Raniero Panzieri: per un socialismo della democrazia diretta
feb 20th, 2021 | Di Thomas Munzner | Categoria: Cultura e società
Raniero Panzieri: per un socialismo della democrazia diretta
di Pino Ferraris
Il 14 febbraio 1921 nasceva a Roma Raniero Panzieri, intellettuale marxista, militante e dirigente del Partito socialista italiano, poi fondatore e animatore, fino alla morte prematura (9 ottobre 1964), del gruppo e della rivista «Quaderni rossi». Lo ricordiamo con il saggio che Pino Ferraris gli dedicò nell’opera L’altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico, a cura di Pier Paolo Poggio, vol. II, Il sistema e i movimenti (Europa: 1945-1989), Jaca Book, Milano 2011, pp. 381-401
La figura di Raniero Panzieri ha avuto, nel corso degli anni e dei decenni successivi alla sua morte, un destino paradossale. Tra rimozioni e mitizzazioni, tra dispute patrimoniali e sommarie stroncature è accaduto che la sua biografia politico-culturale, che ha una robusta coerenza di fondo, sia stata spezzata, smembrata: il “meridionalista” di Palermo è stato assolutamente oscurato dall’“operaista” di Torino, il suo ruolo di dirigente politico viene scisso dalla sua attività di produttore di cultura, colui che «per tutta la vita si è dedicato al partito e che viene spinto da una sorta di disperazione a formare gruppi di altro genere»1 viene proposto come “il Battista” dei gruppi minoritari degli anni ’70.
Panzieri dedicò gran parte del suo impegno culturale a smontare “sistemi” cristallizzati di pensiero nel movimento operaio. Persino il suo approccio a Marx, punto di riferimento costante e sicuro della sua elaborazione culturale, era così libero e creativo da renderlo completamente disponibile «all’operazione chirurgica di separare il Marx vivo e ancor oggi utilizzabile da ciò che nella sua opera rappresenta gli incunaboli del riformismo e del diamat».2 La prima edizione postuma di una parte dei suoi scritti apparve inchiodata sotto l’incredibile titolo La ripresa del marxismo-leninismo in Italia.3
Il protagonista del disgelo culturale, l’anticonformista innovatore del pensiero di una sinistra che faticava a uscire dalle rigidità dogmatiche dello stalinismo e della guerra fredda, per un non breve periodo subì le deformazioni indotte da quel «recupero anacronistico di culture politiche da immediato dopoguerra»4 che coinvolse buona parte della sinistra degli anni ’70.
Il primo decennale della sua morte venne ricordato con un numero speciale della rivista «aut aut» dedicato a Raniero Panzieri e i «Quaderni rossi».5 Il fascicolo si apre con un improbabile inedito vistosamente intitolato Tesi Panzieri-Tronti. Una dichiarazione programmatica: coinvolgere Panzieri nelle avventure e disavventure “metafisiche” del volontarismo di Tronti e di Negri allora ospitate dalla rivista di Rovatti.
Lo storico Stefano Merli ha dato un contributo importante di documentazione, di ricostruzione biografica, di pubblicazione degli scritti poco noti di Panzieri tra il 1944 e il 1956,6 delle lettere,7 coprendo tutto l’arco della sua vicenda intellettuale e politica: dalla fase iniziale,8 alla direzione di «Mondo operaio»9 sino ai «Quaderni rossi».10
Nell’Introduzione del 1977 al libro di Sandro Mancini su Panzieri11 Merli anticipa quello che sarà il suo programma di lavoro: Panzieri non può essere letto nell’ottica della “nuova sinistra”. Egli giustamente vuole ricostruire il Panzieri militante e dirigente di primo piano della sinistra storica, protagonista in un Partito socialista all’interno del quale spese ben sedici anni del ventennio del suo impegno politico e culturale troncato all’età di 43 anni.
Merli dice una cosa essenziale: Panzieri non è stato un intellettuale militante ma un dirigente politico intellettualmente creativo. Nei suoi lavori, orientati a inserire l’esperienza di Panzieri all’interno del socialismo di sinistra che ha come punto di riferimento Rodolfo Morandi, lo storico socialista sembra però sottovalutare o non comprendere sino in fondo l’iniziativa politica e la produzione intellettuale dell’ultimo Panzieri. Il volume dedicato agli anni dei «Quaderni rossi»12 è decisamente il più debole di quelli da lui curati.
Esiste uno scarto, un’anomalia nel contributo di Stefano Merli alla ricostruzione della traiettoria politica e culturale di Panzieri. Nel 1987, pubblicando le Lettere di Panzieri, Merli introduce il volume con un ampio e impegnativo saggio dal titolo Teoria e impegno nel modello Panzieri.13 L’ambizione è quella di proporre un’interpretazione complessiva e definitiva della figura di Raniero Panzieri. Questo intento coincide con una svolta del punto di vista di Merli sulla politica socialista del secondo dopoguerra. Lo storico socialista viene attratto da un disegno culturale di rivincita dell’autonomismo socialista stimolato in quegli anni dal protagonismo di Craxi.
Nel libro su Panzieri dell’anno precedente Merli riconosce alla linea del socialismo di sinistra, maggioritaria negli anni della guerra fredda, una sua originalità e identità, pur all’interno della stretta alleanza con il Partito comunista. Solo se si riconoscono questi spazi di iniziativa e di parziale autonomia socialista – aggiunge Merli – si può spiegare «perché una figura così ricca e inquieta come quella di Panzieri abbia scelto la milizia socialista in un ambiente duro e difficile come la Sicilia sacrificando la carriera universitaria».14 Un anno dopo Stefano Merli ribalta il suo giudizio sull’originalità dell’impegno meridionalista di Panzieri in quei primi anni ’50. Per Merli, come già per Cervigni e Galasso,15 il Panzieri siciliano sarebbe stato un interprete passivo della “mistica unitaria” di Rodolfo Morandi «che faceva crescere il partito e nello stesso tempo lo asserviva al comunismo» e al dogma marxista-leninista. In questo saggio Panzieri diventa la prima vittima del “morandiano pentito”.
Una falsa testimonianza di Lucio Libertini16 serve per dare l’immagine di un Panzieri sconfitto e stanco che nel 1964 si appresterebbe a rientrare nell’alveo della politica ufficiale confluendo nel Psiup. Ipotesi questa che distorce e mistifica il senso della resistenza e dell’iniziativa solitaria dell’ultimo Panzieri. Merli chiude questo saggio ambizioso con le parole, fatte proprie, del redattore capo einaudiano Daniele Ponchiroli, secondo il quale Panzieri era «un pensatore politico che voleva modificare la politica e non un politico che volesse modificare situazioni reali».17 Il senso stesso dell’impegno di Merli volto a dare risalto al dirigente politico viene azzerato, i decenni di lotta politica e di lavoro di massa di Panzieri vengono sepolti dalla sentenza del suo capufficio che l’ha visto, con burocratico sospetto, nel lavoro di consulente editoriale. Il saggio di Merli tende ad appiattire Panzieri nel conformismo politico e culturale della sinistra storica.
Il numero di «aut aut» del 1974 voleva invece cooptarlo nella cerchia elitaria delle dissidenze intellettuali.
Forse occorre rifuggire da queste polarizzazioni se si vuole ricostruire un profilo di Panzieri il più possibile aderente alla complessità e alla singolarità del suo percorso politico e culturale.
L’itinerario di una militanza precocemente bruciata nell’intensità del fare e del pensare corre lungo profonde fratture storiche: le speranze e le attese degli anni immediatamente successivi alla Liberazione, la sconfitta e il gelo del tempo della guerra fredda, il “dopo Stalin” politico coincidente con la grande trasformazione della società italiana proiettata verso il “miracolo economico”, i nuovi fermenti operai e giovanili degli anni ’60, l’irrimediabile e crescente distacco tra le macchine politiche e le dinamiche sociali.
All’interno di queste vicende storiche l’inquieta ricerca di Panzieri era rivolta a trovare una sintonia viva e precisa tra i mutamenti sociali e i ritmi della politica. Era il suo un ininterrotto “ricominciare da capo” senza però perdere il “filo rosso” che regge il senso profondo del proprio modo di vivere l’impegno civile e sociale. Un “filo rosso” che accompagna tutta la vicenda umana di Panzieri è la ricerca continua di uno stringente rapporto tra impegno intellettuale e coinvolgimento pratico.
