2 + 2 = 5. L’emulazione socialista in URSS. Parte I

lug 25th, 2020 | Di | Categoria: Documenti storici

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2 + 2 = 5. L’emulazione socialista in URSS. Parte I

di Paolo Selmi

 

 

Cari compagni,

questo lavoro è nato come paragrafo alla parte introduttiva del manuale sulla pianificazione che sto traducendo. Poi, le questioni sollevate man mano che la ricerca proseguiva erano tante e tali… che in questi mesi è diventata una piccola monografia: 150 pagine delle mie, un libro vero e proprio usando un’impaginazione editoriale. Per motivi di dimensione, difficile da gestire anche per software potenti come l’editor di sinistrainrete.info, è stata decisa una suddivisione (del tutto strumentale) in quattro puntate. Lo scopo primario di questo lavoro è stato riproporre e sviluppare alcune questioni su cui e, peggio ancora, di cui oggi nessuno parla quando si parla di socialismo e di storia sovietica. Lo scopo ultimo e, infine, l’auspicio con cui chiudo queste poche righe è che ciascuno di voi, sia singolarmente che come gruppo di lavoro e collettivo di ricerca, tragga da questi materiali, la cui traduzione è inedita nella stragrande maggioranza dei casi, spunto per ulteriori analisi, riflessioni, collegamenti, approfondimenti. Di carne al fuoco ce n’è davvero molta, per cui grazie per l’attenzione, per le osservazioni, per gli spunti che vorrete condividere, ma soprattutto…

Buona lettura!

* * * *

Alcune domande

2+2=5: nonostante al di qua della cortina di ferro il termine “emulazione socialista” (социалистическое соревнование)fu spesso accompagnato da scherno e pernacchie di sottofondo, insieme ad accuse affatto velate di cottimismo e crumiraggio, si tratta, di una delle manifestazioni storiche, almeno nelle intenzioni di chi le promosse, ma a ben vedere non solo in “pensieri e parole”, di quanto più prossimo a quel “movimento verso l’alto” oggetto di analisi preliminare in questo capitolo. Guardiamola, pertanto, un po’ più da vicino. Il manifesto riprodotto qui sotto, risalente agli anni Trenta del secolo scorso intitolato L’aritmetica del contropiano produttivo e finanziario (Арифметика встерчного промфинплана) ci fornisce una buona base di partenza.

“2+2=5”, fare in due bienni (1929-30 e 1931-32) ciò che è previsto in un quinquennio. Bene. Ma non sufficiente. “Più l’entusiasmo dei lavoratori” (Плюс энтузиазм рабочих), c’è scritto poco più sotto: nelle intenzioni del disegnatore, ciò che fa la differenza, l’uno mancante.

La domanda fondamentale, tuttavia, che giunge a me profano, è a monte… e ce n’est qu’un début di domande, salutari per noi che ci interroghiamo su come arrivare, ogni giorno, in cima e che lascio uscire, liberamente, dalla mente. Come si ottiene quell’1? Qual è quell’alchimia che lo fa sorgere? Solo quell’энтузиазм, titolo non a caso del capolavoro di Dziga Vertov datato 19301, leggi “dedizione incondizionata alla causa”? Possiamo basarci su una società composta totalmente e perennemente da infervorati di entusiasmo missionario, nel vero senso della parola, 7/7 h24, per sortire questo effetto? In altre parole, 2+2=5 solo grazie a questo? o anche grazie a questo? Oppure, altra domanda che mi viene in mente: perché nel Giappone del kaizen (改善), dove non c’è il socialismo, 2+2=5 lo stesso? Con un meccanismo di partecipazione che, allo stesso tempo, ha retto alla prova del tempo e si muove su binari più consolidati? Peraltro, non senza aver creato un clima esasperatamente competitivo sin dall’infanzia, con un senso del collettivo estremamente distorto in senso corporativistico, peggio, clanistico, ed esercitando continuamente pressioni (e relativi effetti collaterali) sulla psiche di lavoratori capitalisticamente alienati? Da questo, altra domanda: cosa differenzia un atteggiamento crumiro e cottimista da un atteggiamento apparentemente simile ma autenticamente socialista o, come da manuale, “autenticamente comunista nei confronti del lavoro”? Basta il cambio radicale di modo di produzione, ovvero solo il fatto che siamo noi i padroni dei macchinari e il prodotto è ricchezza sociale e immediatamente socializzata? Oppure il modo di produzione è condizione necessaria, ma non sufficiente? Se vale quest’ultima ipotesi, una volta socializzati i mezzi di produzione e stilato il primo piano (e gli altri a seguire) quali debbono essere, in ultima analisi, i meccanismi da attivare in un ὄργᾰνον, un organon predefinito, per stimolare ormoni da un lato e anticorpi dall’altro, tali per cui 2+2 faccia sempre 5, sia nell’adrenalina del primo quinquennio che nei decenni successivi, in “tempo di pace”, senza trasformarci per forza tutti in udarniki a tempo pieno e con orari e turni emergenziali?

 

Alcune risposte (e non-risposte), partendo dalla fine

Domande, come vedremo, a cui i sovietici tentarono – in modi e tempi diversi – di darsi risposta sin dalla presa del Palazzo d’Inverno. E a cui dettero risposte diverse. Ivi compresa anche la “risposta zero” ovvero, la “non risposta”: infatti, la soluzione “comoda”, meglio, “accomodante”, “assolutoria” a questa domanda, quella che la annullava di colpo, la rendeva persino irrilevante, a un certo punto venne da quella suggestione, da quella parolina magica d’importazione che in Russia si trascina dagli Utopisti russi del primo Ottocento2 e, via via, acquista una rilevanza sempre maggiore fino a entrare, su basi scientifiche, nel dibattito del secondo dopoguerra come “soluzione del problema”il progresso scientifico-tecnologico (Научно-технический прогресс – НТП). Non facciamone troppo una colpa, ai nostri nonni: ancora oggi l’Occidente è pieno di “profeti” che si esibiscono in maglioncini di cachemire (o camicie rimboccate) e auricolare con microfono, parlando di automazione totale, fine del lavoro e altre fregnacce a cui, in ultima analisi, è bastata l’attuale pandemia in corso a mettere la parola fine.

A ulteriore discolpa dei nostri nonni, a ben vedere, è diverso il fineche porta a conclusioni analoghe (auspici, più che altro, mezzo secolo fa in URSS) in entrambi i sistemi. Nel caso del socialismo realizzato, lo abbiamo visto, è stata la suggestione tecnocratica di un progressivo disimpegno operaio, riassumibile nell’auspicio: che bello sarebbe un mondo con meno problemi per i lavoratori, meno problemi per il pianificatore, meno problemi per tutti. Tutti liberi di fare ciò che vogliamo mentre le macchine, come per magia, lavorano per noi e non servirà più nemmeno 2+2=5, perché 1+1 farà sempre 2, senza alcuna fatica e senza nessun bisogno di fare 5.

Nel caso del capitalismo, invece, è ormai da due secoli che verifichiamo nella prassi la cinica validità dellalegge marxiana della caduta del saggio di profitto, con la ricerca esasperata, da parte padronale, di una sempre maggiore rendita differenziale data dall’immissione massiccia, nel processo produttivo, di capitale fisso: questo, al netto del classico e sempre valido ricatto padronale sul lavoratore, riassunto nel celentanesco “una spremitrice diesel che fa il lavoro di tre uomini e in metà tempo”. Esistono poi posizioni, apparentemente (e strumentalmente) spurie, oltre che totalmente organiche al modo capitalistico di produzione, quali quelle del “reddito di cittadinanza” (ma non solo quelle!), che presupporrebbero un “socialismo senza socialismo”, su cui non vale neppure la pena di intervenire, visto che gli stessi estensori, ai tempi del coronavirus han ripiegato, infine, sull’assistenzialismo.

La scomparsa di questi ultimi cialtroni, in buona o cattiva fede a questo punto importa poco, ci riporta alla cosiddetta “fine del lavoro”: oggi è bastata la peggior crisi dal 1929 per capire che possiamo automatizzare quanto vogliamo, ma – ahimè per qualcuno – resta e resterà sempre determinante il lavoro umano, a partire da quegli operai e impiegati, divenuti di colpo “indispensabili” per la “fase 2” ,da distanziare a un metro uno dall’altro in un ambiente sanificato e con tutti i DPI del caso, fino a giungereal primo comandante di un volo di linea che decide di atterrare sull’Hudson, “fattore umano” alla mano3. Questo accadrà finché ci sarà anche solo un’ora di lavoro umano, “capitale variabile” anche preso alla peggio, nella contabilità (errata!)di lor signori (perché anche il capitale fisso, a ben vedere, è cristallizzazione di capitale variabile, non essendo sceso giù dal cielo, ma con un valore dato, a sua volta, dalle ore lavoro necessarie alla sua produzione e, a cascata, da tutte le ore lavoro cristallizzato nelle fasi precedenti fino al minatore che ha estratto il ferro di cui è fatto).

 

La linfa è importante quanto il legno entro cui essa scorre

A questo punto, il passo logico successivo è: finché ci sarà anche solo un’ora (e sappiamo bene non essere solo un’ora…) di lavoro umano, quel lavoro umano dovrà contenere, nelle forme e nei modi più idonei, quel +1 che ci permetterà di fare 5. Lo pretendono, ripeto pretendono, i capitalisti privatizzando i profitti e socializzando le perdite;A MAGGIOR RAGIONE, questo deve valere per una fabbrica, per un’azienda, per un caseificio, per una qualsiasi unità produttiva di valore di proprietà interamente sociale!

In altre parole, anche nel modo socialistico di produzione questa deve restare la preoccupazione a ogni livello: pianificatore, amministrazione aziendale, collettivo intero di operai e impiegati. L’unità di interessi e di intenti è base di partenza di questo ragionamento ma, al contempo, è anche presupposto necessario su cui consolidare o costruire ex novomodelli teorici e metodi operativi di coscienza operaia, partecipazione, coinvolgimento, impegno, assunzione di responsabilità, solidarietà e mutua assistenza, autentica emulazione socialista che porti naturalmente, ovvero in maniera del tutto naturale, a quel +1 inteso come processo di crescita graduale, continua e dal basso, dell’intero collettivo di operai e impiegati, oltre che dell’amministrazione e, via via, fino allo stesso pianificatore.

Inoltre, anche nelle migliori condizioni di un modo socialistico di produzione, dove il frutto del progresso scientifico-tecnologico non generi disoccupazione, ma trasferimento della forza lavoro da mansioni monotone e pesanti ad altre decisamente (e apparentemente) più leggere può accadere che, al contempo, ciò comporti unamaggiore complessità di mansione e conseguente responsabilità del lavoratore. In altre parole, può capitare (e capita!) che il lavoratore veda messo in discussione il proprio modo di lavorare fino ad allora! Solo due strade, a questo punto, ci sono: da un lato, la concorrenza capitalista, dove i lavoratori sono messi uno contro l’altro e si scannano allegramente fra loro per in un sempiterno divide et imperapadronale; dall’altro l’emulazione socialista, portato del nuovo sistema a venire. Portato, che è tutto fuorché scontato: l’emulazione socialista non è un automatismo, non è un accessorio incluso nel pacchetto “rivoluzione”, non è nulla, davvero nulla, di meccanicamente conseguente all’instaurazione del potere operaio e contadino. È qualcosa su cui occorre lavorare coscientemente, con cognizione di causa, e non poco. Capiamo, quindi, come ragionare su questo tema sia cruciale, oggi forse più di allora!

