Sulla ricezione italiana di Günther Anders
set 20th, 2021 | Di Thomas Munzner | Categoria: Teoria e critica
Sulla ricezione italiana di Gunther Anders
Devis Colombo
Gli stimoli, le critiche e le riflessioni filosofiche di Günther Anders1 (1902-1992) sulla natura contingente dell’uomo, sulla perdita dell’esperienza, sulla società tecnologica e consumistica contemporanea, espresse in un insolito stile a metà tra la riflessione teoretica e la rappresentazione letteraria, hanno avuto una discreta ricezione del nostro paese, seppure in modo parziale, in fasi alterne e da punti di vista e approcci differenti.
La prima fase è quella degli anni ’60, quando con le due opere tradotte in italiano da Renato Solmi per l’editore Einaudi, Essere o non essere nel 1961 – il diario di viaggio in un Giappone devastato dalla guerra atomica –, e La coscienza al bando nel 1962 – ossia il carteggio con il pilota Claude Eatherly corresponsabile dello sgancio della bomba atomica su Hiroshima –, Anders si afferma in Italia2 e a livello internazionale come icona teorica del movimento pacifista e antinucleare3.
Poco dopo la sua pubblicazione, Essere o non essere viene recensito sulla rivista Tempo presente da Nicola Chiaromonte, il quale, oltre a delle «pagine efficaci»4, ne rileva alcune in cui Anders verrebbe meno all’impegno – da lui stesso professato –, di voler ubbidire al precetto «non ti farai nessuna immagine»5, ossia di voler lottare «contro tutti gli “assoluti” fabbricati dall’uomo». Infatti nel tentativo di contrastare la possibilità che da un momento all’altro il mondo intero si trasformarmi in una seconda Hiroshima, per Chiaromonte è evidente il ricorso di Anders ad alcune «immagini concettuali», sulla cui efficacia si dimostra dubbioso: «si vorrebbe chiedere a Günther Anders se è proprio sicuro che fare appello a immagini come la bomba atomica, l’annientamento dell’umanità, la distruzione della Terra […], non sia invitare i contemporanei a distrarsi con immagini sensazionali piuttosto che fare attenzione e a riflettere»6, ossia se «predicare» l’Apocalisse non significhi nient’altro che eccitare l’uomo medio contemporaneo attraverso il «sensazionale», dunque «invitarlo a guardare se stesso al cinematografo anziché in realtà»7.
Inoltre nel 1962, Luigi Nono, compone un lavoro orchestrale per soprano e tenore intitolato Canti di vita e d’amore. Sul ponte di Hiroshima8, che contiene un testo tratto proprio da Essere o non essere, al quale egli si ispira esplicitamente riprendendo l’immagine – assurta a simbolo di avvertimento contro il terrore atomico – di un anziano signore che sul ponte della prima città della storia umana a esser stata bombardata con ordigni nucleari, trova la forza di pizzicare uno strumento a corde nonostante il viso e il corpo martoriati dalla guerra9.
Nel 1963 viene poi pubblicato presso Il Saggiatore il primo volume10 della principale opera filosofica di Anders L’uomo è antiquato. Considerazioni sull’anima nell’epoca delle seconda rivoluzione industriale (1956), cui fanno seguito più di vent’anni di disinteresse nei confronti di un autore tanto prolifico quanto proteiforme che tuttavia, con le sue ostinazioni e prese di posizione anticorformistiche, non ha certo facilitato la diffusione della propria opera11. Basti pensare alle sue reiterate accese polemiche nei confronti della «filosofia professionale» (nota è la sua affermazione: «quando le testate nucleari si accumulano non ci si può fermare a spiegare l’Etica Nicomachea») le quali, prendendo le mosse da una critica all’oscurità del linguaggio heideggeriano12 e all’autoreferenzialità di alcune istituzioni universitarie13, tende a valutare il sapere accademico soprattutto attraverso il criterio dell’immediata applicabilità al presente, del suo possibile impiego nell’interpretazione di situazioni estreme e specifiche, sminuendo in questo modo indirettamente il ruolo non solo scientifico, ma anche formativo e sociale di quella ricerca universitaria la cui funzione non le consente di approdare facilmente alla sfera pubblica. Anders difatti afferma, attraverso le parole della figura letteraria del dottor A.: «i nostri filosofi universitari formulano in maniera tanto finta i più innocui problemi… problemi che sono così lontani dai punti dei dibattiti pubblici, che non potrebbero scontrarsi con quelli… e problemi che non vanno contro il parere dominante, essi formulano in maniera tanto artificiosa i più innocui problemi»14.
