Debito pubblico e occupazione femminile: altre istruzioni per nascondere il conflitto sociale
mag 30th, 2020 | Di Thomas Munzner | Categoria: Capitale e lavoroCome nella migliore tradizione degli insegnamenti volti al culto del sacrifico da imporre oggi per avere frutti succulenti domani, i fautori dell’austerità stanno seminando in tempi non sospetti quello che domani germinerà in un nuovo roboante richiamo alle virtù della disciplina di bilancio.
In una fase drammatica come quella che stiamo attraversando a causa della pandemia, sarebbe inopportuno e controproducente scagliarsi contro la spesa corrente, necessario tampone ad una drammatica situazione. Perché però non trovare nuove e seducenti strade per far passare i soliti, dannosi e pericolosi messaggi riguardanti la necessità di fare austerità?
Sembra essere questo il pensiero che guida le recenti uscite di tanti volti noti nel dibattito pubblico nostrano. Abbiamo recentemente visto come una presunta sensibilità ambientalista possa essere un efficace strumento di persuasione. Chi infatti non vorrebbe un programma politico basato sul concetto di sostenibilità sociale ed ambientale? Eppure questo messaggio, ampiamente condivisibile, è usato per riportare in voga la richiesta di austerità, messa nello stesso calderone della sostenibilità sotto l’etichetta di ‘sostenibilità economica’.
Dopo la verniciata di verde data alle fosche tinte dell’austerità, è il turno del rosa. Carlo Cottarelli, ex premier incaricato e già commissario alla spending review, nonché direttore dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani, si dice molto preoccupato dalle ripercussioni che l’attuale crisi potrà avere nei prossimi mesi su disoccupati, cassaintegrati e precari. Tuttavia, all’interno di una crisi pesante per tutti, Cottarelli giustamente sottolinea che c’è una categoria particolarmente debole che rischia ulteriori sofferenze: le donne. Infatti, dopo una generica panoramica sul disastrato mondo del lavoro, Cottarelli ci ricorda quanto segue:
Il problema della perdita dei posti di lavoro in questa recessione sembra essere particolarmente severo per le donne. Non si sta parlando abbastanza di questo aspetto anche se alcuni recenti studi ne documentano la gravità. È stato per esempio notato che nell’Unione europea il 27 per cento delle donne ha lavori precari, quelli che probabilmente saranno persi più rapidamente, contro il 15 per cento degli uomini. E che negli Stati Uniti le donne rappresentano solo il 22 per cento nei lavori facilmente eseguibili in modalità ‘agile’.
Come provare a fronteggiare queste plumbee prospettive per i lavoratori, e in particolare le lavoratrici? Cottarelli ci spiega che la ricetta migliore sarebbe quella improntata a investimenti pubblici di ampia portata. Certo non si parla di programmazione economica guidata dallo Stato, ma il suggerimento appare assolutamente sensato, e per di più guidato da un desiderio di indirizzare gli investimenti all’occupazione, con particolare occhio a quella femminile. Per non perdere la trebisonda, urge allora scavare un po’ sotto l’apparente benevolenza di questo tipo di messaggio.
È infatti sul modo in cui realizzare questi progetti che la ricetta di Cottarelli apre le porte ai meccanismi di disciplina dell’austerità. Infatti, nel suo piano di risposta alla crisi si trovano: la ‘speranza’ che si attivi a livello europeo un Recovery Fund, il richiamo a superare l’’avversione’ al MES per la sanità, la necessità di fare le riforme, la riduzione del debito pubblico a fine emergenza. Troviamo perciò, in tutto il suo splendore, il solito armamentario utilizzato dai fautori dell’austerità. Da una parte infatti troviamo, a fronte di una emergenza ancora in corso, interventi o tutti da definire (a ormai mesi dall’inizio della pandemia) o nati sotto il segno della condizionalità come il MES. Dall’altra, a emergenza ormai superata tornerà il solito ineffabile richiamo alle riforme da fare (flessibilità del mercato del lavoro, deregolamentazione) e riduzione del debito da perseguire (altra austerità pronta a uscir fuori dal cassetto). Ad animare le parole di Cottarelli è una non celata adesione all’ideologico paradigma della scarsità: le risorse sono limitate e vanno usate con cautela. La stessa cautela con la quale si sono susseguite le riforme del mercato del lavoro, le riforme delle pensioni, i tagli alla sanità e agli stipendi. Risparmiare, prima, sulle spalle delle classi subalterne per accorgersi, dopo, quale situazione drammatica vivano. E anche allora, non mettere mai in soffitta gli arnesi dell’austerità: che restino sempre a portata di mano, affinché mai l’emancipazione si possa completare. Il ricorso al MES, il richiamo alle riforme e al rientro del debito pubblico sono, infatti, la negazione puntuale delle false preoccupazioni di Cottarelli.
Ribadiamo ancora una volta che, come per l’obiettivo della sostenibilità ambientale, il settore pubblico, al fine di sostenere la buona, continuativa e ben retribuita occupazione, combattendo la disoccupazione di massa e ancora di più la disoccupazione femminile, dovrebbe impegnarsi a intervenire in maniera massiccia nell’economia con la spesa in deficit. Le politiche espansive, unite ad una regolamentazione del mercato del lavoro che ribalti le innumerevoli riforme nel segno della precarietà sono la via maestra per garantire occupazione e uguaglianza di genere nel mercato del lavoro.
Le donne hanno vissuto e vivono una condizione di sofferenza che nel nostro Paese assume tratti particolarmente drammatici: dalla loro condizione emerge tutta la violenza dello sfruttamento capitalistico. La lotta per la loro emancipazione, per il miglioramento delle prospettive reddituali e occupazionali femminili, così come l’attenzione alla sostenibilità ambientale, non possono che essere stelle polari di un progetto politico di sinistra. E’ quindi necessario che questa lotta si scrolli di dosso tutti gli orpelli che liberisti di ogni sorta vogliono appiccicarle, di cui l’austerità è un esempio lampante. E’ necessario sempre tenere presente la necessità di combattere l’austerità non solo come meccanismo disciplinante per lo Stato sociale e i popoli europei, ma in quanto subdolo vincolo che non permette né le spese necessarie per la tutela dell’ambiente, né quelle necessarie per sostenere l’occupazione delle lavoratrici e dei lavoratori. Essa è proprio ciò che va messo in soffitta per perseguire quegli obiettivi.