fortuna, nel 2013 Il colpo di Stato di banche e governi, e due anni dopo, qualche mese prima di lasciarci, Il denaro, il debito e la doppia crisi, indirizzato ai suoi nipoti.
1. La critica alla finanziarizzazione che Gallino sviluppa può essere messa in relazione con due aspetti importanti: la crisi ambientale e il processo di svalorizzazione del lavoro. Il motore della finanziarizzazione dell’inquinamento ambientale venne creato dal Protocollo di Kyoto del 1997, entrato in vigore nel 2005 e prorogato fino alla fine del 2020. L’idea di fare delle emissioni un commercio, riguardante soprattutto la CO2, nasce dallo squilibrio esistente fra i paesi che, in rapporto alla popolazione e al grado di industrializzazione, inquinano tanto e quelli che inquinano poco. Il Protocollo di Kyoto ha fissato un valore massimo per le emissioni di CO2 consentite entro una certa data, differente per ciascun paese. Un paese inquinatore, ovvero la sua industria, aveva quindi la scelta fra investire molto, anche in termini di tempo, allo scopo di ridurre le emissioni mediante tecnologie appropriate per portarle al limite stabilito, oppure “comprare” certificati autorizzanti l’emissione di tot tonnellate/anno di CO2 da un altro paese che era al di sotto del limite fissato dal Protocollo. In questo modo si sono viste compagnie aeree e fabbriche di SUV pubblicizzare la loro “lotta al cambiamento climatico”. È stato – scrive Gallino – come riproporre la vendita delle indulgenze del Medioevo.
Ma oltre a questi “carbon offset” la finanza ha influenzato anche indirettamente il degrado ambientale perché ha, nei fatti, impedito che una rilevante massa di capitali fosse indirizzata a risanare l’ambiente, ridurre l’inquinamento e modificare il modo di produzione, per alimentare invece attività puramente speculative. La finanza ha anche influenzato pesantemente il processo di svalorizzazione del lavoro. Si prenda ad esempio il cosiddetto modello Walmart. Walmart è la più grande catena di distribuzione commerciale nel mondo. Il suo modello si basa su bassi salari per i dipendenti, bassi prezzi delle merci, prodotte con salari ancora più bassi in paesi in cui è avvenuta la delocalizzazione. Detto così sembrerebbe un modello “depressivo” e verrebbe da chiedersi come sia possibile sostenere la domanda per beni durevoli (la casa innanzi tutto, ma anche l’automobile). La risposta è semplice: attraverso il ricorso al debito. Così negli USA e in molti altri paesi il debito privato è diventato elevatissimo. L’indebitamento delle famiglie obbliga ad aumentare le ore di lavoro: si calcola che negli USA l’indebitamento delle famiglie nel periodo 1980-2000 abbia determinato un aumento di 25-30 ore di lavoro settimanale per famiglia. E l’indebitamento privato costituisce una formidabile spinta alla crescita incontrollata e acefala – così la definisce Gallino – dei consumi. Un altro caso di connessione tra finanziarizzazione e svalorizzazione del lavoro è il modello delle piattaforme digitali (Amazon, Uber e le tante piattaforme di delivery): esse sono una “fortunata” combinazione di innovazione tecnologica, lavoro servile (come quello dei ciclofattorini) e finanziamento speculativo. Consideriamo, ad esempio, una piattaforma come UBER: nei suoi primi anni di vita non è mai stata in attivo, ma ha avuto valori di borsa altissimi, perché il mercato finanziario si aspettava un grande sviluppo di questo tipo di imprese. Per approfondire la natura di queste piattaforme digitali cfr. https://volerelaluna.it/talpe/2021/07/02/i-diritti-dei-rider/. Un paragone storico può rendere ancora più evidente la situazione attuale: nei primi anni del ‘900 si realizzò un forte flusso di capitali verso la città di Torino dove stavano sorgendo le prime fabbriche italiane di automobili. La FIAT era una tra queste. C’era evidentemente un’attesa di profitto perché i capitalisti si rendevano conto che quel prodotto, allora rivolto solo ai ceti più danarosi, avrebbe permesso un significativo sviluppo produttivo.
