PERCHÉ CI SERVE IL CONCETTO DI COMUNITÀ
apr 6th, 2020 | Di Thomas Munzner | Categoria: Cultura e società
DI GENNARO SCALA
Perché ci serve il concetto di comunità. Riflessioni a partire da un testo di Fabio Rontini su Costanzo Preve
Recentemente è stato pubblicato dal sito “intellettualecollettivo.it” un articolo, dal titolo un po’ internettiano-sensazionalistico La tesi di Costanzo Preve che spaventa i marxisti italiani di Fabio Rontini ( http://www.comunismoecomunita.org/?p=6373) che merita di essere discusso. Mi sia permessa un po’ di non malevole ironia, si direbbe che in Italia ci siano ancora schiere di marxisti, anche se facilmente prede dal panico, un po’ come le mandrie di mucche, ma ahimè secondo la mia esperienza ormai si contano sulle dita delle mani, se poi al sostantivo “marxista” aggiungiamo l’aggettivo “raziocinante” forse può bastare una mano sola. Rontini si chiede perché Costanzo Preve, uno dei migliori filosofi marxisti italiani, e che tale si è dichiarato fino all’ultimo anche se “non ortodosso e indipendente”, fosse stato ostracizzato, o posto in quarantena, se vogliamo utilizzare un termine più attuale, dalla sinistra marxista. Una prima risposta egli la trova in Carlo Formenti, notevole studioso delle trasformazioni sociali e politiche, anch’esso di formazione marxista, proveniente dall’operaismo, ma ha preso da tempo le distanze delle in-voluzioni negriane, restando invece estimatore del ben più profondo Mario Tronti. Formenti ha preso atto dell’irrimediabile deriva politica, e finanche antropologica, della sinistra dalla quale intende sottrarsi, e da questa via è giunto alla conclusione che è necessario un nuovo inizio, come sintetizza il titolo del libro Il socialismo è morto, viva il socialismo. Era conseguente quindi un ripensamento, espresso in un paragrafo del libro succitato, o per meglio dire un avvicinamento verso la figura di Preve, visto che afferma di aver “infine letto Preve”.
Veniamo alla tesi di Rontini, il quale sostiene giustamente che l’appartenenza dei marxisti al contenitore denominato sinistra perde di senso dal momento che è scomparsa ogni vestigia di borghesia progressista, desiderosa di rapportarsi con la classe operaia. Questa è la tesi di Preve, sintetizzata all’osso, che secondo Rontini spaventa i marxisti. Ciò è anche vero, ma non è questa sola tesi, ma la sua intera filosofia a costituire scandalo per il marxista benpensante e timorato … di Marx. Rontini utilizza il dibattito fra Preve e Losurdo che si svolse nel 2009, pubblicato in rete, come episodio esemplare dell’incomprensione della sinistra marxista nei confronti di Preve. Personalmente, direi di non focalizzare troppo su questo dibattito, i due si conoscevano bene tanto sul piano intellettuale, quanto su quello personale (conservo il ricordo di loro due discutere fittamente a distanza ravvicinata seduti ad un tavolino fuori da un convegno dalle parti di Assisi, adesso non ricordo quale, sono passati quasi vent’anni), per cui si tratta di un dibattito pieno di presupposti non esplicitati. Preve avrebbe voluto portare Losurdo dalla sua parte, quindi non va mai fino in fondo, esplicitando una rottura che poi era nei fatti. Il compianto Losurdo non avrebbe mai abbandonato una sinistra, nella quale la sua area, quella “antimperialista” dell’Ernesto e dintorni, non erano “ascoltati”. Erano isolati quanto lo stesso Preve ma continuavano e continuano fino alla fine a stare in essa, fino all’estinzione. Con Azzarà, che continua e continuerà fino alla fine a sbraitare contro la sinistra sul suo profilo facebook, ma a restare sempre al suo interno (immagino, perché mi ha bannato). Difendere la “distinzione destra-sinistra” voleva dire questo per loro, e che qualsiasi cosa faccia “la sinistra è sempre preferibile” ecc. ecc.