La linfa è importante tanto quanto il legno entro cui essa scorre: specialmente, per noi che parliamo di contenuto (содержание) e forma (форма) dei processi di pianificazione. Quanto premesso ci consente di fare un po’ più di chiarezza rispetto a inizio paragrafo: l’emulazione socialista è un concetto chiave, fondamentale, se si riesce a coglierne l’attualità e le potenzialità di legantetrait d’union fra meccanismi, processi, procedure, settori e, al contempo, di facilitatore nell’appropriazione operaia e impiegatizia di una techné (τέχνη) sempre più complessa, in quanto sempre più legata a crescenti intersezioni intersettoriali, a rapporti economico-sociali sempre più sviluppati e, pertanto, sempre più complessi, che richiedono una sempre maggiore capacità di analisi, relazione, adattamento, autoregolazione, sintesi. E che nessun automatismo, a quel livello, sarà mai in grado di sostituire, se non in parte.

Per questo è fondamentalmente errato associare automaticamente l’emulazione socialista – come fu costume fare nel cosiddetto “mondo libero” in chiave antisovietica, anche da parte di una certa sinistra radicalchic, o tutte e due – alla legalizzazione del cottimo e ad altre “perle” del genere. Peraltro, la cosa peggiore fu che il loro denigrare, demonizzare, stigmatizzare, era costante, anche quando tale esercizio era (ed è tutt’ora) dovuto più che altro a un riflesso pavloviano, teso più che altro a ridurre tutto all’immagine, si badi bene, all’immagine, dell’URSS sotto Stalin: prima, dopo, sempre A→B, sempre, senza neppure chiedersi se il significato di A, nel frattempo fosse mutato e come; vedevano A e subito partivano con il pistolotto B, come se il lavoratore sovietico del I piano quinquennale fosse lo stesso, si trovasse nelle stesse condizioni, le stesse pressioni, la stessa motivazione, la stessa mobilitazione, lo stesso grado di impiego di energie psicofisiche del suo collega impegnato nel completamento, per esempio, del XII (ma anche dell’VIII o del IX!), piuttosto che del suo collega che ancora aveva il fucile a tracolla e, fumando una sigaretta di fortuna, faceva nervosamente la guardia, quella prima notte della presa del Palazzo d’Inverno.

Questo atteggiamento ipocrita, da parte dell’Occidente, trovava terreno fertile nell’ambiguità, voluta o meno a questo punto è irrilevante, ai fini della strumentalizzazione della propaganda occidentale, da parte della dirigenza sovietica sull’argomento. Allo stesso modo, infatti, occorre sottolineare che, storicamente, il termine “emulazione socialista” fa parte del lessico politico sovietico per tutta quasi la sua storia, dal 1918 al 1991, con la differenza che, nel corso dei decennial significante corrisposero diversi significati, anche molto differenti fra loro.

Intendiamoci, in linea di principio, ben faceva il detentore esclusivo di tale significante (“esclusivo” perché al di fuori dell’URSS essenzialmente ignorato, anche fra gli stessi compagni in Occidente: “tra il dire e il fare…”) di disporne come meglio credeva e cambiare a piacimento le carte in tavola : è quanto sempre accade in qualsiasi regime di monopolio, quale può essere un pontefice che parla ex cathedra, il presidente di una banca centrale in materia di QE, o un presidente del consiglio che parla di “sacrifici” in videomessaggi alla nazione senza contraddittorio. È una prerogativa, del resto, di cui il potere è ben conscio da millenni ed è da millenni che se ne serve.

Tuttavia, questo fu fatto senza coinvolgere direttamente e, a ben vedere, neanche informare gli stessi attori che, tale emulazione, avrebbero dovuto condurre! Questo paradosso, insieme all’assenza di qualsiasi passaggio critico o autocritico, ma neppure chiarificatore, alimentò la confusione sull’argomento e condusse, di fatto, a una sua immeritata banalizzazione, che dura tutt’ora. È con questo spirito di indagine e analisi storica, pertanto, che ci accingiamo ad affrontare questo tema.

 

Sorgente della forza e garanzia della piena, inevitabile, vittoria”

Cominciamo a delineare il campo di esistenza, così come ce lo fornisce Vladimir Il’ič, in maniera pressoché profetica, perché per gli ottantacinque anni successivi quello da lui qui denunciato sarebbe stato lo stereotipo a cui i capitalisti avrebbero ridotto il Paese dei Soviet, agli occhi di una loro “plebe sempre all’opra china”, perché tale rimanesse:

Gli scagnozzi e i tirapiedi della borghesia hanno rappresentato il socialismo come una caserma grigia, monotona, sempre eguale a sé stessa e burocratica. La signora intellighenzia borghese – schiavi di un sacco di monete e servi degli sfruttatori – ha usato questa immagine di socialismo per “far paura” al popolo ; quel popolo che invece, proprio nel capitalismo, è condannato alla galera e alla caserma di un lavoro che è sempre una una catena, di una vita che è solo tirar la cinghia e di vacche che non sono magre, ma scheletriche4.

La chiarezza e la sintesi espositiva di questo passo sono micidiali, così come la contrapposizione immediata del proprio piano, del piano dei comunisti, “per liberare i lavoratori da questa galera” (к освобождению трудящихся от этой каторги). Sarà un piano in diverse fasi, in piena guerra civile in corso, di cui le seguenti due costituiscono la base:

1. confisca dei latifondi, introduzione del controllo operaio, nazionalizzazione delle banche (конфискация помещичьих земель, введение рабочего контроля, национализация банков) e

2. nazionalizzazione delle officine e delle fabbriche, organizzazione obbligatoria dell’intera popolazione in società di consumo che siano, al contempo, società di vendita dei prodotti, monopolio statale del commercio del pane e di altri generi di prima necessità (национализация фабрик и заводов, принудительная организация всего населения в потребительные общества, являющиеся в то же время обществами сбыта продуктов, государственная монополия торговли хлебом и др. необходимыми предметами).

Una base, tuttavia, che è un punto di partenza e assolutamente non di arrivo. “Il bello”, nel progetto leniniano, incomincia solo ora:

Solo ora abbiamo la possibilità di fare emergere, su basi veramente di massa, intraprendenza, emulazione e iniziativa operaie. Adesso, e adesso soltanto, ogni fabbrica dove è il capitalista è stato accompagnato alla porta o è stato posto sotto vincolo stretto da un autentico controllo operaio, ogni campagna dove il latifondista sfruttatore è stato scacciato ed espropriato della terra, diventa il luogo in cui il lavoratore si può finalmente rivelare a sé stesso, cominciare a tenere un po’ più dritta la schiena e alzarsi in piedi, iniziando a sentirsi un essere umano. Per la prima volta, dopo secoli di lavoro per altri (труд на чужих), di lavoro forzato per gli sfruttatori, abbiamo la possibilità di lavorare per noi (работа на себя): un lavoro, fra l’altro, che si fonda su tutte le più moderne conquiste tecnologiche e culturali5.

Nel paragrafo successivo, Vladimir Il’ič ribadisce, a scanso di equivoci, che “neanche un operaio soltanto si sta facendo illusioni” (ни у кого из рабочих иллюзий нет) sul fatto che “il più grande cambiamento del ruolo del lavoro nella storia dell’umanità” (величайшая в истории человечества смена труда), da obbligato per altri, a libero per sé, possa avvenire dall’oggi al domani (“occorre tempo” нужно время) e, soprattutto, dopo secoli di galera sotto gli sfruttatori, “rompere la loro opposizione” (сломать сопротивление эксплуататоров) possa avvenire “senza attriti, tensioni, conflitto e senza violenza” (без трений, трудностей, конфликтов, без насилия).

 

La rivoluzione non è un pranzo di gala

“La rivoluzione non è un pranzo di gala” (lett. “la rivoluzione non è invitare ospiti a pranzo” 革命不是请客吃饭), avrebbe osservato qualcun altro dieci anni dopo, sotto le bordate dell’artiglieria pesante di Jiang Jieshi. Non affermava nulla di nuovo: accenniamo ora brevemente a quanto accadde nel neonato Paese dei Soviet, per apprezzare ancor di più la grandezza di un uomo, di un Partito, di una classe e di un popolo intero, per essere stati in grado non solo di non rinunciare a progettare il proprio futuro tra fischi di proiettili ed esplosioni di mortai (cosa che si ripeté, per inciso, nella nostra Resistenza della cui Lotta di Liberazione cade, mentre scrivo queste righe, l’Anniversario della vittoria), ma di praticarlo lì e ora, concretamente.

Un “pranzo di gala” (a volte è più bella, nella sua creatività, una cattiva traduzione di una traduzione letterale) la Rivoluzione sovietica non lo è mai stata. Non lo fu quella notte fra il 6 e il 7 novembre del 1917, di cui per le cartine qui sotto e per la Storia Universale da cui son tratte, oltre che per la sua amicizia e consigli, non finirò mai di ringraziare Nicola Teti, editore controcorrente fino alla fine:

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Non lo fu quando venne liberata Mosca, non lo fu nei mesi successivi, che precedettero l’intervento diretto delle forze imperialiste (pardon, nei libri di storia sta scritto “delle forze dell’Intesa”), né tanto meno quando fu attaccata da ogni lato e si trovò da sola, da sola, a fronteggiare la guerra contro il nemico, interno ed esterno, oltre che la guerra contro fame, freddo e un’economia allo sfacelo. La cartina qui sotto ben riflette lo stato di accerchiamento totale in cui essa si trovò a combattere:

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Siccome, purtroppo, la Storia Universale non ho assolutamente idea se sia ancora disponibile, ovvero se il figlio di Nicola Teti abbia deciso in qualche modo di continuare quantomeno la diffusione dell’edizione digitalizzata, pubblico qui ampi stralci della parte relativa a quel periodo (immagini tratte invece dalla rete):

All’inizio l’intervento dell’Intesa ebbe un carattere coperto, limitandosi al sostegno finanziario e politico della controrivoluzione russa, alla organizzazione di rivolte antisovietiche. Nella primavera del 1918 divenne però chiaro che i capitalisti russi e i possidenti non erano in grado di far fronte con le proprie forze alla vittoriosa rivoluzione socialista e la Intesa decise d’inviare contro la Russia sovietica proprie truppe.

Mentre continuava la guerra in Europa e la Quadruplice Alleanza controllava ancora gli Stretti del Mar Nero, l’Intesa non poté sviluppare ampie operazioni sul territorio di tutta la Russia e dovette limitare il suo intervento al nord, nell’Estremo Oriente, all’Asia centrale e al Caucaso. L’intervento era una guerra effettiva contro la Russia sovietica, ma gli imperialisti lo coprivano con le menzogne di “aiuti” al popolo russo nella lotta contro la Germania. L’inconsistenza di queste dichiarazioni divenne però manifesta quando, dopo la capitolazione della Germania, le potenze dell’Intesa non solo continuarono la guerra antisovietica, ma la estesero ulteriormente.

Il 9 marzo 1918 sbarcarono a Murmansk le prime truppe inglesi, seguite ben presto da grossi contingenti di truppe americane, inglesi e francesi. Nell’accordo, firmato con i traditori del soviet di Murmansk, i rappresentanti dell’Inghilterra, della Francia e degli Stati Uniti s’impegnavano a non interferire negli affari interni del territorio, ma in realtà gli interventisti dispersero con la forza le organizzazioni dei lavoratori e compirono rappresaglie sugli abitanti: a Kern il battaglione anglo-francese disperse il soviet locale e fucilò i suoi dirigenti.