2. Ma cos’è più precisamente la finanziarizzazione dell’economia? Gallino la definisce così: «La finanziarizzazione è un gigantesco progetto per generare denaro mediante denaro, riducendo al minimo la fase intermedia della produzione di merce». Essa non è quindi rappresentabile mediante la più nota formula marxiana D – M – D’ (trasformazione di denaro in merce e ritrasformazione di merce in denaro), ma con quest’altra D – D’, peraltro anch’essa trattata da Marx nel terzo libro del Capitale. Il capitalismo finanziario – dice Gallino – vende una particolare merce: il futuro. Così – possiamo aggiungere noi – sta vendendo il futuro della società e dell’ambiente, per fare enormi utili nel presente. La vendita del futuro esiste naturalmente da secoli e ha sempre avuto la sua massima espressione nel credito bancario. Esso veniva concesso fin dalle origini per finanziare commerci o produzioni di merci. Oggi la maggior parte del credito, concesso in misura sproporzionata dalle banche tra l’ultimo ventennio del Novecento e i primi anni Duemila, ha poco a che fare con tale finalità. Per la maggior parte – il 70% è una stima attendibile – il credito concesso dalle banche non è utilizzato per l’avvio di attività produttive nell’economia reale, ma piuttosto per acquistare titoli di vario genere o altri prodotti finanziari. Quando è iniziato questo processo di finanziarizzazione dell’economia? Esso prende avvio con la crisi della seconda metà degli anni ’70, caratterizzata dalla cosiddetta stagflazione, cioè da una stagnazione, successiva anche alla crisi petrolifera del 1973, accompagnata da un’inflazione rilevante, determinata dall’aumento del costo del petrolio, ma anche dalla crescita del costo del lavoro, a causa di un forte ciclo di lotte dei lavoratori. La svolta neoliberista di Thatcher e Reagan coincide, dunque, con l’avvio della finanziarizzazione dell’economia; Reagan prima (anni ’80) e Clinton poi (anni ’90), in assoluta continuità, aboliscono la legge bancaria Glass Steagall Act del 1933 che, proprio perché successiva alla crisi finanziaria del 1929, separava le banche ordinarie da quelle d’affari e poneva una serie di limiti alla produzione di denaro da parte degli istituti finanziari. Spesso, soprattutto a sinistra, si è letta la svolta neoliberista degli anni ’80, essenzialmente come un attacco alle conquiste dei lavoratori e dei sindacati; molto meno si è capito che essa è stata anche una netta riconversione del sistema capitalistico in una logica di finanziarizzazione. Negli stessi tempi in Italia (1981) Beniamino Andreatta, all’epoca ministro del Tesoro, e Carlo Azeglio Ciampi, governatore di Bankitalia, vietarono alla Banca d’Italia di acquistare i titoli pubblici di debito (Bot, Certificati del Tesoro ecc.) rimasti invenduti alle aste periodiche dei medesimi. Fino ad allora l’acquisto da parte della banca centrale dei titoli pubblici di debito residui aveva permesso di tenere bassi gli interessi: con il divieto d’acquisto questi iniziarono a salire rapidamente, perché il mercato richiedeva ovviamente quell’aumento per sottoscrivere l’invenduto. Nel 1981 il rapporto tra debito pubblico e PIL era del 60% e profeticamente rispettava i vincoli che sarebbero stati inseriti circa dieci anni dopo nel trattato di Maastricht. Come sappiamo oggi nessun paese europeo rispetta quel limite. Nel 2020 mediamente in Europa il rapporto è salito al 90%; in Italia al 156%, ma fin dagli anni ’80 esso si è collocato rapidamente al di sopra del 100%.