Se da una parte occorre riconoscere ad alcuni dei testi di Anders, scritti a partire dalla metà degli anni ’50 e indirizzati intenzionalmente a un pubblico non specialista («a differenza di Adorno, io mi sforzo di scrivere in modo leggibile»15), di aver proposto un’innovativa dizione filosofica che senza cadere in una superficiale popolarizzazione, tenesse in conto di rivolgersi anche al cittadino mediamente istruito e di proporre riflessioni sulle urgenti questioni della quotidianità, dall’altra parte i suoi affondi contro le accademie – non sempre argomentati fino in fondo – hanno probabilmente portato a una certa diffidenza nei suoi confronti e a una conseguente sottovalutazione della sua teoria filosofica negli ambienti universitari. Anche in quelli che si potrebbero considerare più vicini a Anders, come dimostra la decisa stroncatura di Gianni Vattimo del complessivo progetto filosofico dell’Uomo è antiquato, nel quale egli rileva la «mancanza di una autentica fondazione concettuale»16, così come «una certa tendenza a riprendere ed enfatizzare, in termini di saggistica moraleggiante, più che di autentica critica filosofica, tematiche correnti della Kulturkritik, consacrate con diverso peso teorico dai maestri della Scuola di Francoforte o da Heidegger»17 e, infine, una unilaterale «compattezza negativa del mondo»18. Alfonso Berardinelli, invece, in un articolo di riposta a Vattimo, sostiene che «non si perdona ad Anders [...] una certa semplicità e globalità, la sua pretesa di filosofare a partire dalla vita quotidiana, la sua ruvida schiettezza, il suo impegno a ricordarci l’incombente possibilità, non teorica ma pratica, che si verifichi il peggio, invece che il meglio; il peggio infatti si è già verificato e si verifica di continuo»19, per concludere con un accostamento tra Anders e Simone Weil: anch’essa viene considerata dai «filosofi universitari [...] concettualmente poco fondata; eppure è uno dei massimi pensatori del Novecento»20. Sia la posizione di Vattimo sia quella di Berardinelli, per quanto contrapposte21, si accomunano tuttavia non solo per il fatto di non misurarsi con gli specifici ragionamenti addotti da Anders per giustificare la propria metodologia filosofica22, ma pure per aver trascurato il serrato confronto dell’autore con la scuola fenomenologica degli anni ’20, con l’antropologia filosofica e la teoria critica negli ’30 e negli anni del lungo esilio americano (’36-’50), che lo ha portato, dunque soltanto in seguito a una decennale riflessione sulla funzione civile del filosofo e della filosofia pubblica, a elaborare quello stile «occasionalista» (frettolosamente liquidato da Vattimo) che raggiunge la sua compiutezza proprio nei lavori sull’obsolescenza dell’uomo. E nel fare ciò Anders tenta di trasportare in filosofia l’impostazione intellettuale di Goethe – al quale si richiama più volte –, il quale sosteneva che «tutte le poesie devono essere poesie d’occasione, ciò significa che è la realtà a dover fornire loro la motivazione e la materia. […] Tutte le mie poesie sono poesie d’occasione, sono state stimolate dalla realtà e in essa hanno trovato il loro sostrato e la loro base»23. Tale «filosofia d’occasione» è stata accolta con favore da Sergio Givone, il quale gli riconosce «forti tratti di originalità»24, ma anche da Cesare Cases, per il quale «se Anders è molto meno noioso dei tanti che si occupano di tutto invece che di una cosa sola, ciò è dovuto in primo luogo al fatto che è uno scrittore notevole, non solo nelle sue opere propriamente letterarie (favole e racconti, sia pure quasi sempre a sfondo politico-ideologico), ma anche quando fa della filosofia, unico sopravvissuto di quella generazione di ottimi fabbri tedeschi del parlar materno che va da Simmel a Bloch»25.
