Ludd, o il Sessantotto trascendente
lug 23rd, 2019 | Di Thomas Munzner | Categoria: Documenti storiciAnselm Jappe
Tra il 1968 e il 1978 l’Italia, com’è noto, ha vissuto la più lunga stagione contestataria di tutti i paesi occidentali in quel periodo, mentre altrove “il Sessantotto” era generalmente tanto intenso quanto breve. Era anche l’unico paese dove le proteste videro una sostanziale partecipazione operaia e popolare. Allo stesso tempo, l’Italia ha dato un’elaborazione teorica tutta sua di quegli eventi e della loro novità: l’operaismo, le cui propaggini si estendono fino a oggi. In retrospettiva, l’operaismo e le organizzazioni da esso influenzate (Potere Operaio, Lotta continua, poi Autonomia operaia) sembravano occupare tutto lo spazio a sinistra del PCI, vista anche la scarsa importanza che ebbero maoisti e trotzkisti, diversamente dagli altri paesi europei. In effetti, esiste ormai una ricca letteratura sull’operaismo. Tuttavia, a margine c’erano altre correnti che si volevano più radicali e che si ispiravano soprattutto ai situazionisti francesi e alla tradizione anti-leninista dei Consigli operai. Questa piccola area di “comunisti eretici”, che spiccava più per lucidità che per impatto immediato sulle lotte sociali, va sotto il nome di “Critica radicale”. Il suo raggruppamento più importante fu Ludd. Benché sia esistito per appena un anno, dal 1969 al 1970, coinvolgendo solo alcune decine di persone, soprattutto a Genova e Milano, e ne rimangano essenzialmente tre bollettini e alcuni volantini, Ludd è diventato nel corso del tempo una “leggenda” per quegli ambienti della critica sociale che si richiamano alle idee situazioniste, oggi forse più numerosi che quarant’anni fa.
Per la prima volta, una larga documentazione su Ludd e i suoi “precursori” è disponibile su carta stampata (il materiale era già disponibile sul sito nelvento.net). Un’utile introduzione di Leonardo Lippolis spiega il contesto storico. Quasi metà del libro è occupato da un saggio di 200 pagine di Paolo Ranieri, ex membro del gruppo, che mescola ricordi personali con commenti allo stato attuale del mondo, offrendo informazioni preziose, ma anche alcuni deplorevoli scivoloni. L’interesse principale risiede nella parte documentaria: documenti (soprattutto volantini) del Circolo Rosa Luxemburg, della Lega degli operai e degli studenti e del Comitato d’azione di lettere che si sono succeduti a Genova, nonché i tre bollettini di Ludd e i suoi volantini, con in più alcuni documenti interni.
Gli antecedenti si trovano in quei circoli che a partire dal 1960 si collocavano alla sinistra del PCI, dal quale si distanziavano sempre più nettamente: dapprima i Quaderni rossi di Panzieri, poi Classe operaiadove Antonio Negri e Mario Tronti gettavano le basi del futuro operaismo. Di fronte a quello che consideravano come una rottura ancora insufficiente con il leninismo, alcuni collaboratori di Classe operaia come Gianfranco Faina e Riccardo d’Este, futuri protagonisti di Ludd, ne uscivano per fondare il Circolo Rosa Luxemburg a Genova. Scoprivano la rivista francese Socialisme ou Barbarie (che aveva appena cessato di uscire), la cui figura centrale era Cornelius Castoriadis e che costituiva la punta più avanzata in Europa di una critica del leninismo e del progetto di un’“autonomia operaia” di fronte ai partiti e sindacati. A partire dalla fine del 1967, la situazione italiana si radicalizza rapidamente per culminare nell’”autunno caldo” del 1969: non solo nelle università, ma anche nelle fabbriche. La sinistra “extraparlamentare” passò da ultra-minoritaria a essere l’area più in sintonia con delle lotte che sfuggivano al controllo del PCI e della CGIL, e anche alle categorie interpretative tradizionali. Allo stesso tempo, il Maggio francese elettrizzò gli animi e comportò una maggiore diffusione delle tesi situazioniste, soprattutto la “critica della vita quotidiana”.
