DISCUSSIONI CIRCA LA TEORIA DELLA CRISI DI ITOH
giu 11th, 2021 | Di Thomas Munzner | Categoria: Dibattito Politico
Lo scopo di questo articolo è analizzare, alla luce della legge generale dell’accumulazione del capitale e di altri sviluppi teorici di Marx, gli argomenti della teoria della crisi basata sulla scarsità di forza lavoro (nota anche come profit squeeze). Makoto Itoh, il principale rappresentante di questo filone teorico, intende dimostrare che l’aumento dei salari, derivante dall’esaurimento dell’esercito industriale di riserva, costituisce una barriera all’accumulazione e, quindi, l’elemento causa della crisi. Questa proposizione contraddice la tesi fondamentale dell’opera di Marx secondo cui il capitalismo produce inevitabilmente una sovrappopolazione relativa che tende a ridurre i salari, anche se presenta, in alcuni periodi, un aumento dei tassi salariali.
L’accumulazione di capitale, da un punto di vista marxista, consiste nell’usare il plusvalore ottenuto in periodi precedenti per l’espansione dell’attuale processo produttivo. Questo processo avviene attraverso l’acquisto di mezzi di produzione e lavoro. Quando si suppone che le merci vengano vendute al loro valore, il salario è uguale al valore della forza lavoro e varia di conseguenza. Tuttavia, i salari generalmente si discostano dal valore della forza lavoro in funzione della differenza tra la domanda e l’offerta di forza lavoro. La grandezza dell’offerta di lavoro è direttamente correlata alla grandezza dell’esercito industriale di riserva. Questo varia a causa dell’aumento della popolazione attiva sia attraverso la crescita della popolazione sia attraverso la sostituzione dei lavoratori con macchine. È proprio per quest’ultimo motivo che i salari devono essere considerati endogeni nella teoria marxista, in quanto dipendono dai cambiamenti nella composizione organica del capitale.
In considerazione di ciò, il movimento dei salari deve essere indagato all’interno della dinamica dell’accumulazione. Marx, nella sua “Legge generale dell’accumulazione capitalistica”, presenta due risultati principali che mostrano l’effetto dell’accumulazione sui salari. Il primo punto trattato presenterà il rapporto tra accumulazione e salario concludendo che questi sono regolati dall’esercito industriale di riserva. Il secondo punto presenterà la natura ciclica della formazione dell’esercito industriale di riserva.
Il primo risultato da discutere è il rapporto tra accumulazione e salario. Marx sviluppa questa analisi sulla base di due ipotesi: prima mantenendo costante la composizione organica del capitale e poi variando questa composizione. Prendendo la prima ipotesi, cioè che la proporzione tra l’ammontare di capitale variabile necessario per mettere in funzione una certa quantità di capitale costante non si modifichi e, tuttavia, mantenendo inalterate le altre condizioni, cosa succede ai salari quando l’eccedenza di un periodo è reinvestito nel periodo successivo, cioè quando avviene il processo di accumulazione del capitale?
L’argomento di Marx è che se il surplus è sempre diviso nella stessa proporzione tra capitale variabile e capitale costante, allora la domanda di lavoro aumenterà, ogni anno, nella stessa proporzione dell’aumento del capitale. Se questo processo si ripete continuamente, in modo che l’intensità della crescita dell’accumulazione di capitale superi la crescita della popolazione attiva, allora la domanda di forza lavoro sarà maggiore dell’offerta e quindi ci sarà una pressione per aumentare il salario. I salari aumenteranno, ma solo fino a un certo punto, perché dal momento in cui raggiungono livelli molto alti, rispetto al surplus, la riduzione di questo porta ad una caduta dell’accumulazione. Una minore accumulazione ridurrà la domanda di lavoro (aumentando la sovrappopolazione relativa) e di conseguenza scomparirà la pressione per salari più alti, quindi i salari diminuiranno. La diminuzione dei salari consente un nuovo aumento del surplus e il processo si ripete in modo circolare.
