Ripensare il Manifesto di Ventotene
mag 22nd, 2020 | Di Thomas Munzner | Categoria: Cultura e società
Ripensare il Manifesto di Ventotene
Il manifesto di Ventotene
Il Manifesto di Ventotene scritto nel 1941, mentre imperversava la guerra e le potenze dell’Asse erano all’apogeo della loro avanzata, è una riflessione-progetto sul mondo possibile. La parola utopia[1] spesso è utilizzata in modo ideologico: si taccia di utopia ogni modello alternativo, ogni postura prospettica differente, è il modo con cui si “educa” al realismo senza speranza. L’utopia è desacralizzata, messa a tacere, al fine di sclerotizzare l’ordine esistente.
Altiero Spinelli (Roma, 31 agosto 1907 – Roma, 23 maggio 1986) con uno sparuto gruppo di pensatori dimostra la forza della resistenza che si trasforma in progetto. La prassi necessita di pensiero, di periodi temporali in cui gli aspetti teoretici si ricompongono per riconfigurare il presente e trarre da esso, dal ventre della storia, potenzialità inespresse. La materia[2] è il grembo della storia, il materialismo storico da Marx a Bloch, con alterne vicende, ha dimostrato e teorizzato che la storia concreta è dinamismo in movimento. Non a caso Costanzo Preve interpretava il materialismo marxiano come “idealismo storico” e “polimetaforico”:
“Si tratta in realtà (almeno, questa è la mia opinione del tutto eretica) non certo di un materialismo storico, quanto di un idealismo storico universalistico rigorizzato, che viene chiamato erroneamente “materialismo” perché il termine “materia” è usato impropriamente in modo metaforico per indicare l’ateismo (Marx non credeva in Dio), il primato della prassi sulla semplice contemplazione della realtà sociale, e soprattutto il primato della struttura sulla sovrastruttura all’interno di un dato modo di produzione sociale. Detto in linguaggio militare, l’idealismo è la strategia e il materialismo è la tattica[3]”.
Spinelli è stato un intellettuale di formazione comunista, malgrado il non facile rapporto con il partito comunista. Nel Manifesto di Ventotene si fa palese la formazione del lottatore, del fine pensatore che sa leggere nel momento massimo del trionfo dei fascismi, le contraddizioni che logorano i sistemi. Dal varco delle contraddizioni ha tratto la speranza per la prassi.
Il sottotitolo del Manifesto riporta “per un’Europa libera ed unita”. Il Manifesto utilizzato in modo ideologico dai governi europei di ogni foggia politica per giustificare lo stato presente è negato nei suoi fondamenti. In Europa non regna la comunità dei popoli e delle lingue, ma governa l’unità totalitaria della finanza apolide. I diritti dei lavoratori, i diritti sociali sono continuamente erosi, per potenziare il profitto e le logiche di dominio e sorveglianza. L’Europa non è il regno delle libertà, ma del quotidiano disincanto.
Europa senza qualità
l’Europa ha formato una generazione di apolidi e sradicati che riconoscono la sola divinità del PIL e del profitto nella lingua del vincitore: l’inglese dei mercati. Educate allo sradicamento ed alla dimenticanza della comunità, le nuove leve europee devono essere organiche al mercato, pronte all’emigrazione perenne, a rincorrere il “sovrano” ovunque chiami e ordini. Le istituzioni del vecchio stato borghese sono asservite alle logiche del solo bilancio. Nel Manifesto, invece, l’unità è solidarietà tra le patrie nel rispetto delle differenze delle identità non solo europee, ma di ogni continente:
” E quando, superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la federazione europea è l’unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo[1].”
L’Europa del Manifesto è un’Europa con ha la chiarezza del bene e dell’universale, in cui l’economia è sotto il controllo della politica e dei lavoratori. L’universale del Manifesto è l’universale concreto, in cui ogni patria convive nel progetto comune con le altre nazionalità. Il riconoscimento della propria cultura avviene nel dialogo che avvicina senza necrotizzare le differenze. L’universale europeo contemporaneo è il totalitarismo della finanza: universale astratto del calcolo e del plusvalore che cancella le differenze e la storia in nome del plusvalore.
