Il socialismo è morto, viva il socialismo!
dic 9th, 2019 | Di Thomas Munzner | Categoria: Dibattito PoliticoIL SOCIALISMO E’ MORTO VIVA IL SOCIALISMO!
Nota sul caso Preve
Non ho mai conosciuto personalmente Costanzo Preve e, fino a non molto tempo fa, gli unici testi di questo autore che avevo avuto modo di leggere erano alcuni articoli pubblicati dalla rivista “Alfabeta”, di cui ero caporedattore negli anni Ottanta. Diversi anni dopo mi ha incuriosito la virulenza con cui veniva attaccato – un vero e proprio linciaggio morale – da parte di alcuni intellettuali della sinistra radicale che lo accusavano di essere diventato “rossobruno”. Mi sono finalmente deciso a leggerne i lavori nel momento in cui questo aggettivo – divenuto di moda sull’onda del successo mediatico di Diego Fusaro, allievo dello stesso Preve – si è inflazionato al punto da divenire di moda, finendo per essere usato indiscriminatamente contro tutti i critici dei dogmi delle sinistre postmoderne e delle loro chiacchere politicamente corrette. Così ho trovato conferma il dubbio che avevo iniziato a nutrire: a determinare la scomunica dell’eresiarca Preve non è stato il suo presunto deviazionismo di destra, bensì l’impietosa lucidità con cui ha descritto il processo di senescenza precoce e irreversibile delle sinistre.
Il primo peccato di Preve consiste nell’aver bestemmiato il nome del padre, mettendo in luce il carattere ossimorico della teoria marxiana, che consiste nella convinzione di poter dare vita a un’utopia “scientifica”. Questo ircocervo, argomenta Preve, è il prodotto della convergenza fra un elemento utopico di origine romantica e un elemento scientifico di origine positivistica. E’ da questo pasticcio che nascono: 1) la convinzione storicista (o meglio, evoluzionista in senso darwiniano) secondo cui la transizione al socialismo sarebbe inscritta nelle dinamiche immanenti al capitalismo; 2) una concezione del comunismo come comunità paradisiaca in grado di realizzare tanto la riconciliazione fra uomo e natura quanto quella fra tutti gli esseri umani, finalmente ricongiunti in un abbraccio ecumenico; 3) la grande narrazione che attribuisce a un soggetto salvatore (la classe operaia, le donne) la missione di realizzare l’utopia del paradiso in terra. Da queste osservazioni critiche –peraltro condivise da altri intellettuali di formazione marxista- Preve non trae la conclusione che il pensiero di Marx sia oggi inutilizzabile (basti ricordarne la sua formidabile capacità di decodificare i meccanismi di funzionamento dell’economia capitalistica , a partire dalla dinamica delle crisi), ma fa discendere una serie di implicazioni indigeste per i masticatori di dogmi ideologici precotti. Provo a indicarne qui di seguito alcune.
Un primo elemento è la critica del cosmopolitismo borghese spacciato per internazionalismo proletario. Emanciparsi dal mito del comunismo come un mondo futuro pacificato e unificato significa emanciparsi dalla radice illuminista che permea il marxismo non meno del liberalismo, per cui la lotta di classe si rivela in ultima istanza lo strumento per realizzare il trionfo dell’individuo razionale universale. Peccato che quest’ultima sia la figura ideale su cui si fondano l’individualismo e il cosmopolitismo borghesi (sui quali, annota Preve, si fonda a sua volta l’imperialismo dei diritti umani che ha legittimato tante “guerre umanitarie”, non di rado con la benedizione delle sinistre occidentali). Prendere distanza da questa logica significa riconoscere che l’internazionalismo dovrebbe fondarsi sulla relazione fra comunità diverse che si riconoscono reciprocamente quali portatrici di forme di vita legittime. La lotta anticapitalista è in primo luogo lotta fra individualismo e comunitarismo, fra una visione del mondo che intende i rapporti fra esseri umani come rapporti fra atomi individuali che si scambiano merci, e una visione del mondo che valorizza la resistenza delle comunità locali all’espansionismo globale dei mercati.