Nel 2003 Costanzo Preve firma per Bollati Boringhieri una Prefazione alla nuova edizione dei due volumi dell’Uomo è antiquato, la quale, benché ricca di considerazioni attualizzanti in uno stile provocatoriamente vicino a quello di Anders, e di precise ricostruzioni dei concetti-chiave della filosofia andersiana, non sembra rifuggire dal forzare l’interpretazione dell’opera del pensatore tedesco alla luce delle proprie teorie o opinioni personali. Il leitmotiv di Preve consiste per l’appunto nell’individuare in Anders un segno del superamento della «dicotomia Destra/Sinistra»26, ossia di quel «furore identitario» che avrebbe «respinto nel limbo, nel cono d’ombra» qualsiasi forma di alterità non allineata. L’argomento maggiore portato a sostegno di questa tesi, è la definizione che Anders dà di sé quando afferma:
come potremo passare la nostra vita con l’ontologia, dunque con il problema dell’“essere”, se non sappiamo nemmeno se domani esisteremo o no? […] La differenza tra ontologia ed etica è annullata dalla situazione odierna […]. Tutto questo è a uno stadio così avanzato che mi definirei un “conservatore ontologico”, perché quello che conta più di tutto è conservare il mondo , qualunque esso sia. Solo dopo si potrà vedere se è possibile miglioralo. C’è quel famoso detto di Marx: “I filosofi hanno solo interpretato il mondo, ora si tratta di cambiarlo”. Ma questo non basta più, oggi non basta cambiare il mondo, oggi bisogna conservarlo. Poi lo cambieremo. E di molto, addirittura con la rivoluzione. Ma prima dobbiamo essere conservatori nel vero senso della parola, in un senso che nessuno che si dica conservatore ammetterebbe mai27.
Questo definirsi da parte di Anders tanto un «conservatore ontologico» quanto un «rivoluzionario», sovvertirebbe secondo Preve «il lessico identitario delle “forze conservatrici” di destra e delle “forze progressiste” di sinistra, ormai sopravanzato dalla fase post-borghese del capitalismo, che non intende conservare più nulla ma mercificare tutto»28. La conclusione di Preve pare però piuttosto affrettata, poiché non sembra tener conto di almeno due fattori. Il primo è che il riferimento di Anders al conservatorismo non ha nulla a che vedere col campo della politica: dal fatto che Anders intenda quest’ultima – così proprio come l’etica – subordinata al fine prioritario di garantire la sopravvivenza della Terra e dell’uomo, non ne consegue automaticamente la necessità di eliminare l’opposizione tra alcune delle tradizionali categorie politiche, su cui Anders invero non si è mai pronunciato. In secondo luogo, risulta problematica la precipitosa ascrizione del pensiero andersiano all’ambito teorico del «radicalismo marxista»29, che porta Preve a interpretare il succitato riferimento di Anders alla «rivoluzione»30 come una dichiarazione di «fedeltà a questa nozione»31. Il rapporto tra Marx e Anders merita ancora di essere approfondito, pertanto qui ci limitiamo solo ad alcune considerazioni didascaliche. Se è certamente vero che Marx ha esercitato un’influenza su Anders, ciò è accaduto dopo il conseguimento della tesi di dottorato32, dunque solamente dopo gli anni di formazione presso Husserl e Heidegger, che segnarono la matrice del suo pensiero in modo decisivo, così come altrettanto decisive furono le ricerche antropologiche degli anni Trenta. Anders di contro non si è mai formato accademicamente sul marxismo e non hai mai scritto approfonditamente su Marx. Se negli anni immediatamente precedenti alla presa del potere di Hitler aveva frequentato ambienti marxisti gravitanti attorno alle figure di Walter Benjamin e di Bertolt Brecht, e se durante l’esilio americano restò in contatto con esponenti della Scuola di Francoforte, ciò lo portò ad assumere in modo del tutto eterodosso alcuni principi del marxismo (ma non c’è traccia alcuna della «rivoluzione proletaria»33), senza che esso tuttavia sia potuto diventare il filone centrale del suo sistema di pensiero. In breve: se non è pensabile un Anders senza Marx, lo stesso si può dire di un Anders senza i fondatori della fenomenologia e dell’antropologia filosofica.
