L’oggetto e il metodo
mar 22nd, 2010 | Di Nino Salamone | Categoria: Contributi, Teoria e criticadi Nino Salamone
Il testo che segue è tratto da Nino Salamone, Postmodernità, quotidiano e orizzonte nella società contemporanea, Carocci, Roma, 1999.
La nozione di postmodernità
Questo lavoro è frutto di una riflessione in corso da diverso tempo (Salamone 1995, 1997, 1998); suo intento è dimostrare che nella seconda metà del nostro secolo un “passaggio d’epoca”, ovvero un mutamento di natura e rilevanza storiche, si è sostanzialmente consumato. In altre parole, la realtà materiale e simbolica cui gli abitatori della contemporaneità si trovano oggi di fronte è per aspetti decisivi radicalmente diversa da quella delle generazioni precedenti; esperienza e memoria di queste ultime poco o nulla hanno da dire a quanti, in Occidente, si affacciano sul nuovo secolo nel pieno vigore fisico e mentale. Ciò implica non semplici trasformazioni nel mondo della vita entro i parametri che lo avevano definito per secoli, quelle trasformazioni che rendevano il Settecento diverso dall’Ottocento o la vita di mio padre diversa dalla mia, ma una ridefinizione degli stessi parametri che strutturano il mondo della vita e gli conferiscono quindi caratteri storici determinati.
Qualche esempio banale ma significativo (come accade spesso agli esempi banali). Nella società tradizionale erano stati i padri ad insegnare ai figli l’uso dell’aratro e, nei contesti urbani della tarda modernità, erano ancora i padri ad impartire ai figli i primi rudimenti della guida dell’automobile, il nuovo scintillante simbolo della nascente affluent society.
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Biografia
Nato nel 1943, Nino Salamone si è laureato in Scienze Politiche presso l’Università di Milano. Dal 1990 al 1998 ha insegnato alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Milano (Sociologia dell’organizzazione, Sociologia Economica e infine Sociologia). Sempre dal 1990 al 1998 ha insegnato Sociologia Industriale e del Lavoro presso l’Università Bocconi di Milano.
All’Università di Milano Bicocca (Facoltà di Sociologia), dove è professore associato, insegna Storia del Pensiero Sociologico e Sociologia della cultura. E’ membro del Consiglio Scientifico della Sezione Teorie sociologiche e Trasformazioni Sociali dell’Associazione Italiana di Sociologia. Dopo aver svolto attività di ricerca, negli anni Settanta e Ottanta, sulle organizzazioni complesse e i movimenti sociali, si occupa ora di studi teorici che comprendono anche la filosofia e l’antropologia. In particolare è interessato ai temi sollevati dal dibattito contemporaneo sulla modernità e la post modernità. In quest’ambito, è attualmente impegnato nell’analisi dei rapporti fra la religione e gli assetti socioculturali moderni e postmoderni in occidente.
Sto leggendo il saggio “L’oggetto e il metodo”, dedicato alla post-modernità, e sto riflettendo sui contenuti.
Inutile dire che l’argomento mi interessa molto, ma è certo utile precisare che la mia visione in buona sostanza diverge da quella, pur rispettabile, del professor Salamone, nonostante vi sia qualche punto non trascurabile di convergenza.
La cosiddetta post-modernità costituirebbe un “passaggio d’epoca” con l’ingresso in un nuovo mondo.
Quanto precede implicherebbe una sostanziale accettazione di quella che per lo scrivente è, al contrario, una mistificazione bella è buona, operata a partire dagli ambienti accademici e intellettuali, nei quali si è affermata una prima volta, con il fine ultimo nascondere la vera sostanza del capitalismo del terzo millennio e delle profonde trasformazioni sociali, de-emacipatrici e impoverenti, che questo implica.
La mistificazione post-moderna deve essere considerata alla luce dell’affermarsi, anzi, del dilagare in campo filosofico, di Nietzsche e Heidegger, in evidente accordo con la visione e gli interessi dominanti, senza la piena affermazione dei quali le elaborazioni di Foucault e Lyotard non avrebbero probabilmente avuto grande successo e ampia diffusione.
La grande filosofia, da Aristotele a Hegel deve andare per sempre in soffitta, Marx deve essere definitivamente neutralizzato o ridotto al rango minore di pura critica “moralistica” al capitalismo, privato di contenuti autenticamente rivoluzionari, la dialettica è il “demonio”, e via di questo passo.
Individualismo, relativismo e nichilismo sono gli ingredienti della cosiddetta società di mercato e prima ancora che i veri connotati di una supposta post-modernità, pilastri filosofici del capitalismo contemporaneo.
Nel contempo, la lotta di classe si archivia definitivamente, perché ormai “obsoleta”, nei nuovi contesti sociali, e si considera come una manifestazione di “primitivismo sociologico”.
Sono o non sono, quelli sommariamente elencati, alcuni rilevanti caratteri dei “tempi post-moderni” in cui siamo costretti a vivere?
A parere di Salamone, la post-modernità sarebbe comunque sostenibile quanto le ampiamente accettate nozioni di modernità e tradizione.