Con ciò Marx suggerisce che i salari possono aumentare, mantenendo l’ipotesi che la composizione organica del capitale rimanga costante, solo nella misura in cui non ostacolano l’accumulazione:
“Produrre plusvalore, o, per dirla volgarmente, far più quattrini: tale è la legge assoluta di questo modo di produzione. Solo in quanto conservi i mezzi di produzione come capitale, riproduca il proprio valore come capitale, e fornisca in lavoro non retribuito una sorgente di capitale addizionale, solo in questi limiti la forza lavoro è vendibile. Le condizioni della sua vendita, siano esse più o meno favorevoli all’operaio, implicano quindi la necessità della sua costante rivendita e la riproduzione sempre allargata della ricchezza come capitale. Il salario, si è visto, comporta sempre per sua natura l’erogazione da parte dell’operaio di una data quantità di lavoro non pagato. A prescindere totalmente dal fatto che il salario cresca diminuendo il prezzo del lavoro ecc., il suo aumento non significa, nell’ipotesi migliore, che diminuzione quantitativa del lavoro non retribuito che l’operaio deve fornire: diminuzione che non può mai protrarsi fino al punto che il sistema stesso ne venga minacciato. Astraendo da violenti conflitti in merito al saggio del salario — e Adam Smith ha già mostrato come in tali conflitti, a conti fatti, il padrone rimanga sempre padrone —, un aumento del prezzo del lavoro derivante da accumulazione del capitale implica la seguente alternativa:
O il prezzo del lavoro continua a salire perché il suo aumento non turba il procedere dell’accumulazione, e in questo non v’è nulla di strano, perché, dice A. Smith, «anche dopo che i profitti sono diminuiti, il capitale può non solo continuare a crescere, ma a crescere molto più rapidamente di prima…: un grosso capitale, sebbene con piccoli profitti, cresce generalmente più in fretta che un piccolo capitale con grossi profitti». In questo caso, è evidente che una diminuzione del lavoro non retribuito non pregiudica affatto l’estensione del dominio del capitale. Oppure, e questo è l’altro lato dell’alternativa, l’accumulazione rallenta in seguito all’aumento del prezzo del lavoro, perché lo stimolo del guadagno si ottunde: l’accumulazione decresce.”
Pertanto, in questa ipotesi, è il movimento verso l’alto o verso il basso dell’accumulazione che regola il livello dei salari e non viceversa. “Per servirsi di un’espressione matematica: la grandezza dell’accumulazione è la variabile indipendente, la grandezza del salario la variabile dipendente, e non viceversa.”
Togliendo l’ipotesi che la composizione organica del capitale rimanga costante e considerando ora l’aumento di tale composizione, cosa accadrà ai salari durante il processo di accumulazione del capitale? Per rispondere a questa domanda, in primo luogo, è necessario chiarire cosa significa un cambiamento nella composizione del capitale e quali sono le sue implicazioni a breve termine.
L’aumento del rapporto tra capitale costante e capitale variabile, cioè l’aumento di ( c/v ) può derivare da più fonti: dall’aumento di c rimanendo costante v; dalla diminuzione di v rimanendo costante c; l’aumento di c contemporaneamente la diminuzione di v …
È importante notare che tali variazioni sono legate all’introduzione di nuove macchine, strumenti o metodi di lavoro nel processo produttivo. L’implicazione di questi cambiamenti nella composizione del capitale si riflette direttamente nell’aumento della produttività del lavoro. Da un lato, l’aumento della produttività, in una singola impresa, consente la produzione di più beni nello stesso periodo di tempo, riducendo così il valore dei beni e, di conseguenza, il prezzo individuale. Ciò consente al singolo capitalista di guadagnare plusvalore extra, poiché il suo prezzo individuale è più conveniente del prezzo di mercato. Eppure, l’aumento della produttività nei rami che producono i beni consumati dai lavoratori, consente di ridurre il valore della forza lavoro, aumentando in modo relativo il saggio del plusvalore. D’altra parte, l’aumento della produttività rende superflua parte del lavoro impiegato, poiché un numero minore di lavoratori è in grado di produrre la stessa quantità di beni che veniva prodotta prima dell’aumento di produttività, generando così un aumento dell’esercito industriale di riserva.
È proprio questo secondo effetto che modifica il risultato finale dell’analisi dell’andamento dei salari rispetto al risultato ottenuto nell’ipotesi di composizione organica costante. Considerando che la composizione del capitale è costante, il livello dei salari sarà regolato dall’aumento o dalla diminuzione dell’accumulazione, e l’aumento dell’esercito industriale è una conseguenza della riduzione del ritmo di accumulazione. Viceversa, se l’aumento della composizione organica del capitale e, di conseguenza, l’aumento della produttività del lavoro, sono gli elementi predominanti del processo di accumulazione, allora il fabbisogno di forza lavoro tenderà a diminuire. Vale la pena sottolineare che, in questa situazione, la diminuzione della domanda di lavoro non si verifica perché il ritmo di accumulazione è diminuito, ma, al contrario, si verifica nonostante il tasso di accumulazione crescente. Ciò genera, quindi, una sovrappopolazione relativa, che diventerà, secondo Marx, il meccanismo di regolazione dei salari. Perciò, “i movimenti generali del salario sono esclusivamente regolati dall’espansione e dalla contrazione dell’esercito industriale di riserva, che corrispondono all’alternarsi delle fasi periodiche del ciclo industriale.”