Individuo e comunità
Nel Manifesto di Ventotene l’individualità non deve diventare tirannia dei singoli, ma le energie creative devono svilupparsi nel servizio alla comunità. Al collettivismo ed all’individualismo bisogna opporre il socialismo democratico:
“Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione generale non è stato che una affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma – come avviene per forze naturali – essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime. Le gigantesche forze di progresso, che scaturiscono dall’interesse individuale, non vanno spente nella morta gora della pratica “routinière” per trovarsi poi di fronte all’insolubile problema di resuscitare lo spirito d’iniziativa con le differenziazioni dei salari, e con gli altri provvedimenti del genere dello stachenovismo dell’U.R.S.S., col solo risultato di uno sgobbamento più diligente. Quelle forze vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una maggiore possibilità di sviluppo ed impiego, e contemporaneamente vanno perfezionati e consolidati gli argini che le convogliano verso gli obiettivi di maggiore utilità per tutta la collettività. La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio. Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo e del burocraticismo nazionali. In essa possono trovare la loro liberazione tanto i lavoratori dei paesi capitalistici oppressi dal dominio dei ceti padronali, quanto i lavoratori dei paesi comunisti oppressi dalla tirannide burocratica. La soluzione razionale deve prendere il posto di quella irrazionale anche nella coscienza dei lavoratori[1]”.
Umanesimo ed Europa
L’uomo non è per la proprietà, per l’egoismo competitivo. L’Europa di Spinelli è un’Europa che fa dell’umanità il suo fine e non il mezzo. La proprietà dev’essere eticizzata, perché, se lasciata a se stessa e deregolamentata diviene sfruttamento dell’uomo sull’uomo. I monopoli economici debbono essere sciolti per essere governati dalla politica, poiché rappresentano uno stato nello stato, minacciano col potere corruttivo del denaro la democrazia ed i popoli. I bisogni primari: luce, gas, acqua devono essere proprietà pubblica, a nessuna lobby va concesso il potere di ricattare popoli ed i governi:
”Non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un’attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori (ad esempio le industrie elettriche); le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo, ma che per reggersi hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni di favore, ecc. (l’esempio più notevole di questo tipo di industrie sono in Italia ora le industrie siderurgiche); e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l’importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es. industrie minerarie, grandi istituti bancari, industrie degli armamenti). E’ questo il campo in cui si dovrà procedere senz’altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti(…)[2].”
L’Umanesimo laico rivive nell’Europa dei popoli e delle lingue. La nuova Europa immaginata dal gruppo di Ventotene non è atea, ma laica, in essa le differenze si integrano, vivono nella tensione creativa delle tradizioni patrie.
L’istruzione per emancipare
Il diritto sociale per eccellenza che consente la sviluppo della persona e la mobilità sociale, il diritto all’istruzione, deve guidare la rinascita dell’Europa. La giustizia sociale passa attraverso la ghiandola pineale della formazione. Non vi è tradimento più grande che l’aver trasformato le scuole in aziende che formano l’uomo imprenditore competitivo e non alla formazione armonica della persona. La generazione Erasmus, è una generazione che consuma e compra formazione di infima qualità, la quale non solo è asservita alle logiche temporali del mercato, ma specialmente seleziona non sul merito, ma sul censo. Il denaro permette a persone mediocri di occupare ruoli da cui dipende la qualità di vita della collettività:
“I giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al minimo le distanze fra le posizioni di partenza nella lotta per la vita. In particolare la scuola pubblica dovrà dare la possibilità effettiva di perseguire gli studi fino ai gradi superiori ai più idonei, invece che ai più ricchi; e dovrà preparare, in ogni branca di studi per l’avviamento ai diversi mestieri e alla diverse attività liberali e scientifiche, un numero di individui corrispondente alla domanda del mercato, in modo che le rimunerazioni medie risultino poi pressappoco eguali, per tutte le
categorie professionali, qualunque possano essere le divergenze tra le rimunerazioni
nell’interno di ciascuna categoria, a seconda delle diverse capacità individuali[1].”