Il 1° agosto la flotta degli interventisti comparve davanti ad Arcangelo. Gli interventisti organizzarono un corpo controrivoluzionario e crearono un governo-marionetta con a capo il “socialista popolare” Čajkovskij. Il governo sovietico in una serie di note espresse la decisa protesta contro l’intervento. I governi dell’Intesa risposero ipocritamente che le loro navi militari erano giunte nel nord sovietico solo per prevenire la “minaccia tedesca”. In realtà non c’era nessuna minaccia tedesca nella regione di Murmansk e di Arcangelo, come fu riconosciuto da alcune personalità ufficiali tra gli alleati. Il console americano ad Arcangelo informava l’ambasciatore degli Stati Uniti in Russia, Francis: “…Lo scopo non è soltanto di occupare Arcangelo, ma di penetrare nell’interno della Russia….”.

In Estremo Oriente l’intervento ebbe luogo nei primi giorni dell’aprile 1918, con l’occupazione di Vladivostok da parte dei giapponesi e degli inglesi, seguiti in agosto dagli americani6.

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Alla fine di maggio del 1918 iniziò la rivolta antisovietica del corpo di spedizione cecoslovacco. Il corpo era costituito da cechi e slovacchi, ex-soldati dell’esercito austro-ungarico fatti prigionieri durante la guerra. Il governo sovietico aveva concesso loro di seguire la Transiberiana sino a Vladivostok per poter quindi proseguire per l’Europa. Ma gli imperialisti dell’Intesa si servirono del corpo cecoslovacco a scopo controrivoluzionario. Forte di 50.000 uomini, cui si unirono anche contingenti di Guardie Bianche, il corpo si schierò lungo la Transiberiana da Penza a Vladivostok, e favorito dal fatto che le truppe sovietiche su questa immense distanza erano scarse, occupò alcune città e vi restaurò gli ordinamenti borghesi. [...]

Con l’intensificarsi dell’intervento imperialistico in Russia si rafforzava anche la controrivoluzione interna. Insieme con il corpo cecoslovacco contro il potere sovietico si schierarono le forze controrivoluzionarie del Volga, degli Urali, della Siberia. Alla fine dell’estate del 1918 esse occupavano tutta la Siberia, gran parte degli Urali, le città di Samara, Simbirsk, Kazan. Tra il Turkestan sovietico e il centro del paese furono interrotti i contatti. Nella prima metà di giugno, nella città di Samara, conquistata dai cecoslovacchi, sorse un governo controrivoluzionario con la partecipazione di cadetti, socialrivoluzionari e menscevichi, il cosiddetto “Komuc” (Comitato dei membri dell’Assemblea costituente); a Omsk si formò un governo siberiano “bianco”. L’esercito “volontario” di ex-ufficiali dell’esercito zarista con a capo i generali Aleskeev, Kornilov e Denikin occupò una parte considerevole del Caucaso settentrionale.

L’intervento armato dell’Intesa si estese anche alla zona transcaucasica e all’Asia centrale. Nell’agosto del 1918 a Baku giunse dalla Persia un corpo d’interventisti inglesi, comandato dal generate Dansterville. Quasi nel medesimo tempo i soldati inglesi del generate Malleson, giunti pure dalla Persia, occuparono la regione transcaspica.

Nemica acerrima della Stato sovietico rimaneva la Germania imperiale. Violando le condizioni della pace di Brest, essa occupò la Crimea, inviò i suoi soldati nel Caucaso settentrionale e in Transcaucasia. Frattanto la ribellione dei cosacchi del Don causava la caduta del potere sovietico nel Don. Il capo del “grande esercito del Don”, generale Krasnov, formò con l’aiuto degli imperialisti tedeschi grandi raggruppamenti armati, e iniziò l’avanzata su Zarizyn e Voronež. La Turchia, dal canto suo, condusse l’intervento in Transcaucasia. Nel settembre del 1918 i soldati turchi occuparono Baku, compiendovi sanguinose stragi.

In Ucraina, sul Baltico, in Bielorussia, in Crimea gli occupanti tedeschi crearono governi fantoccio, costituiti dagli elementi più reazionari, per lo più monarchici. Alla fine di aprile del 1918 la Rada centrale ucraina costituì il governo dell’ex-generale zarista Skoropadskij, nominato “capo di tutta l’Ucraina”. Le ruberie ai danni del popolo ucraino aumentarono. Durante il governo di Skoropadskij vennero portati in Germania 9 milioni di pud di grano e 3,5 milioni di pud di zucchero oltre a enormi quantitativi di altri prodotti e materie prime. [...]

Un duro regime di occupazione stabilirono nei territori occupati anche gli interventisti dell’Intesa. Il loro cammino sulla terra sovietica fu un seguito di eccidi della popolazione pacifica e di assassini di patrioti sovietici. Durante il governo degli interventisti e dei “bianchi” nel nord sovietico un abitante su sei venne cacciato in prigione o in campo di concentramento: a Murmansk gli interventisti crearono cinque prigioni, ognuna delle quali conteneva sino a mille persone; nella isola di Mudiug e nel campo di Iokanga, nella penisola di Kola, furono organizzati campi di concentramento, in cui i sovietici venivano sottoposti a torture e umiliazioni e spesso morivano di freddo e di fame. In Siberia, nelle prigioni e nei campi di concentramento vennero gettati più di 80 mila operai, contadini, intellettuali, 40.000 persone vennero torturate e fucilate dagli interventisti e dai “bianchi”. Indimenticabile è la vergogna, di cui si coprirono gli interventisti inglesi in Transcaucasia: dopo la caduta del potere sovietico a Baku, 26 esponenti della rivoluzione socialista (i “26 commissari di Baku”), coraggiosi figli del popolo sovietico, vennero condotti nella regione transcaspica e barbaramente uccisi in pieno deserto, nella notte del 20 settembre 19187. […]

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A metà del 1918, la questione vitale della giovane repubblica sovietica era la lotta contro l’intervento straniero e la controrivoluzione interna. La questione si poneva in termini molto netti: o il potere sovietico soccombeva alle forze armate dell’imperialismo e della controrivoluzione o usciva vincitore dall’immane prova e poteva continuare la propria esperienza.

Avanzando su tre fonti, il nemico occupò tre quarti del territorio sovietico. Il potere sovietico si limitava solo ai governatorati della Russia centrale, con le città di Mosca, Pietrogrado, Nižnij Novgorod, Tver, Ivanovo-Voznesensk, Smolensk, Vjatka, Vologda, Brjansk, Tula. La repubblica dei soviet, circondata e assediata dai nemici, dovette sopportare sacrifici inenarrabili: essa venne privata del grano dell’Ucraina, della Siberia, del Volga.

Nelle città e nei villaggi le razioni alimentari dei lavoratori erano molto inferiori al minimo necessario. La fame dilagava nel paese, compresa la capitale Mosca. I territori occupati dai nemici fornivano al paese il 90 per cento del carbone, l’85 per cento di minerale di ferro, il 75 per cento della ghisa e dell’acciaio. La loro perdita creò serie difficoltà all’industria della Russia centrale: per mancanza di materie prime e di carburante diminuì la produzione industriale, molte fabbriche e numerose industrie rimasero inattive8.

No, decisamente la rivoluzione non era stata un pranzo di gala. E non lo sarebbe stata mai. Possiamo quindi, a ragion veduta, affermare che i primi germogli di emulazione socialista nascano direttamente con la Rivoluzione d’Ottobre e crescano, continuamente forgiati e messi a dura prova, sotto il fuoco nemico di una guerra di aggressione e civile.

 

I subbotniki

Infatti, nonostante l’arretramento pauroso, le perdite, e tutti i problemi a cui si è poc’anzi brevemente accennato, Lenin continuava incessantemente a ribadire un concetto fondamentale:

La dittatura del proletariato – come mi è già capitato di sottolineare, e non una volta, tra l’altro anche nel discorso del 12 marzo all’assemblea dei Deputati del Soviet di Pietrogrado – non è soltanto violenza contro gli sfruttatori. Fondamentalmente, non è neppure violenza. La base economica di tale violenza rivoluzionaria, nonché la garanzia (залог) perché la rivoluzione viva e trionfi, risiede nel fatto che il proletariato rappresenti e realizzi un’organizzazione del lavoro molto più avanzata rispetto al capitalismo. La sostanza (суть) è tutta qui. E in questo vi è la sorgente della forza e la garanzia della piena, inevitabile, vittoria del comunismo.9

Il manoscritto di Lenin, stampato nel luglio 1919 e già l’anno dopo disponibile in italiano10, sulla “Grande iniziativa” (Великий почин), parla ampiamente dei “sabati comunisti” (Коммунистическая суббота). Il 12 aprile del 1919, in piena guerra civile, operai della squadra di manutenzione (da noi la squadra Rialzo) della linea ferroviaria Mosca-Kazan, lavorarono ininterrottamente e gratuitamente dalle 20 del sabato alle 6 di domenica mattinaper rimettere in funzione tre locomotive. Decisero che avrebbero continuato tale esperienza regolarmente e, dal loro esempio, partirono esperienze analoghe di emulazione.I subbotniki erano i partecipanti ai sabati comunisti, eroi della rivoluzione tanto quanto i soldati che, al fronte, respingevano i “bianchi” e gli imperialisti oltreconfine. In questo contesto si colloca il manoscritto di Lenin e le sue osservazioni, tra cui quella che apre questo paragrafo. “Ci troviamo di fronte a uno degli aspetti più importanti dell’edificazione del comunismo, a cui la nostra stampa non presta sufficiente attenzione e che noi ancora colpevolmente sottovalutiamo”11: facendo nostra questa osservazione di Vladimir Il’ič, questa frase si sarebbe potuta ripetere in qualsiasi momento da allora a oggi quando, nel Settantacinquesimo del primo sabato comunista, è solo un giornale online di Ferrara, per nulla comunista e tra il serio e il faceto12, ad accorgersi che sono ancora in molti, autodefinitesi subbotniki in memoria di quei giorni, a prestare di sabato lavoro volontario di pulizia aree pubbliche, manutenzione verde e panchine, e altre iniziative volte a migliorare l’ambiente degradato in cui sono costretti da quando, con la fine dell’URSS, tutto è stato lasciato cadere.

Così, la prima forma di emulazione socialista, nata essenzialmente come supporto, contributo totalmente spontaneo, volontario e gratuito a un’economia di guerra, letteralmente alla fame e al freddo (холод и голод), non passa inosservata agli occhi della guida politica del Paese. Per Lenin, anzi, è elevata a prima manifestazione della nuova società, ovvero a “una delle cellule della nuova società socialista, che conduce tutti i popoli della Terra alla liberazione dal giogo del capitale e dalla guerra”13. Notiamo, per inciso, come in quello scritto la parola “emulazione” non compaia neppure. Ma lo era, eccome, pur non essendo così, ufficialmente, conosciuta e ri-conosciuta.

Era comparsa invece in suoi scritti precedenti, mai pubblicati o beneficiati di ampia pubblicazione, e riesumati negli anni successivi, specialmente in prossimità o corrispondenza della prima pjatiletka. Se ora li citiamo, non è né per dovere di cronaca, né per piacere da topo d’archivio, ma perché la riflessione leniniana si innesta perfettamente su quella che sarebbe stata l’evoluzione del termine fino ai giorni nostri.