Si potrebbe ricordare la sua attività giovanile presso l’Istituto di studi socialisti di Morandi nel 1946, cui segue immediatamente il lavoro politico in periferia, a Bari, a fianco di Ernesto de Martino; la breve esperienza accademica a Messina che viene interrotta in nome dell’impegno diretto dentro l’aspra conflittualità e le difficoltà politiche del contesto siciliano.
Il periodo della direzione di «Mondo operaio», quando si produce una nuova situazione politica (crisi del centrismo e crisi comunista) in coincidenza con l’emergere del “neocapitalismo”, si caratterizza per lo sforzo di tradurre immediatamente l’intelligenza della realtà in proposta politica e iniziativa sociale. Gli anni torinesi sono segnati invece dalla drammatica tensione tra anticipazione teorica e perdita degli strumenti dell’azione pratica.
Il secondo motivo ricorrente nell’esperienza di Panzieri consiste nella sua concezione del socialismo come liberazione delle capacità di autogoverno delle forze sociali. Dal suo modo di concepire il Fronte popolare nel 1948 – non come «problema di schieramento politico» ma come «movimento spontaneo» innervato negli organi di lotta e di autogoverno dei lavoratori (i consigli di gestione, i comitati della terra, il comune democratico)18 – sino all’ultima sua proposta dell’inchiesta socialista, passando per le tesi sul controllo operaio, costante è la sua ostinata resistenza al principio di delega. La democrazia diretta è la stella polare del suo socialismo anti-statalista.
Panzieri in Sicilia
L’esperienza di Panzieri in Sicilia dura sei anni, dal 1949 al 1955. Arriva a Messina come giovane docente di filosofia del diritto, chiamato ad un incarico universitario da Galvano della Volpe, e dopo pochi mesi s’impegna in un’attività politica e sociale che lo conduce nel giro di due anni a lasciare l’accademia per diventare politico di professione.
Nell’esperienza siciliana si salda il rapporto umano, politico e culturale con Rodolfo Morandi. I successi del suo lavoro nell’isola e il suo ruolo di interprete originale e attivo della “politica unitaria” morandiana sono alla radice della sua rapida ascesa ai vertici nazionali del Partito socialista. Nel congresso di Bologna del gennaio 1951 Panzieri entra contemporaneamente nel comitato centrale e nella direzione del partito. L’ingresso dei due giovani “morandiani” Raniero Panzieri e Dario Valori coincide con l’esclusione di un protagonista del socialismo italiano come Lelio Basso. Elio Giovannini ha definito quel congresso il «congresso della vergogna»19 nel quale trionfa il “piccolo stalinismo socialista” con la regìa di Pietro Nenni e Rodolfo Morandi.
Quale fu l’atteggiamento di Panzieri verso l’ideologia e le pratiche staliniste che negli anni della guerra fredda erano assolutamente dominanti nella cultura e sub-cultura social-comunista? In una lettera a Libertini del dicembre 1959 parla esplicitamente degli «errori commessi» negli anni della guerra fredda «sollecitato sempre dal senso – che tenevo per certo – di un legame ininterrotto, nella lotta, tra il movimento e i partiti».20
Forse coglie nel segno la recente testimonianza del dirigente comunista Emanuele Macaluso che frequentò e conobbe molto da vicino Raniero Panzieri in quegli anni siciliani: «Se un uomo come Panzieri sta nel Psi – afferma Macaluso – anche nella fase della maggiore comunistizzazione e stalinizzazione di questo partito è perché nel Psi aleggiava una storia nella quale la libertà (la libertà di ricerca, la libertà politica, la libertà del cittadino) aveva avuto un peso straordinario. E perché nel Psi, per quanto comunistizzato, non c’erano barriere e vincoli tali che prima o poi la questione si riaprisse. Quelli che nutrivano una maggiore inquietudine intellettuale e politica – gli uomini come Panzieri – scelsero in larga misura più il Psi del Pci».21
Dopo la catastrofe del Fronte popolare, la crisi di Panzieri fu dovuta soprattutto al collasso strutturale del partito, alla sua incapacità di offrire uno strumento di azione di massa e di lotta di classe.22 La caduta della prospettiva di ricollocare il partito socialista «all’interno della situazione generale della classe lavoratrice» coincise con il ripiegamento verso il lavoro accademico. Nel novembre 1948 va all’Università di Messina, ma già nel maggio del 1949 viene coinvolto nel progetto morandiano di ricostruzione del partito. Nell’aprile del 1950 Morandi indica Panzieri come il suo rappresentante nell’isola.23
Dalla documentazione offerta da Domenico Rizzo sull’attività di Panzieri in Sicilia emerge un’inedita figura di dirigente politico a tutto tondo: costruttore di strutture organizzative, animatore in prima persona di lotte di massa nelle miniere e nei feudi, coinvolto in una sequenza di faticosissime campagne elettorali (le regionali del 1951, le comunali del 1952, le politiche del 1953, le regionali del 1955). Un Panzieri che si spende con generosità in un impegno pratico quotidiano a tutti i livelli e in ogni direzione e che continua a esprimere una sempre rinnovata elaborazione culturale. Soprattutto emerge il profilo di un dirigente profondamente radicato nella realtà sociale e politica del Meridione, interprete della storia e delle tradizioni più vive e combattive del movimento democratico e socialista siciliano.
Il Panzieri di quegli anni indica nelle lotte per la terra il “punto archimedico” di una rivoluzione democratica.
Nel corso della campagna elettorale regionale del 1955, quando Morandi e Panzieri rompono la tradizionale unità elettorale con il Pci nel “Blocco del popolo” e i socialisti presentano liste proprie, si dispiega la peculiarità della politica socialista nell’Isola.
La piattaforma elettorale del Psi dal titolo Nell’alternativa socialista rinascita e autonomia della Sicilia, scritta da Panzieri,24 ha un ampio respiro culturale: recupera le radici della lotta socialista a partire dai Fasci siciliani, fa una lucida e sferzante analisi dei governi democristiani e delle loro complicità economiche e mafiose, propone un disegno alternativo di sviluppo economico e di riscatto sociale.
Contro il separatismo reazionario e contro una linea di asservimento al centralismo dello stato unitario burocratico rivendica la lunga storia di lotta socialista per un’autonomia in chiave federalista, che ha sempre intrecciato libertà politiche e liberazione sociale.
Il movimento dei Fasci siciliani, nel quale si esprimeva un forte associazionismo partecipativo, che vedeva la convergenza tra azione economica e iniziativa politica, è indicato come l’esperienza fondamentale ed esemplare del socialismo siciliano che alimenterà generazioni di organizzatori di leghe contadine, di cooperative bracciantili e di combattivi dirigenti socialisti. Questo recupero di una tradizione socialista di lotta di classe radicale e libertaria, che dall’Ottocento si prolunga nel primo Novecento, è uno degli aspetti più originali dell’elaborazione politica e culturale del Panzieri siciliano che non sarà più ripresa negli anni successivi.
La campagna elettorale del 1955 e i risultati del voto, che segnano un successo dei socialisti, fanno della Sicilia il laboratorio della linea di “apertura a sinistra” unitariamente approvata dal congresso di Torino del Psi pochi mesi prima. Sia la documentazione offerta da Domenico Rizzo25 sia la testimonianza di Macaluso26 ci dicono che Panzieri, in stretto collegamento con Rodolfo Morandi, è protagonista in questa svolta politica.
La posta in gioco era altissima: non si trattava solo colpire il blocco agrario realizzando la distribuzione della terra. Si poneva all’ordine del giorno la gestione pubblica regionale delle risorse idriche e della produzione elettrica e soprattutto la nuova questione delle risorse petrolifere.
Era un intero assetto di potere, coagulato attorno ai governi dell’on. Restivo, che era messo in discussione. Segnale dell’altezza della sfida è l’uccisione, in piena campagna elettorale, del capolega socialista Salvatore Carnevale a opera della mafia.
