La libertà di vivere i poliedrici colori del possibile

apr 9th, 2020 | Di | Categoria: Recensioni

Frammenti postumi

Frammenti postumi

La libertà di vivere i poliedrici colori del possibile

Il Nietzsche dei Frammenti postumi ci offre la sofferenza partecipata del filosofo alla comunità. Il processo di emancipazione passa attraverso l’esperienza dell’estraniamento, della distanza dal gusto plebeo per l’eccesso, per i cibi già confezionati ed offerti come insostituibili. L’abitudine ai cibi guasti diventa simile alla metafora clinica della condizione di coloro che abituati all’aria guasta hanno difficoltà a respirare l’aria buona. L’aria dei nostri giorni è perniciosa per coloro che vorrebbero respirare, vorrebbero, oltre l’orizzonte di un mondo delle sole cose, vivere l’esperienza umana della comunità. Sentire se stessi è possibile attraverso l’uscita dalla caverna dei cattivi pensieri quotidianamente inoculati. La violenza ideologica oscura la mente, incanutisce i pensieri, fa del grigiore la mortificazione quotidiana. La violenza capillare dell’utile e del calcolo ammorba e svuota la comunità dello spessore creativo che la rende viva. Epoca della sola crematistica, offre pensieri cattivi che come cibi intossicano con l’abitudine a gustare solo una tonalità, una nota di gusto. Allora può capitare che si respingano tutte le tavole, tutti i cibi preconfezionati, i pensieri del conformismo omologante che uccidono l’individuo e la comunità, per poter cominciare a vivere. Respingere i pensieri guasti ed i linguaggi edulcorati dal consumo coatto è un atto emancipativo che vuole coraggio, amore per se stessi e per gli altri. Si diventa un esempio, l’archetipo del possibile contro ogni determinismo pessimista. Nietzsche descrive la sua esperienza del rifiuto del conformismo ideologico ed accademico: [1] «Allora, furioso di disgusto, respinsi da me tutte le tavole a cui mi ero fino allora seduto e feci a me stesso promessa solenne di nutrirmi a caso e male, di erba e di erbaggi, lungo la strada, come un animale, addirittura di non vivere più, piuttosto che dividere i pasti con il “popolo degli attori” e i “cavallerizzi superiori dello spirito”: tali erano le dure espressioni che usavo».

Come non condividere l’effetto rabbioso dell’uscita dalla caverna e la rabbia nel sentirsi defraudati della vita, del possibile, dell’unicità dell’esperienza della vita mediante raggiri meramente mercantili. Ridotto a pura moneta sonante ogni pensiero si radica nel calcolo, ogni sentire se stessi diventa estraneo. La violenza che inquina le relazioni umane, i casi sempre più estremi delle nostre cronache, trovano la ragion sufficiente inespressa e che in pochi voglio esplicitare, nel clima di violenza scientemente organizzata dalla società della sola economia. Si urla allo scandalo, si fa appello alla denuncia ed ai diritti individuali lesi per non dire che l’unica denuncia vera è il rifiuto del cibo guasto che ha pervertito ogni etica ed ha trasformato l’imperativo categorico kantiano nel suo perverso doppio «Usa l’altro come mezzo mai come fine, anche te stesso».

L’uscita dalla caverna del capitale e dei mercanteggiamenti è rappresentato da Nietzsche come animale: divorare tutto, pensare tutto perché nulla si era pensato fino a quel momento. Dopo l’estraneamento, dopo il trauma della consapevolezza, non è finita, c’è ancora vita perché c’è ancora pensiero ed allora lontani dalla fuliggine dei giorni grigi si svela il possibile nel brillio dei molti colori, dei mondi possibili inesplorati nel proprio sé e di cui si vuol far dono: [2] «Allora aprii gli occhi per la prima volta, e subito vidi molte cose e molti colori delle cose, come non capita di vederne ai paurosi che stanno in un angolo, agli spiri preoccupati di sé, che se ne sono sempre stati a casa loro. Una specie di libertà da uccello, una specie di colpo d’occhio da uccello, una specie di mescolanza di curiosità e disprezzo come la prova chiunque abbracci con lo sguardo, senza parteciparvi, un’enorme verità di cose fu questo infine il nuovo stato raggiunto, nel quale resistei a lungo».

L’uscita dalla caverna della crematistica, da ogni idolatria, da ogni religione camuffata come libertà, è il mondo interiore, l’impegno alla cura di sé, alla libertà che rende leggeri perché libera dalla forza di gravità del pregiudizio, dal consumo illimitato che divora la possibilità di limare nuovi sguardi ed incontrare nuove parole.

Nietzsche ci insegna che il presente con i suoi muri invisibili possono essere abbattuti e la storia può tornare nelle nostre vite come nella comunità, ma dobbiamo trovare il disgusto pensato ed il coraggio di uscire dalle cucce che in cambio delle comodità ci restituiscono i ceppi e le catene.

Salvatore Bravo

 

[1] F. Nietzsche, Frammenti postumi, volume VII, Adelphi, Milano, 1975, p. 373.

[2] Ibidem, p. 374.


271 ISBN

L’epoca del PILinguaggio

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Salvatore Antonio BravoL’epoca del PILinguaggio.

ISBN 978-88-7588-191-7, 2017, pp. 96, formato 130×200 mm., Euro 12 – Collana “Divergenze” [59]. In copertina: Kumi Yamashita, Light and Shadow.

