Losurdo e la sfida di un materialismo storico per il XXI secolo
mag 3rd, 2021 | Di Thomas Munzner | Categoria: Teoria e criticaLosurdo e la sfida di un materialismo storico per il XXI secolo
di Sabato Danzilli
La raccolta di saggi contenuta in Domenico Losurdo tra filosofia, storia e politica, pubblicata da La scuola di Pitagora, a cura di Stefano Giuseppe Azzarà, Paolo Ercolani ed Emanuela Susca, offre una panoramica completa dei principali interessi della ricerca di Domenico Losurdo, con interventi da parte dei suoi collaboratori più stretti e di alcuni colleghi. Il filosofo pugliese, scomparso quasi tre anni fa, è stato tra i più importanti pensatori della sinistra italiana degli ultimi decenni, e la sua influenza si estende sempre più sul piano internazionale.
La sua analisi unisce infatti una grande profondità storica a un forte carattere militante. L’indagine storica dei sistemi filosofici presi in considerazione nelle sue opere, compiuta con rigore, non rimane mai confinata in un ambito strettamente teoretico, ma è sempre sottoposta a un esame attraverso una verifica della declinazione nella pratica politica concreta del pensiero dell’autore considerato. In Losurdo è infatti centrale il ruolo del “giudizio politico” nella comprensione del proprio tempo, che è il compito specifico della filosofia.
Il libro si articola in tre sezioni: “Filosofia classica tedesca, universalismo e liberalismo”, “Crisi del marxismo e ricostruzione del materialismo storico” e “Tradizione conservatrice e ideologie della guerra”.
La prima sezione raccoglie saggi dedicati ai lavori di Losurdo su alcuni autori centrali nella sua produzione, come Kant ed Hegel, nonché alla sua originale interpretazione del liberalismo. Il primo saggio, di Giuseppe Cacciatore, prende in considerazione i lavori di Losurdo su Kant, soffermandosi sulla filosofia politica del pensatore di Königsberg. La filosofia kantiana diventa nei primi decenni del XIX secolo un vero e proprio campo di battaglia, per usare la nota metafora della Critica della ragion pura, tra interpretazioni democratico/progressiste e interpretazioni reazionarie. In particolare, Kant aveva rivendicato il carattere di sapere universale della ragione e nel suo pensiero aveva assunto un ruolo centrale il tema della realizzazione pratica della filosofia, tale da poter pretendere a pieno titolo – come affermava Marx – il ruolo di «teoria tedesca della Rivoluzione francese»[1]. Nel suo intervento Cacciatore affronta brevemente anche il carattere strumentale dei “ritorno a Kant” e “ritorno a Hegel”, che hanno caratterizzato la storia del pensiero tedesco tra fine Ottocento e inizio del Novecento, ma si concentra soprattutto su Autocensura e compromesso nel pensiero politico di Kant, del 1983. In tale opera Losurdo, esaminando la critica kantiana al diritto di resistenza, mostra con forza il legame di Kant con il giacobinismo e con la tradizione rivoluzionaria borghese, seppure condizionata in maniera forte dal clima politico delle piccole corti tedesche in cui si trovava a operare.