Il terremoto in atto nei rapporti di potere è testimoniato dalla rottura della Sicindustria di La Cavera con la Confindustria nazionale. Il nuovo governo Alessi, che ebbe durata breve, fu il risultato dell’autonoma e combattiva iniziativa socialista perseguita da Panzieri attraverso tensioni con il Pci27 e non poche resistenze all’interno del Psi.
L’esperimento siciliano realizzato da Morandi e da Panzieri non era altro che l’anticipazione del centro-sinistra nenniano, come sembra pensare Stefano Merli? È lecito dubitarne.28
Nel 1955 Raniero Panzieri, membro della direzione del Partito socialista, segretario della Sicilia, responsabile nazionale Stampa, propaganda e cultura del partito, è uno dei più importanti giovani dirigenti socialisti morandiani.
Dentro la grande trasformazione
La campagna elettorale regionale e l’“operazione giunta Alessi” del 1955 rappresentano la conclusione dell’impegno siciliano di Panzieri, che dal settembre del 1953 ha trasferito la sua residenza a Roma, dove dirige la sezione Stampa e propaganda del Psi pur conservando la responsabilità di direzione politica in Sicilia sino al 1955.
Il 1955 è l’anno dell’improvvisa morte di Rodolfo Morandi, della sconfitta della Fiom alla Fiat, dell’irrompere del dibattito internazionale sulla nuova fase dell’automazione industriale.
Il sindacato americano dell’automobile affronta i problemi che le nuove tecnologie dell’automazione pongono al mondo del lavoro. In Gran Bretagna, le Trade Unions discutono sulle misure da prendere per fronteggiare le conseguenze sociali della “fabbrica automatica”.
Morandi era stato un “meridionalista” venuto dal Nord, era stato il dirigente socialista che più di ogni altro aveva introdotto nella sinistra la cultura del moderno industrialismo e della tecnica. La lezione del Morandi della Storia della grande industria aiuta a spiegare la pronta sensibilità con cui Panzieri ha captato i segnali di uno sviluppo capitalistico che poneva nuove sfide al movimento operaio.29
Nel 1956 viene tradotto da Einaudi il libro del francofortese Friedrich Pollock, Automazione. Conseguenze economiche e sociali.30 La rivista «Politica e società» avvia un’inchiesta su L’automazione e le sue conseguenze sociali, con interventi di Franco Momigliano, Vittorio Foa, Alessandro Pizzorno, Luciano Gallino, Franco Ferrarotti e Gino Martinoli.31 A fine luglio l’Istituto Gramsci organizza il convegno su Trasformazioni tecniche e lavoro.32
Quando, nel 1956, il XX Congresso del Pcus e il rapporto Krusciov, i sussulti polacchi e la repressione sovietica della rivolta popolare ungherese travolgono lo stalinismo, Panzieri non giunge impreparato a questa sfida: immediatamente vede e vive la crisi del comunismo stalinista come una grande opportunità: «l’affermazione del processo attuale come rottura costituisce il solo modo di affermare la continuità storica del movimento».33 La sinistra italiana, secondo Panzieri, per evitare di isolarsi dai grandi processi internazionali e per rompere il diaframma che la separa dalle dinamiche della società nazionale, deve trarre una immediata lezione dagli eventi del 1956: ribaltare la concezione del partito-guida, superare le forme di organizzazione autoritaria e gerarchica delle masse, uscire dal sonno dogmatico e aprirsi a un’analisi concreta dei grandi mutamenti sociali.
In direzione opposta va invece la risposta di Togliatti. Egli tende a filtrare, attenuare, governare le conseguenze degli eventi che esplodono nell’Est al fine di conservare intatto il “partito d’acciaio” di stampo stalinista sul quale innestare la ripresa del moderato riformismo della “svolta di Salerno”.34
Nenni cerca di volgere la crisi del comunismo e la “stanchezza delle masse” verso un disegno di riformismo governativo dall’alto, la cui cifra simbolica è l’incontro di Pralognan dell’agosto 1956 con Giuseppe Saragat.
Verso la fine del 1956 Panzieri aveva operato il raccordo tra la lezione della sconfitta della Fiom alla Fiat come l’emergere di una nuova questione operaia, l’analisi della nuova fase di sviluppo del capitalismo, un radicale ripensamento della politica della sinistra e dei suoi strumenti, la necessità di un’uscita a sinistra e libertaria dallo stalinismo. La capacità di tenere insieme e di far interagire tra di loro queste quattro linee di ricerca e di proposta rappresenta la ricchezza dei due anni (1957-58) della rivista «Mondo operaio» diretta da Raniero Panzieri.
Il congresso di Venezia del Psi del febbraio 1957 registra una situazione di stallo: Pietro Nenni esercita un’indubbia egemonia politica, ma la sinistra ha la maggioranza nel comitato centrale. In tale contesto, Panzieri viene escluso dalla direzione del partito ottenendo in cambio la direzione della rivista. In meno di due anni riesce a trasformare uno stanco e modesto organo di partito in un laboratorio di idee e di proposte innovative intorno al quale tesse una rete di forze intellettuali, di sindacalisti, di militanti politici. «Mondo operaio» diventa una tribuna larga e vivace di dibattito che va ben oltre la lotta tra le correnti interne al Psi.35 Il numero di marzo-aprile 1958 della rivista è arricchito da un “Supplemento scientifico-letterario” diretto dal fisico Carlo Castagnoli e dal critico letterario Carlo Muscetta. Con questo nuovo strumento Panzieri cerca di proporre e affermare le sue idee sulla cultura della sinistra. Due sono i cardini. Autonomia della cultura dai partiti ma impegno sociale degli intellettuali. Alleanza tra scienze umane e sapere tecnico-scientifico. Nei due anni di gestione di «Mondo operaio» la “tendenza Panzieri” disegna netto il suo profilo di socialismo libertario innestato sulle nuove contraddizioni di un industrialismo in espansione che incorpora l’onda delle innovazioni tecnologiche.
Lo scontro interno al Partito socialista si sviluppa però lungo altre linee: da una parte una resistenza “frontista” di apparato, dall’altra un autonomismo politicante e governativo che si nutre delle aspettative e dei consensi di opinione.
“Rompere per continuare”: questo rimane l’obbiettivo di fondo di Panzieri. Il senso di questo doppio movimento è racchiuso nel più volte citato saggio di Morandi del 1937 su Otto Bauer. Questo scritto conclude sulla necessità di uscire dall’«antitesi morta» di comunismo e socialdemocrazia, ambedue malati di “statalismo”, per affermare «un socialismo schiettamente libertario (senza punto impaurirsi delle baldanza anarchica di questa qualifica)».36
Panzieri vuole incidere dentro il movimento operaio “storico” e soprattutto dentro la crisi del partito comunista. Su «Mondo operaio» si propone di progettare il futuro riattivando idee, esperienze di una tradizione socialista e comunista rivoluzionaria e radicalmente democratica.
In Sicilia richiamava l’esperienza dei Fasci siciliani, le idee e l’azione degli organizzatori di leghe bracciantili e di associazioni cooperative a cavallo tra la fine dell’800 e i primi del ’900. Ora nei numeri monografici di «Mondo operaio» dedicati ai consigli di fabbrica torinesi e all’«Ordine nuovo» di Gramsci, ai consigli operai in Germania e al movimento spartachista di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht, all’ottobre russo dei soviet e al Lenin di Stato e rivoluzione, egli pensa di poter contrapporre alla degenerazione autoritaria del comunismo senile quella che ritiene l’ispirazione di radicalismo democratico del comunismo delle origini. Panzieri vuole parlare, in una fase critica che offre opportunità di mutamento, non solo ai socialisti ma anche e forse soprattutto al partito comunista.
Il neocapitalismo è una realtà è il titolo di un saggio di Vittorio Foa che apre uno dei primi numeri di «Mondo operaio» diretto da Panzieri nel maggio 1957. La tendenza principale del capitalismo è lo sviluppo. Le contraddizioni principali del capitalismo non nascono dal suo ristagno ma dentro il dinamismo tecnico e produttivo.
Questo saggio indica l’asse di ricerca economica e sociale della rivista. L’acuta percezione dell’espansione di quello che sarà chiamato l’industrialismo fordista, la registrazione dei primi accenni di una società dei consumi, la segnalazione di un nuovo interventismo statale funzionale allo sviluppo capitalistico e al consenso sociale (fanfanismo) costituiscono le direttrici di indagine e di dibattito perseguite dalla rivista di Panzieri.
