CONRICERCA: UNO SVILUPPO DELL’INCHIESTA OPERAIA
ott 6th, 2021 | Di Thomas Munzner | Categoria: Capitale e lavoro
CONRICERCA: UNO SVILUPPO DELL’INCHIESTA OPERAIA
Steve Wright ci dice che se il primo tema dell’operaismo era quello dell’autonomia, il secondo riguardava la “possibile utilità della sociologia ‘borghese’ come mezzo per comprendere la realtà della moderna classe operaia”. La riflessione sulla sociologia, infatti, ha avuto una forte presenza nella ripresa del marxismo italiano del dopoguerra, presenza che si riscontra anche tra i collaboratori dei Quaderni Rossi, che più volte nei loro incontri hanno trattato questo tema. Nel settembre 1964, nella città di Torino, Panzieri presentò un seminario dal titolo “Uso Socialista dell’inchiesta operaia”. Con questo seminario il fondatore dei Quaderni intendeva raggiungere due obiettivi: da un lato, “portare qualche chiarimento al tema «Scopi politici dell’inchiesta»” e dall’altro “la precisazione di un certo metodo di lavoro dei «Quaderni rossi».” Quanto al primo ambito, la domanda centrale di Panzieri potrebbe essere così sintetizzata: è possibile costruire una sociologia del lavoro e dell’industria che non sia al servizio dello sviluppo tecnologico ma delle lotte operaie? Per rispondere, l’autore ricorrerà a una considerazione del lavoro di Marx, confrontandolo con le esperienze degli stessi lavoratori. Panzieri spiega che sebbene Marx abbia affrontato a suo tempo un’economia politica al completo servizio del capitale, il pensatore tedesco, invece di rifiutarla come scienza a causa del suo uso borghese, l’ha sottoposta a critiche. La base di questa critica starebbe nell’”accusa riccamente, se non sempre sufficientemente e persuasivamente, documentata del carattere unilaterale dell’economia politica.”
In questo senso, la critica marxiana indicherebbe non la falsità teorica della scienza economica, ma i suoi limiti: “l’economia politica pretende di chiudere la realtà sociale dentro lo schema limitato di un particolare modo di funzionamento, e assume poi questo modo di funzionamento come il migliore e quello naturale.”
Il capitalismo si trasforma così in un dato di natura, nel suo stato naturale, ma anche di ogni altra società cosiddetta civilizzata, la conseguenza più importante di questo credo naturalista dell’economia politica è la riduzione del lavoratore a mero fattore di produzione (forza lavoro) o a mera componente del capitale (la sua parte variabile). Ebbene, la critica di Marx mira a superare i limiti della scienza economica. Diversamente da ciò, l’analisi marxiana riconoscerà il carattere dicotomico della società capitalista e delle due classi che la costituiscono. Di conseguenza, ”rifiuta la individuazione della classe operaia a partire dal movimento del capitale, cioè afferma che non è possibile risalire dal movimento del capitale automaticamente allo studio della classe operaia: la classe operaia sia che operi come elemento conflittuale, e quindi capitalistico, sia come elemento antagonistico, e quindi anticapitalistico, esige una osservazione scientifica assolutamente a parte.”
Analogo sarà il caso della sociologia. Panzieri sviluppa l’ipotesi che il capitalismo avesse inizialmente bisogno di interrogarsi sul proprio modo di funzionare, facendo dell’economia politica la sua scienza più preziosa. Tuttavia, con il passaggio dal capitalismo competitivo al capitalismo pianificato del dopoguerra, sorge una nuova esigenza, ovvero “organizzare lo studio del consenso, delle reazioni sociali che s’impiantano su questo meccanismo.” Il passaggio del capitalismo a un maggior grado di maturità, quindi, potrebbe spiegare sia il declino dell’economia politica in quegli anni sia l’ascesa della sociologia, utilizzata per integrare la classe operaia con il capitale. Tuttavia, la sociologia non dovrebbe essere liquidata come una scienza. Al contrario, il pensatore italiano afferma che: “noi possiamo usare, trattare, criticare la sociologia come Marx faceva con l’economia politica classica, cioè vedendola come scienza limitata (e del resto dal tipo d’inchiesta che stiamo progettando è evidente che in essa ci sono già tutte le ipotesi che vanno al di fuori del quadro della sociologia corrente); e tuttavia significa che ciò che essa vede nel complesso è vero, cioè non è falsificato in sé, ma è piuttosto qualcosa di limitalo, che provoca delle deformazioni interne: ma essa tuttavia conserva quello che Marx considerava il carattere di una scienza, cioè un’autonomia che regge su un rigore dì coerenza, scientifico, logico.”