 

Basta intendersi

Partiamo, nella nostra analisi, con alcuni caveatanche qui, non per pedanteria, ma perché tradurre da traduzioni a volte può giocare cattivi scherzi. A un secolo di distanza, quel “può” è praticamente una certezza. Tradurre da traduzioni? In effetti… si! A noi, che per puro caso respiriamo per osmosi qualche millennio di un linguaggio che ha monopolizzato il lessico scientifico occidentale e, quindi, per la proprietà transitiva del colonialismo prima e dell’imperialismo poi, mondiale, “concorrenza” non meraviglia più di tanto venire a sapere che deriva dal latino concurrentia e che a sua volta trae origine dal composto con/cum + correre/currere dove più che il concorso in dolo ci viene in mente il concorso a premi o per un posto di lavoro. Vinca il migliore, colpo di pistola, e si parte. Ci arriviamo quasi da soli. A un russo, fino a qualche secolo fa konkurencija (конкуренция) avrebbe fatto lo stesso effetto che fa a noi oggi una targhetta in svedese di un mobile cinese di una nota catena di distribuzione14: ancora oggi, tale parola è vista con diffidenza, come tutti i prestiti linguistici dietro cui ci si aspetta la fregatura. “Gli americani ti fregano con la lingua, capisci”15… avrebbe detto un Guccini particolarmente in forma, tra Kerouac e un bicchiere di lambrusco.

Al contrario, la parola “emulazione” non solo a noi dice ben poco, ma anche ai più valenti etimologi nostrani provoca non pochi grattacapi: si arriva a “emulo”, quindi ai suo corrispettivi latino aemulus e greco αιμιλος (aimylos), quindi ci si ferma (o ci si sbizzarrisce fra ebraico o accadico, ma questa è un’altra storia). Per un russo, invece, sorevnovànie (соревнование), è una parola altamente evocativa: la prima parte del composto, so-, è come il cum latino, “insieme”, mentre revnovànie deriva dal paleoslavo рьвьнь, da cui discende l’attuale ревность (rèvnost, “gelosia”)16: ora pensiamo a due persone “gelose”17 l’una dell’altra, ed ecco spuntar fuori, più che la “gara”, “l’emulazione”: “voglio fare come lui”, “voglio fare come lui”, ecc. Vladimir Il’ič Lenin non era un tipo da dire parole a caso. Sapeva cosa intendeva evocare non solo quando contrapponeva queste due parole, ma quando spingeva sul loro dualismo irriducibile, associandolo ad altrettanto irriducibili “noi” contro “loro” e “socialismo” contro “capitalismo”. Ora lo sappiamo anche noi, capiamo perché a concorrenza, che a noi fondamentalmente non fa né caldo, né freddo, essendo anche la radice del termine per cui chi aspira a un posto nel pubblico impiego o ai gettoni d’oro, nel Paese dei Soviet evocava qualcos’altro, totalmente negativo. Al contrario, emulazione, che da noi ha avuto un ruolo lessicale a dir poco secondario, lì diveniva testata d’angolo per un ragionamento non solo sempre attuale, ma valido forse oggi più di allora. “Basta” intendersi: un genio, che la maggior parte di noi suoi connazionali ormai ricorda perché parte della toponomastica di quasi tutte le città, delinea alcune caratteristiche di quel “basta”, in una lettera alla moglie Giulia (“Iulca”) scritta in un assolato, recluso e sconsolato ferragosto del 1932: parole che dovrebbero restare scolpite in chiunque desiderasse intraprendere il lavoro di traduzione18.

 

Concorrenza, emulazione e… Schmidt

Nella prima versione, pubblicata in parte oltre dieci anni più tardi e, completamente, mezzo secolo dopo, de I compiti immediati del potere sovietico (Вариант статьи «Очередные задачи советской власти»), troviamo alcuni passaggi illuminanti, in proposito, e perfettamente in linea con quanto finora esposto:

L’organizzazione dell’emulazione deve ricoprire un posto importante fra i compiti del potere Sovietico nella sfera economica. Gli economisti borghesi, e non una volta, hanno criticato il socialismo affermando che i socialisti non attribuirebbero alcun significato all’emulazione, o non la prevederebbero nel loro sistema o, imitando la nostra terminologia, nel loro piano di costruzione della società. Nulla da aggiungere a quanto già la stampa socialista, e non una volta, ha già scritto su quanto sia assurda questa accusa.

Gli economisti borghesi confondono, come sempre, una questione inserita nelle peculiarità della loro società capitalista con una questione di organizzazione dell’emulazione riferita a un’altra formazione socioeconomica, completamente diversa. Gli attacchi di noi socialisti non sono mai stati diretti all’emulazione in quanto tale, ma al regime di concorrenza.

La concorrenza è una forma particolare di emulazione, tipica della società capitalistica, che consiste nella lotta fra singoli produttori per un tozzo di pane e per avere maggiore influenza, o fette di mercato. Eliminare la concorrenza, in quanto lotta correlata unicamente al mercato dei produttorinon solo non significa eliminare l’emulazione ma, al contrario, proprio l’eliminazione della produzione mercantile e del capitalismo apre a nuove possibilità di organizzare l’emulazione non nelle modalità bestiali del capitalismo, ma in modalità finalmente umane.

Per questo oggi in Russia, nelle condizioni di potere politico date dalla repubblica dei Soviet, con le peculiarità economiche che denotano la Russia con i suoi spazi immensi e la sua gigantesca varietà di situazioni, proprio adesso l’organizzazione dell’emulazione sui principi socialisti deve rappresentare uno dei compiti di riorganizzazione sociale più importanti e più ricchi di potenzialità.19

Aggiungiamo, quindi, all’interno di “un’organizzazione del lavoro molto più avanzata rispetto al capitalismo”, l’elemento – a dir poco fondamentale – di una sostanziale differenziazione NON SOLO QUANTITATIVA, MA ANCHE QUALITATIVA degli elementi, dei meccanismi, delle logiche a essa connesse.

Peraltro, ricordiamo come la contestazione leniniana non si muovesse solo sul piano proposto (o imposto) dai padroni delle ferrierema ne mettesse radicalmente in discussione l’impianto stesso: in uno scritto di pochi mesi prima, Come organizzare l’emulazione (Как организовать соревнование), composto fra il 6 e il 9 gennaio 2018, Lenin descrive molto lucidamente quel mammut, quell’animale estinto, di nome “concorrenza”, laddove la realtà capitalistica di allora (e di adesso) invece era ormai divenuta un oligopolio spietato che ingabbiava ogni iniziativa operaia:

Allo stesso tempo, il capitalismo ha da tempo sostituito la piccola e autonoma produzione mercantile, con cui la concorrenza poteva stimolare, in misura più o meno ampia, l’intraprendenza, l’energia, il coraggio dell’iniziativa personale, con la grande e grandissima produzione industriale, le società per azioni, i trust e altri tipi di monopolio20.

In altre parole, la riflessione di Lenin su concorrenza ed emulazione si muove a tutto campo, dalla difesa all’attacco, rintuzzando colpo su colpo gli attacchi degli economisti borghesi e, al tempo stesso, scardinandone la sovrastruttura, togliendo loro letteralmente terra da sotto i piedi.

Forzature leniniane? Torniamo a quegli anni, al di qua della neonata cortina di ferro e, per capire di cosa stiamo parlando, accostiamo queste affermazioni ad altre, a esse coeve (I ed. 1911), ma di tutt’altra sponda, The Principles of Scientific Management:

Questo lavoro è così rudimentale e semplice nella sua natura che l’autore crede fermamente alla possibilità di istruire un gorilla intelligente in modo da farlo diventare il più efficiente trasportatore di ghisa che possa esserci21.

L’autore di questa tanto famosa quanto ignobile “perla di saggezza” è Frederick W. Taylor. Qualche pagina dopoparlando di come era riuscito a convincere un manovale di origine olandese, nome di fantasia Schmidt, a seguire il ritmo imposto da un “cronometrista ante litteram” per caricare (a mano!) su un camion, a botte di 45 kg alla volta, 47 tonnellate di ghisa al giorno anziché 12 e mezzo (per un totale di 1045 alzate!), si esprime in questi termini, ESATTAMENTE in questi termini, che sembrano usciti dal peggiore degli spaghetti western (la storpiatura dell’italiano che segue equivale alla, a dir poco agghiacciante, storpiatura dell’inglese nel testo originale, a partire dai “vell”, “dot”, “vent”, piuttosto che dai tempi sbagliati – ovviamente quando a parlare è l’operaio – vedere sotto per credere):

- Schmidt, tu sei uno che vale?

- …Non capisco, cosa fuol dire.

- Oh, si che capisci. Voglio sapere se sei uno che vale oppure no.

- …Non capisco, cosa fuol dire.

- Ma si! Rispondi alle mie domande e basta. Voglio sapere se sei uno che vale o se sei come uno di questi qui che vengon via con niente. Voglio sapere se ti va di guadagnare 1 dollaro e 85 al giorno o ti accontenti di 1 dollaro e 15, come tutti questi qui che vengon via con niente.

- Se mi fa 1 tollaro e 85 a ciorno? Kvelo è fale? Si, si, io fale.

- Oh, tu mi fai diventar matto. Ma certo che vuoi 1 dollaro e 85 al giorno… e chi non lo vorrebbe! Ma sai benissimo che non basta volere questo per essere uno che vale. Ora fammi il piacere di rispondermi, che mi hai già fatto perder troppo tempo. Vieni qui. La vedi quella pigna di ghisa?

- Si.

- Lo vedi quel camion?

- Si.

Bene, se sei uno che vale, tu domani carichi quella pigna di ghisa su quel camion per 1 e 85. Ora sveglia e rispondimi. Sei uno che vale o no?22

Il dialogo prosegue, l’operaio è introdotto al suo aguzzino, il cronometrista, da ascoltare e seguire da mattina a notte, sempre: “Quando ti dice di caricare e portare su tu carichi e porti su, quando ti dice di sederti e riposare, tu ti siedi” (When he tells you to pick up a pig and walk, you pick it up and you walk, and when he tells you to sit down and rest, you sit down), “senza parlargli dietro” (no back talk), aggiunge dopo il Taylor. “È chiaro?” (Do you understand that?) E glielo ripete un’altra volta, come è “appropriato” (appropriate) “con un uomo dalla mente tarda come Schmidt” (with a man of the mentally sluggish type of Schmidt). L’uomo-che-vale carica 47 tonnellate il giorno dopo, e il giorno dopo ancora. E anche agli altri operai viene il desiderio di prendere 1 dollaro e 85. E così, “uno dopo l’altro, ogni operaio è preso e addestrato [dal cronometrista] a trasportare ghisa fino a raggiungere le 47 tonnellate al giorno fino a che non lo fecero tutti, alla stessa paga” (One man after another was picked out and trained to handle pig iron at the rate of 47 tons per day until all of the pig iron was handled at this rate, around them)23. “Emulazioni” a confronto…

Western per western, verrebbe da concludere così: “Vedete per chi si devono fare le riforme agrarie? Per degli straccioni abbrutiti! Bestie, sono solo bestie!” Anche Giù la testa! di Sergio Leone è datato in Messico in quel periodo (1916). Si vede che era la stagione! Oggi, invece… Quando critichiamo eccessi e carenze del socialismo cosiddetto realizzato, non dovremmo mai, MAI, dimenticarci cosa c’è stato prima o, peggio ancora, cosa è venuto dopo.

