Il movimento rossobruno tra Limonov e Le Bon
ott 21st, 2020 | Di Thomas Munzner | Categoria: ContributiIl movimento rossobruno tra Limonov e Le Bon
L’antipolitica, il de-alignment, la sfiducia e il disinteresse sono solo alcuni degli elementi che incarnano il deterioramento della dimensione comunitaria all’interno delle dinamiche politiche.
Al di là della semplicità che l’ordine economico posto al vertice delle nostre società intende trasmettere, sorgono però differenti filoni di pensiero aventi l’obiettivo di decifrare la realtà che ci circonda.
Idee, pensieri, chiavi di lettura che, seppur secondo un ordine proprio, arrivano a demistificare la realtà che intendono comprendere. Fra questi non si può non notare il rossobrunismo.
Divenuto celebre grazie all’iniziativa politica del filosofo russo Limonov mediante la fondazione del Partito Nazional-Bolscevico, esso si presenta come un’ideologia che, oltre la rigidità che intende trasmettere, è in realtà estremamente sensibile e variabile a seconda di chi stabilisce i suoi punti cardine.
Il movimento rossobruno non va inteso come una novità all’interno delle moderne appartenenze subculturali. Questo infatti fonda le sue origini al termine della 1° Guerra mondiale. È su iniziativa dei due senatori socialdemocratici tedeschi Laufenberg e Wolffheim, che in opposizione a quanto veniva sancito dal Trattato di Versailles con le sue durissime condizioni economiche e territoriali alla Germania, proposero di dare continuità al conflitto in alleanza con la Russia bolscevica. Individuando in tal modo il capitalismo internazionale come responsabile della cancellazione dell’identità dei popoli e volenteroso di schiavizzare i lavoratori tedeschi in accordo con la classe politica liberale. L’alleanza con la nascente Russia socialista era dunque funzionale al perseguimento di obiettivi politici volti a scardinare l’oligarchia capitalista tedesca, a pieno vantaggio della componente governativa di cui i due parlamentari facevano parte. Tale progetto può così essere individuato come il goffo tentativo di rimanere a galla all’interno di un contesto politico che stava subendo non pochi mutamenti.
Si trattava chiaramente di posizioni anomale che non ottennero alcuna risonanza e credibilità. Lo stesso Lenin, in Estremismo malattia infantile del comunismo, indicò i due socialdemocratici tedeschi come ibridi da cui la classe operaia doveva prendere le distanze.
Bisogna però andare oltre il fallimento dei due protagonisti di tale avvenimento e soffermarsi sulla direzione che essi intendevano tracciare. Una tale iniziativa, infatti, maturò anche nel corso delle dittature di stampo nazista e fascista, specie nella fase finale del secondo conflitto mondiale. Vi furono diverse componenti del Partito nazional fascista che, in prossimità dell’imminente sconfitta, intendevano approfondire i legami con l’Urss e così guardare verso est. Chiaro che tali tendenze non rappresentino un’analogia fra i due regimi, bensì il semplice tentativo di una nascente componente del partito in preda al panico causato dalla sconfitta della guerra.
Malauguratamente, poi, la tendenza al rossobrunismo si è evoluta e adattata in riferimento alle esigenze e alle circostanze poste in essere dai differenti periodi storici che si sono susseguiti.
In breve, possiamo evidenziare due radici principali da cui partire. Le basi del fenomeno sono dunque segnate dall’opportunismo, elemento che ricorre spesso in tale corrente, e dall’esaltazione aprioristica di un leader.
Elementi spesso correlati e intercambiabili, che si classificano come prioritari nell’individuazione di un’area politica priva di una propria autonomia e sistematicamente subalterna ad una gerarchia che ne disciplina la direzione pratica e d’analisi.
Opportunismo inteso come strategia del camaleonte, il leader come un profeta
Si è soliti osservare oggi la figura del rossobruno come colui che, al netto della sua autocollocazione in un’area politica classificabile in contesti marxisti, manifesta simpatie verso personaggi e idee assai distanti dalla sua radice ideologica.
Pur essendo questa un’osservazione elementare, ci consente di partire dal primo elemento menzionato precedentemente.
Il rossobrunismo prelude uno stadio avanzato lungo l’evoluzione del più ampio processo di secolarizzazione politica: il populismo inteso come privazione dell’iniziativa autonoma delle masse. Queste ultime, in tale ottica, non divengono soggetti attivi all’interno dei processi di rivendicazione e di lotta, tantomeno sul piano dell’analisi e della comprensione dei fenomeni sociopolitici.
Al contrario, la massa si delinea come la folla descritta da Gustav Le Bon in Psicologia delle folle: “La massa psicologica è una creatura provvisoria, composta da elementi eterogenei saldati assieme per un istante, esattamente come le cellule di un corpo vivente formano, riunendosi, un essere nuovo con caratteristiche ben diverse da quelle che ciascuna di queste cellule possiede”[1].
Il rossobrunismo, in qualità di semplice ramificazione di processi ben più complessi che risiedono nella perdita di rilevanza delle dinamiche politiche nel sociale, punta dunque all’abbattimento dell’individuo in quanto entità autonoma. Quest’ultimo diviene un tassello all’interno di un quadro di più ampie dimensioni. Ma, diversamente da un mosaico ove ogni tessera conserva proprie caratteristiche e contribuisce alla bellezza dell’opera nel complesso, in tal caso l’individuo perde le sue peculiarità e viene egemonizzato dalla dimensione che lo circonda.
L’individuo, sia esso attivista, militante o semplice opinionista, diviene un meccanico ripetitore di slogan e messaggi preconfezionati nell’ambito di una dimensione culturale che lo conduce ad una perenne polarizzazione secondo schemi predeterminati nel suo approccio con la realtà che lo circonda.
Da un punto di vista di mera geografia teorico-politica, in termini di appartenenza di area, è quindi un errore collocare questo fenomeno all’interno di un contesto marxista o neomarxista dal momento che le sue stesse basi non predispongono le condizioni per un’attivazione e una presa di coscienza delle classi subalterne. Peraltro, l’ingenuità propria di un giudizio approssimativo su formazioni politiche che fanno proprie tali caratteristiche viene smentito dalle stesse analisi e orientamenti che sistematicamente si collocano su versanti opposti a qualsiasi logica di classe.
Un fenomeno sociale come il volgarmente detto “rossobrunismo” può essere inquadrato come l’indice di riflessi comunitari ben più complessi. Al netto di una società che interiorizza le proprie insicurezze e che si palesa come incapace di offrire una produzione teorica senza attingere dal passato, il fenomeno rossobruno egemonizza e fa proprie le cicatrici e le incertezze del sistema da cui è stato generato.
Partire dal nucleo, come suggeriva Weber, per giungere alla complessità può dunque essere una strategia esplicativa e soddisfacente ai fini della comprensione di un universo politico in costante frammentazione.
Tornando all’opera di Le Bon, è doveroso concludere tale analisi con una citazione in particolare: “Le masse non hanno mai avuto sete di verità. Chi può fornire loro illusioni diviene facilmente il loro comandante; chi tenta di distruggere le loro illusioni è sempre la loro vittima.”[2]
[1] Gustav Le Bon, Psicologia delle folle, Shake edizioni, Milano, p.39
[2] Ibid.