Critica, totalità, mediazione. Note sulla lezione di Fortini

lug 25th, 2020 | Di | Categoria: Teoria e critica

Critica, totalità, mediazione.

Note sulla lezione di Fortini

Cristina Corradi

 

«L’ospite ingrato» ha promosso una riflessione sui concetti di critica e totalità e sul nesso fra la critica della cultura e un’idea non specialistica di sapere. In questo contributo vorrei discutere le tesi espresse da Andrea Cavazzini, dialogare con gli interventi di Roberto Fineschi, Luca Mozzachiodi e Marco Gatto, e trarre infine qualche indicazione dalla lezione di Fortini. 

Nell’intervento che ha dato avvio alla discussione, il 9 marzo scorso, Cavazzini afferma che i limiti attuali dell’opposizione ai rapporti capitalistici non dipendono dall’abbandono della dialettica, che è piuttosto il riflesso della dissoluzione dell’ultimo tentativo storico di fuoriuscita dal capitalismo e della crisi di una soggettività potenzialmente totalizzatrice. Ricorda che, negli anni ’70, il passaggio di egemonia dalla dialettica marxista al pensiero della differenza e dell’immanenza non avvenne solo nella sfera della produzione intellettuale, ma trovò corrispondenza nella coscienza spontanea di militanti dell’estrema sinistra. Conclude, con un accenno a Fortini, invitando a fare riferimento a saperi storici, non specialistici, sedimentati nella società e a considerare strategica la ricerca di figure del non-identico, capaci di anticipare qualche forma di totalità.1

Io credo, invece, che nel contesto attuale di iperculturalismo, complessità passivizzante, pluralismo linguistico privo di scelte e di conseguenze, descritto da Luca Mozzachiodi, l’uso di categorie dialettiche e il riferimento alla tradizione marxista siano necessari per arginare la deriva dissipante dei mille piani critici, per ristabilire un ordine logico e storico con il quale filtrare e ricomporre frammenti, e per recuperare un centro da cui stringere nessi e articolare mediazioni tra critica della cultura e critica del capitalismo finanziario.2

Sul piano storico, dalla rivoluzione del ’17 a quella cinese, dal biennio rosso al ’68, la riattivazione della dialettica ha accompagnato i più importanti tentativi di superamento o controllo e riorientamento dei rapporti capitalistici, e ha incarnato un’idea non specialistica di sapere e ha saputo trasformare la cultura in organizzazione politica. Nei periodi di chiusura delle possibilità di trasformazione, la trasmissione e il ripensamento della dialettica hanno offerto il quadro per proseguire il lavoro di analisi economico-sociale, di demistificazione e di lotta ideologica. L’accentuazione del versante soggettivo della dialettica è stata tipica delle fasi di movimento; l’accentuazione del versante oggettivo ha segnato maggiormente le battaglie di posizione. La dialettica di Storia e coscienza di classe, per fare un esempio, non è la dialettica di Ontologia dell’essere sociale.

Sul piano teorico, la sfiducia nutrita da Cavazzini in una riattivazione delle categorie dialettiche mi sembra dipendere dall’assunzione di tre presupposti: che la totalità sia categoria esclusiva della soggettività, che la critica consista nella ricerca empirica di figure sociali già costituite e che la tradizione marxista non abbia nulla da offrire dopo l’89. Viene così riproposto, a mio avviso, il limite di fondo dell’impostazione post-operaista che, dopo aver ridotto il compito della teoria all’individuazione di soggettività manifeste dotate di potenza sovversiva, ha soppresso la distinzione tra il piano dell’invarianza della teoria del capitale (che dura l’intera epoca storica del capitalismo) e il piano delle mutevoli contingenze di fase (i salti e gli sviluppi interni al modo di produzione). Venuto meno il rapporto tra logico e storico, ad ogni esaurimento di un ciclo di lotte si rimane privi di orientamento strategico.