 

Emulazione socialista, salvezza e motore della Rivoluzione

Torniamo, ora, a quel работа на себя, a quel “lavoro per sé” che costituiva il tratto distintivo e, insieme, la differenza strutturale radicale, il punto di discontinuità assoluta, irriducibile, inconciliabile fra il “prima” e il “dopo” la Rivoluzione, e colleghiamolo a questo discorso su emulazione e concorrenza. È il passaggio che compie Lenin in apertura al suo lavoro sull’emulazione:

Il socialismo non solo non estingue l’emulazione ma, al contrario, per la prima volta crea la possibilità di impiegarla in maniera realmente ampia, realmente massiva, realmente coinvolgendo la maggior parte dei lavoratori nell’impegno quotidiano in un lavoro dove essi, finalmente, possono rivelarsi appieno, scoprire le loro possibilità, manifestare i talenti nascosti nel popolo, che di essi è sorgente inesauribile, e che il capitalismo ha finora soffocato, schiacciato e stroncato a migliaia, se non a milioni24.

Lavoro per sé, emulazione, emersione di talenti fino ad allora nascosti, emergenza nazionale e vittoria della Rivoluzione: appare ora, in tutta la sua drammatica chiarezza, il filo logico che unisce questi termini nella riflessione leniniana. Una riflessione che assume, nelle pagine seguenti del suo lavoro sull’emulazione, una fortissima valenza, con decisioni e scelte estreme. Ciò che ora ci preme, tuttavia, è sottolineare come, in tale tragico contesto, l’emulazione fosse vista da Lenin come elemento fondamentale, decisivo per le sorti della rivoluzione e la sua salvezza dalla vittoria della reazione:

In quale comune popolare, in quale quartiere metropolitano, in quale fabbrica, in quale villaggio non ci sono affamati, non ci sono disoccupati, non ci sono ricchi parassiti, non ci sono mascalzoni fra quei lacchè della borghesia e sabotatori, che si autodefiniscono “intellettuali”? Dove è stato fatto di più per incrementare la produttività del lavoro? O per costruire nuove e buone case per chi è povero, piuttosto che per trovargli un alloggio nelle case dei più ricchi? O perché ogni bimbo di famiglia povera riceva sempre la sua bottiglia di latte? Queste sono le questioni su cui deve misurarsi l’emulazione fra le comuni, le comunità rurali, le società e le associazioni di consumatori e produttori, oltre che i Soviet dei rappresentanti operai, militari e contadini. Questo è il lavoro in cui devono saper distinguersi ed elevarsi, nella causa della gestione di tutta la cosa pubblica, i talenti organizzativi. Ce ne sono tanti fra il popolo. L’unico problema è che non gli si dà modo di emergere, occorre aiutarli a farlo. Loro, e loro soltanto, col sostegno delle masse, potranno salvare la Russia e salvare la causa del socialismo25.

Notiamo, per inciso, come quell’“elevarsi” (выдвигаться наверх) ritorni, un secolo più tardi, in quel “movimento verso l’alto” (движение вверх) che dà il titolo all’omonimo film russo, campione d’incassi nelle sale cinematografiche fino all’anno scorso, con cui abbiamo aperto il capitolo di cui questo paragrafo sull’emulazione fa parte: tout se tient. La nozione leninista di emulazione, ormai è chiara nei suoi contorni e nelle sue connessioni sia con la realtà quotidiana della Russia di allora, che con l’impianto teorico di cui essa è cardine. L’emulazione è il mezzo con cui i “talenti nascosti” nel popolo emergono, è lo strumento grazie al quale gli oppressi imparano in fretta ad assumersi le nuove responsabilità e ad assolvere ai nuovi compiti di governo, sostituendo in tutto e per tutto la borghesia; anzi, facendo meglio di essa. “‘Senza di noi non andate da nessuna parte’: così si auto-consolano quegli intellettuali avvezzi a servire i capitalisti e lo stato capitalista26”, oppure “Siamo stati sempre noi gli organizzatori e i capi, noi comandavamo”27… e invece, adesso, si volta pagina! E il mezzo per dimostrare a lor signori che il “popolo semplice” (простой народ), quei poco più di “gorilla ammaestrati”, rappresentati dal Taylor come appena in grado di proferir parola, sono in grado di amministrare lo Stato, e meglio di loro, è proprio quel “movimento verso l’alto” di cui l’emulazione rappresenta la spina dorsale.

Molti, infatti, sono i talenti organizzativi fra gli operai e i contadini: questi talenti solo adesso stanno iniziando a conoscere loro stessi, a risvegliarsi, a spingersi verso un lavoro grande, vivo, creativo, iniziando così a costruire la società socialista.

Uno degli attuali compiti principali, se non il principale tout court, consiste nello sviluppare il più ampiamente possibile questa iniziativa autonoma degli operai e di tutti i lavoratori e sfruttati in generale, che è creativamente rivolta alla causa del lavoro organizzativo. Non importa quanto ci vorrà, ma occorre abbattere il vecchio, ridicolo, bestiale, odioso e vile pregiudizio secondo il quale, governare lo Stato e organizzare la costruzione della società socialista, siano possibili solo alle cosiddette “alte classi”, ovvero solo ai ricchi e a quelli che sono andati a scuola dai ricchi28.

A scanso di equivoci, subito dopo Lenin fuga ogni dubbio sul reale significato di quest’ultima affermazione. Non solo è non implica una benché minima svalutazione del sapere, ma tale sapere è indispensabile ai lavoratori: “No. Neanche un minuto gli operai si dimenticano che hanno bisogno della forza della conoscenza” (Нет. Ни на минуту не забудут рабочие, что им нужна сила знания). Ecco quindi l’importanza dell’emulazione, non solo fra operai e collettivi, ma fra il lavoratore stesso e i gradi più alti degli studi che egli si sente portato a raggiungere, ovvero che egli sente alla propria portata: la ricerca dell’eccellenza elevata a imperativo categorico, di massa, in primo luogo come condizione di sopravvivenza e salvezza della Rivoluzione e, in secondo luogo, di costruzione del socialismo su basi realmente solide: d’altronde, era di qualche mese prima lo scritto da cui fu presa in prestito un’espressione divenuta, già pochi anni dopo, parola d’ordine: “raggiungere e superare”, dognat’ i peregnat’ (догнать и перегнать).

La rivoluzione ha fatto sì che la Russia, per quanto riguarda il suo ordinamento politico, abbia raggiunto in pochi mesi i Paesi avanzati. Ma ciò è ancora poco. La guerra è inesorabile e pone la questione con un’acutezza spietata: o morire, o raggiungere i Paesi più progrediti e superarli anche economicamente.29

La coerenza, la ricchezza di collegamenti e di spunti ulteriori di sviluppo, la complessità dell’impianto teorico leniniano sull’emulazione socialista, allora in pieno fluire nel continuo e fecondo dialogo fra teoria e prassi rivoluzionarie, trova quindi basi solide in questi scritti e funge da noi come riscontro per il lavoro di ricostruzione che stiamo svolgendo. Quest’ultimo passaggio – quasi completamente ritradotto rispetto all’unica traduzione italiana disponibile sino ad ora30 – riassume, a mio avviso, molto bene sia i concetti, ivi compresi alcuni non interessati dall’attuale analisi, che i legami fra essi intercorrenti, che l’azione complessiva richiesta:

Occorre organizzare su scala nazionale un sistema di contabilizzazione e controllo (учет и контроль) sulla quantità di lavoro, sulla produzione e sulla ripartizione dei prodotti finiti, che si basi sul contributo di milioni e milioni di operai e contadini, prestato volontariamente, energicamente, con entusiasmo rivoluzionario. Per organizzare, quindi, questi contabilizzazione e controllo pienamente accessibilipienamente alla portata di qualsiasi operaio o contadino onesto, in gamba e disponibile, occorre che fra le loro stesse file nascano talenti organizzativi; occorre risvegliare in loro – e condurla quindi su scala nazionale - la voglia di fare meglio, l’emulazione nel campo dell’organizzazione; occorre che operai e contadini abbiano ben chiara la differenza fra consiglio, ancorché necessario, da parte di uno che è andato a scuolae controllo, altrettanto necessario, da parte di un “semplice” operaio o contadino su quella bighellonaggine (разгильдяйство) che costituisce un fenomeno molto diffuso fra “chi è andato a scuola31.

Razgil’djajstvo (разгильдяйство): così Lenin definisce la malattia che spesso colpisce “chi è andato a scuola”. Ecco, quindi, la chiave di lettura con cui interpretare l’emulazione in termini leniniani: meno si riuscirà a dipendere dall’intellighenzia borghese in questa fase di transizione, meglio sarà. Il controllo, la contabilizzazione, sicuramente riusciranno a circoscrivere e a tenere sotto stretta osservazione il raggio d’azione dei borghesi: ma da soli non basteranno. Per vincere, occorrerà che gli stessi proletari, proprio tramite la contabilizzazione e il controllo, acquisiscano una nuova consapevolezza circa ruoli e funzioni delle “entità” appena detronizzate, se ne sappiano appropriare e le riescano a rielaborare, in un processo di emulazione reciproca e continua.

 

La NEP

“Generale, la guerra è finita”: dieci anni dopo quella guerra era, in effetti, finita. Da sette anni non si sparava più un colpo di fucile contro americani, inglesi, giapponesi, eserciti bianchi. I subbotniki proseguivano nella loro attività, cui si aggiunsero dal 1923, come recita la Bol’šaja Sovetskaja Enciklopedija, “le assemblee produttive (производственные совещания), le quali contenevano importanti elementi di emulazione socialista”32. Tutta questa ricostruzione è del tutto inutile, tuttavia, se non la si associa a un dato estremamente importante: la società sovietica di quegli anni stava mutando profondamente la propria composizione organica, i propri equilibri interni; lo stesso stava accadendo nel Partito. Tale mutamento è connesso a due concetti fondamentali: leva leninista e promozione.

Charles Bettelheim, nella sua ricostruzione delle Lotte di classe in URSS (1923-1930), liquida l’argomento con poche, striminzite, righe33 e per giunta affrontando il 1929, ovvero cinque anni più tardi di quando si diede inizio ufficiale a tale movimento; Giuseppe Boffa, nella sua Storia dell’Unione Sovietica, vi dedica invece un intero capitolo34 e ne parla in medias res, ovvero collocando l’argomento nel contesto originario e mettendone in luce, di fatto, nessi e rapporti con fattori a esso interni ed esterni. Il primo cita, a supporto dei suoi giudizi di merito, Ruby, il secondo Nemčinov. Entrambe le analisi sono coerenti con la visione storica di ciascuno e funzionali alla ricostruzione della stessa.

Tuttavia appare, chiaramente alla luce della nostra analisi, la strumentalità della collocazione del Bettelheim e la forzatura da lui operata per far tornare i suoi conti. Per esempio, si sceglie un autore (il Ruby) che limita, nella propria ricostruzione, il ruolo della classe operaia, nonché si bolla come opportunistico qualsiasi ritorno del funzionariato tradizionale al servizio dei soviet ignorando,

1. quell’učët i kontrol’ (contabilizzazione e controllo) con cui il proletariato, in assenza di propri esponenti, già cinque anni prima del periodo preso in esame dal Bettelheim aveva ben inquadrato e limitato il ruolo dell’intellettuale al suo servizio, e che non stiamo qui a ripetere;

2. il fatto che molti emigranti erano progressivamente rientrati in URSS, togliendosi dall’aventino in cui si erano confinati, un fenomeno che sociale che partiva dal riconoscimento, fattuale, del “cambiamento di pietre miliari” avvenuto, da cui l’appellativo smenovechovtsvo (сменовеховство); fenomeno che lo stesso Boffa invita a non sottovalutare e che, soprattutto, è a mio modestissimo parere molto utile come chiave di lettura per leggere alcuni mutamenti nella Russia contemporanea.