L’origine e il nucleo della filosofia di Anders non sono dunque da rintracciare, come sostenuto da Preve, nel marxismo, così come non si può registrare nella fase più matura di Anders quel superamento dell’opposizione Destra/Sinistra che lui avrebbe rilevato. A questo proposito, adduciamo qui due fra i più rappresentativi esempi contrari: interpellato dal Die Zeit per rispondere alla domanda «Cosa significa essere conservatori?», nel 1981 Anders afferma che, nell’accezione da lui usata, tale termine non trova il suo opposto in «progressista», bensì in «annichilatore»34, ovvero in colui che «per mancanza di fantasia o per attaccamento al potere» è pronto a sostenere il progresso tecnico anche laddove questo «mette a rischio l’esistenza del mondo»35. Egli si considera pertanto conservatore non nel senso classico del mantenimento delle tradizionali condizioni politico-sociali, bensì – in riferimento al lemma latino conservator –, nel senso di colui che si batte per la conservazione dell’uomo e della natura, senza che ciò confligga con un’identità politica di «sinistra radicale»36. Pochi mesi prima della sua morte inoltre, Anders pubblicò sulla rivista viennese di ispirazione liberal-socialista Forvm37 il saggio Il proletariato è antiquato (1992), ossia una «sferzante critica alla tradizionale concezione marxista della categoria “proletariato”, non in direzione di una confutazione, bensì di una sua radicalizzazione in chiave umanistica»38. Pertanto l’insistenza con cui Preve si sofferma su un aspetto assai secondario della riflessione di Anders, quello della categorizzazione politica, si spiega forse come un riflesso di quel difetto – piuttosto diffuso nel nostro paese –, che tende a vincolare strettamente l’interpretazione della filosofia andersiana ai due volumi dell’Uomo è antiquato: se da una parte questa è certamente l’opera maggiore39 di Anders, nella quale egli affronta altresì questioni di natura politica, dall’altra parte essa rimane pur sempre lontana dall’esaurire la complessità tematica e filosofica del pensiero andersiano.
Se nella sua prima fase la ricezione di Anders in Italia si era concentrata per lo più sulle sue elaborazioni etico-sociali e sul forte impegno civile ad esse connesse40 – come dimostra altresì la positiva Prefazione di Norberto Bobbio a Essere o non essere –, è soltanto nella seconda tardiva fase, risalente alla metà degli anni ’80, che inizia a sollevarsi anche l’attenzione degli studiosi sul pensiero prettamente teoretico di Anders. Molto di quella che Anders stesso sperava potesse essere una «nuova rinascita in Italia»41 del suo pensiero, si deve alla sua collaborazione con le attività editoriali di Goffredo Fofi42, il quale iniziò a dare spazioa numerosi interventi e brevi saggi di Anders sia sulla rivista Linea d’Ombra43 sia sull’omonima casa editrice ad essa legata44. Un altro contributo decisivo per la diffusione del pensiero di Anders nel nostro paese è quello della rivista MicroMega diretta da Paolo Flores d’Arcais, che negli anni ha regolarmente ospitato nuove traduzioni di Anders, con particolare riferimento alle critiche ad Heidegger45 e a parti inedite del terzo volume46 dell’Uomo è antiquato (rimasto incompleto per la scomparsa dell’autore). Parallelamente ad essi si è formato un ristretto numero di studiosi che con continuità si sono occupati della filosofia di Anders, quali Pier Paolo Portinaro – cui si deve la fondamentale monografia su Anders Il principio disperazione (2003) –, e che si è per lo più dedicato a contestualizzare Anders all’interno della filosofia tedesca contemporanea; così come Umberto Galimberti, che ha trattato soprattutto il contributo di Anders alla filosofia della tecnica e alla psicologia; Stefano Velotti, che ha invece approfondito gli apporti di Anders all’estetica e alla filosofia della cultura; Micaela Latini che si è concentrata sugli aspetti antropologici e letterari del pensiero andersiano, fino a giungere al convegno promosso dalla rivista Kainos47 nel 2012, L’uomo e la (sua) fine. A partire dalle riflessioni di Günther Anders, a venti anni dalla morte48 e al numero speciale49 della rivista Etica e politica(2013) interamente dedicato ad Anders.
In questo contesto dicrescente interesse scientifico e culturalenei confronti di Anders,si sta assistendo al riconoscimento di aspetti del suo pensiero che per molti anni erano invece rimasti all’ombra della vulgata filosofica in lingua italiana. Dal momento che nel 2012 è stata fondata la «Società Internazionale Günther Anders», fra i cui scopi principali vi è anche quello di iniziare a pubblicare parti dei numerosi scritti che giacciono tuttora inediti all’Archivio-Anders di Vienna, non resta che augurarsi che essi in futuro possano contribuire, anche in Italia, a continuare l’approfondimento della variegata opera di questo autore, che ha ancora tanto da offrire all’interpretazione del nostro tempo.