Il secondo risultato presentato da Marx è la “legge della popolazione” nel capitalismo. Questa “legge” dimostra che il movimento di accumulazione del capitale produce una crescente sovrappopolazione relativa, chiamata anche esercito industriale di riserva, durante le fasi del ciclo economico. Ciò avviene perché l’aumento continuo del capitale costante rispetto al capitale variabile libera forza lavoro, che non può essere completamente riassorbita nel processo produttivo, anche con l’aumento dell’accumulazione, “poiché la domanda di lavoro è determinata non dal volume del capitale totale, ma da quello della sua parte componente variabile, essa diminuisce progressivamente con l’aumento del capitale totale, invece di crescere, come si presupponeva prima, proporzionalmente ad esso.”
È importante notare che, per Marx, la sovrappopolazione relativa è un prodotto necessario dell’accumulazione di capitale e diventa così la leva dell’accumulazione e persino la “condizione di esistenza della produzione capitalistica.” Ciò rafforza l’idea che, per Marx, l’aumento della composizione del capitale è un elemento caratteristico e inerente al processo di accumulazione. Marx dice che “gli intervalli nei quali l’accumulazione agisce come puro allargamento della produzione su base tecnica data si abbreviano.”
Pertanto, sebbene nella fase di prosperità, la sovrappopolazione possa in parte esaurirsi, la continua tendenza alla crescente composizione organica del capitale implica che, ad ogni nuovo ciclo, l’accumulazione avvenga su basi tecniche sempre più meccanizzate e, quindi, in ciascuna di esse l’esercito industriale di riserva è maggiore rispetto al ciclo precedente.
Questa sovrappopolazione relativa o esercito industriale di riserva può assumere tre forme: fluttuante, latente e stagnante. La sovrappopolazione relativa in forma fluttuante è caratterizzata da lavoratori che “vengono costantemente respinti ed attratti, sbattuti in qua e in là” nel processo produttivo, cioè quei lavoratori che vengono licenziati a causa di una contrazione dell’attività industriale e che verranno riassorbiti, in misura maggiore o minore a seconda della necessità di ulteriore espansione del capitale.
Nella forma latente ci sono lavoratori che vengono espulsi dall’attività agricola a causa della crescente capitalizzazione dell’agricoltura e della conseguente introduzione di macchinari e attrezzature che riducono la domanda di forza lavoro. Questa popolazione attiva rurale si trasferirà in città, in cerca di occupazione, poiché l’agricoltura ha molto meno potere di riassorbire i lavoratori rispetto all’industria.
Infine abbiamo la forma stagnante di sovrappopolazione relativa che “forma una parte dell’esercito operaio attivo, ma con occupazione del tutto irregolare, e quindi offre al capitale un serbatoio di forza lavoro disponibile che non si esaurisce mai. Le sue condizioni di vita scendono al disotto del livello normale medio della classe operaia, e appunto questo ne fa la larga base di particolari settori di sfruttamento capitalistico. Massimo di tempo di lavoro e minimo di salario la caratterizzano. Abbiamo già fatto conoscenza con la sua forma principale sotto la rubrica del lavoro a domicilio.”
Questo tipo di attività domestica richiede il massimo dispendio di lavoro e fornisce il salario più basso possibile, incorporando lavoratori divenuti superflui nell’industria e nell’agricoltura.
Quindi, come spiegato sopra, l’esercito industriale di riserva è formato dal continuo aumento della composizione organica del capitale, o in altre parole, dalla sostituzione costante del lavoro con nuove macchine o metodi di produzione, poiché questo tipo di procedura aumenta la produttività del lavoro con conseguente liberazione di parte della forza lavoro, rendendola eccedente rispetto al capitale accumulato.
Tuttavia, l’intensità con cui si plasma questa sovrappopolazione relativa dipende dalle fasi del ciclo industriale, come ha osservato Marx: “Il ciclo di vita caratteristico della moderna industria, la forma di un ciclo decennale, interrotto da minori oscillazioni, di periodi di vivacità media, produzione ad alta pressione, crisi e ristagno, poggia sulla costante formazione, l’assorbimento maggiore o minore, e la ricostituzione, dell’esercito industriale di riserva, o sovrappopolazione.”
Pertanto, se l’esercito industriale di riserva si espande e si contrae, come propone Marx, man mano che si forma, si esaurisce e si ricostituisce all’interno del ciclo economico e se i salari sono regolati da tale espansione e contrazione, allora anche i salari devono variare ciclicamente all’interno di tale processo. Va notato che man mano che la meccanizzazione penetra in tutte le sfere della società (industriale, commerciale, agricola, finanziaria) l’esercito industriale cresce al punto che il suo significativo esaurimento nelle fasi di prosperità diventa sempre più difficile.
I cicli e le crisi economiche non hanno bisogno di dimostrazioni scientifiche per attestare la loro esistenza e ricorrenza, poiché la stessa esperienza empirica è responsabile di questo lavoro. Tuttavia, ciò che stimola la ricerca scientifica è il tentativo di spiegare le cause dei cicli e delle crisi. A questo proposito, la teoria marxista non è ancora ben consensuale, e ci sono diverse interpretazioni dello stesso fenomeno.