Il depotenziamento del linguaggio è attuato dalla globalizzazione capitalistica, nel suo allontanamento dalla persona e dalla comunità. L’epoca attuale destina ricchezza materiale ai pochi e povertà linguistica ai molti: povertà lessicale, manomissione dei significati delle parole, riduzione della parola a funzione calcolante, aggressione culturale imperialistica alle lingue nazionali. La povertà lessicale non è semplicemente una forma di regressione culturale legittimata dalla cultura del fare, della didattica breve, del problem solving, ma trova la sua ragion d’essere nel liberismo globale, per il quale ogni riflessione eccedente i bisogni dell’economia è già un limite per le logiche mercantili. La lingua deve tracciare il suo senso nella sola produttività, nell’immediatezza della sua spendibilità, dev’essere funzione dell’illimitatezza della valorizzazione. Ogni linguaggio non immediatamente spendibile è stigmatizzato come inutile. Diviene così funzione, calcolo per previsioni consumistiche, diventa la pietra di confine conficcata nella terra dei consumi oltre la quale vi è il nulla. Novello Crono, il capitale divora – con i figli – le parole, al fine di colonizzare ogni comunità e renderle atomizzate e dominabili. La comunità politica è sostituita dal modello azienda, ed ha il suo centro nella competizione.

La neolingua si struttura nell’atomizzazione dei pensieri, delle frasi, che si articolano in modo da perdersi nell’emozione dell’immediato della compravendita delle pseudo relazioni virtuali. Il nichilismo di massa è alimentato e vive attraverso l’incompetenza linguistica che derealizza la realtà in monconi fonetici. Il riduzionismo politico filosofico si sostanzializza attraverso un linguaggio la cui articolazione logica arretra per lasciare spazio unicamente alla naturalizzazione del solo presente.



Salvatore Antonio Bravo

Potere e alienazione in Foucault

238 ISBN

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Gli scritti di Foucault testimoniano un’attenzione rara alla vita che scorre ai margini: folli, mendicanti, prostitute, omosessuali, oziosi popolano molti dei suoi saggi, in particolare Storia della follia e Sorvegliare e punire.

Vi è uno spostamento della prospettiva attraverso cui leggere il potere; tradizionalmente il potere risiede in una figura (ad es. il sovrano), una classe, un’istituzione. L’analisi tradizionale del potere individua il soggetto attivo depositario del potere, si pensi al Principe di Macchiavelli, ed un soggetto che ne subisce l’azione: il suddito.

Il potere è studiato mediante la ‘posizione della rana’, affermazione del filosofo. Il potere è analizzato da Foucault nel suo costituirsi, non dal vertice ma dalle forze interagenti dal basso il cui effetto è il potere.


Salvatore Antonio Bravo

Foucault e la razionalità debole

250 ISBN

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Il modello di razionalità è parte integrante della prassi di una comunità, la riflessione su di esso è necessaria per un’operazione “archeologica” di consapevolezza, ovvero le strutture cognitive sono segnate nella lingua come nei modelli di comprensione. La pastorale dell’incontro, tanto in voga riesce solo parzialmente a portare nuova vita nell’atto del pensare, tale operazione dev’essere completata con un’analisi-riflessione dei fondamenti del pensiero. L’interrogativo a cui dovremmo rispondere è il perché tanto sapere critico abbia prodotto risultati tanto parziali, finanche a volte reazionari.


  
Salvatore Antonio Bravo

L’ultimo uomo

257 ISBN

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L’opera di Nietzsche è spesso associata al superuomo dannunziano o all’oltreuomo di Vattimo, letture che rischiano d’essere limitate e strumentali. Col presente saggio si vuole riattualizzare una figura lasciata di sfondo e che poco è stata evocata nella storia della filosofia: l’ultimo uomo. La produzione filosofica su Nietzsche è stata sterminata, ma titoli che trattino specificatamente dell’uomo più inquietante sono pressochè assenti.

La consapevolezza dell’importanza dell’ultimo uomo per decodificare un pensatore così complesso è stata rilevata da Costanzo Preve, che ha spostato l’asse interpretativo dell’opera nietzscheana dal superuomo all’ultimo uomo. Nella letteratura come nella filosofia il superuomo ha trovato una facile spendibilità ed accoglienza in un secolo segnato da un autentico delirio di grandezza imperialistico e genetico.  Ne è conseguito il dibattito sull’identità del superuomo ed il suo successo mediatico è stato rafforzato dal facile accostamento al nazionalsocialismo ed ai fascismi in generale.

Inoltre l’operazione per ‘ritrovare’ il Nietzsche autentico è stata complessa (vedasi traduzione e la ricostruzione filologica di Colli e Montinari); pertanto, nel tentativo di dare autenticità interpretativa al superuomo, notevole ne è stata la fama ed il successo che ne è conseguito. Quest’operazione ha comportato un ridimensionamento di molti e più interessanti aspetti del filosofo.

L’ultimo uomo, come rileva Costanzo Preve, con la sua forza simbolica critica e dirompente verso il sistema ne è una testimonianza.

Si è cercato quindi di focalizzare l’azione di ricerca su questa figura inquietante al fine di coglierne la validità interpretativa rispetto all’attualità. L’ultimo uomo ci proietta nella mediocre quotidianità dell’integralismo capitalistico esprimibile con le parole di Musil («il vuoto dinamismo dei giorni»). Il vuoto produttivo e calcolante è la forma e la sostanza dell’ultimo uomo. La sostanza che per sua natura è pienezza ontologica si alligna nel vuoto del nichilismo disperato e ripetitivo.

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