Note con rimando automatico al testo
1 Per le informazioni biografiche, mi permetto di rimandare a: Devis Colombo, Introduzione aiMateriali per una bibliografia italianadi Günther Anders, pubblicato inizialmente sulla rivista Kainos nel febbraio 2014, e riproposta poi su questo stesso portale nel settembre dello stesso anno, <http://www.azioniparallele.it/33-gunther-anders/18-bibliografia-anders.html>, consultato il 27 novembre 2015.
2 Goffredo Fofi per esempio ricorda come Anders “nei primissimi anni sessanta” partecipò anche ad un incontro al Centro Gobetti di Torino su invito di un gruppo di intellettuali vicini alla rivista Quaderni Rossi, i quali tuttavia si rivelarono “troppo chiusi sull’immediato dei rapporti di proprietà per accettare una visione del presente e del futuro più ampia, e, per dirla tutta, post-socialista”, come quella avanzata da Anders, si veda: Goffredo Fofi, Prefazione a G. Anders, Lo sguardo dalla torre. Favole con le illustrazioni di A. Paul Weber, tr. it. di D. Colombo, Mimesis, Milano 2012, p. 10.
3 Anders avrebbe rivelato all’amico Hans Jonas la speranza che gli venisse assegnato il Premio Nobel per la Pace, si veda la lettera inedita di Jonas a Hannah Arendt del 11.6.1958, conservata al “Philosophisches Archiv” di Konstanz e citata da Raimund Bahr, Günther Anders. Leben und Denken im Wort, Edition Art Science, Wien- St. Wolfgang 2010, p. 147.
7 Ibidem. Queste acute considerazioni di Chiaromonte fanno stretto riferimento all’opera Essere o non essere. Tuttavia nel primo volume dell’Uomo è antiquato (1958) – che verrà tradotto in italiano solo due anni dopo l’articolo di Chiaromonte –, Anders aveva già iniziato a elaborare una “antropologia dell’immagine” e una teoria della “fantasia morale”. Per approfondimenti si veda: Stefano Velotti, “L’antropologia di Günther Anders e l’ambivalenza delle immagini”, Discipline filosofiche, 2 /2008, pp. 99-114, successivamente in: Lo sguardo, 3/2010; e Id., “Günther Anders: Worldviews, Models of Enticement and the Question of Praxis”, Humana.Mente. Journal of Philosophical Studies, 18/2011, pp. 163-180.
8 Per maggiori informazioni su quest’opera rimandiamo al sito della Fondazione Archivio Luigi Nono, <http://www.luiginono.it/it/luigi-nono/opere/canti-di-vita-e-d-amore-sul-ponte-di-hiroshima>, consultato il 27 novembre 2015.
9 Anders, nell’intervista «Brecht konnte mich nicht riechen» rilasciata nel 1985 al Die Zeit e ristampata in Günther Anders antwortet. Interviews & Erklärungen, Edition Tiamat, Berlin 1987, sostiene (p. 110) che questa composizione di Nono sia del tutto “inadeguata” a descrivere l’orrore della guerra nucleare, e che al contrario abbia contribuito a trasformare tale orrore in un “oggetto di piacere”. Egli, infatti, estendendo alla musica la massima di Adorno circa l’impossibilità di scrivere poesie dopo Auschwitz, sostiene che “ci sono eventi di una tale grandezza che non può essere raggiunta dall’arte” (ibidem). Per un’interpretazione e una ricostruzione della polemica Anders-Nono, rimandiamo a Franz Haas, “Sul ponte di Hiroshima. Günther Anders und die Ästhetik in italienischer Sicht”, in: Konrad Paul Liessmann (a cura di), Günther Anders Kontrovers, Beck, Monaco 1992, pp. 103-113.
10 Il secondo volume del 1980, sottotitolato Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale, verrà tradotto in italiano solo nel 1992.
11 Cfr. Pier Paolo Portinaro, Premessa a Id., Il principio disperazione, Bollati Boringhieri, Torino 2003, quando egli afferma che, a differenza di Hannah Arendt, “intorno ad Anders non si poteva raccogliere lo stesso consenso. È stato troppo radicale per la sinistra riformista, troppo intollerante per un pubblico liberale, inavvicinabile ai cattolici a causa della sua indisponibilità alla riconciliazione”, p. 9.