L’intervento di Roberto Fineschi ricorda che il concetto di critica del Marx maturo coincide con l’esposizione dialettica del Capitale e ci riconduce sul terreno della totalità del modo di produzione. Dal primo al terzo libro, dal processo di produzione in generale al conflitto tra i molti capitali, l’analisi delle trasformazioni della forma del valore rimane il fondamento della critica della società e della cultura. Scienza dialettica e orientamento classista della critica sono conoscenze da riconquistare, dopo decenni di propaganda neoliberale e di individualismo metodologico che hanno leso anche le nostre menti, cancellando ogni traccia di una logica e di un’ontologia storica dei processi collettivi. Fineschi richiama l’attenzione sul fatto che a partire dal Capitale, in ciascuna fase e area dello sviluppo capitalistico, occorre poi operare una ricognizione sociale e storica più concreta sul terreno nazionale e internazionale.3

L’intreccio tra questione nazionale, coloniale e internazionale, da Lenin a Gramsci, è un punto qualificante della tradizione marxista.4 Marco Gatto ripropone la lezione gramsciana di critica della cultura, una lezione lontana dalle sterilizzazioni postmoderne, che pone l’accento sulla storia degli intellettuali italiani come casta sacerdotale autoreferenziale e sull’orientamento cosmopolita della nostra classe dirigente, servile rispetto a vincoli esteri e separata dalle condizioni di vita dei più. La cultura, intesa come industria orientata al profitto e alla valorizzazione narrativa e come complesso di istituzioni private e pubbliche, appare oggi fattore propulsivo del capitalismo: l’analisi gramsciana rimane centrale per ragionare sulla composizione della forza lavoro nel settore cultura e spettacolo, sulle tecniche di incorporazione nel blocco sociale del capitale tecnologico e finanziario e sulla possibile costruzione di un diverso sistema di alleanze sociali.5

La ricostruzione del passaggio dall’egemonia della dialettica a quella della differenza, proposta da Cavazzini, mi sembra che non faccia i conti con la confluenza del pensiero negativo, della differenza e dell’immanenza nel paradigma del postmoderno.6 Se al post-operaismo va riconosciuto il merito di aver esteso l’analisi a figure lavorative ignorate o trascurate dalla tradizione marxista, occorre però prendere atto che il soggettivismo estremo di quell’impostazione e la perdita di ancoraggio nella scienza marxiana del Capitale hanno indotto a inseguire la fine del lavoro, della storia, dello Stato, dell’ideologia, senza cogliere il potenziale derealizzante e destrutturante, disciplinante e demoralizzante di quelle parole d’ordine.7 Va ricordato, invece, che un’altra linea di ricerca, impegnata sul terreno della critica dell’economia politica, del ripensamento della dialettica e della trasmissione della memoria storica, ha saputo cogliere con largo anticipo le implicazioni disciplinanti delle nuove tecnologie, le mistificazioni della società dell’informazione, del post-fordismo, della globalizzazione.8

Non credo che la lezione di Franco Fortini possa essere compendiata nella ricerca di figure del non identico. Può essere invece utile ricordare come Fortini ha adoperato categorie dialettiche per riaffermare il nesso tra critica della cultura e critica del capitale e come ha attraversato le crisi del marxismo, proclamate a più riprese dal ’56 all’89.9

La dialettica, per Fortini, non rimuove il negativo; non punta al superamento definitivo delle contraddizioni; pone l’accento sulla parzialità, lo spirito di scissione, la separazione, laddove l’ideologia dominante pretende unità; rivendica totalità e universalità, laddove il capitale frammenta, divide, dissemina, nega una prospettiva comune. La dialettica marxista, per Fortini, è una pedagogia politica che insegna a connettere in modo sistematico la produzione di merci, di rapporti sociali, di rappresentazioni simboliche, a svelare antitesi occultate, a collegare i problemi quotidiani con i nessi dell’economia mondiale e della grande politica; una pedagogia che chiama ciascuno a interrogarsi sulla propria posizione nel contesto della società, sulle radici di classe dei propri comportamenti e gesti, sulle seduzioni operate dalle immagini indotte dalla produzione capitalistica.

La categoria di mediazione dialettica non serve a giustificare scelte compromissorie che sacrificano le istanze più combattive, è necessaria invece a cogliere il carattere mediato dell’immediatezza e a riaffermare l’autonomia della logica dei processi collettivi negata dall’individualismo metodologico. Totalità e mediazione sono categorie alternative a complessità e semplificazione, rendono leggibile la realtà e le sue linee conflittuali, servono a scomporre la molteplicità e a ricomporla in un nuovo ordine. L’immediatismo osteggiato da Fortini è il fare tattica uguale a strategia, scambiare la cronaca con la storia, i destini generali con le biografie individuali, l’informazione con la conoscenza; esaltare il movimento e dichiarare nullo il fine: è il metodo delle multinazionali in politica.

