Sull’uso della violenza rivoluzionaria

ott 18th, 2020 | Di | Categoria: Documenti storici

Sull’uso della violenza rivoluzionaria

Il Black Liberation Army (Bla) è stata un’organizzazione clandestina («anticapitalista, antimperialista, antirazzista e antisessista»), formata principalmente da militanti proveniente dall’esperienza delle pantere nere, che ha agito negli Stati Uniti negli anni Settanta. Di fronte alla violenza dispiegata dal governo americano contro la straordinaria forza dei movimenti afroamericani nel decennio precedente, il Bla sceglie la strada della lotta armata e della calndestinità. Dell’organizzazione ha fatto parte Assata Shakur, evasa nel 1979 da un carcere di massima sicurezza del New Jersey e rifugiata a Cuba; alla liberazione di Shakur ha partecipato Silvia Baraldini, nel 1983 condannata a 43 anni di carcere e scarcerata solo nel 2006. Pubblichiamo un estratto da A Political Statement from the Black Underground (1976-1977); il testo, tradotto da Eleonora Meo, contiene alcuni degli elementi programmatici su cui si è basata l’esperienza del Bla, e riprende nodi politici che ancora interrogano la lotta antirazzista negli Stati Uniti.

Per un approfondimento sul pensiero radicale nero si rimanda all’antologia Black fire. Storia e teoria del proletariato nero negli Stati Uniti (collana Input di DeriveApprodi, in libreria nei prossimi giorni). [A. C.]

Dedicato a tutti i compagni uccisi, catturati ed esiliati durante la lotta. Per costruire la guerriglia urbana armata, per coloro che ci hanno sostenuto quando tutti gli altri si sono rifiutati di affrontare la Realtà!

Il Black Liberation Army ha intrapreso la lotta armata come mezzo attraverso il quale la psicosi sociale della paura, del timore reverenziale e dell’amore per tutto ciò che i bianchi definiscono di valore, viene cancellata dalle menti del nostro popolo. La nostra esperienza storica in Nord America ci ha dimostrato che noi come popolo abbiamo sempre sofferto, mentre i circoli razzisti al potere non hanno mai sofferto. Nel corso della nostra storia abbiamo visto dolore, sangue, stupri, sfruttamento, povertà, abbiamo visto le nostre famiglie fatte a pezzi da una cultura crudele e brutale, i nostri giovani assassinati e interdetti socialmente, le nostre donne degradate, le nostre vite sempre in balia della macchina del freddo sogno americano. Ci rendiamo conto che i risultati di questa esperienza storica hanno portato la popolazione nera ad avere terrore della violenza razzista americana e, dall’altro lato, hanno rafforzato i circuiti del dominio razzista nei loro atteggiamenti arroganti e tracotanti. Il fatto che la maggioranza dei bianchi, ugualmente oppressi e sfruttati, non capisca chi sia il loro vero nemico, non ci dissuade dal fare ciò che deve essere fatto per rompere le catene mentali non solo della nostra gente ma anche loro. Noi, quindi, lo mostreremo negli unici termini che le classi dirigenti comprendono: quelli del fargli annusare il loro sangue. L’America deve imparare che i neri non sono gli eterni sofferenti, i prigionieri universali, gli unici che possono provare dolore. La violenza rivoluzionaria non è una tattica di lotta ma una strategia. Una strategia volta a guidare il sistema capitalistico verso la sua crisi ulteriore, costringendo allo stesso tempo tutti i responsabili dell’oppressione a convincersi che anche loro possono sanguinare, anche loro possono sentire il nostro dolore. Solo quando questo si realizzerà, quando decisioni giuste ed eque saranno prese, ci sarà concesso il nostro diritto all’autodeterminazione. Attualmente, i potenti non ci credono capaci di fare davvero del male e trovano quindi ridicolo cedere alle nostre richieste di liberazione. Deve essere eliminata anche la nostra psicosi per i circuiti del dominio razzista. Solo sviluppando la capacità di combattere il nostro nemico riusciremo a estirpare questa paura irragionevole e reazionaria dalla nostra psiche sociale. La violenza rivoluzionaria non è tanto un processo di auto-purificazione quanto un ingrediente necessario per creare tra le classi dominanti la disposizione mentale a riconoscere la necessità della nostra liberazione.