Il rapporto di Losurdo con la filosofia di Hegel, di cui egli rappresenta uno dei principali interpreti italiani degli ultimi decenni, è esaminato dagli scritti di Nicola De Sanctis, Roberto Finelli e, in parte, Emiliano Alessandroni. De Sanctis ripercorre l’influenza di Hegel e dell’hegelismo nella Prussia post-1848 e nella rifondazione del liberalismo tentata da Haym, mostrando come la critica di quest’ultimo alla “statolatria” hegeliana vada intesa nel senso opposto a quella del giovane Marx e della sinistra hegeliana, in quanto se questi mostravano il carattere illusorio della concezione hegeliana dello Stato come superiore e regolatore della sfera economica nella società borghese, per Haym si tratta proprio di mettere i diritti dell’individuo proprietario al di sopra della comunità politica hegeliana. Temi simili affronta Finelli, ma attraverso un esame minuzioso del concetto di “società civile” in Hegel. Egli ricorda la centralità di Hegel nell’opera di Losurdo: Hegel è il filosofo della modernità e delle sue contraddizioni. Afferma Finelli che una vera teorizzazione della società civile in Hegel è presente solo dai Lineamenti di filosofia del diritto ed è estremamente influenza dal confronto con Smith, Say e Ricardo. Se, com’è noto, Smith è un autore importante per Hegel almeno dal periodo jenese, Say e Ricardo sono citati direttamente soltanto in un’annotazione dei Lineamenti. Il concetto smithiano di divisione del lavoro costituisce la base dell’analisi hegeliana della società civile e il mercato, con la sua compenetrazione di interesse individuale e interesse personale, rappresenta un tentativo di superamento dell’irrisolta divisione tra natura e cultura. Dal momento in cui i bisogni di una società moderna non sono i bisogni meramente “naturali” e anche il lavoro, attraverso la sua divisione sociale e tecnica, si automatizza e meccanizza, diviene realtà storica l’operazione intellettualistica dell’astrazione. La vita sociale richiede l’astrazione: afferma Finelli che la «socializzazione moderna è […] per Hegel sinonimo di astrazione»[2]. Il tentativo hegeliano, a differenza di quello smithiano, si caratterizza per il ruolo centrale dell’eticità come livello più alto della compresenza del ruolo delle soggettività particolari e dell’universalità. Emiliano Alessandroni nel suo intervento parla di una «rottura epistemologica» di Hegel e Marx nel cui solco si pone Losurdo, come il suo maestro Arturo Massolo. Hegel scopre infatti il rapporto dei sistemi filosofici con il loro tempo, che Marx indaga ulteriormente attraverso la categoria di “ideologia”. Alessandroni richiama le osservazioni di Losurdo su Eraclito e su Aristotele, mostrando come questi antichi pensatori debbano per Losurdo essere compenetrati e non opposti, e in tale senso è fondamentale la svolta nella storia della filosofia compiuta da Hegel e Marx.
Nicola Panichi, Riccardo Cavallo e Luigi Alfieri esaminano, in maniera diversa e non priva di elementi critici, l’analisi losurdiana del liberalismo. In opere come la Controstoria del liberalismo e La non violenza. Una storia fuori dal mito, Losurdo ha un approccio “decostruttivo” nei confronti dei miti fondatori dell’ideologia liberale, mostrandone il carattere anti-universalistico e la difficoltà dei pensatori liberali a pensare un concetto universale di uomo, in quanto, lungi da rappresentare la realizzazione di un’ideale universale di eguaglianza, il liberalismo si fonda su una “democrazia dei signori”, escludente verso intere categorie sociali, e pienamente compatibile con politiche coloniali e razziste. Tale afflato losurdiano verso un concetto universale di uomo, al centro anche del saggio di Emanuela Susca, è al cuore della lotta di Losurdo contro quelle che chiama le “tre grandi discriminazioni”: ossia quella sociale, di genere e razziale.