Se vogliamo capire perché Preve è stato ostracizzato dalla sinistra, marxista e non, bisogna guardare alla sua intera filosofia che mira ad una sua riforma teorica complessiva, ma essendo questa “irriformabile” (Preve) la conclusione logica è quella della necessità di un nuovo inizio.
Come racconta egli stesso, Preve iniziò un percorso di rottura dopo lo spettacolo del “baffetto bombardatore” che con il suo “sorrisetto cinico” mostrava soddisfazione della grande arguzia politica che l’aveva portato ad una completa acquiescenza nei confronti del “bombardamento etico” (titolo di un suo libro) della Yugoslavia. Mentre il “circo Barnum” della sinistra saltava sul carro del vincitore, e appoggiava la guerra contro una nazione che non ci aveva fatto nessun torto, e con la quale anzi avevamo proficui rapporti economici, con incoerenti prese di posizione di Rifondazione e del “filo-sovietico” Cossutta che fece una scissione per sostenere il governo D’Alema. Mentre invece esponenti della “nuova destra” come Alain de Benoist erano nettamente contrari a questa guerra. C’era qualcosa che non andava nelle categorie di Destra e Sinistra. Da qui inizia un ripensamento delle categorie di destra e sinistra, e anche questa è solo una parte del discorso di Preve, indirizzato alle categorie filosofiche di fondo che poi generano il discorso politico. Riporto qui un passo che è, a mio parere, il nucleo della sua analisi:
La sua critica al giacobinismo robespierrista, sia pure ogni tanto un po’ ingenerosa e unilaterale (personalmente, sono un ammiratore di Robespierre), resta però nell’essenziale è giusta, ed a mio avviso è la critica anticipata del comunismo storico novecentesco migliore che conosca. Se non condividessi profondamente questa critica, che è “comunitaria” e quindi né individualista né tradizionalistica, non avrei scritto un elogio del comunitarismo, ma l’ennesimo elogio del comunismo tout court. Se invece ho fatto questa scelta relativamente innovativa rispetto alla tradizione comunista da cui provengo, e proprio perché la critica di Hegel ai “comunitarismi frettolosi” che infine si rovesciano nel loro contrario e si autodistruggono mi pare convincente. Per me, questa non è in alcun modo una rottura con il comunismo, ma, al contrario, una maniera (che considero matura) di essere ancora fedele a questa scelta giovanile assolutamente non rinnegata che tempo fa definii una “passione durevole”.
[…] Hegel stima Rousseau e gli riconosce volentieri la sincera intenzione di superare l’individualismo atomistico astratto (per Hegel, l’individuo isolato è sempre astratto, mentre la comunità tenuta insieme dai costumi è sempre concreta), ma ritiene che su basi russoviane si possa avere soltanto una “comunità illusoria”, ossia un’addìzione di individualità presupposte come originariamente solitarie che si lanciano insieme nel progetto ugualitario di un nuovo contratto sociale equo, che possa sostituire quello precedente iniquo. Hegel chiama questo progetto russoviano una “furia del dileguare”. E che cosa è che propriamente “dilegua” , cioè scappa in .. avanti, si affretta senza essersi prima consolidato? È una comunità illusoria, tenuta insieme fittiziamente da una virtù politica soggettivamente sincera, che salta i momentìi essenziali della comunità familiare, della comunità elettiva di amici, della comunità fondata sul mestiere e sulla competenza professionale riconosciuta, e su tutte le comunità “intermedie” senza le quali non può neppure esistere la comunità delle comunità, il contratto sociale virtuoso fra cittadini uguagliati dalla legge.