Dobbiamo definire la violenza rivoluzionaria in relazione alla nostra condizione attuale, perché molti di noi credono nella «legge», o almeno nel codice di legge del nostro oppressore. La maggior parte delle persone non vede il reale rapporto tra lo sviluppo del diritto occidentale e lo sviluppo del capitalismo occidentale; pertanto, queste persone non riescono ad affrontare la realtà dell’ingiustizia come parte integrante del sistema vigente. Non sono in pochi a fraintendere l’oggettiva funzione di classe svolta da tribunali, polizia e delle varie istituzioni che mantengono l’illusione democratica in Nord Americana.

In una società come quella di oggi, la legge non è mai imparziale, non si è mai separata dai rapporti economici che l’hanno determinata. La storia mostra chiaramente che nel corso dello sviluppo della società moderna occidentale la legge è il codice della classe dominante, della classe più forte, convertito in norme valide per tutti. Queste sono attuate attraverso l’istituzione di «speciali» organi armati che hanno l’obbligo di far rispettare le leggi della classe dominante. La funzione oggettiva della «legge» in questo periodo storico è questa e segue le condizioni poste dalle classi economiche e politiche più potenti. Ma che dire della legge in una democrazia, soprattutto in una che rivendica per tutti i suoi cittadini la possibilità di eleggere i propri rappresentanti i quali, in cambio, possono creare nuove leggi? Innanzitutto, una democrazia del genere non esiste in Nord America. La democrazia borghese in quanto tale è solo un mezzo di controllo politico per soggiogare il popolo. La sua ragion d’essere risiede nella necessità di conservare rapporti capitalistici di sfruttamento. Perciò, l’influenza della ricchezza delle imprese sulle politiche della democrazia borghese è solo un’estensione dell’influenza tradizionale della proprietà privata e del controllo del cosiddetto processo democratico. La costante cooptazione della massa dei lavoratori da parte delle classi dominanti, unita al loro completo controllo sulla tecnologia e l’informazione, rende nullo il cosiddetto processo democratico, come riflesso dell’organizzazione di classe di quella società, di un dato assetto economico e tecnologico, e del sistema di valori che lo sostiene. La più potente organizzazione politica dei gruppi economici di una società di classe deve essere ed è il controllo sull’intera società e sul suo sistema politico. Abbiamo scoperto che il processo democratico sotto il capitalismo è solo un mezzo attraverso il quale il capitale controlla le masse. È un mezzo di distrazione di massa, progettato per mantenere politicamente impotenti le classi prive di potere decisionale e, allo stesso tempo, promuovere l’illusione che il potere reale possa essere ottenuto attraverso il processo elettorale. La popolazione nera dovrebbe saperlo bene. In una nazione basata sul falso principio della maggioranza, noi siamo una minoranza marginale e quindi il nostro diritto all’autodeterminazione non può essere conquistato sullo stesso terreno del nostro oppressore.

Il nostro rifiuto del riformismo, tuttavia, è molto più profondo delle ragioni sopra esposte. Perché se il riformismo è il rifiuto di qualsiasi cambiamento significativo, allora esso è anche il rifiuto della violenza rivoluzionaria, e quindi il riformismo è un’ignoranza funzionale alle dinamiche di liberazione nera. Questo perché il carattere del riformismo si basa su una collaborazione di classe senza scrupoli con il nostro nemico. Gli ideali di collaborazione di classe non sono in opposizione all’oppressione del nostro popolo ma cercano, invece, costantemente di riformare il sistema oppressivo. La riforma del sistema oppressivo non può mai beneficiare le sue stesse vittime. Pertanto, in ultima analisi, il sistema di oppressione è stato creato per assicurare il dominio di particolari classi razziste e santificare il loro capitale. Cercare la riforma porta quindi inevitabilmente, o inizia con, il riconoscimento della validità delle leggi del nostro oppressore.