Ciò che più urta il perbenismo di sinistra è che, a partire da questa definizione della contraddizione principale, Preve attribuisce un ruolo positivo alla sovranità nazionale, se e in quanto resiste all’illimitata estensione geografica del dominio capitalistico; poco importa che abbia più volte precisato che si tratta di difendere uno Stato-nazione indipendente concepito in modo non nazionalista, razzista e imperialista: in base al riflesso condizionato innescato dall’equazione comunità=nazione=fascismo la scomunica scatta automaticamente.
Altra eresia: la classe operaia non va , né ci condurrà, in paradiso. Riprendendo una tesi diffusa all’interno del pensiero marxista non dogmatico, Preve prende atto del fatto che il proletariato occidentale, dopo il ciclo di lotte degli anni Sessanta e Settanta, stregato dai comfort e dai livelli di consumo che il capitalismo (almeno fino alla crisi del 2008) gli ha garantito, esprime un sostegno incondizionato al capitalismo; di più: in analogia con certi ripensamenti dell’ultimo Tronti, e pur riconoscendo alle lotte operaie del periodo 1967-74 un carattere ben più serio delle effervescenze sessantottine –che liquida come mere richieste della modernizzazione dei costumi-, nega che esse abbiano mai assunto un carattere rivoluzionario antisistemico “se non nelle affabulazioni oniriche degli operaisti pazzi”. Se mai è possibile nutrire delle speranze in merito alla ripresa di lotte anticapitaliste, esse vanno riposte nei limiti che il capitale può incontrare a causa delle sollecitazioni antropologicamente insopportabili che impone all’umanità intera, e di quelle ecologicamente insostenibili che impone al pianeta.
Ancora: Preve non solo nega la possibilità di tracciare un confine fra destra e sinistra ricorrendo all’opposizione fra conservazione e progresso, ma il suo pensiero assume (anche qui le analogie con l’ultimo Tronti sono evidenti) un profilo esplicitamente conservatore. Critica il dogma marxista che esalta lo sviluppo delle forze produttive come necessaria premessa della transizione al socialismo: lo straordinario avanzamento tecnologico promosso dalla società capitalistica va contrastato in quanto è ecologicamente e antropologicamente distruttivo; il progressismo avvicina le ideologie di sinistra e quella liberale fino a farle coincidere; l’etichetta di conservatorismo appiccicata al capitale e alle forze politiche che lo sostengono, mentre funziona se applicata alle classi legate alla rendita immobiliare, suona ridicola ove associata a un sistema sociale che ha fatto del progresso la sua parola d’ordine, esaltando l’innovazione tecnologica connessa al mercato capitalistico e al suo illimitato allargamento. Insomma: chi vuole opporsi al capitalismo non può non essere conservatore, se vuole proteggere la natura umana, l’ambiente, il legame sociale e la sovranità nazionale dallo sradicamento provocato dai flussi impersonali del capitalismo. Per tutte queste ragioni , Preve non può riconoscersi in una sinistra che coltiva l’illusione di fuoriuscire dal capitalismo saltando sul carro di una modernizzazione che viceversa ne garantisce l’accumulazione allargata attraverso la creazione di sempre nuovi bisogni individuali; che esalta il volontariato e il Terzo settore senza rendersi conto che in tal modo contribuisce a smantellare il welfare obbligatorio in favore di un capitalismo “compassionevole”, in cui i volontari sostituiscono gli operatori dei servizi di assistenza dello Stato; che ha contribuito alla creazione della demenziale polizia linguistica del politicamente corretto e all’affermazione del femminismo, che non è mai stato né mai sarà un movimento antisistema sia per la vocazione individualistica sia perché sostituisce al conflitto di classe un conflitto di genere che non mette in discussione il sistema.
Si potrebbe continuare, ma l’elenco appena ricordato basta a giustificare la scomunica emessa nei confronti di questo autore. La verità è che il pensiero di Preve non è di destra ma, semmai, si differenzia da quello delle sinistre postmoderne; l’accusa di rossobrunismo che gli viene rivolta è idiota e anacronistica (il rossobrunismo è un’ideologia che ha un profilo ben preciso e storicamente delimitato), ma è chiaro che le verità messe in luce da Preve (molte delle quali il lettore ha già incontrato nelle pagine precedenti) sono per molti tanto insopportabili da meritare la messa al rogo.