D’altronde se, invece di una ricostruzione storica obbiettiva, lo scopo del gioco è dimostrare che in URSS non avevano appena fatto in tempo a togliere il ciuccio alla rivoluzione che erano già spuntati fuori i borghesi, vecchi e nuovi, questo è l’unico modo per far tornare i conti, stando bene attenti a tenere isolati quei sei anni della NEP da tutto il resto. I conti smettono di tornare, invece, se si considerano, anziché ignorarli, il prima, come è stato fatto in questo lavoro, e il dopo, ovvero il I piano quinquennale – e quello che ne seguì – fino alla II Guerra Mondiale, come cercheremo di fare nel prossimo paragrafo.

Siccome, nella millenaria storia di quell’essere antropomorfo chiamato essere umano, non solo il fluire del corso degli eventi è continuo, ma anche flutti d’acqua che sembrano spuntati dal nulla sono in realtà riconducibili a percorsi sotterranei, carsici, rifiutiamo categoricamente sia la semplificazione strumentale del Bettelheim, sia quella dovuta a una ricerca superficiale, così di moda in questi giorni in ambito accademico e, a cascata, dappertutto, data dalla grande possibilità, offerta oggi dalla tecnologia, di individuare stringhe testuali su migliaia e migliaia di monografie e - ahinoi! - limitata a tale sola ricerca. Il cambiamento epocale del Grande Ottobre non può essere misurato a seconda di quante volte in un testo appaia la parola “emulazione”, ma occorre esaminarne significato, connessioni, implicazioni, dirette e indirette, il suo prima e il suo dopo.

Questo è stato lo sforzo che ci ha condotto sinora nella stesura di un paragrafo che, date le risorse e le energie impegnate nello stesso, sta assumendo le dimensioni di un capitolo e, lavorando ulteriormente di fino, potrebbe diventare un libro a sé stante. Immagino tuttavia, anzi, ne sono sicuro, che il nostro capocordata sia estremamente felice di questo sforzo. Emulazione: diamo a questa parola non più un solo volto, ma milioni di volti, di corpi in carne e ossa, vediamo se, come, e in quale misura essa entrava (o no) nelle loro menti, animava (o no) i loro cuori, costituiva “non un dogma, ma una guida per l’azione” per tutti loro.

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Guardiamoli in faccia, uno a uno, per esempio in questo celebre lavoro del fotografo Boris V. Ignatovič, Operai delle Officine Putilov (Рабочие Путиловского завода, 1920): vedremo che, sotto questa luce la NEP, nella sua continua tensione a ricostruire, da un lato, e al kto pobedit? (“chi vincerà?”) dall’altro, trova non solo importanti riscontri, a livello di continuità con quanto precedentemente elaborato, ma ancora più importanti elementi di sviluppo: ancor più importanti, perché non più legati all’emergenza, alla vittoria militare, agli aut-aut di un’economia di guerra; ancor più importanti, non da ultimo, perché la concezione leniniana di emulazione socialista trova in essi conferme decisive per gli anni a venire.

Per esempio, la leva leninista (ленинский призыв) sarebbe inconcepibile senza quanto letto nel paragrafo precedente su cosa intendesse Lenin per emulazione e su come fosse riuscito ad orientare il Partito in questo senso. Il 22 gennaio 1924 Vladimir Il’ič ci lasciava. Una settimana dopo, il Plenum del CC del Partito si rivolgeva così agli operai:

Operai alla macchina utensiletenaci sostenitori della rivoluzione proletaria, entrate nel partito comunista russo! Proletari! Mandate nelle fila del partito i combattenti migliori, i più qualificati, i più onesti, i più coraggiosi!35

All’appello, entro la scadenza del 15 maggio, avevano risposto 350 mila lavoratori e le domande di ammissione accolte, infine, furono 241 mila e seicento, di cui il 92,4% operai ot stanka, presi direttamente “dalla macchina utensile”36. Cerchiamo, anche qui, di inquadrare questi dati numerici. Gli iscritti al partito erano, a gennaio del 1917, 23 mila e seicento. A marzo dell’anno dopo erano diventati 350 mila37. 472 mila era invece il numero di iscritti prima della prima leva, ovvero fino a fine gennaio 192438. Parliamo quindi di un cinquanta percento in più di iscritti nel giro di pochi mesi! Da allora al primo aprile 1928 la crescita non si era fermata e gli iscritti erano raddoppiati, raggiungendo la cifra di 1.294.500, di cui 529.200 (40,88%) operai39.

Un dato quantitativo interessante, a cui occorre accostarne uno qualitativo: una raccolta di relazioni del CC del PCR(b)40, con il compito di fare il punto proprio sulla leva leninista a un anno dalla sua costituzione (1925), fa proprio al caso nostro. Vi troviamo notevoli spunti di approfondimento su chi fossero questi attivisti, questi operai entrati in massa in un partito che, sette anni prima soltanto, contava poche migliaia di iscritti. Anzi tutto, lo scritto che prenderemo in considerazione, in quanto essenziale per il nostro discorso sull’emulazione, è a firma del lettone Vilhelms Vilis Knoriņš (1890-1938) e si intitola La leva leninista e gli operai non iscritti al Partito (Ленинский призыв и беспартийные рабочие)41: in esso si prende in esame il rapporto delicato fra partito, masse e tesseramento in un contesto dove il tesseramento fu, sin dall’inizio, un atto tutt’altro che automatico e scontato, vale la pena di sottolinearlo, in quanto oggetto di una vera e propria selezione fra candidati. Se ne riporta qui sotto un breve estratto.

La leva leninista aveva un solo precedente simile di ingresso massivo nel Partito: l’autunno 2019 quando, per contrastare una situazione che stava volgendo al peggio sia sul campo di battaglia che per la fame e il freddo che parimenti attanagliavano il neonato Paese dei Soviet, furono inaugurate le settimane del Partito (Партийные недели): anche in quel caso, il popolo raccolse entusiasta l’appello e nuove energie rivoluzionarie, decisive per la vittoria, entrarono nel Partito.

Le differenze fra i due fenomeni erano notevoli: nel primo caso il neo-iscritto era destinato alla prima linea, alla difesa armi in pugno della Rivoluzione. Fosse anche stato destinato alle retrovie, la differenza era poca: con gli spostamenti di fronte di allora, non di rado le retrovie divenivano prima linea, e viceversa. Nel secondo caso, il secondo iscritto si trovava di fronte una battaglia molto più di lunga durata, combattuta non più con le armi, ma con l’attivismo pacifico dell’organizzazione politica e ideologica a partire dal luogo di lavoro. I diversi compiti richiedevano un diverso tipo di militante, laddove erano richieste nuove competenze, nuova perseveranza, nuova capacità di visione e azione. Non era stato affatto scontato, neppure fra i comunisti della prima ora, il passaggio qualitativo che l’inedita situazione imponeva: gli abbandoni (o gli allontanamenti) erano lì a dimostrarlo.

Soprattutto, impressiona il Knoriņš come la scelta del candidato fosse un momento di grande partecipazione popolare, grandi assemblee in cui diventare comunista andava a coincidere con essere il rappresentante di quella fabbrica o di quell’azienda nel Partito. Non solo: era la stessa massa di non iscritti a pretendere dal candidato competenze e condotta integerrimee a non transigere su questo. Chi entrava nel Partito, il leninista (leninec ленинец) “scelto” da loro, doveva essere uno di loro ma, al tempo stesso, meglio di tutti loro:

In queste assemblee di massa per discutere la candidatura di chi doveva entrare nel Partito, gli operai non iscritti hanno dimostrato che capiscono e riconoscono che non tutti possono diventare comunisti, che comunista può diventarlo solo l’operaio più cosciente e in grado di controllare la propria condotta. Ciò per cui loro stessi sono disposti a lasciar correre, nel caso il colpevole sia un non iscritto, diviene giudizio di condanna se a sbagliare è un comunista. Per questo gli operai non iscritti esigono che chi vuole entrare nel partito sia migliore di loro42.

Molti elementi appaiono ora più chiari: l’emulazione era divenuta, al tempo stesso, un meccanismo di selezione collettiva dei migliori, i quali potevano aspirare a “diventare comunisti”. Suona strano, potrebbe sembrare persino offensivo per qualcuno. Ma come! Non posso esser libero io di essere comunista? Deve essere un’assemblea a deciderlo? Occorre, ancora una volta, collocare il tutto nell’URSS di un secolo fa e nello schema ideologico che la governava: il Partito come avanguardia rivoluzionaria del proletariato, il comunista come chi, di quel partito, faceva parte. Non c’erano elezioni, se non quelle dei Soviet e… dei futuri iscritti al partito, come stiamo avendo modo di vedere, pur con tutti i caveat del caso: non erano, infatti, elezioni vere e proprie, perché ogni candidatura poi doveva passare il vaglio di una commissione incaricata di valutarne l’idoneità. Tuttavia, nessuno di loro avrebbe potuto alzare un dito per autocandidarsi senza l’assenso dell’assemblea di fabbrica nel suo complesso: questo significava molto, quindi, non solo perché chi presentava la domanda era il migliore di un collettivo, ma per quanto riguardava il rapporto stesso fra partito e masse di non iscritti, a quel punto – è il caso di dire – “mediato” dai neo-iscritti.

Una “mediazione” che non era senza controindicazioni. Knoriņš è molto realistico e obbiettivo nella sua analisi. Per esempio, non nasconde i pericoli di un siffatto meccanismo di acquisizione di consenso e, in ultima analisi di autorità, responsabilità e potere. E se “quel” proletariato, quell’assemblea di operai e contadini, non volesse l’emulazione? Se stesse cercando, con gli strumenti disponibili allora, di instaurare l’ennesimo meccanismo di autoassoluzione e ricerca di vantaggi immediati? Io posso continuare a bere e a giocare, per dirne una. Il comunista no. Ma io si. Il comunista, poi, che si ricorderà di chi lo ha aiutato ad arrivare dove è arrivato. Il comunista che è “uno di noi”, il comunista che tirerà la coperta (che è sempre troppo corta) dalla nostra parte.

Knoriņš non parla di possibilità astratte. Egli parla di casi concreti, successi subito, nell’estate del ’24, con i leninisti appena entrati nel partito che si trovarono letteralmente “tra i due fuochi” (между двух огней)43, per esempio riguardo la questione salariale: da un lato, la linea particolare di chi aveva contribuito a eleggerli e che ora reclamava aumenti di stipendio; dall’altro, la politica generale di classe (общеклассовая политика) che imponeva determinati parametri (fra cui quelli salariali) a cui i leninisti, se non altro per disciplina di partito, si dovevano attenere. Marionetta del potere o utile idiota del clan che ti ha messo lì per continuare a meglio fare i suoi interessi… alla prima contraddizione, tertium non datur, verrebbe da dire.

È qui, invece, che avviene l’alchimia, dove politica ed economia, interesse generale e interesse particolare, individuale e collettivo si fondono, in una sintesi non programmabile a tavolino, ma che non è assolutamente frutto del caso! Il leninista, risultato da una emulazione che ha portato a una selezione, che gode quindi di autorità e autorevolezza fra i suoi ma che, al tempo stesso, segue e partecipa al tempo stesso a un progetto collettivo di trasformazione rivoluzionaria della società diviene, contemporaneamente, soggetto e oggetto di trasformazione rivoluzionaria egli stesso. L’azione di emulazione continua stava modificando sostanzialmente e qualitativamente attori del cambiamento sociale e rapporti fra essi intercorrenti.