È interessante notare che, sebbene Marx non abbia indicato un meccanismo unidirezionale per spiegare il fenomeno della crisi, la quasi assoluta maggioranza degli autori marxisti si è aggrappata, in modi diversi, ad un solo aspetto del processo di riproduzione del capitale, ponendo tale aspetto come determinante della crisi. Le stesse classificazioni delle teorie marxiste della crisi suggeriscono questo attaccamento. La tipologia proposta da Itoh punta a due grandi approcci che intendono spiegare le crisi delle economie capitalistiche. La prima, denominata dall’autore “teorie dell’eccesso di merci” e la seconda denominata “teorie dell’eccesso di capitale”. Ciascuna ipotesi contiene due varianti. Le teorie dell’eccesso di merci si suddividono nella teoria del sottoconsumismo e nella teoria della sproporzione tra i rami industriali. Le teorie dell’eccesso di capitale si dividono in teoria della scarsità di forza lavoro e teoria della crescente composizione organica del capitale. Manca, quindi, il consenso tra i teorici e la necessità di costruire una teoria della crisi che parta dalle indicazioni metodologiche lasciate dallo stesso Marx. Tuttavia, questo compito va oltre lo scopo del presente lavoro. Si intende solo presentare la teoria della crisi di Itoh basata sull’ipotesi di carenza di forza lavoro (che divenne nota come profit squeeze) e sottolinearne i limiti posti dalla stessa legge generale dell’accumulazione capitalistica.
Con il primo elemento dell’analisi cercherò di presentare i risultati del processo di accumulazione durante la fase di prosperità secondo Itoh, avendo come argomento principale il mantenimento relativamente costante della composizione organica del capitale. La conseguenza di questa ipotesi è il continuo assorbimento della sovrappopolazione relativa esistente e, per estensione, l’aumento dei salari nominali al termine di questa fase. Il secondo elemento mostrerà il processo di crisi, che è attribuito alla “sovrapproduzione assoluta di capitale” in relazione alla popolazione attiva di lavoratori, nonché il movimento descritto dai salari. E il terzo presenterà la fase di depressione, la cui caratteristica principale è l’aumento della composizione organica del capitale e la conseguente ricostituzione dell’esercito industriale di riserva e dei suoi effetti sui salari.
Itoh utilizza per analizzare la fase di prosperità la prima ipotesi di Marx, discussa sopra, relativa all’aumento dell’accumulazione accompagnata da una composizione organica relativamente costante. L’autore sostiene che ciò è possibile, nella prosperità, per due ragioni. In primo luogo, la pressione competitiva non è così forte in questa fase, quindi le motivazioni per migliorare la produttività e i metodi di razionalizzazione sono più blande. Per lui, infatti, la competizione agisce in modo diverso nella fase di prosperità e di depressione. In quest’ultima la concorrenza si intensifica per effetto della “sovrapproduzione assoluta di capitale”, come si vedrà in seguito. La seconda ragione è che la grande quantità di capitale fisso impone alcune restrizioni a cambiamenti radicali nei metodi. In questo modo, se c’è una sovrappopolazione relativa, ereditata dalla fase precedente, questo aumento dell’accumulazione, con una composizione organica relativamente costante, assorbirà parte di questi lavoratori senza esercitare pressioni sui salari.
Una caratteristica importante di questa fase è che i prezzi fluttuano all’interno di fasce molto più ristrette, riducendo lo squilibrio tra prezzi di mercato e prezzi di produzione. Ciò consente all’accumulazione di espandersi in condizioni più stabili del mercato del lavoro e favorisce il processo di perequazione del saggio di profitto attraverso le sfere industriali. Inoltre, il sistema creditizio, con bassi tassi di interesse, contribuisce a favorire l’accumulazione di capitale. Finché il processo di accumulazione si svolge con tassi di profitto relativamente “stabili e soddisfacenti”, la sovrappopolazione relativa sarà assorbita in proporzione all’aumento di capitale. Itoh assume che il tasso di capitale accumulato annualmente, in funzione del tasso di profitto, dovrebbe superare il tasso di crescita della popolazione, riducendo la sovrappopolazione relativa.
Pertanto, alla fine della fase di prosperità, l’esercito industriale di riserva deve essere ridotto in modo da avviare pressioni sui salari più alti. Itoh assume che l’inelasticità dell’offerta di lavoro sia in grado di aumentare i salari nominali e, di conseguenza, di aumentare i salari reali, in modo che il plusvalore e il profitto diminuiscano continuamente. Pertanto, questo processo di caduta del tasso di profitto, dovuto all’aumento dei salari, deve tradursi in una “sovrapproduzione assoluta di capitale” come osservato da Marx e citato da Itoh: “Se dunque il capitale fosse cresciuto, in rapporto alla popolazione operaia, in una proporzione tale che non si potesse né prolungare il tempo di lavoro assoluto fornito da questa popolazione, né estendere il tempo di pluslavoro relativo (cosa, quest’ultima, comunque inattuabile nel caso in cui la domanda di lavoro fosse molto forte e quindi i salari avessero la tendenza a salire); se dunque il capitale accresciuto producesse solo una massa di plusvalore equivalente o persino inferiore a quella prodotta prima della sua crescita, allora si avrebbe una sovrapproduzione assoluta di capitale; cioè il capitale cresciuto C + ΔC non produrrebbe un profitto maggiore, o ne produrrebbe perfino uno minore, che il capitale C prima del suo incremento di ΔC.”