Se la Modernità è, con buona sostanza, l’altro nome dato al Capitalismo del secondo millennio, per far meglio “digerire” le sue immorali dinamiche ai subalterni e ai soggetti potenzialmente critici, mentre la Tradizione evoca modi di produzione sociali anteriori, basati su schiavismo e servaggio, nonché prospettive metastoriche oggi estinte, la Post-Modernità potrebbe rappresentare, in questo presente, l’altro nome del Capitalismo Transgenico, fondato sul paradigma della creazione del valore finanziario, azionario e borsistico [Milton Friedman, Capitalism and freedom dei primi sessanta, nuova “bibbia” liberalcapitalistica] che sussume anche la tradizionale estorsione marxiana del plusvalore nello spazio liscio della globalizzazione neoliberista, in cui molta parte degli ostacoli sono stati rapidamente abbattuti per favorire lo scorrimento liquido del capitale finanziario.
Ci sono ostacoli di natura economica e sociale, quali il Welfare State, i diritti dei lavoratori nella porzione nord-occidentale del mondo, l’impresa pubblica e il patrimonio dei vecchi stati nazionali, e ci sono quelli culturali, filosofici, religiosi, politici ugualmente abbattuti o da abbattere ed ugualmente critici, come ad esempio gli spazi comunitari residui, la cultura di classe della tradizionale borghesia sostituita al vertice della decisione strategico-politica dalla Global class, il solidarismo comunitaristico della classe operaia, salariata e proletaria, le tradizioni religiose locali, la stessa autonomia politica e monetaria degli stati nazionali, pur in veste liberaldemocratica.
Dietro la Post-Modernità e il suo intrico inestricabile di “complessità” se ne stanno concretamente in agguato Mercati e Investitori, da intendersi essenzialmente come riusciti mascheramenti della classe globale neodominante, nonché gli spettri della flessibilizzazione/ precarizzazione di massa e gli effetti antropologico-culturali della costruzione sociale del tipo umano precario, per la “produzione” di soggettività gestibili e totalmente sottomesse a quello che è il vero Nuovo Ordine Mondiale [nascita della Pauper class].
La Post-Modernità è dunque l’altro nome di questo Capitalismo, e non di rado le nuove dinamiche sociali da lui implicate – negative e impoverenti, sul piano materiale e culturale, per i subalterni – nonché i veri dominanti insediati nel cuore della decisione strategica per la riproduzione della totalità sociale, si nascondono abilmente dietro le sue supposte “complessità”.
Del resto, anche Nino Salmone fa un esplicitato e corretto riferimento al passaggio dal welfare al trading state, ed alla sostituzione del taylorismo/ fordismo con il nesso flessibilità-globalizzazione, ma anzi tutto, voglio amichevolmente ricordargli, il fondamentale passaggio per quel che attiene il cambiamento del modo di produzione [dal vecchio capitalismo al nuovo, dalla seconda società della crescita alla terza] è caratterizzato da un cambio di paradigma.
Si passa dalla vecchia estrazione marxiana del pluslavoro misurato dall’universale monetario al nuovo paradigma friedmaniano della “Creazione del Valore” finanziario – sottratta alle istanze sociali, all’Etica, e a qualsiasi controllo esterno – ad esclusivo beneficio della proprietà e della sua assoluta “libertà di intrapresa”.
Ciò implica la riconosciuta superiorità della Proprietà e della Libera Iniziativa Privata – quali diritti naturali intangilibili – sullo stesso diritto alla vita, dei viventi umani e non umani, se consideriamo ciò che è concretamente avvenuto in questi ultimi venti o trenta anni, dalla tragedia di Bopal in India, nel 1984, dovuta alla fuga di gas tossici da un impianto della Union Carbide, alla recente marea nera di BP, dalle zone di libero scambio nei paesi “in sviluppo”, caratterizzate da extraterritorialità, inapplicabilità delle garanzie minime al lavoro, e qualificatesi come centri di sfruttamento integrale dei lavoratori, alla flessibilità diffusa del lavoro in occidente che comporta la precarizzazione dell’intero percorso esistenziale, dalle guerre per “diritti umani”, “democrazia”, “libertà individuali” [essenzialmente quelle di intrapresa per Mercati e Investitori] alle ambigue rivoluzioni colorate per la penetrazione in paesi ex-comunisti, eccetera.
Se nella precedente Modernità, ossia durante il periodo di dominio del rapporto sociale capitalistico nel secondo millennio, ci furono dei limiti, di natura politica, sociale, etica, religiosa, alle espropriazioni capitalistiche e alla compressione dei subordinati, nella Post-Modernità, altro nome dato al Capitalismo Transgenico del terzo millennio, questi limiti sono stati in misura rilevante superati, per una piena realizzazione dell’autofondazione dell’economia su sé stessa.
Nino Salamone afferma, in qualche misura correttamente, che “la società contemporanea appare, agli occhi dell’attore, compiutamente individualistica (e per quanto riguarda il suo quotidiano lo è), laddove la modernità ha mantenuto, fino alla sua decisiva crisi, forti elementi olistici che appunto all’individualismo si sono contrapposti per oltre due secoli.”