La seconda sezione, come accennavamo sopra, è dedicata a saggi che ripercorrono il rapporto di Losurdo con il marxismo, soprattutto nell’ottica del ripensamento della forma e del ruolo del materialismo storico nella fase post-’89. Non è casuale che questa parte sia la più ampia del volume, data la mole delle opere che Losurdo ha dedicato a tali temi, e l’importanza anche del dibattito suscitato nel movimento comunista italiano – ma non solo, se si vedono le sempre più numerose traduzioni delle sue opere – da molte sue prese di posizione, di cui le principali sono ripercorse negli scritti che compongono questa sezione. Il saggio di Stefano G. Azzarà, dal titolo “Sul marxismo del XXI secolo: ricordando Domenico Losurdo”, può svolgere validamente il ruolo di introduzione a quanto appena detto. Nella ricostruzione di Azzarà, il marxismo di Losurdo costituisce il tentativo di rispondere alla crisi determinata dalla sconfitta di sistema del socialismo sovietico e del suo blocco, la scomparsa di un intero gruppo di intellettuali e politici organici al movimento comunista e la rottura della continuità di coscienza storica del movimento operaio. La presa d’atto “di petto” di tale situazione costituisce il punto di partenza del marxismo losurdiano: nella fedeltà al metodo del materialismo storico, il filosofo pugliese ha indagato la storia del movimento comunista, criticandone in maniera aperta gli elementi a suo avviso di debolezza ma rifiutando scorciatoie e atteggiamenti liquidatori. Si capiscono in tal senso libri come Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, oppure Fuga dalla storia? Il movimento comunista tra autocritica e autofobia, Marx e il bilancio storico del Novecento. L’atteggiamento che Losurdo chiama “autofobia”, ossia il rinnegamento anche da parte della sinistra del proprio armamentario teorico dopo il crollo dell’URSS, rappresenta la spia dell’introiezione del punto di vista del capitalismo vincitore e l’occultamento dei limiti di quel liberalismo, che, sconfitto il suo principale avversario, arriva a considerarsi “fine della storia”. Su tali temi si sofferma anche Andreas Wehr, che, come Azzarà, ricorda la critica losurdiana all’incapacità del socialismo storico di affrontare in maniera adeguata la questione nazionale, e l’insufficienza, inoltre, a dar luogo a una “normalità socialista”, che trova la sua origine storica nell’affermazione del comunismo dopo la prima guerra mondiale, caratterizzandosi come una «redenzione integrale del mondo»[3] dalla forte carica messianica.
Sulla questione dello “stato d’eccezione permanente” che ha caratterizzato gli stati socialisti ritorna anche Alexander Höbel, che mette però in chiaro come ciò non significhi mai per Losurdo un cedimento verso la teoria liberale del totalitarismo, in quanto nelle opere losurdiane si ricorda sempre come, pur con il permanere di un soggettivismo utopistico, il movimento comunista abbia sempre lavorato per l’estensione dei diritti e della democrazia, costringendo ad ampie connessioni e contaminazioni il liberalismo stesso. In tal senso, se si può, e si deve, parlare di una sconfitta del marxismo novecentesco, non si può parlare di un suo fallimento, in quanto esso ha rappresentato un fattore oggettivo di emancipazione.
Il carattere emancipatorio del socialismo ritorna nei contributi di Claudio Tuozzolo e Francesco Fistetti, prendendo avvio dalla questione coloniale. Il saggio di Tuozzolo ritorna sul problema dell’insufficienza del marxismo messianico a portare concretamente avanti un progetto di emancipazione politica ricordando l’ultima opera di Losurdo Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere, la cui chiave di lettura si trova probabilmente nel sottotitolo. Tale volume non pretende infatti di essere una “storia del marxismo europeo” né una sua liquidazione, bensì una critica degli spiriti messianici, spingendo per una contaminazione proficua con quel marxismo che ha dovuto affrontare praticamente i problemi della gestione della transizione verso il socialismo. Tuozzolo si interroga in maniera problematica se tale progetto di emancipazione politica vada inteso nel senso “minimo” di eguaglianza astratto-formale, e in tal senso esso rappresenta un compito già “capitalistico” o in un senso più ricco. Soffermandosi sul perché la modernizzazione capitalistica sia venuta meno ai suoi stessi compiti e non abbia realizzato pienamente l’uguaglianza formale, Tuozzolo sostiene che ciò si deve a un indebolimento della stessa borghesia nel capitalismo attuale, caratterizzato da un peso sempre maggiore dell’elemento finanziario. Fistetti invece, partendo, come detto, anch’egli dall’opera sul marxismo occidentale, rielabora in una critica positiva alcune delle categorie losurdiane, mostrando le potenzialità dell’approccio dell’autore pugliese alla questione coloniale, e propone un possibile incontro con i post-colonial studies. Egli dà un giudizio nel complesso positivo della costellazione postmetafisica della filosofia novecentesca, utile a correggere quello che secondo lui è un limite di molto marxismo, compreso quello losurdiano, ossia l’idea di un kantiano progresso verso il meglio, che si svolge attraverso un unilaterale sviluppo delle forze produttive.