Dai vari contatti nacque nell’estate 1969 “Ludd – Consigli proletari” in una riunione al Film Studio di Roma. Ebbe almeno quaranta partecipanti distribuiti tra Torino, Genova, Roma, Milano e Trento, tra cui si possono ricordare, oltre a Faina e d’Este, Giorgio Cesarano, Pier Paolo Poggio, Mario Lippolis, Piero Coppo, Eddie Ginosa, ma anche Mario Perniola (tutti maschi, come ricorda Ranieri nella sua introduzione che contiene anche molti spunti autocritici). Una sezione italiana dell’Internazionale situazionista si era già formata all’inizio di quell’anno e mantenne altezzosamente le distanze. Nello stesso anno si formavano anche Potere operaio e Lotta continua – oggetti di forte polemiche da parte di Ludd che li accusava di voler dirigere nuovamente dall’esterno la spontaneità proletaria, di avere dei “capi” e di essere disponibili a una “modernizzazione” o “democratizzazione” del capitalismo. Ludd invece mirava a una “rivoluzione totale” che includeva anche una rottura esistenziale a livello individuale con il modo di vita vigente: la rivoluzione della vita quotidiana.
Il nome era già un programma: il movimento dei “luddisti”, gli operai inglesi che all’inizio del Ottocento distruggevano i telai meccanici, passava nella tradizione marxista come l’espressione di una tendenza infantile o reazionaria del nascente movimento operaio. Il libro dello storico inglese E. P. Thompson sulla formazione della classe operaia inglese, tradotto in italiano nel 1969, ne aveva invece rivelato l’importanza. Aveva ispirato il nome ai giovani rivoluzionari italiani. In generale, il loro orizzonte si muoveva tra marxismo e anarchismo, con uno spiccato interesse per il “consiliarismo”: quella tendenza eretica del movimento operaio che si rifà ai primi soviet e ai consigli durante la rivoluzione tedesca del 1919 nonché alle organizzazioni che ne continuavano il programma tra le due guerre, soprattutto in Germania e Olanda. In Italia questa tradizione di autoorganizzazione operaia fuori dai partiti e sindacati era del tutto assente e veniva scoperta attraverso la Francia. Divenne per Ludd (come per l’I. S.) uno spartiacque nella polemica contro l’operaismo nascente e le sue volontà “politiciste”.
Ludd intervenne con volantini spesso sarcastici e improntati al pamphlet situazionista “Della miseria nell’ambito studentesco”, tra cui una progettata contestazione del festival di Sanremo. Ma il più notevole fu il volantino “Bombe, sangue, capitale” distribuito qualche settimana dopo la strage di Piazza Fontana (12 dicembre 1969) e dove Ludd indicava – primi a farlo dopo il volantino “Il Reichstag brucia” della sezione italiana dell’I.S. – nello Stato il mandante della strage, in un momento in cui anche a sinistra regnava la più grande confusione.
Ma quello che può interessare maggiormente il lettore di oggi, perché meno legato al solo clima di quell’epoca, sono alcuni aspetti degli articoli più teorici del bollettino. Vi si ritrova anzitutto il rifiuto del lavoro e dell’”ideologia”. Gli autori, che si rivendicano «estremisti», constatano che ormai il proletariato è una categoria ben più vasta dei soli operai: l’alienazione e lo spossessamento si estendono alla vita intera, non solo al lavoro, sotto forma di una “colonizzazione della vita quotidiana”. Notano che ormai molti operai agiscono in modo del tutto diverso dai canoni del movimento operaio tradizionale. Ludd fa allora un elogio costante delle “lotte anti-economiche” del nuovo proletariato, del “sabotaggio”, della negazione tanto dell’economia quanto della politica, in nome del rifiuto dei “feticci della merce e del capitale”. La lotta di classe rimane un argomento onnipresente, ma assume i tratti di uno scontro generalizzato tra chi difende il modo capitalista di vivere e chi lo vuole abolire. Non la trasformazione graduale dell’esistente è l’orizzonte, ma la sua distruzione sotto forma di un’insurrezione, rifiutando tutte le mediazioni istituzionali. Ludd polemizza costantemente contro il militantismo e lo spirito di sacrificio: nell’azione rivoluzionaria, mezzo e fine, vita personale e azione collettiva devono coincidere (naturalmente, come ricorda l’introduzione, i membri di Ludd trovano grandi difficoltà a vivere veramente questa rottura e ne derivano forti frustrazioni e tensioni nel gruppo).