3. Spesso gli ambienti economici e governativi ci ammoniscono sulla necessità di non ostacolare la crescita e lo sviluppo: ma di quale crescita e sviluppo stanno parlando? Dagli anni ’80 lo sviluppo e la crescita, che tanto viene lodata e che non si vuole assolutamente interrompere, è sostanzialmente finanziaria. Nel 2010 – scrive Gallino – la commercializzazione del futuro come merce corrispondeva a 20 volte l’insieme della ricchezza prodotta dal mondo intero in quell’anno. Nel 2020, raggruppando le multinazionali per settori in base al fatturato, si nota che il 22% si occupa di commercio e trasporti, il 21% di finanza e assicurazioni, l’11% di energia e petrolio, il 10% di elettronica e computer, l’8% di autoveicoli. Si noti come settori importanti, come quello dell’energia e del petrolio o quello dell’elettronica, rappresentino all’incirca la metà del fatturato del settore finanziario; e si osservi anche come il settore degli autoveicoli, che è stato trainante per una lunga fase dello sviluppo postbellico (i famosi trent’anni gloriosi), sia ormai marginale. Questi cinque settori, inoltre, rappresentano complessivamente i tre quarti del fatturato globale delle multinazionali (cfr. https://volerelaluna.it/materiali/2021/10/29/la-crescita-del-potere-delle-multinazionali-2/). Il processo di finanziarizzazione ha investito direttamente anche la stessa industria; al punto che – dice Gallino – si può parlare di banche che occasionalmente producono automobili. Tutto accade – ci racconta – perché gli investitori sono diventati impazienti: questa sua affermazione si spiega, forse, anche con la sua attività lavorativa in Olivetti. In quel caso, infatti, la famiglia proprietaria – da Camillo, ad Adriano, fino a Roberto – ha sempre scelto di investire una buona parte degli utili per far crescere la propria azienda. Prevaleva, dunque, nella famiglia Olivetti un’etica del capitalista innovatore, che sapeva avere pazienza nel raccogliere i risultati del proprio impegno finanziario. Oggi, invece, l’investitore vuole ottenere rapidamente utili consistenti: per questo servono manager impegnati soprattutto a remunerare gli azionisti. È famoso il caso della IBM, che per un lungo periodo ha speso 10 miliardi di dollari all’anno per tenere alto il valore del proprio titolo, acquistando proprie azioni sul mercato. Per valorizzare i titoli azionari sono anche utili relazioni trimestrali di cassa ottimistiche e tendenzialmente gonfiate per convincere gli analisti di borsa. E questi ultimi sono poi anche sensibili alle operazioni di fusione e acquisizione M&A (mergers and acquisitions) che fanno presagire possibili crescite e sviluppi su nuovi mercati. Ecco perché i manager conquistano retribuzioni stellari accompagnate spesso da stock options, cioè dalla possibilità agevolata di diventare azionisti della stessa azienda che amministrano. Possono ottenere anche delle stock grant: cioè delle azioni acquistabili sempre in forma agevolata in cambio della permanenza per un certo periodo di tempo all’interno della società. A Torino fischiano le orecchie a leggere queste affermazioni di Gallino: banche che producono occasionalmente auto, azionisti impazienti e rapaci, abili manager che fanno fusioni e acquisizioni e ricevono grandi retribuzioni. È la descrizione dell’evoluzione della FIAT sotto la regia di Sergio Marchionne. Sappiamo come è finita: con il ridimensionamento e la liquidazione degli impianti produttivi italiani.