In questa situazione, Itoh sostiene che i capitalisti possono cercare di mantenere inattiva una parte del loro capitale per alleviare le difficoltà poste dalla sovraccumulazione di capitale. Tuttavia, questo dispositivo si traduce in una perdita di quote di mercato, accelerando ulteriormente la caduta sia della massa che del tasso di profitto individuale. Così, nell’ultima fase della prosperità, i singoli capitalisti devono continuare il processo di espansione, nel tentativo di mantenere o aumentare i loro profitti.
Per Itoh, la sovraccumulazione di capitale, causata dall’aumento dei salari, produce tre effetti principali, al termine della prosperità: primo, aumenta la fluttuazione dei prezzi di produzione dei beni; secondo, provoca lo sviluppo di operazioni speculative; e, infine, inverte le funzioni creditizie.
Il punto fondamentale della teoria di Itoh da analizzare è l’ipotesi che nella prosperità la composizione del capitale rimanga costante. Da questa ipotesi derivano tutte le altre implicazioni, cioè la diminuzione dell’esercito industriale di riserva conseguente all’aumento dell’accumulazione a composizione costante del capitale; l’aumento dei salari dovuto alla carenza di forza lavoro; il calo della redditività dovuto all’aumento delle retribuzioni; e infine la crisi.
Nella fase finale della prosperità, il sistema creditizio è ampiamente utilizzato per garantire il commercio speculativo. Ciò si verifica principalmente nel commercio all’ingrosso. Itoh sottolinea che con l’inversione delle funzioni creditizie, cioè la restrizione dell’offerta di credito e l’aumento del tasso di interesse, l’inizio della crisi avviene per il crollo delle operazioni speculative proprio nel commercio all’ingrosso, poiché le operazioni al dettaglio sono sostenute, per qualche tempo, dal consumo immediato. Il risultato è uno shock sia per il mercato dei beni che per il mercato monetario.
Itoh cerca di dimostrare che diffondendo nei vari ambiti industriali la difficoltà di reperire denaro sufficiente per mantenere le operazioni speculative, questo si tradurrà in una serie di insolvenze, poiché i prezzi delle materie prime – che hanno raggiunto i massimi livelli nell’ultima fase di prosperità – scendono improvvisamente , rendendo impossibile venderle ai prezzi previsti.
Le banche stanno ora limitando la concessione di nuovi prestiti – sia ai capitalisti commerciali che industriali – al fine di garantire le proprie riserve di liquidità ed evitare la propria insolvenza. Questa stretta creditizia aumenta drasticamente il tasso di interesse ai livelli più alti visti durante il ciclo. A causa di questi alti tassi di interesse, il processo di accumulazione è irrealizzabile, poiché è diventato estremamente dipendente dal credito per effettuare le transazioni di beni, ovvero gli alti tassi di interesse rendono il processo di valorizzazione del capitale dipendente dal credito. In vista di ciò, l’eccesso di merci esistenti dovrà essere venduto, anche a costo di prezzi più bassi, per saldare i debiti pregressi tra i capitali reali.
Questo scenario dimostra la difficoltà intrinseca posta dalla sovraccumulazione di capitale, che può essere espressa nell’apparenza contraddittoria di un’assoluta scarsità di denaro nel mercato monetario e un assoluto eccesso di merci nel mercato dei beni. Di fronte al crollo di questi due mercati, c’è una paralisi e una contrazione degli affari, un’ondata di fallimenti può colpire la sfera industriale e commerciale, così come il settore bancario.
Come conseguenza di tali fallimenti, la disoccupazione è aumentata in modo significativo e, per estensione, i salari sono diminuiti. In questo modo, il calo della domanda effettiva da parte dei lavoratori collabora con la difficoltà di vendere i beni esistenti. Si completa così “il classico tripode di crisi commerciale, crisi del credito e crisi industriale”. Durante la crisi predomina l’aumento del numero dei fallimenti e, con questo, la tendenza è verso un aumento della disoccupazione e, quindi, un calo dei salari nominali. Poiché i fallimenti non colpiscono tutti i capitali allo stesso modo (data l’eterogeneità del capitale e, quindi, il processo irregolare e anarchico della loro distruzione), alcuni riescono ad alleviare le loro difficoltà più facilmente di altri, i loro valori sono più o meno conservati. Poi, dopo il travagliato periodo di liquidazione dei debiti e liquidazione delle scorte di beni, quei capitali sopravvissuti alla crisi acuta, riprenderanno lentamente il loro processo di valorizzazione durante la fase di depressione.