Coloro che all’interno del movimento condannano la violenza rivoluzionaria dei gruppi nazionalisti neri anti-capitalisti, anti-imperialisti e rivoluzionari, stanno in sostanza indebolendo sé stessi. Questi folli non capiscono la necessità dell’interazione della violenza rivoluzionaria con altre forme di lotta e, poiché non comprendono le reali dinamiche in gioco, inibiscono gravemente lo sviluppo del movimento di liberazione nel suo complesso. Questi riformisti vestiti di lotta per la libertà dovrebbero capire che se il movimento non coltiva la sua capacità di combattere il nemico su tutti i fronti, nessun fronte assicurerà vere vittorie. Sono figli dell’abissale ignoranza che immagina la nostra oppressione in qualsiasi altro modo che non sia la guerra non dichiarata a cui siamo da sempre sottoposti.

Come potrà il movimento nel suo insieme combattere in futuro l’oppressore, quando tutti gli altri metodi «legali» saranno completamente esauriti? Quando è ampiamente chiaro che il nostro oppressore mantiene organi di violenza armati per applicare le sue regole, come potremmo mantenere la lotta politica senza il macchinario e la capacità della violenza rivoluzionaria? Se come movimento non sviluppiamo la capacità di mettere in pratica la violenza rivoluzionaria nel presente non saremo in grado di combattere in futuro. Ma la violenza rivoluzionaria non è un’alternativa al movimento e all’organizzazione di massa, è complementare, è un altro fronte nel processo globale di liberazione. Coloro che pongono la questione della violenza rivoluzionaria in termini «alternativi» sono, nella migliore delle ipotesi, colpevoli di una politica zoppa. Coloro che sono coinvolti nel processo globale rivoluzionario ma che affermano di non «appoggiare» la violenza rivoluzionaria quando ce ne sono le condizioni, stanno cercando di «legittimare» la loro esistenza a scapito dell’intera lotta. L’unica «legittimità» che si può cercare in questi casi è la legittimità borghese. Queste persone, inoltre, creano ulteriore confusione tra la massa, poiché mettere in discussione la violenza rivoluzionaria riproduce la dipendenza psicologica, ancora forte tra la popolazione nera, per il concetto reazionario e razzista di «legalità». Questo è il più vile dei peccati, per il quale, nei momenti di repressione più intensa, tutti pagheranno.

Noi, quindi, non consideriamo valida la «legge» del nostro nemico di classe, né ci sentiamo limitati nel lottare contro le sue leggi. D’altra parte, comprendiamo il valore «tattico» dell’uso della legge e di conseguenza comprendiamo il valore tattico della riforma nel processo di liberazione. Per esempio, la riappropriazione delle scuole da parte dei genitori della comunità, gli scioperi per l’affitto da parte degli inquilini, la riappropriazione di un sindacato da parte dei membri dissidenti, ecc., o nel caso si utilizzino dei sistemi interni per ottenere determinati obiettivi che pongono il nemico in una situazione di svantaggio temporaneo. Tuttavia noi sosteniamo che la riforma ha un valore tattico solo quando esistono anche altre forme di lotta rivoluzionaria contro l’intera struttura capitalistica. La riforma in quanto tale è intrinsecamente reazionaria e perpetua la dipendenza psicologica dal nemico, confondendo le vere contraddizioni di classe tra noi e il nemico. Considerando questi fattori, sosteniamo che la riforma non può mai essere nient’altro che una tattica, mai una strategia completa, e non può mai offrire di per sé un cambiamento rivoluzionario. Se da un lato essa può offrire ricompense alla borghesia nera, dall’altro non può mai essere la strada per l’autodeterminazione di tutta la popolazione nera.

Condanniamo con forza anche coloro che si dichiarano progressisti ma che svalutano la violenza rivoluzionaria di un popolo oppresso nella propria lotta di liberazione. Non ci possono essere condizioni nella nostra lotta per la libertà se non quelle poste dagli stessi oppressi. Chi sostiene che la violenza rivoluzionaria dia al nemico l’opportunità di reprimere il movimento in generale, si sbaglia profondamente se pensa che il governo reazionario abbia bisogno di tali scuse per la repressione, o che il governo non riconosca il reale pericolo nel permettere a un movimento di sviluppare la piena capacità di condurre una lotta armata. Il Black Liberation Army si è assunto il compito di costruire proprio una tale capacità, insieme ad altri compagni che lottano in clandestinità […].

Machina/DeriveApprodi

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