Da queste analisi «Mondo operaio» trae argomenti teorici e fattuali per la critica delle “illusioni” del neo-riformismo statuale di Nenni, per mettere in discussione la strategia del Pci di lotta contro le arretratezze e i “residui feudali” nelle campagne e contro la stagnazione economica del capitalismo monopolistico, per demistificare infine le ideologie del “capitalismo popolare” e del “benessere sotto impresa”.
A questa parte critica fanno seguito proposte costruttive. Le linee di nuova politica del movimento operaio sono riassunte e definite nelle Sette tesi sul controllo operaio di Libertini e Panzieri che appaiono sul numero di «Mondo operaio» del febbraio 1958.37 Seguirà un dibattito vivace sulla rivista, sull’«Avanti!» e sull’«Unità».
La centralità della classe operaia, la qualità politica dalle rivendicazioni “gestionali” emergenti dalle “lotte nuove”, la “via democratica al socialismo” centrata su nuovi istituiti di democrazia operaia che sono leva della trasformazione sociale e garanzia della sostanza libertaria della nuova società: questi sono i cardini delle Tesi.
La coincidenza della sconfitta del movimento contadino nel Sud e della sconfitta della Fiom alla Fiat pone un problema generale di ripensamento della forma stessa della politica della sinistra che sia in grado di ricollegarsi con le dinamiche di fondo della società.
Nelle tesi è ricorrente la denuncia delle inevitabili tendenze del potere a rendersi autonomo, a farsi autoreferenziale tramite la burocrazia e la parlamentarizzazione. Il contrappeso consiste nell’azione di massa e nel pluralismo degli organi di lotta e di democrazia sociale: il movimento per il controllo operaio, gli organi di una cultura autonoma, il movimento cooperativo, un sindacalismo unitario politico ma non partitico.
La politicità e le autonomie del sociale aprono una terza dimensione della politica all’interno del chiuso universo binario del sindacalismo economicistico e del partito politico parlamentare.
Si rimette in discussione quella sorta di “monarchia del partito” che è propria della concezione del “partito-guida” e del “partito-verità”, alla quale viene contrapposta la concezione morandiana del partito funzione, del partito strumento al servizio della classe.
Quando Paolo Spriano, per conto del segretario del Pci, deve troncare un dibattito che sta diventando insidioso, va al sodo: è questo terremoto della politica che bisogna mettere all’indice. In queste tesi c’è la fuga dal “leninismo” perché si nega il ruolo dirigente del partito. C’è anarco-sindacalismo nella confusione tra economia e politica. C’è trozkismo nella ripresa della linea avventurista del “dualismo dei poteri”.38
Il dibattito generale sulle tesi appare deludente: i comunisti stroncano, i socialisti “autonomisti” guardano in tutt’altra direzione, la sinistra socialista è distratta dalle contingenze tattiche e dalla lotta di potere nel partito. Le Tesi avrebbero dovuto «trovare il loro naturale sviluppo nell’azione politica, nella partecipazione alla lotta in corso nel movimento operaio per un giusto indirizzo». Esse non trovano possibilità di ancoraggio nell’evoluzione dei partiti di sinistra.
Nel congresso di Napoli del 1959 del Psi prevale una linea di «negazione della sostanza politica delle tesi sul controllo, proprio perché esalta un curioso paternalismo politico, sopravvaluta l’azione parlamentare, nega lo sbocco politico dell’azione di massa».39
Nel Pci la risposta alla crisi del 1956 si indirizza verso un’esaltazione dello spirito di partito: «un’idea prevalentemente politica e istituzionale dell’avanzata verso il socialismo e della trasformazione della società che porta ad identificare gli spazi e il potere del partito con la libertà e il progresso della società tutta».40
Al Congresso di Napoli Panzieri entra ancora a far parte del Comitato Centrale del Psi. Di fatto si sta allontanando dalla lotta interna di partito. La vera rottura che egli va operando in quei mesi non è soltanto nei confronti del Psi, ma esprime una critica radicale dell’istituzione partito in quanto tale: «Vi è una contraddizione sempre più evidente, oggi, tra l’importante sviluppo delle lotte di massa nel nostro paese, e ciò che accade nei partiti». Se rimane una qualche speranza, essa è affidata «alle organizzazioni operaie in quanto tali, allo stesso sindacato nella misura nella quale esso affronta i temi del suo rinnovamento, che sono i temi delle forme di espressione autonoma dei lavoratori».41
Questa rottura non avviene con atti clamorosi e spettacolari. È insieme un tirarsi fuori e un lasciarsi mettere fuori.
Gli anni del silenzio
Dal gennaio 1959, data del Congresso del Psi vinto da Nenni, all’ottobre del 1961, quando esce il primo numero dei «Quaderni rossi», trascorrono poco meno di tre anni. Sono tre anni di “quasi silenzio” di Raniero Panzieri. Sono però anche anni di scelte politiche significative, di riflessione e di studio, di organizzazione culturale e di tessitura di relazioni, di elaborazione di progetti.
L’esito del congresso socialista di Napoli lo porta a mettere in primo piano la sua libertà politica. Tronca la lunga esperienza di politico di professione, trova “una posizione di indipendenza personale”. Un mese dopo il congresso decide di cercare un lavoro presso la casa editrice Einaudi. A marzo è già a Torino.
Il prezzo politico della sua indipendenza è altissimo: lontano dai giochi romani di potere e fuori dall’apparato viene totalmente emarginato dai “morandiani” della sinistra burocratica. Sono proprio gli uomini della sua generazione, con lui cresciuti alla scuola di Rodolfo Morandi, che più si sentono insidiati dalla presenza e dall’iniziativa di Panzieri. Egli è portatore di un ripensamento strategico di uscita a sinistra dall’“antitesi morta” di socialdemocrazia e comunismo, propone una posizione di verità critica nei confronti del “socialismo reale”, intende rimettere in discussione il “partito guida” burocratico di massa. E pretende di estrarre questi obbiettivi da una coerente interpretazione della lezione morandiana.
Questa sfida è avvertita con insofferenza dagli uomini d’apparato della sinistra socialista che non vogliono andare oltre la gestione tattica di una critica “massimalistica” del riformismo governativo di Nenni in un articolato rapporto di dipendenza dal Pci e all’ombra dei “fratelli” d’Oriente.
Proprio perché era stato “uno di loro”, Panzieri può avere una pericolosa autorevolezza e quindi deve essere neutralizzato. Il suo curriculum di importante dirigente socialista, il suo ruolo di prestigioso direttore della rivista teorica del Psi vengono azzerati.
Subito dopo il Congresso di Napoli sembrava scontato che sarebbe stata affidata a Panzieri la direzione di una rivista teorica e culturale della sinistra socialista. Invece «da Roma nessuno si fa vivo». Lucio Libertini, accettando la direzione di «Mondo nuovo», il settimanale della sinistra, rompe il sodalizio che aveva retto e animato i due anni di «Mondo operaio», si fa cooptare dal gruppo che guida la corrente di sinistra e avalla l’isolamento e l’emarginazione di Panzieri. «Vedo tutte le strade bloccate, il “ritorno al privato” mi mette freddo addosso, la possibile sorte della piccola setta mi terrorizza».42
La lettera del 27 marzo 1961 a Lucio Libertini non solo esprime il suo «dissenso non eliminabile» dal direttore di «Mondo nuovo», ma profila una linea di uscita dal dilemma inaccettabile tra il “privato” e la “setta”. Si tratta di elaborare un “discorso unico” critico e propositivo, teorico e concreto, una politica unitaria di dissenso che operi fuori e dentro le organizzazioni del movimento operaio.
Si cammina su un filo sottile, ma «per questa via si può sperare di ricostruire un nesso tra realtà di classe e organizzazioni, fuori dal settarismo ridicolo e anacronistico dei piccoli gruppi e fuori insieme dalle compromissioni che rendono gli organismi impermeabili alle forze nuove».