Se forti elementi olistici all’individualismo si sono contrapposti per oltre due secoli [molto giusto], oggi rischiano la sconfitta definitiva, l’archiviazione finale.
Il discorso è coerente con la sostanza di quella che io chiamo la “società della crescita”, che nasce dall’affermazione del Capitalismo del terzo millennio – in pieno corso nel tempo presente – e che sembra destinata ad eliminare tutti i suoi nemici, uno dopo l’altro, in un’opera già iniziata diligentemente dall’abile falsificazionista e antemarcia Karl Popper, del resto, in relazione alla celebrata “società aperta” [La società aperta e i suoi nemici, apparsa nel lontano 1971], ma che oggi avviene chiaramente nel solco degli interessi della nuova committenza globalista: i Mercati e gli Investitori.
Individualismo esasperato e globalismo finanziarizzato non sono che facce della stessa medaglia, ed elementi irrinunciabili del nuovo capitalismo.
Infine – e qui devo essere telegrafico per poter chiudere questo lungo commento –, l’inadeguatezza dei modelli di riferimento [sociologici] alla realtà che abbiamo davanti, opportunamente sottolineata da Salamone, non deriva soltanto da incapacità di analisi degli addetti ai lavori, o dall’opportunità di restare legati a vecchi schemi e modelli per non compromettere percorsi di carriera accademici, ma dal fatto che l’oggetto è in pieno movimento ed ancora in fase di costruzione, nel passaggio dal capitalismo del secondo a quello del terzo millennio – vero “cambio di Evo – e dalla seconda alla terza società della crescita, transizione difficile e lacerante tuttora in corso,.
Cari saluti anticapitalisti a tutti
Eugenio Orso
Per Nino Salamone
Ho letto il tuo ultimo commento nell’altra sezione.
Per quanto riguarda il tuo libro, ho le tutte le coordinate e sicuramente lo ordinerò in libreria, perché, a questo punto, voglio verificare il livello di convergenza e capire meglio cosa rappresenta per te la post-modernità.
Corretta la tua osservazione secondo la quale si colgono aspetti pur importanti di questa società, ma non si sviluppa una visione d’insieme, scomodando per esemplificare il Christhoper Lasch della “società narcisista” [ma anche quello, importantissimo, del riconoscimento della rivolta elitista e della nascita, in America, dell'attuale classe dominante, la Global class] e tanti altri, fra i quali il liquidissimo Zygmunt Bauman, che fa del Consumo di massa il principio attivo di questa società ["La vita liquida è una vita di consumi", Liquid Life], un po’ come lo furono per gli antichi [perdona la battuta], in un mondo certo non troppo comparabile con l’attuale, il fuoco di Eraclito o l’ápeiron di Anassimandro.
Un piccolo appunto, del tutto secondario: nella tua elencazione ti sei scordato quello che possiamo chiamare il capitalismo [e il mondo] “flessibile” di Richard Sennett, che forse è il più acuto sociologo americano ancora in vita dopo la morte di Lasch [Respect, The culture of the new capitalism, The corrosion of character, eccetera], ma con e senza Sennett, ed altri sociologi e pensatori, il tuo discorso rimane valido e lo condivido.
Se in relazione a questa società nessuno è ancora riuscito a coglierne “la totalità espressiva” [con terminologia tipicamente previana], c’è, però, qualcuno che a mio avviso è molto più avanti degli altri nella difficile marcia di avvicinamento al “nucleo riproduttivo sistemico” [in una sorta di “viaggio al centro del sistema”, volendo ironizzare e richiamando Verne], quel nucleo che è necessario penetrare e “spaccare” – in primo luogo dal punto di vista teorico – per poterlo neutralizzare, superare e consegnare definitivamente alla storia.
Questo qualcuno è Costanzo Preve, del quale credo che avrai letto almeno qualche libro, o qualche singolo saggio, anche se non è propriamente un sociologo accademico, ma bensì un filosofo sociale, un filosofo hegeliano e marxiano ed anche uno storico.
La tua idea di incontri fra teste pensanti [nei convegni universitari ce ne sono molte, come ci fa credere la “vulgata” accademica?] è buona e condivisibile, ovviamente, ma non ci si deve aspettare una grande adesione, in primo luogo per la drammatica “mancanza di materia prima” e in secondo luogo per una frammentazione ed una ostilità che riflettono vecchie contese ed acredini filosofiche, politiche e ideologiche.
Si può comunque tentare di organizzare, come direbbero gli americani ma con valenza profondamente diversa dai loro, dei “brainstrorming”.
Un ultima precisazione, utile affinché tu comprenda bene chi è il tuo interlocutore: come forse si comprende dalla “rozzezza” della scrittura e dalle vistose insufficienze in termini di dotte citazioni, io non sono certo un accademico, un rinomato sociologo, un filosofo, e via elencando, ma soltanto un povero impiegato [nel mio curriculum di studi ho al mio attivo una semplice laurea e un successivo master di nove mesi] che cerca di comprendere la realtà in cui, suo malgrado, è costretto a vivere.
Saluti
Eugenio Orso