Il primo atto della critica, per Fortini, è la scelta di un’eredità: soltanto questa scelta offre una prospettiva, consente di operare selezioni, costruire ordini di precedenze, stabilire confronti con altri indirizzi senza cadere nell’eclettismo confuso. Il dovere di assumere e trasmettere un’eredità, oltre che scelta feconda e durevole, è anche una risposta determinata alla strategia di colonizzazione basata su sradicamento e controllo dell’oblio, ed è forma di resistenza conflittuale al postmoderno, il cui nocciolo ideologico è l’antidialettica postmarxista e postcomunista.

Secondo Fortini esiste un nucleo irrinunciabile del marxismo che rimane valido e merita di essere difeso e trasmesso anche ove manchi, temporaneamente o per un lungo periodo storico, una soggettività, manifesta o latente, portatrice di un progetto totale di riorganizzazione economica, sociale, culturale e politica. La ricostruzione della totalità dei rapporti sociali capitalistici ci dà la conoscenza della realtà, l’esercizio della nostra tradizione ci dà uno specifico senso dei passaggi.

Primato della critica dell’economia ed esplicitazione di una linea di classe per discriminare, in ogni ambito della vita sociale, linee conflittuali e solidarietà: con questa bussola, dalla guerra fredda fino ai primi anni ’90, Fortini individua priorità, prende posizione e dà battaglia nella sfera letteraria come in quella politica. Pone l’accento ora sullo spirito di scissione ora sulla sintesi volta alla ricomposizione, ma tiene fermo il rifiuto di ogni proposta libertaria che non passi attraverso la porta stretta della critica dell’economia e di ogni proposta di discesa riformistica da presunti illuminati a presunti retrogradi. Con questa bussola, nutrita da un robusto senso storico e politico dei passaggi, Fortini ragiona sul senso politico e sull’organizzazione del lavoro intellettuale, critica la separazione liberale tra politica e cultura e gli schemi ideologici dei fronti popolari, rivendica le conquiste leniniste e nulla concede all’anticomunismo.10 Con questa bussola attraversa i dieci inverni, si unisce al lavoro di inchiesta del gruppo dei Quaderni rossi e avanza un’ipotesi di ricomposizione della forza lavoro salariata, basata sul riconoscimento della comune subordinazione del lavoro astratto. Individuato il nocciolo antagonistico del ’68 – non riassorbibile in progressi di costume e richieste di diritti civili – nella critica dell’economia del sapere e del potere, negli anni ’70 Fortini contrasta l’antidialettica, denuncia le implicazioni tecnocratiche, elitarie e sradicanti del pensiero negativo, intuisce che le categorie di differenza e immanenza preparano il terreno più adatto alle macchine ideologiche capitalistiche: “surrealismo di massa” è la formula in cui stringe un complesso di fenomeni (modernizzazione repressiva, rivoluzione microelettronica, controllo dell’oblio, primato del linguistico e delle relazioni comunicative). Negli anni ’80 denuncia l’ulteriore salto dell’industria culturale verso la produzione e il consumo diffuso di falsa informazione, che rende praticamente il vero il concetto di intellettualità di massa: illusione di creatività individuale e di autenticità interiore, restaurazione dell’aura e del privilegio del ruolo, snobismo di massa sono le nuove maschere che impediscono di riconoscere la comune impotenza e subalternità. Il nostro dramma, ammonisce Fortini, non è la scomparsa della lotta di classe – la lotta di classe c’è, anche se il conflitto sociale non è manifesto – bensì la perdita di oggettività e di intelligenza storico-economico-sociale dei processi (quel che non sappiamo e vogliamo vedere nella chiarezza, ci vince dall’oscurità).