A Libertini, che gli annuncia la sua esclusione dal Comitato Centrale eletto al Congresso di Milano del Psi del 1961, risponde: «Questo discorso te l’ho fatto perché ti sia chiaro in quale “spirito” ho accolto con profonda soddisfazione la mia uscita dal Comitato Centrale e nello stesso tempo mi propongo di ristabilire una collaborazione più intensa con la sinistra»: non un mio “reinserimento”, aggiunge, per togliere di mezzo ogni equivoco. Le relazioni che Panzieri intrattiene con la sinistra socialista riguardano realtà periferiche impegnate e attive nel lavoro di massa.
Mentre registra che i partiti si dimostrano sempre più chiusi ed estranei alla ripresa del fermento operaio e giovanile, egli rivolge la sua attenzione soprattutto alle positive dinamiche sindacali.
Scrivendo delle lotte del 1960 rileva che «gli aspetti essenziali di rinnovamento sindacale della Cgil hanno sostenuto, nella formazione del movimento odierno, un positivo ruolo di importanza fondamentale».43 I rapporti con Sergio Garavini e la Camera del lavoro di Torino per l’inchiesta sulla Fiat si sviluppano precocemente; quelli con Vittorio Foa e la corrente sindacale socialista si intensificano.
Vittorio Foa, col suo saggio Il neocapitalismo è una realtà del maggio 1957, aveva suggellato l’avallo politico all’avvio della direzione di Panzieri di «Mondo operaio». Nell’ottobre del 1961 sarà ancora un saggio di Foa su Lotte operaie nello sviluppo capitalistico ad aprire il primo numero dei «Quaderni rossi».
È poco probabile l’ipotesi avanzata da Merli secondo la quale Panzieri tenterebbe «una sutura tra l’elaborazione di Morandi e di Foa».44 I due percorsi culturali e politici sono troppo distanti. Foa in quegli anni dava una priorità assoluta al rinnovamento politico e culturale del sindacato, alla ripresa di una radicalità conflittuale e contrattuale sui nuovi terreni della fabbrica e dell’organizzazione del lavoro. Egli vedeva il partito come la “sponda” per l’iniziativa politica del sindacato. Panzieri convergeva con l’analisi di Foa sui nuovi terreni e la nuova qualità del conflitto di classe, ma considerava un sindacato rinnovato e combattivo come la “sponda” per andare avanti verso un progetto politico, per la riapertura di una prospettiva rivoluzionaria.
In quest’ottica si possono spiegare sia le convergenze sia le divergenze tra questi due protagonisti.
Nel tempo dei «Quaderni rossi»
La breve vicenda della rivista «Quaderni rossi» può essere considerata come importante documento delle potenzialità di rinnovamento della cultura politica della sinistra che premevano dentro quei primi anni ’60: gli anni della “grande trasformazione” dell’economia e della società italiana, gli anni delle speranze, delle aperture di nuovi orizzonti. Essa è il sismografo che registra le vibrazioni prodotte dalle “forze giovani” (operai e intellettuali) che fermentavano sotto la superficie immobile e piatta della glaciazione delle idee, dei costumi e delle istituzioni prodotta dai lunghi “inverni” della guerra fredda.
Non parlerò qui della rivista in quanto tale, del ruolo politico che essa ha avuto, del ventaglio delle sue iniziative e delle tematiche affrontate. Cercherò di isolare, per quanto è possibile, i principali contributi politici e teorici dei saggi di Panzieri scritti nel tempo dei «Quaderni rossi», dal 1961 al settembre del 1964.
Il primo numero della rivista fu l’espressione più efficace e ultima di quella che abbiamo chiamato la tattica fuori-dentro: produrre un’autonoma e indipendente elaborazione di proposta politica e culturale capace però d’interagire con forze interne al movimento operaio “storico”.
Panzieri voleva destabilizzare l’esistente, «portare tutte le forze possibili del movimento operaio sul terreno di questa elaborazione», attivare un processo di ricomposizione unitaria della classe in una prospettiva rivoluzionaria «che deve passare attraverso la ripresa e via via la trasformazione delle organizzazioni storiche del movimento operaio». Questa impostazione è continuamente ribadita nel suo lungo e impegnativo intervento di presentazione del primo numero dei «Quaderni rossi» a Siena nel marzo del 1962.45
Oltre al saggio d’apertura di Vittorio Foa questo primo numero contiene interventi di importanti sindacalisti comunisti come Sergio Garavini ed Emilio Pugno e di sindacalisti socialisti (Muraro, Alasia, Gasparini).
Un mese dopo l’uscita del primo numero i sindacalisti comunisti Garavini e Pugno esprimono “dissensi fondamentali” nei confronti della rivista. Su pressione del partito essi si tirano fuori.
Il saggio di Panzieri Sull’uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo,46 che appare sul primo numero dei «Quaderni rossi», rappresenta l’approdo della sua riflessione negli “anni del silenzio”, una svolta rispetto al periodo di «Mondo operaio», il punto più alto e più duraturo del suo lascito teorico e politico.
Coglie nel segno Maria Turchetto quando sottolinea l’«enorme importanza teorica» della svolta operata da Panzieri che mette «seriamente in discussione la visione apologetica del progresso tecnico-scientifico caratteristica della tradizione marxista».47
«Di fronte all’intreccio capitalistico di tecnica e potere – scrive Panzieri – la prospettiva di un uso alternativo (operaio) delle macchine non può evidentemente fondarsi sul rovesciamento puro e semplice dei rapporti di produzione (proprietà), concepiti come involucro che ad un certo grado di espansione delle forze produttive sarebbe destinato a cadere perché divenuto troppo ristretto: i rapporti di produzione sono dentro le forze produttive, queste sono “plasmate” dal capitale».48
In queste poche righe si concentra una critica dirompente delle ortodossie che hanno prevalso sia nella Seconda sia nella Terza Internazionale. Si mette in discussione alla radice l’oggettivismo dello sviluppo delle forze produttive che sta alla base sia dell’evoluzionismo riformista sia del catastrofismo rivoluzionario.
Ambedue le posizioni spostano il fuoco dell’azione politica dal processo di produzione alla competizione intorno al potere nello Stato. Nessuna delle due coglie la sostanza libertaria della lotta operaia come insubordinazione del lavoro vivo contro la razionalità dispotica del capitale.
Maria Turchetto sottolinea il nesso tra rilevanza teorica ed efficacia pratica dell’apporto di Panzieri poiché la “rivoluzione copernicana” nella teoria coincideva con le modalità di svolgimento pratico delle nuove lotte operaie degli anni ’60. Turchetto giustamente indica l’elaborazione di Panzieri come una doppia “occasione mancata” per la sinistra. “Occasione mancata” per interpretare e indirizzare l’onda anti-autoritaria, “gestionale” e di contestazione della neutralità della tecnica che caratterizza la conflittualità del biennio ’68-69.49 Infine “occasione mancata” perché il rifiuto della neutralità della tecnica e della scienza teorizzato da Panzieri conserva una valenza critica attuale che oggi è andata persa. La nuova “grande trasformazione”, cosiddetta post-fordista, che ha il proprio motore nelle tecnologie informatiche di controllo e di guida (intrise di potere), ha coinciso con una visione acritica o addirittura apologetica del progresso tecnologico.
L’avvio del saggio sulle macchine, in presa diretta sulla IV sezione del Libro I del Capitale, è un esempio straordinario della capacità di far vivere e parlare Marx dentro i problemi del presente, senza richiami al principio di autorità ma in forza dello stimolo che urge nell’attualità. È una grande lezione di metodo la liberazione di Marx dalla gabbia dogmatica delle dottrine di partito, la sua sottrazione alle bizantine dispute dei filosofi; un Marx riportato invece tra le macchine, dentro le fabbriche dove salario e profitto, alienazione e conflitto vivono nell’esperienza quotidiana del lavoro. Questo saggio lucido, tagliente ed essenziale trova un suo più ampio e articolato commento nella Relazione sul neocapitalismo dell’agosto 1961.50 Lo scritto sull’uso delle macchine non parla del macchinismo capitalistico in astratto ma lo colloca nella contemporaneità del capitalismo maturo, del neocapitalismo.