Un’altra preoccupazione costante è l’opera dei “recuperatori” (il Movimento studentesco di Mario Capanna è uno dei loro bersagli preferiti) che vogliono canalizzare l’energia negativa del proletariato verso delle riforme, promuovendo al contempo il proprio statuto di leader – non si può negare un grande valore profetico a questi attacchi! Altre volte, le critiche appaiono alquanto ingenerose, per esempio quando; parlando di psichiatria, mettono Franco Basaglia e Ronald Laing nel novero dei “rivoluzionari parziali” che non fanno altro che rafforzare il sistema.
Pur continuando a guardare all’operaio di fabbrica, Ludd elogia le nuove forme di opposizione al capitalismo: le rivolte dei neri negli USA, il sabotaggio, i saccheggi, l’assenteismo, l’illegalità, e anche la criminalità, la malattia mentale, la marginalizzazione. Come i situazionisti italiani, si entusiasmano per il sollevamento popolare di Battipaglia nell’aprile del ’69. Nel bollettino numero 3 (gennaio 1970), Piero Coppo, futuro antropologo e etnopsichiatra, espone una critica della medicina e della psichiatria come strumenti di dominio che critica la stessa antipsichiatria. Ma nonostante il nome, in Ludd si trova appena un inizio di una critica approfondita della scienza, della tecnologia e del regno degli esperti.
Più sorprendente, vista la sua evoluzione successiva, è la partecipazione di Mario Perniola (che era stato in contatto diretto con i situazionisti francesi tra il ’66 e il ’69); il suo contributo sulla “creatività generalizzata” anticipa il suo libro L’alienazione artistica.
Un particolare rilievo assume la figura di Giorgio Cesarano. Aveva già quarant’anni nel 1968, era poeta e faceva parte del mondo culturale milanese. La sua partecipazione agli eventi del ’68 lo scosse durevolmente (la sua elaborazione letteraria di quegli eventi sotto forma di diario, pubblicata nello stesso anno come I giorni del dissenso e La notte delle barricate, è stata riproposta nel 2018 dall’editore Castelvecchi, che ha ugualmente pubblicato uno studio di Neil Novello su Cesarano dal titoloL’oracolo senza enigma). Un suo saggio intitolato “L’utopia capitalista. Tattica e strategia del capitalismo avanzato nelle sue linee di tendenza” apparve nel terzo bollettino. In uno stile a volte pesante (in generale bisogna dire che a Ludd mancava lo stile brillante, caustico e spesso divertente dell’I. S.) vi espone delle idee sviluppate da lui negli anni successivi in Apocalisse e rivoluzione (Dedalo, 1973), Manuale di sopravvivenza (Dedalo 1974) e nell’incompiuta Critica dell’utopia capitale (Colibrì, 1993). Vi espone l’idea di una “rivoluzione biologica” che a partire dal corpo si opporrà a tutte le alienazioni, perfino al linguaggio.
Nel saggio su Ludd, Cesarano sottolinea il ruolo del credito: ormai è socializzato, cioè viene concesso ai proletari, e facilita l’invasione della merce in tutto lo spazio sociale. Lo sfruttamento non si limita più allora alla vendita della forza-lavoro, ma invade tutto lo spazio e tutto il tempo. A causa del debito il proletario è ancora più in ostaggio dei dominanti. Scrive: “Ciò che in realtà l’individuo consuma nella società capitalista è sempre e solo merce e cioè capitale, lavoro morto, organizzato in modo da riprodursi e da accrescersi, e che si riproduce e si accresce proprio nella misura in cui viene consumato”. L’accento messo sulla “merce” come categoria centrale della critica sociale era poi destinato a un importante futuro. La lotta di classe non si presenta infatti più nei termini tradizionali: “Il ribaltamento ideologico operato dai sociologi ‘operaisti’ di ridurre la portata del processo di proletarizzazione universale all’aspetto di una ‘operaizzazione’ di nuovi ceti, da affrontare nei termini di un’analisi sociologica di ‘ricomposizione di classe’, si rivela ormai per quello che è: l’ultimo trucco, l’ultima mistificazione per nascondere al proletariato se stesso”. Diventare proletari non significa dunque più diventare operai. Riprendendo spunti situazionisti, Cesarano afferma che il “proletariato non è più identificabile in entità sociali parcellizzate e statiche – ma poiché ‘o è rivoluzionario o è nulla’ è lo stesso movimento che tende verso la totalità”. (Una definizione talmente “soggettivista” del proletariato comporta, è chiaro, ugualmente dei problemi – ma aveva un’importante funzione in quel momento storico in cui l’operaio di fabbrica cominciava da un lato a perdere la sua centralità, e dall’altro il suo aspetto necessariamente rivoluzionario). Infatti, Cesarano propone di abbandonare “l’immobile personificazione del proletariato” e di valorizzare l’”eterogeneità delle masse che colmano i ghetti dei disadattati, le carceri, i manicomi”, di tutti coloro cioè che non sopportano più le condizioni di vita che vengono loro imposte. Ma questo significa – altra idea assai importante – che “quando la classe tende all’universale e universale si fa la proletarizzazione imposta dallo sviluppo capitalistico, il fronte della lotta di classe passa ormai all’interno delle persone”: se (quasi) ognuno può essere un po’ proletario, in cambio ognuno partecipa anche al dominio e ne riproduce i meccanismi (una conseguenza era, nei gruppi radicali, la ricerca spesso ossessiva e denunciatoria di atteggiamenti “borghesi” in se stessi o negli altri membri del gruppo).