La questione, quindi, non è l’opposizione tra verità e falsità in nessuna scienza. Una volta considerati adeguati gli strumenti di ricerca o, ancora, stabilita la loro validità scientifica, ciò che separa la cosiddetta sociologia borghese dall’indagine sociologica proposta da Panzieri è, piuttosto, il loro uso. L’uso borghese della sociologia è mistificante nel senso che prende unilateralmente una realtà sociale dicotomica, accettando la razionalità apparentemente neutra del capitale e ignorando il rapporto di classe, nucleo pulsante del processo produttivo. L’uso socialista dell’inchiesta sociologica, al contrario, deve riconoscere la scissione fondamentale della società capitalista e assumere preventivamente la consapevolezza della parzialità omessa dalla scienza borghese, che le consentirebbe una migliore comprensione della classe operaia.
L’origine dell’uso dell’inchiesta sociologica proposta da Panzieri va fatta risalire allo stesso Marx, e si ritrova in maniera esemplare nell’”Inchiesta operaia”, pubblicata sulla Revue Socialiste nel 1880. Nell’introduzione all’Inchiesta, Marx mette in evidenza l’assenza di ogni seria indagine sulla situazione della classe operaia in Francia. In Inghilterra, invece, indagini di questo tipo – condotte sia dal governo monarchico che da “gruppi socialisti” – esistevano già, rivelando l’infamia dello sfruttamento capitalistico e dando luogo a riforme legislative, che lasciarono “la borghesia francese ancora più timorosa dei pericoli che potrebbe presentare un’inchiesta imparziale e sistematica” sui lavoratori del loro paese. In questo contesto, la Revue Socialiste decide di avviare da sola un’indagine sulla classe operaia francese, contando sul fondamentale appoggio di Marx. Questa inchiesta aveva lo scopo di acquisire “una conoscenza esatta e positiva delle condizioni in cui lavora e si muove la classe operaia, la classe a cui appartiene l’avvenire” attraverso la risposte degli stessi lavoratori, gli unici che “possono descrivere con piena cognizione di causa, i mali che li colpiscono.”
Ma, al di là degli obiettivi scientifici dell’indagine, il pensatore tedesco mirava principalmente ai “pericoli” che tale ricerca poteva causare. In questo senso, l’Inchiesta aveva un obiettivo politico ben preciso, cioè quello di contribuire alle lotte della classe operaia, l’unica in grado di “applicare energicamente rimedi alle miserie sociali di cui soffrono” gli operai mentre costruiscono una nuova società. Prendendo come riferimento l’iniziativa del 1880, Panzieri propone la realizzazione di una nuova inchiesta operaia adeguata alla comprensione della classe operaia italiana e anche alla collaborazione con le sue lotte. In primo luogo, l’inchiesta permetterebbe di evitare qualsiasi concezione mitica della classe operaia, molto comune nel marxismo ufficiale, attraverso la determinazione del reale livello di coscienza di classe dei lavoratori. Per fare ciò, deve considerare attentamente l’ascesa del capitalismo pianificato e studiare le nuove tendenze che le trasformazioni dello status dei lavoratori (derivanti dalle trasformazioni del capitalismo stesso) hanno suscitato nella sua coscienza di classe. Oltre a cercare di accertare il livello di coscienza di classe dei lavoratori italiani, l’inchiesta mirava anche ad elevarlo, attraverso non solo la formulazione e concatenazione delle domande del questionario, come in Marx, ma anche attraverso il contatto tra i ricercatori e lavoratori che si verificherebbe necessariamente durante l’analisi. L’inchiesta, quindi, garantirebbe anche il legame tra teoria e pratica, fungendo da tramite tra scienza sociologica e azione politica.