Franco Momigliano in uno scritto del 195751 descrive con sintetica chiarezza l’ideologia del neocapitalismo come primato dell’impresa “cosciente” che realizza le “armonie dell’integrazione”: integrazione tra produzione e mercato che genera bisogni di consumo, integrazione tra lavoro e impresa attraverso le “relazioni umane”, integrazione tra impresa e società con giuste dosi di keynesismo e di welfare. Il tutto assorbendo il concetto di programmazione dalle concezioni socialiste.
Di fronte a queste prospettive il Pci resta in parte paralizzato (lo blocca la visione dei “residui feudali” e dello stagnazionismo dei monopoli) e in parte affascinato (il progresso tecnico neutrale da trasformare in progresso sociale). Quest’ultima posizione è quella espressa da Silvio Leonardi nel convegno dell’Istituto Gramsci del 1956.52 Contro di lui si appunta in modo particolare la polemica di Panzieri.
Si può parlare di un’ideologia del neocapitalismo perché viene dichiarata realizzata una razionalità che invece con riesce mai a compiersi, perché si afferma un’integrazione conclusa là dove invece essa incontra il limite dell’insubordinazione operaia.
Ideologia non significa pura mistificazione. Sotto l’involucro ideologico c’è un nucleo di verità: operano pratiche reali e insidiose di regolazione sociale, di manipolazione dei comportamenti. Congiungere rendimento massimo con rendimento ottimo significa fronteggiare i potenziali conflitti, operare al fine di mobilitare un lavoro svuotato e senza attrattiva. L’integrazione tra produzione e mercato si manifesta come la programmata manipolazione del comportamento del consumatore. Quando il controllo e la manipolazione sociali diventano fattori della produzione si impone la convergenza della critica dell’economia politica con la critica sociologica. Qui, nella relazione sul neocapitalismo, già si anticipa un tema che troverà pieno sviluppo nell’“Inchiesta socialista”.
Nel delineare un piano totalitario neocapitalistico è presente l’influenza francofortese (Adorno e Pollock). Ma Panzieri contesta esplicitamente il pessimismo dell’alienazione tecnica e consumistica di Adorno: il sociologo francofortese – scrive Panzieri – «non vede il proletariato, non vede le forze che nella sfera della produzione, nella radice possono rovesciare quei processi».53
Giustamente Sandro Mancini54 mette in evidenza come la ripresa della tematica del controllo operaio nel 1961, a conclusione del saggio sulle macchine, rappresenti una discontinuità rispetto alle tesi sul controllo operaio del 1958. Nel saggio del 1961 Panzieri prende nettamente le distanze da ogni versione del controllo operaio che si faccia carico di un neutrale sviluppo tecnico ed economico. Compie un affondo radicale, che mette in secondo piano l’azione esterna nella sfera dei consumi (salario) e del tempo libero (orario), puntando dritto al controllo che «investe il rapporto concreto razionalizzazione-gerarchia-potere» nel processo produttivo e che si rivolge contro il «dispotismo che il capitale proietta e esercita sull’intera società». Il tempo e il luogo dai quali dovrebbe partire l’armoniosa integrazione sociale diventano tempo e luogo in cui si condensa il potenziale dell’insubordinazione operaia, dalla quale può emergere quel dualismo di potere che riapre la prospettiva rivoluzionaria.
Nel luglio del 1962, nel corso della lotta per il contratto dei metalmeccanici, dopo anni e anni di silenzio e di passività operaia, la Fiat esplode. In una difficile situazione di nuova combattività operaia e di manovre volte a dividere il fronte dei lavoratori con accordi separati, i Quaderni rossi il 6 luglio distribuiscono di fronte agli stabilimenti della Fiat un lungo volantino che inizia con queste parole: «Operai della Fiat, alle vostre spalle, senza consultare nessuno, le organizzazioni sindacali al servizio del padrone hanno concluso un accordo separato che tenta di liquidare la lotta…».55 La lunga e fitta prosa del volantino dimentica un “dettaglio”: la Fiom si batte contro l’accordo separato e ha proclamato la continuazione della lotta degli operai della Fiat.
È incomprensibile che un politico avvertito come Panzieri abbia potuto consentire un gesto assolutamente errato. La generica denunzia delle «organizzazioni sindacali al servizio del padrone», senza riferire la scelta di continuazione della lotta unitaria fatta dalla Fiom, venne percepito dai sindacalisti della Cgil come una provocazione e quindi come un atto di rottura definitivo che coinvolge anche i sindacalisti della sinistra socialista di Torino e nazionali.56 I «Quaderni rossi» e Panzieri non hanno più alcuna copertura nell’ambito della sinistra politica e sindacale.
In quegli stessi giorni la rivolta operaia si indirizzava contro la sede della Uil, responsabile dell’accordo separato, alimentando la lunga guerriglia urbana di Piazza Statuto. Un’insidiosa e volgare operazione mediatica accosta i “gruppi Panzieri” e la destra neofascista come animatori della “provocazione” antisindacale di Piazza Statuto. L’aggressione mediatica che coinvolge anche i giornali della sinistra, l’«Avanti!» e «l’Unità», non ha come obbiettivo principale la poco nota sigla dei Quaderni rossi, ma punta a demolire e a liquidare il dirigente politico “storico” del socialismo italiano, Raniero Panzieri.
Fu gravissima la mancata espressione di solidarietà da parte dei dirigenti socialisti, circa i fatti di piazza Statuto, nei confronti di quella persona con la quale avevano condiviso una lunga militanza e di cui conoscevano il rigore morale e la limpidezza politica. Fu la più grave sconfitta politica per Panzieri e insieme motivo di crudele sofferenza. L’ostracismo è realizzato, i comunisti sono riusciti ad alzare la barriera della scomunica contro le critiche e le proposte di quello scomodo “compagno”.
Le diverse interpretazioni delle lotte dei metalmeccanici del 1962 fanno precipitare la rottura del “gruppo romano” di Tronti che poco dopo abbandona la redazione dei «Quaderni rossi». La toccata e fuga di Mario Tronti con i «Quaderni rossi» non lascia tracce nell’indirizzo della rivista. Lascia amarezza e accentua il senso di solitudine in un Panzieri che continua ad andare lungo la propria strada «anche se questa può apparire la via dell’isolamento».57
Il confronto-scontro con il cosiddetto “gruppo romano” stimola Panzieri a ribadire il suo punto fermo sulla questione del partito e a fare un passo avanti teorico-politico sul rapporto tra marxismo e sociologia. Lo incita a procedere in questa direzione la presa d’atto della ricaduta dei “filosofi” nello hegelismo puro, ormai catturati dall’«incantesimo dell’idea che lo stesso capitalismo genera mediante la classe operaia da esso socializzata, la società contrapposta, il socialismo».58
Trascorso poco meno di mezzo secolo da quelle esperienze, pare giunto il momento, in sede storiografica, di far chiarezza e di collocare Panzieri in un capitolo tutto suo, separato dal cosiddetto “operaismo” degli anni successivi.
Si suole affermare che Panzieri abbia trascurato il discorso sul partito politico. A partire dal 1962, dopo la lotta dei metalmeccanici, egli ritorna spesso sul tema del partito operaio soprattutto per bloccare le tendenze alla fuga in avanti verso la costruzione di uno strumento di agitazione diretta con ambizioni di proposta politica globale.
Nel novembre del 1962, ragionando sulla lotta dei metalmeccanici, afferma: «Credo che non si debba rappresentare la possibilità di una nuova strategia come crescita organica di una nuova organizzazione… Non credo si ponga il problema di un partito nuovo della classe come esistenza di un embrione di partito preso a sé».59 Sempre nello stesso periodo ripete: «I Quaderni rossi sono un risultato fluido di questa lotta, di questa situazione fluida, e non l’embrione di un nuovo partito».
Queste ripetute risposte negative a quanti insistevano nel proporre l’organizzazione di un’avanguardia politica venivano da riflessioni critiche di lunga data sulle esperienze dei partiti burocratici di massa che già in quegli anni mostravano di entrare in crisi. Esse venivano anche da convinzioni maturate da tempo alla scuola di Morandi sul partito-strumento della classe. La visione del partito-strumento è inconciliabile con una forza politica che si ponga come un a priori ideologico (partito-verità) o come un’anticipazione organizzativa (partito-guida) rispetto alle concrete esperienze delle lotte di massa. Panzieri rifiuta sia di riproporre vecchi modelli di partito, come quello leninista, perché «il partito diventerà una cosa tutta nuova, e diviene persino difficile usare questa parola», sia di anticipare lo sviluppo di un nuovo «partito operaio… [che] non può formarsi se non come sviluppo delle lotte, risultato delle lotte».60
Ogni fuga in avanti rispetto alla maturità del movimento di massa porta inesorabilmente alla “deriva settaria”. Questa soglia Panzieri è fermamente deciso a non varcarla.