La distanza tra l’Europa dei nostri giorni ed il progetto originale non potrebbe essere più abissale. Si assiste al tentativo di una rivoluzione antropologica dell’uomo. L’Europa del nichilismo economico, è l’Europa dell’irrilevanza, nella quale l’umanità ha perso la sua centralità, per essere elemento complementare del mercato, della teologia atea del profitto dei nostri tempi. L’Europa forma consumatori e produttori di merce, ogni finalità emancipatrice ed ideale è caduta tra le brutture della finanza. Ripensare Spinelli significa ritrovare il senso dell’Europa, fermare il tramonto antropologico. L’Europa senza anima ideale è senza comunità, senza storia, sradicata da se stessa, è solo Europa dell’atomismo sociale, laboratorio di violenza sociale, incapace di riconoscere la violenza da essa stessa prodotta. All’Europa unita nel nome della finanza, bisogna contrapporre l’Europa dei popoli e delle lingue. La civiltà europea è stata grande, malgrado errori e miserie, per la pluralità culturale. L’attuale Europa è avviata al suo declino, poiché incapace di elaborare concetti e correnti culturali, al suo posto impera il numero e l’astratto. La crisi del simbolico si palesa nell’immigrazione utilizzata per abbassare i salari e per produrre merci a basso costo. Se l’alterità è cannibalizzata, cade il dialogo e con esso la tensione formatrice. L’Europa accoglie per mettere in pratica il calcolo del plusvalore, e non ha altro obiettivo che l’accumulo. Marx nel primo libro del Capitale ben comprese tale dinamica:
“Ma se una sovrappopolazione operaia è il prodotto necessario della accumulazione ossia dello sviluppo della ricchezza su base capitalistica, questa sovrappopolazione diventa, viceversa, la leva dell’accumulazione capitalistica e addirittura una delle condizioni d’esistenza del modo di produzione capitalistico. Essa costituisce un esercito industriale di riserva disponibile che appartiene al capitale in maniera così completa come se quest’ultimo l’avesse allevato a sue proprie spese, e crea per i mutevoli bisogni di valorizzazione di esso il materiale umano sfruttabile sempre pronto, indipendentemente dai limiti del reale aumento della popolazione. Insieme con l’accumulazione e con lo sviluppo della forza produttiva del lavoro ad essa concomitante cresce la forza d’espansione subitanea del capitale non soltanto perchè crescono l’elasticità del capitale funzionante e la ricchezza assoluta, di cui il capitale costituisce semplicemente una parte elastica, non soltanto perchè il credito mette, ad ogni stimolo particolare, in un batter d’occhio, una parte straordinaria di questa ricchezza in veste di capitale addizionale, a disposizione della produzione. Le condizioni tecniche dello stesso processo di produzione, le macchine, i mezzi di trasporto ecc. consentono, sulla scala più larga, la più rapida trasformazione del plusprodotto in mezzi addizionali di produzione. La massa della ricchezza sociale che con il progredire dell’accumulazione trabocca e diventa trasformabile in capitale addizionale entra impetuosamente e con frenesia in rami vecchi della produzione, il cui mercato improvvisamente si allarga, oppure in rami dischiusi per la prima volta, come ferrovie ecc., la cui necessità sorge dallo sviluppo dei rami vecchi della produzione. In tutti questi casi grandi masse di uomini devono essere spostabili improvvisamente nei punti decisivi, senza pregiudizio della scala di produzione in altre sfere; le fornisce la sovrappopolazione. Il ciclo vitale caratteristico dell’industria moderna, la forma di un ciclo decennale di periodi di vivacità media, produzione con pressione massima, crisi e stagnazione, interrotto da piccole oscillazioni, si basa sulla costante formazione, sul maggiore o minore assorbimento. e sulla nuova formazione dell’esercito industriale di riserva della sovrappopolazione. Le alterne vicende del ciclo industriale reclutano a loro volta la sovrappopolazione e diventano uno degli agenti più energici della sua riproduzione[1]”.
L’Europa che produce “esercito di riserva” e “merci” è continente di sola nuda vita, palesemente in contraddizione con la costituzione italiana (articolo tre) per la quale il fine della democrazia è lo sviluppo formativo della persona e non il PIL fine a se stesso. Rileggere Il Manifesto di Ventotene è esercizio critico per comprendere “l’hotel abisso Europa” ed i suoi esiziali pericoli.
Scadimento
L’Europa desimbolizzata è sempre più simile ad un non luogo, in cui regna la morte anonima ed il “si” impersonale. Sulle parole di Heidegger dovremmo riflettere per capire lo stato presente ed il suo “scadimento”:
“Ma tentazione, acquietamento ed estraneazione contraddistinguono il modo d’essere dello scadimento. Il quotidiano essere-alla morte, in quanto scadente, è una costante fuga di fronte ad essa. L’essere-alla fine vi acquista il modo distorto di una comprensione impropria ed occultante e della elusione di fronte ad essa[2]”.
Lo scadimento è la rimozione della morte, la distopia dell’onnipotenza crematistica che ha rimosso con il limite, entro cui è iscritta la natura umana, la possibilità del senso. Lo scadimento è palese nella chiacchiera, nella volgarità che sostituisce il concetto, nella competizione violenta osannata come valore e fine formativo. Pensare l’occidente significa confrontarsi con gli scadimenti e le tragedie etiche ad essi conseguenti.
[1] Utopia parola inventata da Thomas More nel 1516, con le voci greche ū ‘non’ e tópos ‘luogo’; propr. “luogo che non esiste”
[2] Materia dal latino “mater” madre
[3] Costanzo Preve Capitalismo senza classi e società neofeudale Ipotesi a partire da una interpretazione originale della teoria di Marx Petite Plaisance Pistoia pp. 8 9
[4] Spinelli Manifesto di Ventotene pag. 6
[8] Karl Marx Il Capitale libro primo Sezione VII capitolo XXIII paragrafo III
[09] Martin Heidegger Essere e Tempo Mondadori Milano 2015 pag. 359