12 Si veda: G. Anders, “Die esoterische Sprache”, in: Id., Über Heidegger, C.H. Beck, Monaco 2001, pp. 344-345.
13 Si veda: G. Anders, “Sulla dizione filosofica e il problema della popolarizzazione”, in: Id., Saggi dall’esilio americano, tr. it. di Sergio Cavenaghi e di Antonio G. Saluzzi, con una postfazione di Antonio G. Saluzzi, Palomar, Bari 2003, pp. 65-88.
14 G. Anders, “Sull’esoterismo del linguaggio filosofico”, in Saggi dall’esilio americano, cit., p. 59.
15 “Die Bombe hängt nicht nur über den Dächern von Universitäten” (1983), Norbert Weidl e Micael Kohler intervistano Günther Anders, in: Günther Anders antwortet. Interviews & Erklärungen, Edition Tiamat, Berlin 1987, p. 86.
17 Ibidem. Il giudizio di Vattimo non sembra essere isolato. Infatti Stefano Velotti in “Hannah e Günther”, Lo straniero, 161/2013, ricorda come già negli anni ottanta “un potente direttore editoriale [...] si opponeva alla pubblicazione o ripubblicazione” degli scritti di Anders, poiché considerava l’autore “l’ultimo ronzino della Scuola di Francoforte” (pp. 7-8).
18 Ibidem. Per una valutazione filosofica di questo tratto negativo e apocalittico di Anders, rimandiamo a: Roberto Taioli, “Sul crinale. Speranza, responsabilità, apocalisse nel pensiero del Novecento”, Testimonianze, 441/2005, pp. 10-23, e a: Antonio Stefano Caridi, Apocalisse senza regno. La catastrofe come cifra del pensiero di Günther Anders, in: Aldo Meccariello, Micaela Latini (a cura di), L’uomo e la (sua) fine. Saggi su Günther Anders, Asterios, Trieste 2014, pp. 17-28.
19 Alfonso Berardinelli, “L’apocalisse moderna. Perché difendo Anders”, Tuttolibri-La Stampa, 30.05.1992.
21 Poco più avanti, sempre in “Uomini da buttare”, Vattimo riconosce comunque ad Anders di aver scritto “alcune delle pagine meno scontate” su temi quali l’”eliminazione del lavoro e la fantasmatizzazione dell’esperienza”.
22 G. Anders, “Riflessioni metodologiche conclusive”, in: Id., L’uomo è antiquato. II. Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale (1980), tr. it. di Maria Adelaide Mori, Bollati Boringhieri, Torino 1992, pp. 383-400.
23 Johann Peter Eckermann, Gespräche mit Goethe in den letzten Jahren seines Lebens, a cura di Regine Otto, München 1984, p. 41.
24 Sergio Givone, “Günther Anders. Interprete di un’epoca segnata dal nulla assoluto”, La Talpa Libri -Il Manifesto», 1.02.1991, p. 3.
26 Costanzo Preve, “Un filosofo controvoglia”, Prefazione a G. Anders, L’uomo è antiquato. I. Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale (1956), tr. it. di Laura Dallapiccola, Bollati Boringhieri Torino 2003, pp. 10.
30 Ivi, p. 15. Si potrebbe inoltre obiettare che Anders utilizza il termine “revolutionär” e pertanto la traduzione precisa delle sue parole non è “cambieremo [il mondo] con la rivoluzione”, bensì, “cambieremo [il mondo] in modo rivoluzionario”, il che implica un cambiamento di paradigma non trascurabile, cfr. “Wenn ich verzweifelt bin, was geht mich an”, Mathias Greffrath intervista Günther Anders, in: Günther Anders antwortet. Interviews & Erklärungen, cit., p 46.
33 Le categorie usate con maggior frequenza da Anders per descrivere l’azione etica e politica, sono in realtà quelle di “resistenza”, “appello”, “sciopero”.
34 Cfr. G. Anders, “Was heißt hier konservativ?”, Die Zeit, 16 ottobre 1981, accessibile all’indirizzo <http://www.zeit.de/1981/43/was-heisst-hier-konservativ>, consultato il 29 novembre 2015.