Del resto abbiamo notato come le Tesi sul controllo operaio prevedessero una totale ridefinizione della politica del movimento operaio nella quale prevalesse il pluralismo dei movimenti politici di massa e dell’autonomo associazionismo su quella che abbiamo definito la “monarchia del partito” sulla classe e sulla società civile.
Nelle Tredici tesi sulla questione del partito di classe scritte con Lucio Libertini e pubblicate su «Mondo operaio» alla fine del 195861 si possono individuare alcune considerazioni che sicuramente provengono da Panzieri.
In questo documento si tracciano le parabole storiche dei due modelli di partito dominanti. La socialdemocrazia tedesca che rappresentò il «primo modello partitico corrispondente in notevole misura alla concezione originaria espressa dal Manifesto dei comunisti» ma che divenne anche il «primo esempio di degenerazione opportunistica». Infatti «il partito da strumento della classe diveniva fine a se stesso: uno strumento per eleggere i deputati, per affermare il potere della burocrazia, un elemento di conservazione».
«Il leninismo sorse come momento di rottura della degenerazione socialdemocratica». Il partito per Lenin incarnava l’ideologia rivoluzionaria che viene elaborata all’esterno delle masse. Nel pensiero leninista c’è una contrapposizione schematica tra l’elemento cosciente (ideologia-partito) e l’elemento spontaneità (lotte immediate di massa) e ciò apre la strada «alla concezione del partito-guida, del partito che sia l’unico depositario della verità rivoluzionaria, del partito-Stato».
In tutti e due i casi il partito da strumento si trasforma in fine a se stesso in quanto viene permeato da uno spirito statalista.
Il “partito delle lotte di massa” richiama la definizione di Marx dell’educatore che deve essere educato: «Il movimento di classe, nella sua vasta articolazione non può delegare al partito la soluzione “miracolosa”, dall’alto, dei suoi problemi, ma d’altro canto il partito non può delegare i propri compiti politici generali né al sindacato, né alle cooperative, né al movimento per il controllo operaio, né a qualche altro organismo. Il rapporto tra il partito e la classe è un rapporto dialettico. Il partito né sostituisce la creatività della classe né si abbandona ad essa. Il partito non è la guida, non è per definizione depositario della giusta politica; esso è funzione della classe».
Escludendo in modo assoluto di voler costruire «una setta in possesso della verità», giudicando sterile ogni ipotesi di “entrismo” nel Pci o nel Psiup,62 Panzieri individua una linea che assicuri uno stretto raccordo tra l’impegno di ricerca teorica e il lavoro politico-sociale di classe, considerando «che le condizioni oggettive per un partito rivoluzionario della classe operaia non ci sono e si può quindi solo fare un lavoro preparatorio».
L’ultimo contributo dato da Panzieri poco prima della sua morte con la relazione su Uso socialista dell’inchiesta operaia63 ha anche lo scopo di dare una forte legittimazione teorica e una solida motivazione politica a un modo non partitico di realizzare il nesso indispensabile tra elaborazione teorica e verifica pratica.
L’utilizzazione dell’inchiesta percorre sin dall’inizio il lavoro dei «Quaderni rossi». Panzieri aveva già accennato alla necessaria convergenza tra critica dell’economia politica e critica sociologica nel capitalismo maturo, quando la regolazione-manipolazione dei comportamenti sociali diventa fattore intrinseco ad una valorizzazione “ottimale” del capitale.
In questo suo ultimo intervento denso e sintetico Panzieri va ben oltre il rilancio dell’inchiesta socialista come metodo di ricerca e di lavoro politico in una contingenza difficile tra crisi delle organizzazioni storiche e immaturità del movimento di lotta. Egli cerca di individuare il percorso che ha condotto quel grande “abbozzo di sociologia” di Marx che è Il Capitale a cristallizzarsi in una sorta di “metafisica” del movimento operaio.
Un impasto di evoluzionismo naturalistico e di filosofia della storia idealista ha fondato una concezione mistica della classe operaia e della sua missione storica che non solo prescinde, ma combatte la scienza dei “fatti”. L’alternativa pare porsi ormai soltanto tra il soggettivismo burocratico conservatore e il gratuito volontarismo attivistico e visionario.
Quando Panzieri programma di sviluppare e attualizzare nella modernità del tardo-capitalismo il nucleo importante di critica sociologica contenuto nel Capitale di Marx, facendo i conti con il pensiero della sociologia classica borghese, non si limita a indicare una tecnica di ricerca sociale (l’inchiesta), ma progetta la rivoluzione culturale di una tradizione del movimento operaio nella quale l’involuzione del pensiero corrisponde alla paralisi dell’azione e alla separazione dalla realtà. Il suo monito «Bisogna avere molta diffidenza nei confronti della diffidenza della sociologia borghese» è incitamento a osare un nuovo progetto culturale.
Luca Baranelli64 documenta in modo rigoroso «l’impulso forte e duraturo alla ripresa di una programmazione editoriale dell’Einaudi nel settore delle scienze sociali» dato da Panzieri. Contributo importante di lavoro e di creatività taciuto e denigrato da una “cattiva stampa” alimentata dall’Einaudi prima e dopo il suo licenziamento. In questo lavoro Panzieri aggiornava e arricchiva la sua cultura sociologica che riversava poi nella elaborazione politica e teorica.
Nei suoi scritti possiamo già trovare le linee di una sociologia politica del neo-capitalismo e delle sue pratiche di costruzione del consenso omologante, così come possiamo trovare le tracce di una sociologia politica della rivoluzione che indica i luoghi e i modi in cui si manifesta l’irriducibile libertà del lavoro vivo.
Panzieri si trova ora in una condizione di grave difficoltà esistenziale: il licenziamento da parte di Giulio Einaudi nell’ottobre del 1963 ha portato a compimento la “liquidazione” stalinista di Panzieri. Egli subisce un pesante isolamento politico.
Attraverso l’Uso socialista dell’inchiesta operaia, Panzieri rilancia un’audace e originale sfida culturale e politica con una vitalità di pensiero e di temperamento che solo la morte, un mese dopo, riuscirà a troncare.
«La perdita del lavoro e di ogni aiuto, l’essersi ridotto quasi a non sapere come dar da mangiare ai figli e come pagare l’affitto, gli dettero la certezza di contare amici veri, di preparare compagni nuovi. La morte, per le circostanze e per l’interpretazione che ne dettero quelli che potevano capirla, ebbe a significare finalmente una separazione dal “mondo” che per alcuni di noi suonava solo una conferma ma che per molti e più giovani fu la firma di un impegno». Così Franco Fortini.65
Note
1 Fortini: sempre antiamericano, intervista di A. Papuzzi, «La Stampa», 13 settembre 1991.
2 Lettera di Panzieri a Luciano Della Mea, 18 agosto 1964, in R. Panzieri, Lettere, a cura di S. Merli e L. Dotti, Venezia, Marsilio, 1987, p. 405.
3 R. Panzieri, La ripresa del marxismo leninismo in Italia, Milano, Sapere Edizioni, 1972.
4 M. Salvati, Gioventù, amore e rabbia, in 1969, «Parolechiave», 18, dicembre 1998, p. 59.
5 Raniero Panzieri e i «Quaderni rossi», in «aut aut», 149-150, settembre-dicembre 1975.
6 R. Panzieri, L’alternativa socialista. Scritti scelti 1944-1956, Torino, Einaudi, 1982.
7 R. Panzieri, Lettere cit.
8 S. Merli, La tesi di laurea di R. Panzieri su «L’utopia rivoluzionaria nel Settecento», in «Metropolis», 3, maggio 1979.
9 R. Panzieri, Dopo Stalin, a cura di S. Merli, Venezia, Marsilio, 1986.
10 R. Panzieri, Spontaneità e organizzazione. Gli anni dei «Quaderni rossi» 1959-1964, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 1994.