Personalmente, trovo questa critica hegeliana non solo intelligente e pertinente, ma addirittura risolutiva. Non si può volere la “comunità ideale” se si comincia a disprezzare e ignorare le comunità intermedie precedenti. Il comunismo è, tra l’altro, morto proprio di questa specifica patologia. Ha messo la comunità astratta del comunismo davanti a tutto il resto, ha creduto di potersi costituire saltando la famiglia e la società civile (spacciate frettolosamente come “borghesi”), e così ha costruito sulla sabbia. Quando ha cominciato a entrare in crisi sul piano economico e produttivo, si era bruciato i ponti alle spalle, e non aveva più trincee di difesa su cui attestarsi. Franturnato l’apparato burocratico del partito, tutto si è dissolto in pochi mesi (l’esperienza della Russia nel 1991 è stata in proposito esemplare). (Elogio del comunitarismo, pp. 151-153)
In questo passo geniale viene esposta sinteticamente la tara storica della sinistra, comunista e non (notare che si parte dalla rivoluzione francese). In altre occasioni occasioni ho sintetizzato con il termine individualismo-universalismo, ovvero il salto dall’individuo al genere, il paradigma su cui si è costituita la sinistra comunista e non,. Ricostruire le categorie del movimento comunista superando questo paradigma fu il programma filosofico di enorme portata in cui Preve si impegnò. Un faticoso quanto necessario lavoro di ricostruzione su nuove basi, nel quale i “compagni” non hanno saputo e non hanno voluto impegnarsi, perché costava la dolorosa ridefinizioni delle convinzioni di una vita e dei rapporti politici, che sono poi anche rapporti personali.
Come ho sostenuto in occasione di un convegno in onore di Preve tenutosi a Bologna il 6 dicembre del 2013, il comunitarismo di Preve mira a correggere quell’impostazione di fondo per cui i comunisti e la sinistra in generale, hanno avuto una concezione errata dello Stato. È senso comune tra i “marxologi” che la concezione dello Stato fosse la tara principale della teoria marxiana, ma un “comunista antimperialista”, che in genere è, inconsapevolmente, più leninista che marxista, mi risponderebbe: i comunisti non hanno affatto ignorato la questione nazionale, i movimenti di liberazione nazionale del secolo scorso hanno visto un ruolo fondamentale dei comunisti! Per un’adeguata trattazione della questione non posso che rimandare al mio libro Per un nuovo socialismo, qui posso solo accennare al fatto che l’antimperialismo riportava nel movimento comunista “la questione nazionale” ma aveva dei difetti di fondo per cui non potè essere un’effettiva correzione del movimento comunista su tale questione. L’antimperialismo ha svolto una funzione importante durante il periodo dell’ascesa delle principali potenze che si oppongono allo strapotere americano, Russia e Cina, ma dal momento che queste potenze si sono affermate questa categoria va abbondonata e sostuita con il concetto di “mondo multipolare”. Inoltre, la categoria dell’antimperialismo si applica solo alle nazioni che hanno subito l’oppressione coloniale, ma delle autentiche questioni nazionali si sono poste e si pongono anche nella nazioni occidentali, ad es. l’errata teoria del movimento comunista sulla “questione nazionale” portò i comunisti a commettere dei gravi errori che favorirono l’affermazione del nazismo (in merito rimando al mio suddetto libro), come ho cercato di dimostrare anche basandomi su un testo del borioso Stefano G. Azzarà, allievo di Losurdo e punto di riferimento per Rontini.
Preve era un uomo della “vecchia guardia”, aveva trascorso gran parte della sua vita all’interno del fu movimento comunista, del quale si rese conto che aveva chiuso il suo ciclo, e cominciò un immane lavoro di ripensamento, ma su alcune questioni, tra cui l’antimperialimo e lo Stato, non giunse a delle soluzioni. Non credo di essere ingeneroso verso quello che considero uno dei miei principali maestri, è normale che sia così, gli siamo grati per l’enorme lavoro fatto, ma onoriamo i maestri proseguendo il loro lavoro, e a costo di apparire presentuoso, credo che almeno sulla questione dell’antimperialismo di aver fatto dei passi avanti.
Anche se il problema della subordinazione agli Usa non scompare, il problema più prossimo e più immediato, e che rischia di sfasciare lo Stato e la società italiana, è la subordinazione alla Ue (come ha già da tempo capito chi non era oberato da un bagaglio culturale marxista, ma magari in una prospettiva più limitata). Certo Preve sapeva che l’Unione Europea non poteva funzionare, e aveva previsto anche una divisione tra Europa del Nord e una del Sud, ma non costituiva per lui questo il principale problema. E in questo si dimostrava ancora uno della “vecchia guardia” che considerava il problema principale l’“imperialismo statunintense”. Io stesso ho fatto fatica a comprendere la priorità di questo problema, che ora è sotto gli occhi di tutti. Ripeto il problema del dominio statunitense non è certo scomparso, ma per l’immediato è assolutamente necessario risolvere il problema europeo.
