Sulle elezioni irachene del 7 marzo
mar 15th, 2010 | Di Matteo Brumini | Categoria: Politica InternazionaleNel momento in cui queste righe vengono scritte dall’Iraq arrivano i primi risultati (molto) parziali delle elezioni tenutesi il 7 marzo scorso. Ad otto giorni dal voto i primi risultati ci dicono che il blocco di Al-Maliki comunemente chiamato “Alleanza per lo Stato di Diritto” è in testa in sei delle 18 province irachene: Baghdad, Bassora, Babel, Najaf, Muthanna, e Karbala. Allawi è primo in quattro: Salahuddin, Diyala, Ninive (seconda provincia per numero di deputati eletti: 34), e adesso al Anbar. La coalizione sciita, l’Alleanza Nazionale Irachena, è ferma invece a due province: Maysan e Qadissiya, entrambe nel sud.
L’ultimo dato per ora disponibile è quello di Bassora ed è un dato piuttosto importante perché è la terza provincia per numero di deputati eletti (24): aggiudicarsela, assieme a Baghdad (che di deputati ne elegge 68) significa avere buone probabilità di vincere le elezioni. Al momento Al-Maliki è in testa in tutte e due ed ha dunque buone probabilità (qualora i dati rimanessero questi) di vincere le elezioni.
A questi dati prima di fare le prime considerazioni si devono aggiungere quello sull’affluenza e quello sulla ripartizione etnico-religiosa del voto. Secondo la Commissione elettorale Irachena, che ha fornito i dati disaggregati per provincia, ha votato il 62,40% degli aventi diritto; un dato notevolmente inferiore a quello delle precedenti elezioni parlamentari del dicembre 2005, quando aveva votato il 79,63% degli iracheni, anche se più alto rispetto alle provinciali del gennaio 2009, dove l’affluenza era stata del 51 per cento.
La partecipazione più alta nelle tre province del nord che compongono la regione del Kurdistan: 80% a Dohuk, 76% a Irbil, 73% a Sulaimaniya. Alla pari con quest’ultima, un’altra provincia abitata da molti kurdi (nonché assai ricca di petrolio): quella contesissima di Kirkuk, dove vivono anche arabi e turcomanni, con il 73 per cento. Stessa percentuale a Salahuddin, provincia del nord a maggioranza arabo sunnita, la cui capitale, Tikrit, è il luogo dal quale proveniva l’ex presidente Saddam Hussein. Le province abitate in maggioranza da arabi sunniti hanno visto una forte affluenza: un dato in controtendenza rispetto alle elezioni del dicembre 2005, quando la percentuale di sunniti che avevano votato era stata bassa. Ecco quindi il 66% di Ninive, e poi si comincia a scendere con il 63% a Babel, 62% a Diyala, Karbala, e Qadissiya, 61% ad al Anbar, Najaf, e Muthanna, il 60 % di Wasit e Dhi Qar. In coda, Baghdad e Bassora: in quest’ultima provincia ha votato solo il 57 per cento, mentre nella capitale l’affluenza non ha superato il 53% . Ultima Maysan, provincia del sud-est a maggioranza sciita, con il 50 per cento.
Questi dati ci dicono dunque che sunniti e kurdi hanno votato in massa mentre si attesta un calo della partecipazione elettorale degli arabi sciiti.
Da più parti intanto subito dopo il voto si susseguono accuse di irregolarità nel voto e nei conteggi; due giorni dopo il voto e la possibilità di esclusione dalle liste (dopo il voto) di 55 candidati sospetti di avere un passato ba’ahtista (da ricordare che prima delle elezioni con le stesse accuse erano stati esclusi altri 400 candidati), la maggior parte dei quali è dentro Iraqiya, la coalizione di Allawi che ha già avvertito di una “reazione molto violenta” se i voti ottenuti da questi candidati dovessero venire annullati.
In un articolo datato 11 marzo l’analista Ranj Alaaldin dalle pagine del The Guardian parla già di una probabile “lunga fase di mercanteggiamenti tra le diverse fazioni per formare un governo di coalizione”.
La situazione dunque ad un primo esame appare decisamente caotica ed incerta; quasi un iracheno su due non è andato a votare ed il risultato uscito dalle urne sembra confermare una situazione politica incerta e priva di una consistente maggioranza numerica per alcuna delle tre coalizioni. In tal senso va ricordato che la coalizione di Al-Maliki che per ora sembra essere in vantaggio rispetto alle altre due è tenuta assieme al suo interno da fragili equilibri basati più sul calcolo politico, sugli interessi clientelari e sul nepotismo che sulla condivisione programmatica. L’Alleanza per lo Stato di Diritto di Al-Maliki difatti è composta al suo interno da una maggioranza di gruppi sciiti ma anche da notabili sunniti, da cristiani e da kurdi.
Un fragile equilibrio interno che è lo specchio dell’altrettanto fragile equilibrio della coalizione di Al-Maliki tra i vari attori internazionali che si stanno spartendo l’Iraq, Siria e Arabia Saudita certamente ma soprattutto Stati Uniti ed Iran che sono presenti a queste elezioni del 7 marzo rispettivamente con Iraqiya di Allawi e l’Alleanza Nazionale Irachena (in cui tra l’altro ci sono anche varie e consistenti frange dello sciismo di Moqtada Al-Sadr.
Dunque se Al-Maliki vorrà tenere in piedi la sua “Alleanza per lo Stato di Diritto” e se (come sembra apparire sempre di più dai risultati elettorali parziali) vorrà costruire un governo di coalizione difficilmente potrà farlo con Iraqiya vicina a Washington o con l’ANI vicina a Teheran. Probabilmente dovrà rivolgersi al blocco kurdo ma questo porrà al centro del tavolo delle trattative la non facile questione kurda irachena, blocco a cui bene o male anche gli altri attori di queste elezioni sembrano dover guardare. I kurdi ne sono ben consapevoli ed hanno segnalato di poter collaborare con chiunque, anche con gli ex ba’ahtisti. Una collaborazione che evidentemente avrà un suo prezzo che passerà attraverso le non risolte controversie su territori, risorse petrolifere e gestione del potere.
Di certo per ora i primi dati delle elezioni del 7 marzo in Iraq ci restituiscono una immagine piuttosto diversa da quella diffusa dai mezzi di informazione di massa in Italia ed in Occidente; una immagine quasi epica per non dire eroica di un popolo iracheno voglioso di democrazia esportata che sfida gli attentati per andare a votare e l’immagine di uno Stato democratizzato con la forza che ora comincerebbe a godere dei frutti di questa democrazia calata dall’alto con le armi. L’articolo è terminato, mentre stavo finendo di scrivere è esplosa una autobomba a Fallujah con almeno 7 morti e 13 feriti.