11 S. Merli, Introduzione, in S. Mancini, Socialismo e democrazia diretta. Introduzione a Raniero Panzieri, Bari, Dedalo, 1977.
12 R. Panzieri, Spontaneità e organizzazione cit.
13 S. Merli, Teoria e impegno nel modello Panzieri, in R. Panzieri, Lettere cit.
14 S. Merli, Prefazione, in R. Panzieri, Dopo Stalin, p. X.
15 G. Cervigni, G. Galasso, Inchiesta sul Partito socialista italiano nelle Province Meridionali, in «Nord e Sud», 16, marzo 1956.
16 Testimonianza di Pino Ferraris, in Raniero Panzieri. Un uomo di frontiera, a cura di P. Ferrero, Milano, Edizioni Punto Rosso, 2005, p. 119.
17 S. Merli, Teoria e impegno nel modello Panzieri cit., p. XLIX.
18 R. Panzieri, L’alternativa socialista cit., p. 82.
19 E. Giovannini, Una brutta storia socialista dei tempi di Nenni: la “liquidazione” di Lelio Basso, in «Annali 2004», Fondazione Lelio e Lisli Basso Issoco, Roma, Carocci, 2005.
20 R. Panzieri, Lettere cit., p. 243.
21 P. Franchi, E. Macaluso, Da cosa non nasce cosa, Milano, Rizzoli, 1997, pp. 80-81.
22 R. Panzieri, L’alternativa socialista cit., p. 84.
23 D. Rizzo, Il Partito socialista e Raniero Panzieri in Sicilia (1949-1955), Soveria Mannelli, Rubettino, 2001, p. 62. Il libro di Rizzo rappresenta la più documentata e affidabile ricostruzione del lavoro politico di Panzieri in Sicilia. Esso confuta alcune delle “testimonianze” accettate acriticamente da Stefano Merli.
24 R. Panzieri, Nell’alternativa socialista rinascita e autonomia per la Sicilia, in D. Rizzo, Il Partito socialista e Raniero Panzieri in Sicilia cit., pp. 187-221.
25 D. Rizzo, Il Partito socialista e Raniero Panzieri in Sicilia cit., pp. 128-129.
26 P. Franchi, E. Macaluso, Da cosa non nasce cosa cit., p. 80.
27 Domenico Rizzo riporta il testo della lettera di Giuseppe Montalbano, presidente comunista del gruppo regionale del Blocco del Popolo a Li Causi in occasione della decisione del Psi di presentarsi da solo alle elezioni regionali del 1955. In essa troviamo scritto: «…insistendo Panzieri e Taormina nella separazione da noi, secondo le direttive di Nenni, nonostante le proteste di base che cominciano a farsi preoccupanti. Si ha l’impressione che in Sicilia il Psi sia diretto da socialdemocratici anticomunisti e non da marxisti» (D. Rizzo, Il Partito socialista e Raniero Panzieri in Sicilia cit., pp. 105-106).
28 «Il fatto è che Gonella e Morandi vedevano un incontro fra l’anima popolare della Dc, della sinistra cattolica… e l’ala più disponibile del movimento operaio. Invece il centro-sinistra che nacque nel 1964 venne su, diciamolo, su basi del tutto diverse. Fu il frutto dell’incontro fra gli autonomisti nenniani del Psi, quelli della politique d’abord per intenderci, e la componente Dorotea della Dc che Moro… finì per privilegiare» (intervista di Giovanni Galloni all’«Unità», 24 agosto 1986).
29 C. Gubbini, Sviluppò nella sinistra una cultura economica e industriale, in “Rodolfo Morandi”, Senato della Repubblica 1995.
30 F. Pollock, Automazione. Conseguenze economiche e sociali, Torino, Einaudi, 1956.
31 L’automazione e le sue conseguenze sociali, a cura di V. Foti, in «Politica e società», 1956-57.
32 I lavoratori e il progresso tecnico. Atti del Convegno tenuto all’Istituto “Antonio Gramsci”, Roma 29-30 giugno e 1 luglio 1956, Roma, Editori Riuniti, 1957.
33 R. Panzieri, L’alternativa socialista cit., p. 183.
34 M. Flores, N. Gallerano, La politica, in Il ’56 e la sinistra italiana, «Problemi del socialismo», 10, gennaio-aprile 1987.
35 S. Carpinelli, Una nuova partenza. «Mondo Operaio» di Panzieri (1957-1958), in «Classe», 17, giugno 1980.
36 R. Morandi, Il socialismo integrale di Otto Bauer. «Aprile 1937», in La democrazia del socialismo 1923-1937, Torino, Einaudi, 1962.
37 L. Libertini, R. Panzieri, Sette tesi sulla questione del controllo operaio, in R. Panzieri, La crisi del movimento operaio (1956-1960), Milano, Lampugnani Nigri, 1973.
38 P. Spriano, «l’Unità», 12 agosto 1958.
39 R. Panzieri, Dopo Stalin cit., p. 121.
40 M. Flores, N. Gallerano, La politica cit.
41 R. Panzieri, Dopo Stalin cit., p. 121.
42 R. Panzieri, Lettere cit., p. 266.
43 R. Panzieri, Spontaneità ed organizzazione cit., p. 20.
44 S. Merli, Introduzione cit., p. 21.
45 R. Panzieri, Spontaneità ed organizzazione cit., p. 73.
46 R. Panzieri, La ripresa del marxismo leninismo in Italia cit.
47 M. Turchetto, Ripensamento della nozione “rapporti di produzione” in Panzieri, in Ripensando Panzieri trent’anni dopo, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 1995.
48 R. Panzieri, Plusvalore e pianificazione, in Id., La ripresa del marxismo leninismo in Italia cit.
49 49 M. Miegge, Raniero Panzieri e la questione del controllo operaio, in Raniero Panzieri un uomo di frontiera cit. Mario Miegge nel capitolo del suo intervento intitolato A proposito delle conseguenze mette giustamente in evidenza come nel biennio 1968-69 si siano espressi nelle fabbriche e nella società movimenti politici di massa “antagonistici” (avrebbe detto Panzieri). La totale assenza di quelle prospettive politiche (non necessariamente rivoluzionarie) sulle quali lavorava Panzieri (“gestionali” e “anti-autoritarie”), ha ricondotto le tensioni politiche all’interno dell’orizzonte sindacale del conflitto-contratto. Questo è particolarmente evidente per i consigli dei delegati la cui valenza politica, non raccolta, ha fatto di essi gli strumenti di riforma del sindacato e di potenziamento della vertenzialità aziendale.
50 50 R. Panzieri, Relazione sul neocapitalismo, in Id., La ripresa del marxismo leninismo in Italia cit.
51 51 F. Momigliano, Ideologie dell’automazione, in L’automazione e le sue conseguenze sociali cit.
52 I lavoratori e il progresso tecnico cit.
53 R. Panzieri, Relazione sul neocapitalismo cit., p. 213.
54 S. Mancini, Socialismo e democrazia diretta cit.
55 Agli operai della Fiat, in «Cronache dei Quaderni rossi», 1, settembre 1962.
56 M. Miegge, Raniero Panzieri e la questione del controllo operaio cit.
57 R. Panzieri, Intervento alla riunione della redazione «Quaderni rossi – cronache operaie», in Id., La ripresa del marxismo leninismo in Italia cit., p. 304.
58 Lettera di Raniero Panzieri a Luciano Della Mea, in Id., Lettere cit., p. 405.
59 R. Panzieri, Che cosa ci insegna la lotta dei metalmeccanici, in Id., La ripresa del marxismo leninismo in Italia cit., p. 277.
60 R. Panzieri, Intervento sul congresso del Psi, ivi, p. 306.
61 L. Libertini, R. Panzieri, Tredici tesi sulla questione del partito di classe, in «Mondo operaio», 11-12, novembre-dicembre 1958.
62 R. Panzieri, Sul problema del partito, in Id., La ripresa del marxismo leninismo in Italia cit., p. 310.
63 R. Panzieri, Uso socialista dell’inchiesta operaia, ivi.
64 L. Baranelli, Panzieri all’Einaudi, in «L’ospite ingrato», I, 2006.
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