Il saggio di Massimo Baldacci ripercorre brevemente la posizione di Losurdo rispetto al rapporto tra Gramsci e Gentile, prendendo avvio da un saggio del 1990, ossia Gramsci, Gentile, Marx e le filosofie della prassi[4]. Come ricorda l’autore, Losurdo individua nell’atteggiamento verso il fichtismo il discrimine per distinguere la posizione gramsciana da quella gentiliana. Differenziando il concetto di praxis fichtiano da quello hegeliano, Losurdo mostra come sia la categoria di contraddizione oggettiva a costituire il criterio determinante del concetto di praxis in Hegel: una contraddizione che si trova cioè nell’ambito stesso della sostanza. Tale categoria è ben presente in Gramsci, mentre manca totalmente nella riforma della dialettica di Gentile, in cui l’atto si svolge nella pura immanenza del pensiero.
Negli altri contributi di questa parte del volume, Ruggero Giacomini affronta la questione del dibattito su Stalin, che è presente in forma esplicita nella nota monografia già citata, ma che era stato anticipato già ampiamente nei testi precedenti e nella critica losurdiana alla “fuga dalla storia” del comunismo post-’89. Giacomini mette in luce il contesto storiografico e ideologico nel suo complesso in cui l’opera di Losurdo si è trovata ad agire in maniera controcorrente, generando feroci polemiche anche da parte di partiti e intellettuali comunisti. Il testo di Antonio Cantaro ricorda invece la critica losurdiana al populismo e afferma che la reinterpretazione originale della “lotta di classe” fatta da Losurdo lo pone con Marx contra i teorici del populismo. Il concetto plurale di lotta di classe, come inteso da Losurdo, lo colloca nel solco della “lotta per il riconoscimento” hegeliana, laddove una visione puramente economicistica della lotta di classe finirebbe per prestare il fianco al populismo di sinistra, ponendo una contraddizione unica tra “umili” e “potenti”, che rende impossibile analizzare in maniera compiuta molti avvenimenti decisivi della storia mondiale e movimenti oggettivamente progressivi, tra cui le lotte di liberazione nazionale. Per l’autore del contributo bisogna usare questi strumenti analitici “con Losurdo, oltre Losurdo” per analizzare il neo-populismo di destra e l’attuale lotta di classe che agisce anche tra nazioni occidentali. I saggi di Tom Rockmore e Antonio De Simone pongono invece a confronto il pensiero di Losurdo rispettivamente con il pensiero marxista nel suo complesso e con Habermas e la sua proposta di ricostruzione del materialismo storico.
L’ultima sezione del volume è costituita da tre saggi dedicati alla critica di Losurdo al pensiero conservatore e alle ideologie della guerra. Paolo Ercolani affronta l’analisi losurdiana del pensiero di Nietzsche, che, come ricorda già nel titolo del suo intervento, ossia “L’aristocratico distruttore di idoli. Nietzsche filosofo «totus politicus»” ha sempre interpretato il filosofo tedesco come un pensatore reazionario avverso a ogni processo di democratizzazione e un “radicale aristocratico”, libero da qualsiasi orpello retorico. Se la quasi totalità degli interpreti, soprattutto più recenti, di Nietzsche, si è soffermata sul carattere demistificatorio delle ideologie “umanitarie”, non è stato messo in luce con la stessa forza che l’intento nietzscheano non è puramente critico, ma allo stesso tempo affermativo. Egli cioè svolge la sua analisi impietosa dell’ideologia progressista partendo da un giudizio di valore positivo dell’ideologia conservatrice, che invita a non mascherarsi. Nietzsche è pertanto un critico dell’“imperialismo dei diritti umani” liberale, ma questo non deve far dimenticare che la sua volontà di potenza si rivolge allo stesso tempo contro ogni conquista sociale. Losurdo ha un giudizio negativo pertanto delle interpretazioni a-politiche e “innocentiste” di Nietzsche che hanno caratterizzato anche molti autori di sinistra (si pensi a Deleuze e Foucault, o Vattimo), ma allo stesso tempo smentisce la vulgata di un Nietzsche precursore del nazismo ritenendolo al contrario la punta più alta di tendenze anti-emancipatorie ben presenti nella stessa tradizione liberale.