4. Ma per completare il quadro possiamo aggiungere altri dati che Gallino non ha fatto a tempo a raccogliere. Si è detto di manager strapagati che diventano azionisti delle aziende che dirigono. Ma c’è anche il caso opposto: quello di azionisti impazienti e rapaci che diventano manager delle aziende che possiedono. Un esempio è quello di John Elkann: come azionista egli controlla il 60% della società “Dicembre”, mentre il restante 40% è diviso tra suo fratello e sua sorella. “Dicembre” possiede il 38% della società Giovanni Agnelli, che ha in portafoglio il 53% di Exor. Quest’ultima è una finanziaria che gestisce la partecipazione azionaria in Stellantis (tra cui la ex FCA), Ferrari, Cnh Industrial (tra cui Iveco), il gruppo assicurativo PartnerRe, Juventus, Gedi (tra cui La Stampa, Repubblica, Radio Capital, Radio dj) e il settimanale inglese The Economist. John Elkann è presidente e amministratore delegato di Exor; ma è anche presidente di Stellantis e di Ferrari, nonché consigliere d’amministrazione di FCA. Per tutti questi incarichi riceve naturalmente delle retribuzioni stellari, ma può usufruire anche di stock options e addirittura di stock grant, mentre continua a raccogliere i dividendi sulle azioni che possiede. Si stima che nell’ultimo decennio abbia guadagnato con questi incarichi nelle imprese circa il doppio di quello che ha incassato come azionista. Si tratta evidentemente di un esempio paradigmatico di voracità. Vediamo ora come le banche creino danaro dal nulla. Vi sono diverse modalità. Analizziamo brevemente le principali:
- cartolarizzazione: il credito concesso da una banca raddoppia il denaro in circolazione perché quel titolo (appoggiato da un attivo) diviene immediatamente negoziabile sul mercato;
- titoli e titoli strutturati: grazie a internet, molti titoli possono venire venduti o acquistati, ossia trasformati in denaro “pieno” in un istante; i Cdo (Collateralized Debt Obligation), pacchetti di obbligazioni (generalmente nell’ordine del miliardo di euro) aventi per collaterali dei debiti;
- derivati: circa 3000 tipi diversi, al 99% “nudi” cioè senza appoggio su oggetti reali; famosi quelli sulle case che hanno fatto scoppiare la bolla immobiliare nel 2008 negli USA. Ecco cosa accadeva: un lavoratore, per esempio un dipendente della Walmart, non disponendo di liquidi sufficienti, contraeva un mutuo in banca per acquistare la casa. Poiché il mercato immobiliare era in forte crescita, la sua casa acquistava rapidamente un maggior valore di mercato; sulla base di questo maggior valore la banca offriva al lavoratore un altro prestito per acquistare altri beni durevoli come l’auto. Sappiamo come finì: la bolla speculativa immobiliare scoppiò e le famiglie si ritrovarono senza casa e senza auto, piene di debiti, mentre le banche accumularono un’enorme massa di crediti inesigibili. I derivati si fondano quindi su una sorta di scommessa: quelli sulla casa, ad esempio, scommettevano sulla permanenza di un mercato immobiliare con valori crescenti. I derivati, però, non sono stati utilizzati solo con le famiglie. In Italia anche molti enti pubblici hanno sottoscritto dei derivati. Ad esempio, il Comune di Torino nel periodo 2002-2007 (sindaco Sergio Chiamparino, assessore al bilancio Paolo Peveraro) sottoscrissero derivati con alcune banche scommettendo sulla crescita dei tassi variabili: quella crescita non si realizzò e ancora oggi il Comune deve saldare ogni anno qualche milione di debito (cfr. https://volerelaluna.it/talpa5/2018/07/13/la-crisi-finanziaria-del-comune-di-torino-ragioni-e-prospettive/);
- CDS (credit default swap): è un contratto con il quale il detentore di un credito si impegna a pagare una somma fissa periodica a favore della controparte che si assume il rischio del credito;
- repo market (repurchase agreement): le grandi banche danno e prendono in prestito da altri enti finanziari, in molti casi per la durata di un solo giorno, grandi somme per mezzo degli accordi di riacquisto a breve termine. Si dice che Il fallimento della Lehman brothers sia stato probabilmente determinato da eccesso di repos.
La logica di tutte queste operazioni è sempre la stessa: mantenere il denaro in costante movimento, in modo da creare una enorme massa speculativa via via crescente. Gallino sostiene che nell’UE oltre il 90% del denaro circolante è quello creato dalle banche.