37 Il sottotitolo programmatico di questa rivista negli anni 1986 e 1995 fu: “Rivista internazionale per la libertà culturale, l’uguaglianza politica e il lavoro solidale”.
38 Introduzione di D. Colombo a: G. Anders, Il proletariato è antiquato, Micromega-Almanacco di Filosofia, 1/2013, p. 129.
39 Per un approfondimento dei principali temi trattati nell’Uomo è antiquato rimandiamo a Massimo Cappitti, “L’uomo reso superfluo. La critica di Günther Anders al totalitarismo morbido”, in: L’Altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico, vol. II, Il sistema e i movimenti (Europa 1945-1989), a cura di Pier Paolo Poggio, Fondazione Micheletti/Jaca Book, Milano 2010, pp. 491-512.
40 Cfr. l’Introduzione di Aldo Meccariello e Micaela Latini a L’uomo e la (sua) fine, cit., p. 10, dove gli autori affermano: “l’impegno politico di Anders è quello più noto e più studiato, mentre finora non ha riscosso la meritata e dovuta attenzione il suo contributo filosofico-antropologico e letterario”.
41 Ea Mori, Introduzione a Discorso sulle tre guerre mondiali. Hiroshima è dappertutto(1982), introduzione e tr. it. di Ea Mori, Linea d’ombra, Milano 1990, p 11.
42 Cfr. Goffredo Fofi, “Anders: ecco perché l’odio è antiquato al tempo della tecnica”, Avvenire, 09.09.2006, dove l’autore scrive: “credo di essere stato tra gli artefici del ritorno [di Anders] sulla scena italiana pubblicandone testi e interviste […] finché giovani studiosi ed editori maggiori non hanno preso a occuparsene”.
43 In Günther Anders Kontrovers, Franz Haas giudica tali pubblicazioni andersiane di Linea d’Ombra un evento marginale che riguardò solo “pochi eletti, nella riservatezza di un’élite idealistica”, rispetto alla più ampia “risonanza dei primi anni sessanta”, (p. 112); ma il semplice fatto di aver riproposto il pensiero di Anders, significò comunque sottrarre dall’oblio un autore di cui nel nostro paese – come ricorda Haas stesso –, non si pubblicò più nulla “per quasi venticinque anni (p. 105).
44 Anche la rivista Lo straniero, nata dalla precedente esperienza editoriale di Linea d’Ombra, ha continuato a coltivare questa particolare attenzione verso il filosofo tedesco, che sembra abbia portato altresì all’accoglimento alcuni elementi dell’atteggiamento critico-culturale di Anders.
45 Si tratta dei due testi G. Anders, “Nichilismo ed Esistenza” (1946), presentazione di Roberto Esposito, tr. it. di Enzo Grillo, MicroMega, 2/1988, pp. 185-209 e di Id., “Heidegger esteta dell’inazione[titolo originale On the Pseudo-Concreteness of Heidegger’s Philosophy, 1948]”, MicroMega, 2/1996, tr. it. di N. Curcio, pp. 185-225, i quali verranno ambedue successivamente raccolti nel volume postumo G. Anders, Über Heidegger, C.H. Beck, Monaco 2001.
46 Si tratta di G. Anders, “Linguaggio e tempo della fine”, tr. it. parziale di Sprache und Endzeit(1989-1990) a cura di Anselm Jappe, MicroMega, 5/2002, pp. 97-124, e Id., “Il proletariato è antiquato”(1992), a cura di D. Colombo, MicroMega-Almanacco di Filosofia, 1/2013, pp. 129-150.
47 L’organizzazione di tale convegno rappresenta solo l’apice dello spazio che questa rivista – assieme alle poche sopra citate – ha riservato negli anni al pensatore tedescoe che si è articolata anche attraverso la pubblicazione di diversi saggi su Anders, a partire da: Aldo Meccariello, “Dignità (in)umana nel pensiero di Günther Anders”, Kainos, Edizioni Punto Rosso, Milano 2007, pp.115-127.
48 Gli atti del convegno sono stati pubblicati in L’uomo e la (sua) fine. Saggi su Günther Anders, cit.
49 Vallori Rasini (a cura di),Potere e violenza nel pensiero di Günther Anders, speciale monografico in memoria di Elio Matassi, in: «Etica e politica», vol. XV, 2/2013, <http://www2.units.it/etica/2013_2/EP_2013_2.pdf>, consultato il 29 novembre 2015.
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