I rapporti di debito sono stati liquidati e le scorte di merci sono state esaurite nell’ultima fase della crisi. Questi due elementi hanno importanti implicazioni. Da un lato, a causa di questo processo di liquidazione del debito, i capitalisti (industriali, commerciali e bancari) sopravvissuti alla crisi indirizzano il loro capitale in contanti al sistema bancario sotto forma di fondi di svalutazione o fondi di accumulazione, che saranno tenuti inattivi e giocano un ruolo importante nella ripresa dell’accumulo dopo la fine della depressione. Come conseguenza di questo accumulo di capitale monetario nelle banche, il tasso di interesse scende a livelli simili alla fase di prosperità. D’altro canto, l’esaurimento delle scorte di merci, avvenuto nell’ultima fase della crisi, consente l’inizio del ripristino dei prezzi, per effetto della diminuzione dell’offerta.
Tuttavia, il prezzo del lavoro resta sotto pressione a causa dell’insufficienza della domanda, poiché la difficoltà di accumulazione continua per qualche tempo durante la depressione. Di conseguenza, i salari diminuiscono, aumentando il plusvalore. Così, in questa fase convivono, da tempo, l’eccesso di capitale reale, l’abbondanza di capitale monetario (ottenuta dal processo di aggiustamento dei rapporti di indebitamento nella fase precedente) e una relativa sovrappopolazione che ha cominciato a ricostituirsi nella fase di crisi e continuerà durante la depressione.
Nonostante queste condizioni favorevoli per il capitale, continua la stagnazione del processo di accumulazione a causa della difficoltà di ristrutturare condizioni equilibrate per una nuova accumulazione reale di capitale. Itoh mette in evidenza due elementi principali che costituiscono ostacoli all’accumulazione in questa fase.
Il primo è l’aumento dei prezzi delle materie prime in alcuni settori rispetto al calo dei prezzi in altri e alla domanda debole da parte dei lavoratori, causata sia dall’aumento della disoccupazione che dal calo dei salari reali. Il secondo elemento, che Itoh pone come “radice del problema”, è l’esistenza di grandi quantità di capitale fisso. Nella prosperità non costituivano ostacoli, poiché erano ancora redditizi. Ora, con un’attività industriale stagnante, i capitali stanno cercando rami industriali o processi produttivi più redditizi. Tuttavia, l’esistenza di capitali fissi crea difficoltà a questi movimenti, in quanto, prima di essere sostituiti o abbandonati, i capitali devono essere ammortizzati.
La soluzione indicata da Itoh è che “mentre i capitali in generale sono ancora vincolati dal capitale fisso esistente, i capitali eccezionali, che adottano nuove macchine migliorate, devono ottenere un profitto extra e possono sfuggire individualmente ai vincoli generali sull’accumulazione di capitale”. La possibilità di un profitto straordinario incoraggia la concorrenza e quindi i capitalisti sono costretti a modificare la composizione tecnica del capitale nel tentativo di diventare più competitivi. Pertanto, l’innovazione tecnologica è la caratteristica principale della fase di depressione. Con i nuovi rapporti di produzione stabiliti nelle principali sfere industriali, il processo di espansione dell’accumulazione, sotto tassi di profitto soddisfacenti, si trasforma in una nuova fase di prosperità. Questo “nuovo processo di prosperità raggiungerà livelli di accumulazione più elevati rispetto alla precedente fase prospera”, con sovrappopolazione relativa ripristinata a seguito dell’aumento della composizione organica del capitale. Così si è concluso il ciclo, che si ripeterà, ancora, a tempo indeterminato.
La conclusione generale che si ottiene da questa teoria è che l’aumento dei salari durante la prosperità, derivante dall’assorbimento della sovrappopolazione relativa, comprime la redditività del capitale, generando la crisi. Al contrario, i salari diminuiscono con la ricostituzione dell’esercito industriale di riserva durante la crisi e questa diminuzione si intensifica durante la depressione.
Appropriandosi, nel modo che più gli conviene, degli argomenti esposti da Marx nella “Legge generale dell’accumulazione capitalistica”, Itoh costruisce una teoria della crisi che combina la formazione, l’esaurimento e la ricostituzione dell’esercito industriale di riserva con i movimenti salariali lungo tutto il ciclo, avendo come grande merito il tentativo di considerare l’importante ruolo del credito nella spiegazione della crisi. Tuttavia, le economie capitaliste, soprattutto negli ultimi decenni, hanno sperimentato cicli economici che coesistono con alti tassi di disoccupazione e salari molto bassi. Appare quindi necessario esaminare le argomentazioni di Itoh sia da un punto di vista metodologico che concettuale.