Così, gli obiettivi dell’inchiesta operaia dei Quaderni Rossi sono rimasti molto vicini a quelli dell’Inchiesta operaia della Revue Socialiste – almeno secondo l’interpretazione che ne hanno fatto gli stessi Quaderni Rossi. Se la rivista francese intendeva, oltre a “spiegare teoricamente condizioni che essi conoscono molto bene”, risvegliare ”la graduale e sempre più ampia critica operaia dello sfruttamento capitalistico”, articolando esemplarmente due obiettivi che vanno di pari passo nell’opera marxiana, e cioè, l’analisi critica del sistema produttivo capitalistico e l’azione politica contro di esso grazie ad “un’osservazione scientifica del grado di consapevolezza che ha la classe operaia” che è “la via per portare questa consapevolezza a gradi più alti.” Con la rinnovata proposta dell’inchiesta operaia, Panzieri ha cercato di dare un supporto teorico alla pratica operativa dello “studio reale della fabbrica reale”. Tuttavia, sommate agli obiettivi scientifici e politici, nonché all’articolazione tra teoria e pratica, l’inchiesta, come dicevamo, ha avuto lo scopo di risolvere alcuni problemi riguardanti il funzionamento degli stessi Quaderni Rossi.
“La lettura di questo testo, poi, deve tener conto del fatto che non si tratta di una relazione introduttiva, ma di un intervento nel vivo della discussione”, una discussione che va avanti sin dalla fondazione dei Quaderni. Varie sono state infatti le posizioni all’interno della rivista sull’uso della sociologia come strumento di comprensione della classe operaia. Essendo la sua redazione composta da diversi gruppi dissidenti dei partiti comunista e socialista in Italia, accomunati soprattutto dalla critica agli sviluppi del movimento sindacale e delle direzioni di partito, il “nucleo teorico” costruito dai Quaderni è stato elaborato in modo essenzialmente negativo, cioè in antitesi con le posizioni della sinistra ufficiale. L’assenza di un fondamento positivo comune ai vari membri della rivista avrebbe dato origine ad alcune “ambiguità” teoriche, e anche importanti divergenze, al suo interno. La proposta dell’inchiesta operaia, poi, interviene in questo contesto, tesa a mediare le controversie interne ai Quaderni Rossi e a sopprimerne le ambiguità teoriche fornendo un “fondamento positivo”, cioè fondando “empiricamente a livello di classe” il lavoro della rivista operaista. Tuttavia, Panzieri non è riuscito a raggiungere quest’ultimo obiettivo. Il seminario sull’uso socialista dell’inchiesta operaia fu il suo ultimo intervento nel dibattito operaista, tenuto nel settembre del 1964, appena un mese prima della sua prematura scomparsa, e pubblicato postumo nell’aprile 1965 nel quinto numero dei Quaderni Rossi. Già allora si era consolidata la rottura interna tra i gruppi di Tronti, Alquati e Negri e il gruppo di Panzieri e dei cosiddetti “giovani sociologi”. La rivista Classe Operaia (1964-1967), mensile fondato da Tronti, aveva subito occupato un posto di rilievo nella sinistra italiana, annoverando, all’epoca del lancio del quinto numero dei Quaderni, più di una dozzina di pubblicazioni. La rivista di Panzieri, a sua volta, non ha resistito alla rottura tra i gruppi che la costituivano e alla morte del suo fondatore, terminò la sua attività nel 1965, dopo il sesto numero. Tuttavia, è possibile sostenere che almeno una parte degli obiettivi dell’inchiesta era già stato realizzato con la ricerca sul campo svolta dagli operaisti nei primi anni Sessanta. Tra il 1959, quando Panzieri affermò l’autonomia della classe operaia oltre che la partecipazione alle sue lotte, e il 1964, quando si tenne il seminario sull’inchiesta operaia, erano già state condotte dai Quaderni Rossi importanti inchieste all’interno delle fabbriche italiane. Tra queste, la ricerca svolta presso lo stabilimento FIAT di Mirafiori, a Torino, nel 1960, fu fondamentale per la realizzazione dell’inchiesta operaia, ma anche per il consolidamento di un’originale forma di inchiesta che intendeva radicalizzare il nesso tra teoria e pratica portata dall’inchiesta, ovvero la conricerca.