Il saggio di Micaela Latini si intitola “La comunità e la morte. Ludwig Wittgenstein sotto il riflettore della guerra”. Se, come riconosce la stessa autrice, Wittgenstein non è un autore oggetto di una trattazione diretta da parte di Domenico Losurdo, il pensatore austriaco è comunque protagonista di una breve analisi ne La comunità, la morte, l’Occidente. Il contesto è quello della Kriegegesinnung [inclinazione alla guerra] che coinvolge ampia parte dell’intellettualità di lingua tedesca nell’estate del 1914. La vita di trincea non viene mai vissuta da Wittgenstein attraverso uno spirito comunitario e palingenetico, bensì sempre in maniera disincantata. Al centro delle sue riflessioni di quel periodo c’è la meditatio mortis e una prova etica di fronte al rischio della propria vita, che illumini alla luce del più estremo pericolo una ricerca individuale, la quale, questa è la tesi di Micaela Latini, resta aporetica.
La comunità, la morte, l’Occidente è al centro anche dell’ultimo saggio, di Giorgio Grimaldi. Il filosofo protagonista del contributo di Grimaldi è Heidegger. Come egli ricorda, alla luce dei Quaderni neri abbiamo contezza di una radicalità di prese di posizione non immaginabile dai testi precedentemente editi, e tuttavia ciò non sconvolge quanto già emergeva dagli scritti heideggeriani, ma lo esplicita soltanto. Il libro di Losurdo citato più volte sopra, dimostra alla luce di queste nuove “rivelazioni” una grande lucidità. L’analisi heideggeriana del superamento della metafisica si caratterizza come una critica negatrice della modernità, che va completamente superata, come tutta la fase metafisica della storia dell’essere, per giungere a una fase della storia in cui l’essere sarà finalmente e nuovamente disvelato. In tal modo Heidegger nega il presente e il futuro avversando per Losurdo completamente la modernità e le sue conquiste. Attaccando tutta una tradizione di pensiero, attaccando la “glorificazione della ragione”, Heidegger rende impossibile ogni progetto emancipativo e si rimette al carattere destinale e anti-moderno del disvelamento dell’essere.
La raccolta di saggi, di cui abbiamo ricostruito i contenuti, ben rappresenta il carattere plurale, a tutto campo della riflessione critica losurdiana. Ne restituisce l’esigenza che l’ha sottesa lungo tutto l’arco della sua produzione intellettuale, ossia la necessità di ricostruire una teoria critica all’altezza delle sfide del XXI secolo, e che prenda atto delle sconfitte dello scorso secolo senza facili liquidazioni né esaltazioni acritiche, nella convinzione profonda che il pensiero filosofico è, come insegna Hegel, il proprio tempo appreso con il pensiero e in quanto tale deve affrontare le contraddizioni del reale.
Note
[1]MEW, I, p. 80.
[2]Stefano G. Azzarà, Paolo Ercolani, Emanuela Susca (a cura di), Domenico Losurdo tra filosofia, storia e politica, Napoli, La scuola di Pitagora, 2020, p. 98.
[3]Ivi, p. 169.
[4]Domenico Losurdo, Gramsci, Gentile, Marx e le filosofie della prassi, in AA.VV., Gramsci e il marxismo contemporaneo, Roma, Editori Riuniti, 1990.
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