Cesarano articola la critica dell’ideologia che sottrae il significato a ogni atto della vita e del lavoro, ma anche della scienza che perde di vista la totalità. Bisogna far cadere tutta la divisione tra struttura e sovrastruttura (ideologia). Lui oppone, in modo poco dialettico, a dire il vero, il valore d’uso come l’aspetto vivo, da rivendicare, al valore di scambio come aspetto mortifero della produzione e si spinge molto lontano nella ricerca delle origini ultime dell’alienazione, in termini che ricordano talvolta laDialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno: le trova nella preistoria, nel linguaggio e nella natura. “Prima che materializzarsi nel denaro, il valore di scambio si materializza, sacralizzato, nel sacrificio, nel mito, nel linguaggio come accumulazione seriale di significati”. La colonizzazione dei significati conta tanto quanto lo sfruttamento economico: “Qualsiasi forma di schiavitù, prima che misurabile in termini di quantificazione (termini di economia), è sempre qualificabile in termini di subordinazione dell’attività umana allo stato delle cose; così come qualsiasi forma di dominio, prima che quantificabile in termini di accumulazione di valore, è qualificabile in termini di gestione dei significati cui fa capo lo stato delle cose”. È allora logico che per Cesarano si deve arrivare alla “distruzione definitiva del regno delle cose” (qualunque cosa questo possa significare), ad opera della “spontaneità proletaria” fortemente elogiata.
Questo tentativo di rintracciare le cause della non-vita contemporanea fino alla sua dimensione più profonda, biologica e linguistica, porta Cesarano a una febbrile attività di scrittura negli anni successivi, ma anche al suo tragico suicidio nel 1975.
Nell’estate del 1970 Ludd decide di sciogliersi, senza drammi. L’incapacità di andare oltre la teoria e di implicarsi realmente nelle lotte collettive era uno dei motivi messi in avanti. I suoi membri più attivi continuano quasi tutti la critica sociale, ognuno a modo suo, e evitano le compromissioni con il sistema capitalistico cosi come con le organizzazioni “recuperatrici”.
Che cosa se ne può ritenere oggi, a parte il tassello che completa un quadro storico? Il Sessantotto mondiale, questa insurrezione contro il “vecchio mondo”, appare in retrospettiva ben diverso da quello che erano le intenzioni dei suoi protagonisti: ha prodotto non l’abbattimento della società borghese e capitalista, ma la sua modernizzazione. I contestatari hanno aiutato, volenti o nolenti, la società della merce a liberarsi di una serie di anacronismi e di superstrutture obsolete e incrostate, laddove i suoi stessi gestori non erano in grado di operare un tale aggiornamento. Questo fatto è ormai risaputo. Molti si sono accontentati dei cambiamenti – d’altronde grandi – che il “capitalismo progressista” ha introdotto negli anni settanta in tutte le sfere sociali. Ma come in ogni rivoluzione, c’erano stati i momenti dell’”assalto al cielo” in cui sembrava possibile di volere tutto, non soltanto delle briciole. La poesia, ma anche una parte dell’importanza perdurante di questi picchi della storia risiede in quella ricerca dell’assoluto, che sia realizzabile o no. Ludd, per quanto minoritario, e con tutti i suoi limiti, faceva parte di questi “momenti trascendenti” della storia di cui possono nutrirsi i ribelli ancora per diverse generazioni.
Progetto Critica radicale
La critica radicale in Italia: Ludd 1967-1970
Nautilus, Torino 2018