I rituali della politica e gli imbonitori del popolo
mar 19th, 2010 | Di Stefano Moracchi | Categoria: Politica internadi Stefano Moracchi
Quando si parla di disinteresse delle persone per la politica bisogna intendersi a che cosa ci si riferisce. Il disinteresse può essere inteso come mancanza di interesse sulle questioni dibattute, ma non necessariamente sulla facoltà di esercitare la propria volontà sulla scheda elettorale. Come può essere inteso come una forma superficiale di conoscenza delle questioni della cosa pubblica. Ma altrettanto di disinteresse si parla quando, di fronte ad una palese ingiustizia che tocca gli interessi di tutti, non ci si mobilita in prima persona. In questo caso il disinteresse implica quella zona d’ombra della mancanza di responsabilità.
Come si vede, il disinteresse, ha molte sfaccettature e non può essere ricondotto a un unico aspetto.
Il disinteresse per la cosa pubblica, ovvero la politica, è stato alimentato dalle stesse istituzioni repubblicane come antidoto a non interferire, da parte dei cittadini, negli affari privati degli uomini pubblici. Il pubblico si è privatizzato, e il privato si è pubblicizzato. Il trasloco del pubblico nel privato, e il privato nel pubblico, è stato garantito da un patto di non belligeranza per le questioni che attenevano al mantenimento della gestione della cosa pubblica. Le stesse leggi che venivano promulgate erano funzionali all’allontanamento dei cittadini verso la cosa pubblica. Il cittadino era un privato, cioè un individuo che non poteva accedere pubblicamente alla cosa pubblica. La concezione repubblicana dello stato era lettera morta. Quando si parla di difesa della legalità e di difesa della democrazia bisogna riflettere sui significati che si danno alle parole.
Quello che è successo in questi giorni, a proposito della presentazione delle liste e sulle firme false delle stesse liste, non ci può esonerare dalla riflessione sugli atteggiamenti che le forze politiche hanno assunto.
La più originale e rituale è stata quella dei radicali.
È paradossale con quanta enfasi e con quanta spregiudicatezza i radicali hanno ripetuto ossessivamente che la questione di fondo è il rispetto della legge, e che la forma, in una democrazia, rappresenta la sostanza.
Paradossale, in quanto, Pannella, ripete all’infinito da anni, che l’Italia non è una democrazia.
Nell’ultimo congresso a Chianciano, se non ricordo male, la parola d’ordine era rivolta. La volta precedente era r-esistere. Nei giorni scorsi, al teatro dei comici, in piazza S. Chiara, a pochi metri dalla sede di Torre Argentina, si è tenuto un convegno durato l’intera giornata, per decidere, visto quello che era successo anche a seguito del provvedimento interpretativo firmato da Napoletano, se sedersi al tavolo dei bari. Pannella aveva, dalla radio, denunciato l’impossibilità di restare a guardare passivamente di fronte a questo stato delle cose palesemente illegale. Ha tuonato contro l’ammucchiata di piazza del popolo, ribadendo che i radicali non ci sarebbero stati, ma che la Bonino andava in quanto candidata alla regione Lazio!
Una persona normale vorrebbe capire, cercare la corrispondenza tra quanto si dice con l’azione che ne consegue. Invece, che cosa trova? Trova che la r-esistenza pannelliana è semplice connivenza con i palermitani (la usa spregiativamente per indicare la cosca che si contrappone ai corleonesi) ovvero il PD; che la rivolta si traduce nella candidatura della Bonino sostenuta da tutta la sinistra, comunisti compresi. Che la giornata al teatro dei comici è stata una risata (non potevano trovare luogo migliore), in quanto si è risolta in un grande abbraccio con Bersani, e la successiva presenza della Bonino al palco della piazza. Come si vede al tavolo dei bari non solo ci si siede, ma si gioca anche. E uno si siede e gioca nel tavolo dei bari perché sa che, comunque vada a finire, si vince, perché a perdere sono i cosiddetti cittadini, parola sottolineata dalla stessa Bonino dal palco di piazza del popolo, dove i comunisti erano presenti e invasati, tutti partecipi al gioco delle tre carte, mentre nello stesso momento nel CIE (centro di identificazione ed espulsione) di Ponte Galeria si consumava una rivolta degli immigrati tenuti nei lager di stato come fossero delinquenti e non-persone. Ma la sinistra aveva l’urgenza di denunciare le illegalità sollevate dai radicali e che subito si sono sentiti di far proprie.
Condivido in toto.
Vi è poi da considerare l’atteggiamento dei Radicali per quanto attiene la legislazione del lavoro caratterizzato dai molteplici attacchi alle tutele dei lavoratori e l’interventismo criminale in politica estera.
Grazie Roberto per il commento e la precisazione.
Stefano