L’argomento centrale di Itoh è che nella fase di prosperità la composizione del capitale rimane costante. L’autore presenta due ragioni che dovrebbero garantire questa ipotesi. Il primo argomento è che nella prosperità la pressione competitiva sarebbe debole e quindi non ci sarebbero stimoli a razionalizzare i metodi di produzione. Tuttavia, la nozione stessa di concorrenza in Marx è contraddittoria con l’argomento della “debole pressione concorrenziale”: “(…) la concorrenza non è altro che il modo in cui molti capitali impongono le determinazioni intrinseche del capitale sugli altri e su se stessi”. E quali sono le determinazioni intrinseche del capitale? Due determinazioni inerenti al capitale sembrano essere le più importanti e sono direttamente legate all’aumento della composizione organica del capitale.
La prima è la ricerca di un profitto straordinario. La competizione tra capitali stimola l’aumento della produttività del lavoro con l’obiettivo di abbassare i prezzi dei loro beni e ottenere, attraverso la differenza tra il prezzo individuale e il prezzo di mercato, il plusvalore straordinario. Pertanto, è la concorrenza stessa che, in ultima analisi, esercita una pressione per aumentare la produttività del lavoro. “La lotta di concorrenza si conduce mediante riduzione del prezzo delle merci. A parità di condizioni, il basso costo delle merci dipende dalla produttività del lavoro; ma questa dipende dalla scala della produzione. Perciò i capitali maggiori battono i capitali minori.”
Inoltre, la minaccia alla redditività dovuta all’aumento della quota salariale stessa costituisce una buona motivazione per i capitalisti a modificare i propri processi produttivi, sostituendo i lavoratori con le macchine. Finché il costo totale della macchina (compresi i costi di acquisto, ammortamento e dismissione del capitale fisso) sarà inferiore al costo del lavoro, allora ci sarà sicuramente interesse a modificare la composizione del capitale, a favore del capitale costante e a scapito del capitale variabile. Pertanto, durante la fase di prosperità, i salari possono aumentare, ma troveranno il loro limite nell’aumento della composizione organica del capitale e, di conseguenza, nell’aumento dell’esercito industriale di riserva.
La seconda è la necessità di controllare il processo di lavoro. Shaikh sostiene che la meccanizzazione diventa l’espressione dominante dello sviluppo della produttività sociale del lavoro. L’obiettivo finale del capitalista nell’acquistare la forza lavoro è estrarre la massima produttività possibile durante il processo lavorativo. Ciò è stato fatto, nella fase iniziale del capitalismo, attraverso l’intensificazione e l’aumento della giornata lavorativa. Poiché queste procedure diventano difficili da mettere in pratica, sia a causa dei limiti fisici dei lavoratori stessi, sia a causa della legislazione sul lavoro in vigore, i capitalisti sono sempre più obbligati ad aumentare la produttività del lavoro attraverso modifiche nel processo di lavoro stesso. Pertanto, l’impulso alla meccanizzazione avviene indipendentemente dal movimento dei salari reali, deriva dal fatto che il capitale ha
necessità di controllare il processo lavorativo, rendendolo sempre più indipendente dalla forza lavoro stessa.
Il secondo argomento addotto da Itoh per garantire che nella prosperità la composizione del capitale rimanga costante è la difficoltà di sostituire il capitale fisso esistente. Questa difficoltà deriva dal fatto che il capitale fisso deve essere completamente ammortizzato prima della sua sostituzione. In questo caso Itoh considera solo l’ammortamento fisico del capitale fisso che, di fatto, è una necessità del capitale. Tuttavia, la concorrenza impone il deprezzamento morale del capitale costante:
“Infine, come dovunque nella grande industria, ha qui la sua parte anche l’usura morale (…) I mezzi di lavoro sono in gran parte costantemente rivoluzionati dai progressi dell’industria; non vengono quindi sostituiti nella loro forma originaria, ma nella forma rivoluzionata. Da una parte, la massa di capitale fisso investita in una data forma naturale, e destinata a durare in essa per un dato tempo medio di vita, costituisce un motivo di introduzione soltanto graduale di nuove macchine, ecc., quindi un ostacolo alla rapida e generale introduzione dei mezzi di lavoro perfezionati; dall’altra, la lotta di concorrenza, soprattutto in caso di rivoluzionamenti decisivi, costringe a sostituire i vecchi mezzi di lavoro con i nuovi prima che la loro vita naturale sia finita. Sono specialmente catastrofi e crisi ad imporre su scala sociale di notevole ampiezza un simile rinnovo precoce delle attrezzature.”