Sul versante della critica letteraria, a fronte del gioco dell’interpretazione infinita di testi che rinviano a testi, del culto della letterarietà, del primato del dire sul detto, del significante sul significato, che diviene fungibile e intercambiabile, l’ultimo Fortini pone l’accento sull’imprescindibilità del contesto e sul contenuto della forma. Se la nozione di forma allude alla possibilità di dare orientamento e senso all’esistenza, la difesa della forma non può ignorare che il capitalismo finanziario è il centro da cui promana l’insensatezza e la perdita di controllo sulle nostre vite: lottare per la forma, ricorda Fortini, significa anche lottare per limitare la libertà di movimento dei capitali.

In conclusione, la dialettica marxista di Fortini indica un modello alternativo a un’idea di critica della cultura, risalente a Nietzsche, che si dipana come genealogia puramente concettuale di una progressiva decadenza, decostruzione corrosiva di categorie logiche, ontologiche, etiche, che sfocia nella fabulizzazione del mondo e nella produzione di individui infantili e narcisistici. Per il nesso stretto tra critica del capitale e critica della cultura, la lezione di Fortini, non metabolizzabile dal postmoderno, mi sembra più feconda di quelle di Adorno e Benjamin.

Note 

1 Cfr. Andrea Cavazzini, Totalità, critica e mediazione, in «L’ospite ingrato», 9 marzo 2020.

2 Cfr. Luca Mozzachiodi, Tesi su critica e totalità, in «L’ospite ingrato», 30 marzo 2020.

3 Cfr. Roberto Fineschi, Chi critica la critica? Alla ricerca di soggetti storici, in «L’ospite ingrato», 23 marzo 2020.

4 Per l’analisi delle distorsioni subite dal concetto di internazionalismo nella fase euforica della globalizzazione rinvio agli studi di Emiliano Brancaccio sulla liberalizzazione dei movimenti di capitale.

5 Cfr. Marco Gatto, Gramsci e l’idea di critica, in «L’ospite ingrato», 21 ottobre 2019. Può essere utile in proposito la lettura di Arricchimento di L. Boltanski e A. Esquerre (Bologna, il Mulino, 2019), che analizza la segmentazione della forza lavoro nell’industria culturale e il rapporto tra valorizzazione narrativa, rendita patrimoniale, creazione di prezzi differenziali per consumi di lusso.

6 Romano Luperini e Raffaele Donnarumma propongono più correttamente di distinguere tra ideologia postmoderna e ipermodernità. Per un bilancio teorico e storico delle avventure della differenza rinvio allo studio di Daniele Balicco, Nietzsche a Wall Street, Macerata, Quodlibet, 2018, che ricostruisce il rimbalzo della French Theory tra Europa e Stati Uniti, nell’intreccio con le dinamiche del capitalismo finanziario

7 La coraggiosa autocritica del paradigma operaista ha consentito a Carlo Formenti di ripensare la forma attuale della lotta di classe (La variante populista. Lotta di classe nel neoliberismo, Roma, DeriveApprodi, 2016).

8 Mi permetto di rinviare alla terza parte di Storia dei marxismi in Italia, Roma, manifestolibri, 2005, ove ho cercato di dare conto, sia pure in modo parziale e incompleto, di diverse linee di ricerca che, da Roberto Finelli a Riccardo Bellofiore, da Gianfranco Pala a Maria Turchetto, da Domenico Losurdo a Costanzo Preve, hanno lavorato all’elaborazione di una dialettica della dissimulazione, alla ricostruzione della teoria del valore, all’analisi delle filiere transazionali e dei processi di scomposizione degli Stati, a una critica filosofica radicale dell’ideologia postmoderna. Non si tratta di indicare nomi individuali, si tratta invece di contrastare l’autofobia marxista e di riscoprire la fecondità di una tradizione. Un esempio ulteriore di dialettica marxista che non sta al gioco degli specialismi e dell’iperculturalismo sono gli studi di Vladimiro Giacché sulla crisi finanziaria del 2008, sulle gerarchie di potere in Europa, sull’economia rivoluzionaria di Lenin e sull’eredità di Hegel.

9 Per la scoperta della lezione politica di Fortini devo molto allo studio di Daniele Balicco, Non parlo a tutti. Franco Fortini intellettuale politico, Roma manifestolibri 2006

10 Fortini riapre il discorso sul comunismo nel ’56 e nell’89, quando nulla sembra garantirlo. Per l’analisi del concetto di comunismo in Fortini rinvio al commento di Ennio Abate, Appunti politici (4): «Comunismo» di F. Fortini.

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