5. Ma assieme alla massa, quello che conta da un punto di vista finanziario è il tempo. Scrive Gallino: «Una peculiarità del denaro potenziale formato dai titoli inventati dal sistema finanziario è l’instabilità del loro valore rispetto al denaro “pieno”. Essi offrono da un lato la possibilità di notevoli e rapidi guadagni, dall’altro presentano un consistente rischio di svalutazione, il quale si può concretizzare con altrettanta rapidità». Per questo i tempi della finanza sono brevissimi, quantici, come i tempi delle operazioni disposte dagli algoritmi di intelligenza artificiale sul mercato finanziario. E, d’altro canto, i tempi dei debitori devono essere infiniti: la finanza, infatti, ha interesse a costruire un rapporto permanente di debito pubblico e privato. Per questo la possibilità di realizzare interventi politici rivolti a ridurre il debito pubblico è veramente remota: nessuno ha realmente interesse a ridurre quel debito. C’è da chiedersi se ci sia oggi qualche forma di controllo su questa enorme attività finanziaria. C’è la riserva obbligatoria presso la BCE: è pari all’1% degli attivi. Si tratta di una copertura irrilevante. Un po’ più stringente è la determinazione del rapporto tra volume degli attivi e il capitale proprio: è compreso tra 30/1 – 40/1. Ma anche in questo caso si tratta di un vincolo piuttosto lasco. Ci sono poi le agenzie di valutazione: Moody’s, Standard & Poor’s, Fitch. Esse sono, però, espressione della stessa finanza e valutano non solo le banche, ma anche gli Stati in quanto debitori. Le loro valutazioni, quindi, sono tutt’altro che imparziali. In pratica, quindi, il controllo oggi non esiste e gli Stati intervengono solo per salvare le banche quando stanno per fallire: ad esempio nel 2010 la virtuosa Germania ha impegnato 600 miliardi di euro per salvare le sue banche nazionali e regionali indebitate fino al collo.
6. Gallino ha fatto alcune proposte.
In negativo:
- portare la riserva al 100%;
- separare le banche commerciali da quelle d’investimento, come faceva la legge bancaria americana del 1933;
- ridurre le dimensioni delle banche e sciogliere i legami internazionali. Basta pensare alla situazione bancaria degli anni ’70 in Italia, all’interno della quale operavano molte banche di medie dimensioni, che sono state via via accorpate fino a ridurle alle 4 o 5 attuali; si tratterebbe, quindi di invertire il processo messo in atto negli ultimi 40 anni;
- vietare la creazione di derivati “nudi”, che non poggino, cioè, su operazioni reali;
- impedire che voci importanti siano portate fuori bilancio: Siv Veicoli per l’investimento strutturato o speciale (Structured investment vehicle) che giocano sulla differenza (spread) tra tassi a breve e tassi a lungo termine. Essi fanno parte dello shadow banking: nel 2008 sia in USA sia in UE gli attivi dello SB erano uguali a quello del sistema bancario e finanziario ufficiale. Nei SIV sono allocati titoli di credito cartolarizzati. Le banche fanno queste operazioni per aggirare anche i pochi controlli ai quali sono soggette.
In positivo:
- incentivare le banche commerciali a concedere crediti per investimenti produttivi;
- favorire le banche “ecologicamente responsabili”;
- organizzare estese campagne di informazione sulle attività finanziarie.
L’obiettivo che ci siamo prefissi di perseguire è quello di costruire un lavoro di studio, approfondimento e proposta che accomuni una serie di associazioni e gruppi interessati ad affrontare questi problemi, a partire dalle elaborazioni di Gallino. Per questo è utile porsi delle domande, per cercare insieme le possibili risposte. Ne avanzo quindi due per contribuire a questa ricerca:
- l’idea di Gallino è quella di ristabilire un controllo politico sulla finanza. Chi lo può fare? Lo Stato nazionale? La UE? Organismi internazionali?
- qualunque sia il soggetto controllore prescelto, occorre creare una conoscenza e coscienza diffusa su questi temi: come si può collegarli con le lotte per l’ambiente? Come si può collegali alle lotte sociali per un lavoro degno e contro la disuguaglianza sociale crescente?