Pertanto, l’argomento secondo cui l’esistenza di capitale fisso non fisicamente ammortizzato ne impedisce completamente il rinnovo e garantisce che nella prosperità la composizione del capitale non aumenti, è da rivedere in considerazione del fatto che la concorrenza, soprattutto il perseguimento del profitto straordinario, provoca il deprezzamento morale del capitale fisso e, quindi, la necessità di una sua sostituzione anticipata.
Un altro aspetto, nella teoria di Itoh, che risalta è la possibilità del completo esaurimento dell’esercito industriale di riserva. Questo completo esaurimento può avvenire solo perché Itoh considera come esercito industriale di riserva solo la sovrappopolazione relativa risultante dal processo stesso di accumulazione del capitale. L’autore sostiene che una gran parte dei lavoratori inclusi nella forma latente e stagnante dovrebbe essere trascurata, in quanto legati al processo di decomposizione del modo di produzione antecedente al capitalismo e non alle leggi interne del movimento dei capitali.
Ciò significa che, dal punto di vista di Itoh, l’esercito industriale di riserva è più piccolo di quello di Marx e quindi più facile da esaurire.
Tuttavia, questa nozione di esercito industriale di riserva proposta da Itoh non sembra adeguata poiché per tutto il XX secolo il capitalismo ha vissuto una fantastica rivoluzione nei metodi di lavoro in agricoltura (e in altri ambiti) consentendo il mantenimento e l’aumento della quota dell’esercito industriale di riserva. Inoltre, questa rivoluzione dei metodi di lavoro in agricoltura non è associata a nient’altro che alle leggi interne di circolazione del capitale sociale. Lo stesso si può dire della porzione considerata stagnante. Pertanto, considerando la nozione di esercito industriale di riserva proposta da Marx piuttosto che da Itoh, sembra sempre più difficile che la sovrappopolazione relativa si esaurisca completamente e che i salari raggiungano livelli così elevati da incidere sulla redditività del capitale e, con ciò, generare una crisi .
Nel capitolo sulla legge generale dell’accumulazione capitalistica Marx presenta due diverse ipotesi per dimostrare il rapporto tra accumulazione e salario. La prima ipotesi, il mantenimento costante della composizione del capitale, il cui risultato indica l’accumulazione come regolatore dei salari, sembra aver avuto un carattere molto più didattico per aiutare a esporre il problema. È vero che nello stesso capitolo Marx non dimostra gli argomenti sulla tendenza crescente della composizione del capitale, che costituisce la seconda ipotesi. Tuttavia, queste dimostrazioni sono disperse nel resto del suo lavoro, specialmente nei capitoli che affrontano la questione della concorrenza. Pertanto, il primo importante risultato da trarre dalla legge generale dell’accumulazione capitalistica è che, data la tendenza ad aumentare la composizione del capitale, il meccanismo di regolazione del salario è la formazione dell’esercito industriale di riserva. Il secondo risultato si riferisce alla natura ciclica della formazione di questo esercito. Nella fase di prosperità, la sovrappopolazione relativa può essere assorbita in una certa misura, mentre nella crisi e nella depressione questa sovrappopolazione viene ricostituita. Tuttavia, man mano che la meccanizzazione penetra in tutte le sfere della società (industriale, commerciale, agricola, finanziaria) l’esercito industriale cresce al punto che il suo significativo esaurimento nelle fasi di prosperità diventa sempre più difficile. Diventa, in realtà, una condizione per l’esistenza del modo di produzione capitalistico.
Itoh, nel costruire la sua teoria della crisi, ha cercato di sostenere questi argomenti di Marx, ponendo come ipotesi centrale il mantenimento relativamente costante della composizione del capitale nella fase di prosperità. Di conseguenza, l’esercito industriale di riserva è completamente sfinito aumentando i salari e limitando la redditività del capitale. Questa compressione dei profitti dai salari genera una sovraccumulazione di capitale in relazione alla popolazione attiva e da ciò deriva la causa della crisi.
L’osservazione empirica dei cicli economici, soprattutto negli ultimi decenni, in cui tutte le fasi hanno convissuto con alti tassi di disoccupazione e bassi salari, richiede un’analisi critica delle argomentazioni di Itoh. Da un punto di vista concettuale, il salvataggio della nozione di concorrenza basata sull’imposizione delle determinazioni inerenti al capitale e l’esame della nozione di esercito industriale di riserva indicano che la composizione del capitale difficilmente può rimanere invariata, anche nella prosperità, implicando nel costante rinnovamento della sovrappopolazione relativa, nel mantenimento di bassi salari e, quindi, l’impossibilità di fare della scarsità di forza lavoro un elemento causale della crisi.
Bibliografia
Itoh M., Value and crisis, Value and Crisis: Essays on Marxian Economics in Japan, second edition, Monthly Review, 2020
Itoh M., The Basic Theory of Capitalism_ The Forms and Substance of the Capitalist Economy, MacMillan Press, 1988
Marx K., Il Capitale, UTET, 2017