Però Preve aveva posto correttamente il problema della sovranità e per questo è considerato un filosofo di riferimento dai “sovranisti”:
“Immaginare che ci potesse essere una demokratia ad Atene con una guarnigione spartana stabilmente insediata sull’acropoli sarebbe stata un’assurdità per gli antichi. Eppure questa assurdità è oggi la normalità (una normalità anormale, in cui Kafka e Borges hanno sostituito Erodoto e Tucidide) per i popoli europei” (La saggezza dei Greci)
In breve tutte le divisioni politiche tra destra e sinistra, bianchi e neri, guelfi e ghibellini perdono di senso in assenza di sovranità, poiché qualsiasi decisione scaturisca da questa dialettica politica questa si risolve in nulla, non serve a niente, poiché la decisione sulle questioni decisive spetta ad altri. Per questo è meglio A. de Benoist che si oppone all’imperialismo americano piuttosto che Luxuria che è culturalmente e politicamente allineato ad esso. La fine del mondo bipolare che aveva garantito uno spazio di sovranità (limitata) all’Italia e la degenerazione della sinistra avevano posto in secondo piano la divisione destra/sinistra, poiché è necessario convergere sull’obiettivo del ripristino di un adeguato livello di sovranità (una sovranità assoluta non potrà mai esistere). Quando in un ipotetico futuro la sovranità sarà ripristinata, le divisioni in base alle classi sociali e ai valori ritorneranno in primo piano, potremo anche tornare a definirle destra-sinistra, anche se a me non piace tale definizione che non sfugge al gioco di specchi, esiste una destra perché esiste una sinistra e viceversa, senza poi che si sappia “cos’è la destra e cos’è la sinistra” (per dirla con Gaber), preferisco le divisioni tra socialisti, (neo)liberisti, repubblicani, nazionalisti o in base all’identità religiosa ecc, insomma in base ad una definizioni dei valori politici, culturali, ideologici di riferimento, non delle generiche destra e sinistra che di per sé non vogliono dire nulla.
Destra e sinistra, o come si voglia definire le differenze politiche, hanno senso solo in uno Stato sovrano. Lo Stato è una delle comunità che si interpongono tra l’individuo e il genere. Il concetto di comunità avanzato da Preve è cruciale oggi. La crisi sociale, economica, politica innescata dal Coronavirus ha portato alla luce l’inconsistenza della costruzione sottostante alla “Comunità Europea”, mai nome fu più inadeguato. È fondamentale analizzare tutte le misure economiche e di carattere legislativo emanate dalla Commissione Europea e dalla Bce da valutare con la massima attenzione, ed è benemerito il lavoro di chi si sobbarca questo ingrato compito, ma ciò che più conta è stabilire se noi e i tedeschi (o anche i francesi) apparteniamo alla stessa comunità, se loro ci considerano o noi consideriamo loro come appartenenti alla stessa comunità. È questo che alla fine determina le misure economiche che vengono prese. Come sosteneva Preve appartienamo al genere umano, ma vi apparteniamo attraverso comunità determinate a partire dalla famiglia, passando per le classi sociali a finire con lo Stato. Tali comunità non hanno una base naturalistica, sono costruzioni sociali, ma sono nondimeno reali, e hanno effetti concretissimi. Alla luce dei fatti non possiamo che concludere che no, non apparteniamo alla stessa comunità, che non basta il nome, non abbiamo costruito con gli altri popoli europei una comunità, ogni nazione europea sta agendo per proprio conto e in funzione esclusiva dei propri interessi, e ci conviene ripristinare gli strumenti economici della sovranità che avevamo prima di entrare nell’Unione Europea altrimenti saranno c…. e qui evito di terminare con una locuzione volgare.