In altre parole, quanto accadde ebbe successo perché il potere sovietico non era come gli altri poteri espressione degli ordinamenti storici precedenti, e anche in quel collettivo-clan che guardava al proprio tornaconto in quella torrida estate del ’24, agivano sottotraccia elementi forti di discontinuità, frutto di quasi dieci anni di lotte e conflitti, che generarono il più bel regalo che si sarebbe potuto fare a Vladimir Il’ič, il più bel fiore sulla sua tomba, e che è ben riassunto nel resoconto di Knoriņš:

Non appena il leninista ha iniziato a far propri i principi fondamentali della tattica e del programma del Partito, è cominciata la sua trasformazione da semplice rappresentante delle masse lavoratrici a loro vera e propria guida. Se prima della leva leninista il Partito non aveva un legame sufficientemente forte e stabile con l’intera massa dei lavoratori in fabbrica e stabilimento, ora questi legame e influenza aumentano e si rafforzano. «Studiando nelle scuole, ai corsi, nei circoli, partecipando al lavoro pratico, nei soviet, in materia economica e altre discipline, il leninista espande i propri orizzontilavorando sui macchinari, condivide le proprie conoscenze e quanto quotidianamente assimilato con i lavoratori non iscritti. Gli operai sono sempre al corrente di tutte le questioni della vita di ogni giorno, prima ancora di andare alle riunioni. Risultato: le proposte della cellula (ячейка) comunista non finiscono mai sotto nelle Assemblee generali. La cellula è diventata veramente il fulcro della vita dell’intera officina»: così scrivono compagni da Tula.44

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Eccoli qui, i nostri lenincy, iscriversi al Partito davanti, in mezzo, ai loro compagni di lavoro, in una foto d’epoca del cementificio Proletarij. Oltre al fatto di saper leggere e scrivere, cosa non affatto scontata di quei tempi, esteriormente erano indistinguibili dai loro compagni della linea meccanizzata. Interiormente, come abbiamo visto erano stati considerati i migliori in fase di selezione e si erano dimostrati tali alla prima prova del fuoco: erano stati eletti, nel vero senso della parola, scelti dal basso, come vero e proprio punto di riferimento organico alla classe di cui non avevano mai smesso di esser parte. Senza smettere di stare al loro fianco sulle linee di produzione da “rappresentanti” dei loro compagni erano diventate loro “guide”: un dato importante che si era riflesso, fra l’altro, sulla produttività del lavoro. D’altronde, quando si innestano questi meccanismi virtuosi, tutto “gira meglio” nel reparto, nella fabbrica, nell’economia e nella società in generale. Sempre dal rapporto di Knoriņš:

La campagna per incrementare la produttività del lavoro a opera dell’intero Partito, condotta con notevoli risultati, non sarebbe stata possibile senza la leva leninista. Ancor prima del Plenum del CC del PCR dell’agosto scorso, da cui ebbe inizio la battaglia decisiva per l’incremento della produttività, i leninisti si erano già messi all’opera su questo fronte. Infatti, sentendo su di sé una grande responsabilità, in quanto membri del PCR, i leninisti avevano già iniziato a porsi con maggiore accuratezza nei confronti del lavoro e con maggiore lena, desiderando essere da esempio per i non iscritti45.

Non a caso si parla di Rivoluzione: una Rivoluzione comunista fatta da comunisti che comunisti non erano, ma che tali sarebbero diventati, perché diventarlo era già il risultato di un processo di emulazione, ovvero miglioramento collettivo. Un miglioramento che significava anche scuola, intesa sia come scuola elementare che come scuola di partito, dove si insegnava quel minimo di politgramota per dotare di basi teoriche quello slancio rivoluzionario che, dopo una giornata intera di lavoro sul campo, la sera ancora non si era spento. E dopo l’istruzione elementare le medie, le superiori, fin dove si riusciva a giungere: il fenomeno della promozione (vydviženie выдвижение), alla fine fu la diretta conseguenza di questa nuova classe dirigente in formazione: vydvižency altro non furono che compagni rivelatisi capaci e promossi a incarichi più complessi. “Già dalla fine del ’24 – osserva Boffa – dal 60% al 90% delle nuove reclute erano impegnate in qualche attività sindacale, cooperativa, politica o altra; esse costituivano una parte cospicua (fino alla metà) dei comitati posti alla testa delle cellule di base del partito”46.

Ecco quindi come la NEP fu, nonostante lo scarsissimo spazio che occupa nelle letture sul tema, un enorme laboratorio a cielo aperto per l’emulazione socialista, non solo in perfetta continuità con l’impostazione leniniana del problema, ma anche in grado di costituirne un importante sviluppo sia dal punto di vista quantitativo, che qualitativo. In altre parole, essa fu denotata da un percorso integrale di crescita, dove esisteva sì una componente economica, ma non era né l’unica, né la prevalente: era un 2+2=5 a tutto campo, a differenza di quanto accadde subito dopo.