La ricerca alla FIAT nel 1960 è stata un’iniziativa dello stesso Panzieri. Mentre alcuni membri dei Quaderni Rossi volevano avviare il lavoro sul campo nelle fabbriche dove la lotta era già in atto, Panzieri insisteva sulla peculiarità della FIAT. A differenza di altre fabbriche del Nord Italia, la casa automobilistica degli Agnelli non aveva partecipato alla riapertura del ciclo di lotte del 1959-1960, quando i lavoratori del settore metallurgico e i principali sindacati italiani si uniscono attorno alla campagna per il rinnovo contrattuale. Quella che sarebbe diventata la più grande fabbrica del mondo negli anni ’60 era in grado di offrire un salario ai suoi operai semiqualificati relativamente superiore a quello di altre società della stessa regione. Inoltre, avrebbe trovato un certo successo nel proiettare un’immagine istituzionale di un buon datore di lavoro che pagava di stipendi alti offrendo la possibilità di una carriera dinamica, insomma, un’incarnazione del meglio del “miracolo economico”. Tuttavia, per molti a sinistra, la FIAT evocava immagini di condizioni di lavoro spaventose, sindacalismo giallo legato agli interessi dei datori di lavoro e una forza lavoro docile e ossessionata dal consumo. In ogni caso si conveniva che fosse riuscita a forgiarsi attorno un cordone sanitario, isolandosi dai tumulti operai che affliggevano altre industrie del Nord Italia. Luogo colossale di sfruttamento capitalistico e con una classe operaia apparentemente passiva, la FIAT si presentava come uno spazio conveniente per l’attuazione della conricerca, per prendere un primo contatto con i lavoratori, verificare i cambiamenti nella loro coscienza di classe e individuare, nell’ambiente produttivo, potenziali conflitti futuri.
La prima approssimazione degli operaisti di Mirafiori ebbe il fondamentale appoggio del movimento operaio tradizionale, in particolare della CGIL e del suo sindacato dei metalmeccanici, la FIOM. Una parte del gruppo che avrebbe condotto la ricerca del 1960 aveva già lavorato sul campo con i sindacati di altre fabbriche torinesi. Inoltre, nonostante l’estrema sfiducia nei confronti dell’approccio sociologico, le ripetute sconfitte nel capoluogo piemontese nel corso degli anni Cinquanta, va sottolineata quella del 1955 presso la stessa FIAT, motivarono le organizzazioni sindacali a sperimentare nuove forme di lavoro politico all’interno delle fabbriche che ha reso i sindacati un canale privilegiato per lo svolgimento dell’inchiesta sui lavoratori. Tuttavia, oltre alla sfiducia nei confronti dell’approccio sociologico da parte delle organizzazioni sindacali, un altro ostacolo da superare nella ricerca di Mirafiori riguardava il discredito dello stesso movimento operaio tradizionale agli occhi degli operai della fabbrica automobilistica. Nonostante il numero impressionante di lavoratori, i tassi di sindacalizzazione alla FIAT erano estremamente bassi, tanto che lo stabilimento di Mirafiori appariva come un territorio sconosciuto non solo per i Quaderni Rossi ma anche per l’intera sinistra storica d’Italia. Per questo motivo la ricerca nella linea di assemblaggio delle automobili è iniziata con un approccio chiamato ”dall’esterno” e, per aprire un campo così sconosciuto, diverse ipotesi di lavoro, raccolte fondamentalmente dagli studi di sociologia dell’industria e del lavoro di Francia, Inghilterra e Stati Uniti, e approcci sono stati testati.
Sebbene la sua influenza nello svolgimento delle ricerche del 1960 sia stata determinante, la partecipazione di Panzieri alle inchisete sulla FIAT si è limitata ad una funzione direttiva. Il lavoro sul campo è stato svolto da un gruppo eterogeneo di ricercatori, composto essenzialmente da “giovani sociologi”, un gruppo maggioritario la cui formazione era principalmente legata a Nicola Abbagnano, e da un sottogruppo guidato da Alquati, la cui formazione era legata soprattutto a Montaldi, a Cremona. Secondo la testimonianza di Alquati, tra i vari metodi di ricerca sperimentati alla FIAT, spiccava la ricerca sociologica o tradizionale e quella che egli chiama autoricerca operaia o conricerca. La conricerca si è ispirata alle “autoanalisi delle comunità” condotte da Danilo Dolci nel Mezzogiorno povero e rurale, ed è stata adottata in ambito industriale da Alessandro Pizzorno, Montaldi e Alquati, ciascuno a modo suo, basandosi sul contatto con esperienze americane e francesi. A Mirafiori fu inizialmente condotto dal gruppo legato a quest’ultimo in maniera “velleitaria” e “sporadica”, essendo di fatto subordinata alla tradizionale ricerca sociologica. Questa, a sua volta, è associata al gruppo dei “giovani sociologi”, guidato da Rieser. Questo gruppo, che già svolgeva ricerche con i sindacati negli stabilimenti torinesi, iniziò a contare a partire dagli anni Sessanta su un’importante formazione teorica e metodologica fornita da Panzieri. Tuttavia, a prescindere dalle loro differenze, sia un approccio che l’altro, ci racconta Alquati, hanno cercato di stabilire un primo rapporto con il campo, facendo sempre riferimento a lavoratori considerati isolatamente, cioè come lavoratori presenti individualmente nel processo lavorativo.
In questo senso è possibile affermare che, nonostante i suoi limiti, elementi importanti della proposta panzieriana dell’inchiesta operaia si ritrovano già nella ricerca del 1960, se non nell’esecuzione empirica dell’inchiesta stessa. Panzieri, infatti, nel suo tentativo di “portare qualche chiarimento al tema «Scopi politici dell’inchiesta»” e “di facilitare la precisazione di un certo metodo di lavoro dei «Quaderni rossi»” aveva tenuto conto della ricerca che era già stata condotta dai membri della sua rivista. L’uso della ricerca sociologica a favore del movimento operaio, intrapreso alla FIAT, fu fortemente difeso da Panzieri e gli obiettivi da lui raggiunti presso la fabbrica di automobili furono assunti come ambito di indagine nella proposta del 1964. Il lavoro stesso del 1960 in seguito verrà indicato come inchiesta operaia. Ma, oltre agli elementi che hanno avvicinato l’esperienza in FIAT alla proposta di Panzieri, si possono trovare anche dei limiti che allontanerebbero la prima dalla seconda. Per il fondatore dei Quaderni, il contatto tra ricercatori e lavoratori attraverso l’indagine sociologica servirebbe come mezzo per l’obiettivo politico di elevare il livello di coscienza di classe di quest’ultimi. C’era, nelle sue parole, ”una continuità ben precisa tra il momento dell’osservazione sociologica, condotta con criteri seri e rigorosi, e l’azione politica”.