Note
1Entusiasmo: Sinfonia del Donbass (Энтузиазм: Симфония Донбасса) 1930 , Dziga Vertov.
2Cfr. per es. l’ottimo lavoro di Antonella d’Amelia, La città di vetro nell’immaginario russoundefined
3Chesley ‘Sully’ Sullenberger : Can we get serious now?
Charles Porter : Captain?
Chesley ‘Sully’ Sullenberger : We’ve all heard about the computer simulations, and now we are watching actual sims, but I can’t quite believe you still have not taken into account the human factor.
[DOPO AVER CHIESTO E OTTENUTO I 35 SECONDI, E DIMOSTRATO QUANTO SAREBBE DOVUTO ESSERE SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI, SENZA CAPITALISTICHE FETTE DI SALAME, OLTRE AD AVER RIASCOLTATO L’INTERA REGISTRAZIONE DA SCATOLA NERA]
Porter: Alright folks, I’d like to call this hearing back to order. If we could settle, please. Take your seats. That is honestly the first time that I’ve listened to a crash recording, while actually sitting with the Captain and the First Officer. It’s extraordinary.
First Officer Skiles: That was no simulation.
Porter: No, it wasn’t.
Davis: Gentlemen, I want to inform you that the left engine has been recovered. We just received a comprehensive report. There was extensive damage to both the guide vanes and fan blades at the engine. Five compressor blades were fractured, and eight variable guide vanes missing.
Captain Sully: So, no thrust.
Davis: As you testified, it was completely destroyed. The ACARS [aircraft communications addressing and reporting system] data was wrong.
I’d like to add something on a personal note. I can say with absolute confidence that, after speaking with the rest of the flight crew, with bird experts, aviation engineers, after running through every scenario, after interviewing each player, there is still an X in this result. And it’s you, Captain Sullenberger. Remove you from the equation and the math just fails. (ovvero, 2+2=5 ottant’anni dopo… N.d.A.)
Captain Sully: I disagree. It wasn’t just me. It was all of us. It was Jeff and Donna and Sheila and Doreen and all of the passengers, the rescue workers, the air traffic control, and ferryboat crews, and the scuba cops. We all did it. We survived. (undefined)
4Прихвостни и прихлебатели буржуазии рисовали социализм, как однообразную, казенную, монотонную, серую казарму. Лакеи денежного мешка, холопы эксплуататоров, — господа буржуазные интеллигенты “пугали” социализмом народ, именно при капитализме осужденный на каторгу и казарму безмерного, нудного труда, полуголодной жизни, тяжелой нищеты. V. I. Lenin, Come organizzare l’emulazione (Как организовать соревнование), PSS, Vol. 35, p. 196.
5Широкое, поистине массовое создание возможности проявлять предприимчивость, соревнование, смелый почин является только теперь. Каждая фабрика, где выкинут вон капиталист или хотя бы обуздан настоящим рабочим контролем, каждая деревня, где выкурили помещика-эксплуататора и отобрали его землю, является теперь, и только теперь, поприщем, на котором может проявить себя человек труда, может разогнуть немного спину, может выпрямиться, может почувствовать себя человеком. Впервые после столетий труда на чужих, подневольной работы на эксплуататоров является возможность работы на себя, и притом работы, опирающейся на все завоевания новейшей техники и культуры. Ibidem.
6undefined
7undefined Al termine della guerra, delegazioni del CC delle repubbliche socialiste sovietiche azera e turkmena, si recarono sul luogo della fucilazione, in pieno deserto, per porre una stele.
8Accademia delle Scienze dell’URSS, Storia Universale, III edizione, ed. it. a cura di Franco della Peruta, Milano, Nicola Teti editore, 1975, pp. 216-18.
9Диктатура пролетариата, — как мне приходилось уже не раз указывать, между прочим и в речи 12 марта на заседании Петроградского Совдепа, — не есть только насилие над эксплуататорами и даже не главным образом насилие. Экономической основой этого революционного насилия, залогом его жизненности и успеха является то, что пролетариат представляет и осуществляет более высокий тип общественной организации труда по сравнению с капитализмом. В этом суть. В этом источник силы и залог неизбежной полной победы коммунизма. V. I. Lenin, La grande iniziativa (Великий почин, 28 giugno 1919), in Opere complete (PSS), Vol. 39, p. 13.
10N. Lenin, La grande iniziativa. L’eroismo dell’operaio russo nel fronte interno (i sabati comunisti), Milano, Società editrice Avanti!, 1920.
11[...] мы наблюдаем одну из важнейших сторон коммунистического строительства, на которую наша печать обращает недостаточно внимания и которую мы все недостаточно еще оценили. PSS, Ibidem.
12undefined
13одна из ячеек нового, социалистического, общества, несущего всем народам земли избавление от ига капитала и от войн. Ibidem, p. 19.
14Recita uno dei più autorevoli dizionari etimologici della lingua russa: “Dal tedesco Konkurrenz (XVII sec; […]) o dal polacco konkurencja dal latino concurrentia”. Max Vasmer, Dizionario etimologico della lingua russa (Этимологический словарь русского языка – tit. originale: Russisches Etymologisches Wörterbuch), Moskva, Progress, 1987, Vol. III, p. 311.
15Francesco Guccini, “Statale 17”, Album concerto, 1979.
16Ibidem, p. 455.
17Non da ultimo, scherzo del destino per questo gemellaggio ante litteram, il “rivale in amore” latino rīvīnus è accostato dallo stesso Vasmer a рьвьнь.
18Ecco cosa io intendo per traduttrice qualificata: non solo la capacità elementare e primitiva di tradurre la prosa della corrispondenza commerciale o di altre manifestazioni letterarie che si possono riassumere nel tipo di prosa giornalistica, ma la capacità di tradurre qualsiasi autore, sia letterato, o politico, o storico o filosofo, dalle origini ad oggi, e quindi l’apprendimento dei linguaggi specializzati e scientifici e dei significati delle parole tecniche secondo i diversi tempi. E ancora non basta: un traduttore qualificato dovrebbe essere in grado non solo di tradurre letteralmente, ma di tradurre i termini, anche concettuali, di una determinata cultura nazionale nei termini di un’altra cultura nazionale, cioè un tale traduttore dovrebbe conoscere criticamente due civiltà ed essere in grado di far conoscere l’una all’altra servendosi del linguaggio storicamente determinato di quella civiltà alla quale fornisce il materiale d’informazione. Non so se mi sono spiegato con abbastanza chiarezza. Credo però che un tale lavoro meriterebbe di essere fatto, anzi meriterebbe di impegnarvi tutte le proprie forze. Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, II edizione el. 15 marzo 2017, lettera n. 293, p. 850. undefined
19Организация соревнования должна занять видное место среди задач Советской власти в экономической области. Буржуазные экономисты не раз выступали в своей критике социализма с заявлением о том, будто социалисты отрицают значение соревнования или не дают места ему в их системе, или, как они выражались, в их плане общественного устройства. Нечего и говорить, насколько нелепо это обвинение, не раз уже опровергавшееся в социалистической печати. Буржуазные экономисты смешивали, как и всегда, вопрос об особенностях капиталистического общества с вопросом об иной форме организации соревнования. Нападки социалистов никогда не направлялись на соревнование как таковое, а только на конкуренцию. Конкуренция же является особенной формой соревнования, свойственного капиталистическому обществу и состоящего в борьбе отдельных производителей за кусок хлеба и за влияние, за место на рынке. Уничтожение конкуренции, как борьбы, связанной только с рынком производителей, нисколько не означает уничтожения соревнования, — напротив, именно уничтожение товарного производства и капитализма откроет дорогу возможности организовать соревнование в его не зверских, а в человеческих формах. Именно в настоящее время в России при тех основах политической власти, которые созданы Советской республикой, при тех экономических свойствах, которые характеризуют Россию с ее необъятными пространствами и гигантским разнообразием условий, — именно теперь у нас организация соревнования на социалистических началах должна представить собою одну из наиболее важных и наиболее благодарных задач реорганизации общества. V. I. LeninVariante de I compiti immediati del potere sovietico (Вариант статьи «Очередные задачи советской власти»), PSS, Vol. 36, 1974, p. 150-1. Scritto dal 23 al 28 marzo 1918, parte del cap. XII è pubblicato il 3/7/26 sulla ”Pravda” № 150; i capitoli X (seconda metà, dove si trova il nostro brano), XI, XII, XIII sono pubblicati il 14/4/29 sulla ”Pravda” № 86; i capitoli IV (fine), V, VI, VII, VIII, IX и X (prima metàsono pubblicati per la prima volta nellа V ed. della PSS.
20А на самом деле капитализм давно заменил мелкое товарное самостоятельное производство, при котором конкуренция могла в сколько-нибудь широких размерах воспитывать предприимчивость, энергию, смелость почина, крупным и крупнейшим фабричным производством, акционерными предприятиями, синдикатами и другими монополиями. V. I. Lenin, Come organizzare l’emulazione (Как организовать соревнование), PSS, Vol. 35, p. 195.
21This work is so crude and elementary in its nature that the writer firmly believes that it would be possible to train an intelligent gorilla so as to become a more efficient pig-iron handler than any man can be. Frederick W. Taylor, The Principles of Scientific Management, New York & London, Harper & Brothers Publishers, 1919, p. 40
22“Schmidt, are you a high-priced man?” / “Vell, I don’t know vat you mean.” / “Oh yes, you do. What I want to know is whether you are a high-priced man or not.” / “Vell, I don’t know vat you mean.” / “Oh, come now, you answer my questions. What I want to find out is whether you are a high-priced man or one of these cheap fellows here. What I want to find out is whether you want to earn $1.85 a day or whether you are satisfied with $1.15, just the same as all those cheap fellows are getting.” / “Did I vent $1.85 a day? Vas dot a high-priced man? yell, yes, I vas a high-priced man.” / “Oh, you’re aggravating me. Of course you want $1.85 a day — every one wants it! You know perfectly well that that has very little to do with your being a high-priced man. For goodness’ sake answer my questions, and don’t waste any more of my time. Now come over here. You see that pile of pig iron? “ / “ Yes.” / “You see that car?” / “Yes.” / “Well, if you are a high-priced man, you will load that pig iron on that car to-morrow for $1.85. Now do wake up and answer my question. Tell me whether you are a high-priced man or not.” Ibidem, pp. 44-45.
23Ibidem, pp. 46-7.
24Социализм не только не угашает соревнования, а, напротив, впервые создает возможность применить его действительно широко, действительно в массовом размере, втянуть действительно большинство трудящихся на арену такой работы, где они могут проявить себя, развернуть свои способности, обнаружить таланты, которых в народе — непочатой родник и которые капитализм мял, давил, душил тысячами и миллионами. V. I. Lenin, Come organizzare l’emulazione (Как организовать соревнование), PSS, Vol. 35, pp. 194
25В какой коммуне, в каком квартале большого города, на какой фабрике, в какой деревне нет голодных, нет безработных, нет богатых тунеядцев, нет мерзавцев из лакеев буржуазии, саботажников, называющих себя интеллигентами? в какой больше сделано для повышения производительности труда? для постройки новых хороших домов для бедноты, для помещения ее в домах богачей? для правильного снабжения бутылкой молока каждого ребенка из бедных семей? — вот на каких вопросах должно развернуться соревнование коммун, общин, потребительно-производительных обществ и товариществ, Советов рабочих, солдатских и крестьянских депутатов. Вот на какой работе должны практически выделяться и выдвигаться наверх, в дело общегосударственного управления, организаторские таланты. Их много в народе. Они только придавлены. Им надо помочь развернуться. Они и только они, при поддержке масс, смогут спасти Россию и спасти дело социализма. V. I. Lenin, Come organizzare l’emulazione (Как организовать соревнование), PSS, Vol. 35, pp. 204-5
26″Без нас не обойтись” — утешают себя привыкшие служить капиталистам и капиталистическому государству интеллигенты. Ibidem, p. 198.
27Мы были всегда организаторами и начальниками, мы командовали. Ibidem, p. 197.
28А организационных талантов в крестьянстве и рабочем классе много, и эти таланты только-только начинают сознавать себя, просыпаться, тянуться к живой, творческой, великой работе, браться самостоятельно за строительство социалистического общества. Одна из самых главных задач теперь, если не самая главная, развить как можно шире этот самостоятельный почин рабочих и всех вообще трудящихся и эксплуатируемых в деле творческой организационной работы. Во что бы то ни стало надо разбить старый, нелепый, дикий, гнусный и мерзкий предрассудок, будто управлять государством, будто ведать организационным строительством социалистического общества могут только так называемые “высшие классы”, только богатые или прошедшие школу богатых классов. Ibidem, p. 198.
29V. I. Lenin, La catastrofe incombente e come combatterla (Грозящая катастрофа и как с ней бороться, 10-14/09/17), PSS, Vol. 34, p. 198.
30V. I. Lenin, “Come organizzare l’emulazione”, Opere complete, vol. 26, 1966, Roma, Editori Riuniti, pp. 391-392. Tutti i 45 volumi sono disponibili su undefined . Il motivo della ritraduzione è dovuto non solo a una maggiore fluidità del testo, ma anche ad alcuni termini che, a mio avviso, dovevano essere resi in maniera più accurata e comprensibile.
31надо организовать всенародный, миллионами и миллионами рабочих и крестьян добровольно, энергично, с революционным энтузиазмом поддерживаемый учет и контроль за количеством труда, за производством и распределением продуктов. А чтобы организовать этот учет и контроль, вполне доступный, вполне подсильный всякому честному, толковому, распорядительному рабочему и крестьянину, надо вызвать к жизни их собственные, из их среды происходящие, организаторские таланты, надо возбудить в них — и наладить в общегосударственном масштабе — соревнование по части организаторских успехов, надо, чтобы рабочие и крестьяне ясно поняли разницу между необходимым советом образованного человека и необходимым контролем “простого” рабочего и крестьянина за разгильдяйством, столь обычным у “образованных” людей. V. I. Lenin, Come organizzare l’emulazione (Как организовать соревнование), PSS, Vol. 35, p p. 201.
32voce Социалистическое соревнование, BSE, Vol. 24-1, p. 708
33Charles Bettelheim, Le lotte di classe in URSS 1923-1930, Milano, ETAS Libri, 1978, pp. 232-3
34Giuseppe Boffa, Storia dell’Unione Sovietica, Edizione su licenza Arnoldo Mondadori Editore a cura de l’Unità, Vol. I: 1917-1927, Roma, 1990, pp. 285-302.
35CC del PCR(b), Sull’ammissione degli operai dalla macchina utensile al partito (О приеме рабочих от станка в партию), 29-31 gennaio 1924. In Istituto del marxismo-leninismo presso il CC del PCUS, Il PCUS nelle risoluzioni e nelle decisioni dei Congressi, delle Conferenze, e nei Plenum del CC (1898-1988) (Коммунистическая партия Советского Союза в резолюциях и решениях съездов, конференций и Пленумов ЦК (1898-1988)), IX ed., III vol. 1922-1925, Moskva, Izdatel’stvo političeskoj literatury, 1984, p. 184.
36BSE alla voce corrispondente (Ленинский призыв в партию), Op. Cit., vol. 14, p. 975.
37T.I. Morozova, V. I. Šiškin, “Le leve dei non iscritti al PCR(b) – PCU(b) ai tempi della Guerra civile e della NEP come fenomeno di mobilità ispirata (Призывы беспартийных в РКП(б) — ВКП(б) во время Гражданской войны и новой экономической политики: феномен инспирированной мобильности)”, Новейшая история России / Modern history of Russia, 2017, n° 1, p. 33.
38Giuseppe Boffa, Op. cit., p. 285.
39T.I. Morozova, V. I. Šiškin, Op. cit., p. 44.
40CC del PCR(b), La leva leninista del PCR(b) (Ленинский призыв РКП(б)), Moskva, Leningrad, Gosudarstvennoe izdatel’stvo, 1925. undefined
41Ibidem, pp. 39-47.
42На этих массовых собраниях по обсуждению кандидатур вступающих в партию беспартийные рабочие показали, что они понимают и сознают, что не всякий может быть коммунистом, что коммунистом может быть только наиболее сознательный и выдержанный рабочий. То, на что смотрят сквозь пальцы, если это делается беспартийным, получает всеобщее осуждение, если виновником будет коммунист. И при приеме в партию беспартийные рабочие требуют, чтобы тот, кто хочет вступить в партию, стоял выше их. Ibidem, p. 42.
43Ibidem, p. 43
44Как только ленинец начал усвоивать основные принципы партийной тактики и программы, началось превращение его из представителя рабочих масс в партии в их руководителя. Если до ленинского призыва партия не имела достаточно крепкой , и прочной связи со всей рабочей массой на фабрике и заводе, то теперь эта связь и влияние укрепляются. «Обучаясь в школах, на курсах, кружках, участвуя в практической, советской, хозяйственной и др. работе, ленинец пополняет свой кругозор; работая у станка, делится своими знаниями и сведениями, приобретенными за каждый день, с беспартийными рабочими. Рабочие всегда бывают осведомлены о всех вопросах текущей жизни через ленинцев прежде, чем итти на собрание. В результате никогда не бывает случаев провала предложений ячейки на Общих собраниях. Ячейка стала доподлинно центром жизни мастерской», — так пишут из Тульской организации. Ibidem, p. 44
45Проведенная всей партией и давшая серьезные результаты кампания но поднятию производительности труда была бы невозможна без ленинского призыва. Еще до августовского пленума ЦК РКП, после которого началась решительная борьба за поднятие производительности, начало сказываться влияние ленинцев на производительность труда. Ленинцы, чувствуя на себе, как на членах РКП, большую ответственность, начали более аккуратно являться на работу и с большим напряжением работать, желая быть примером, беспартийным. Ibidem, p. 45.
46Giuseppe Boffa, Op. Cit., p. 288.

 

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