Tuttavia, questa continuità era meno evidente nelle ricerche a Mirafiori. Secondo Alquati, il gruppo maggioritario di ricercatori di Mirafiori ha resistito al passaggio all’azione politica. In questo senso, afferma con tono provocatorio che alla FIAT “”ricerca operaia” non se ne faceva. Si faceva invece una ricerca sociologica sulla classe operaia”. In essa entrarono i singoli lavoratori “come fonte di conoscenze preliminari che noi elaboravamo all’esterno”. Sebbene la realizzazione di questo tipo di ricerca rappresentasse in quel momento un significativo passo avanti nella emergente sociologia dell’industria in Italia, il sottogruppo di Alquati ha auspicato, dopo aver infranto la prima barriera che separava lavoratori e ricercatori, il passaggio ad una “seconda fase” in quanto la tradizionale modalità di inchiesta è stata superata, assumendo un carattere militante che ha privilegiato l’azione politica dei lavoratori, o, in altre parole, la conricerca ha cessato di sottostare alla ricerca sociologica e si è spostata da un’esecuzione meramente “intenzionale” a una reale esecuzione. Tuttavia, questa non era l’opinione dei “giovani sociologi”. Per loro alla FIAT non erano ancora date le condizioni per il passaggio all’azione politica, né per motivi tecnici (il numero dei ricercatori alla linea di assemblaggio era esiguo e le condizioni di lavoro precarie), né per motivi politici (i sindacati dei metalmeccanici non sono stati in grado di organizzare la lotta alla fabbrica di automobili), motivo per cui hanno insistito per rimanere nella fase della ricerca tradizionale. In questa decisione furono sostenuti da Panzieri. In contrasto con Panzieri, Alquati afferma che:
“la ricerca stessa si muove all’interno di una realtà formata, strutturata e ancora gerarchica e centralizzata [...], proponendosi di influenzare la trasformazione di questa realtà dal suo interno, da una presenza e da una posizione particolare all’interno di questa realtà, secondo determinati desideri e un certo progetto di liberazione sempre costitutivo, del nuovo e del diverso, dell’alterità (oltre a essere costituito da una resistenza al presente, che può portare all’antagonismo).“
Implica, a differenza dell’inchiesta di Panzieri, una certa sfiducia nell’uso della sociologia tradizionale, vista solo come strumento utile per l’approccio iniziale dei ricercatori sul campo e, quindi, relegata a una fase subordinata della ricerca. Una volta abbattuta la barriera iniziale tra l’osservatore e il campo, il primo cambia posizione, spostandosi dall’esterno all’interno dei processi analizzati, ponendosi cioè sullo stesso piano della classe. Questo processo differisce da quello utilizzato nell’inchiesta sui lavoratori effettivamente svolta nelle fabbriche italiane. La ricerca sociologica condotta dal gruppo guidato da Rieser, pur allontanandosi notevolmente dal togliattismo, conservava ancora alcuni resti del modello dell’“intellettuale organico” relativo alla separazione tra avanguardia e massa, mentre la conricerca richiedeva una collaborazione radicale tra ricercatori e ricercati, con l’obiettivo di annientare ogni verticalità nella produzione della conoscenza, nonché la consueta distinzione tra soggetto e oggetto di ricerca. Inoltre, la conricerca intende andare oltre la mera raccolta di dati sui lavoratori isolati che era stata effettuata a Mirafiori per arrivare all’esame del lavoratore collettivo, cioè della classe operaia organizzata come classe.
In questo senso, la sua attenzione sarà spostata sulla soggettività dei lavoratori, sul loro comportamento, sui loro bisogni, in breve, sul loro punto di vista sul funzionamento della fabbrica, sulla produzione, sulle assunzioni, sulla carriera…, nonché sulla mediazione esercitata da organi rappresentativi, come i sindacati. Sebbene tale proposta fosse già riscontrabile nel modello dell’inchiesta operaia in Panzieri e nello stesso Marx, la conricerca, passando all’esame della soggettività della classe operaia, piuttosto che articolare scienza e politica, cerca di minare ogni separazione o precedente rapporto tra l’uno e l’altro, conducendoli contemporaneamente nello stesso processo. Così, la conricerca ha cercato di avanzare rispetto all’inchiesta operaia condotta alla FIAT, ma lo ha fatto anche rispetto alla proposta panzieriana di tale inchiesta. Più che concentrarsi sul processo cognitivo dei lavoratori, mirando, con lo sviluppo di questo processo, a una successiva azione politica, con la conricerca il processo cognitivo e l’azione politica sono inscindibili, svolgendosi contemporaneamente. In questo senso, la conricerca o serviva a organizzare i lavoratori in autonomia, oppure non esisteva. Il prefisso “con” esprimeva la messa in discussione dei confini tra produzione di conoscenza e soggettività politica, tra scienza e conflitto. Non si trattava semplicemente di conoscenza, ma di organizzare una resistenza. La conricerca era la scienza della classe operaia. Con essa troviamo la realizzazione più completa di quel secondo precetto enunciato da Panzieri, cioè che l’inchiesta comporta necessariamente la partecipazione alla lotta.
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