L’Europa può reinventare se stessa? Intervista con il Prof. Costanzo Preve

mag 16th, 2019 | Di | Categoria: Primo Piano

 

a cura di Luigi Tedeschi – 14/03/2008

 

 1) Che cos’è l’Europa per l’europeo di oggi? Qual è l’influenza dell’Europa nella sua vita reale, nella cultura mediatica, nelle sue convinzioni politiche? L’Europa si identifica con la UE, con la sovranità del governo finanziario della BCE, con i ripetuti tagli della spesa pubblica dovuti al trattato di Maastricht, con la perdita del potere d’acquisto dei salari derivata dall’avvento dell’euro e con le infinite direttive europee che limitano e condizionano la vita economica e civile dei popoli. L’Europa si identifica quindi per gli europei con potere coercitivo della UE di derivazione finanziaria e non democratica, sopportato dai popoli europei con una sorta di rassegnazione all’ineluttabile, senza un dissenso che abbia alcuna rilevanza politica. L’Europa, invece, dal punto di vista culturale, viene identificata sulla base delle proprie radici storiche, politiche, spirituali. E quindi il dibattito riguardo l’identità dell’Europa si articola su posizioni estremamente varie e diversificate. Si invocano infatti, a fondamento dell’Europa le radici cristiane, la cultura classica e la concezione imperiale pagana, i diritti dell’uomo di derivazione illuminista. Tali identità, considerate singolarmente, sono in reciproca ed evidente contraddizione. Esse possono in realtà, rappresentare elementi complementari di una sintesi unitaria della cultura europea, non essendo nessuna di esse di per sé sufficiente a costituire univocamente una identità credibile cui un’Europa unita possa far riferimento. Tuttavia, nella contingenza storica attuale, tali identità storico – culturali costituiscono tante visioni ideologiche separate dell’Europa, non essendo tali radici riscontrabili (se non in esigue minoranze del mondo culturale), nei valori morali, nella sfera sociale, nella educazione, nei costumi di vita dei popoli europei. Ci si chiede allora se l’Europa possa avere una identità unitaria, dato che le stesse specificità dei singoli popoli europei sono in estinzione. In realtà la UE costituisce una identità omologante e non unificante. La UE, quale entità sovrana omologante è di per sé negatrice di ogni realtà sia di natura identitaria che ideologica. La UE esprime una sovranità economica che informa le istituzioni, la cultura e la non – identità dei popoli, nel plasmare la materia informe della psicologia collettiva delle masse. Allora, in riferimento alla problematica delle radici europee, ci si chiede come l’Europa possa rendersi indipendente rivendicando l’identità dei popoli, quando essa stessa non possiede una propria identità.

Concordo interamente con i tuoi “dubbi iperbolici” su come oggi si intende costruire l’Europa. A dire la verità, io sono ancora più “radicale” di te. Nell’attuale congiuntura storica infatti (e non in uno spazio-tempo astrattamente razionale, ma per ora inesistente) io sono contro l’Europa, non la voglio, preferirei il mantenimento di stati – nazionali sovrani, collegati evidentemente da facilitazioni commerciali e culturali e da alleanze militari difensive, che non impediscano però la piena ed assoluta sovranità. Se penso questo, è perché oggi, con l’attuale classe politica, con l’attuale classe mediatico – universitaria, con l’attuale senso di colpa collettivo continuamente innaffiato dal peggiore gruppo intellettuale della storia europea dal tempo degli etruschi (di cui parlerò più avanti) la sola Europa possibile è quella dell’impero occidentale a guida USA. Stando così le cose, io non voglio questa Europa. Voterei contro in qualunque referendum, e mi spenderei apertamente per la sua pubblica negazione.

Detto questo, per non lasciare equivoci di sorta, credo che l’attuale Europa si basi su almeno due “errori metafisici”. Prendo l’espressione del notevole filosofo tedesco (oggi dimenticato) Georg Simmel, che considerava un “errore metafisico” il privilegiare i mezzi rispetto ai fini nell’uso degli strumenti tecnici e nel consumo dei beni, per cui l’avere prendeva il posto dell’essere (secondo la corretta formulazione di Erich Fromm), e così la stessa finalità (il vivere bene, eu zen, secondo Aristotele) era cancellata. Il primo errore metafisico è di tipo economico, ed il secondo di tipo culturale. Li segnalerò brevemente entrambi, ma è evidente che il tema è di tale importanza da meritare uno sviluppo maggiore.

Il primo errore metafisico è di tipo economico. Le oligarchie hanno infatti pensato che bisognasse “cominciare” con una unificazione monetaria (l’euro) e commerciale, e che – per così dire – il resto sarebbe venuto dopo automaticamente (come diceva Napoleone, l’intendence suivra). Ma i profili nazionali e gli interessi dei popoli non sono affatto una “fureria” come per le truppe in marcia. Questo economicismo esasperato, ideologia spontanea degli imprenditori e dei loro teologi, gli economisti che mentre fumano la loro pipa-totem emettono mantra in lingua inglese, lingua sacra del capitalismo, non corrisponde per nulla alla vita reale degli individui, delle classi, dei popoli e delle nazioni, ma li stravolge tutti per i suoi scopi. I sistemi scolastici, cresciuti in circa duecento anni di storia in ogni paese per corrispondere al suo profilo nazionale, sono stati distrutti per essere “adattati” ai vincoli comunitari. I professori liceali sono stati degradati a prof e a poco più di animatori sociali assistiti da bande di pedagogisti, psicologi e sindacalisti invasivi (il titolo intero di “professore” è stato riservato ai soli professori universitari, il nuovo sacerdozio cosmopolitico globalizzato), e la stessa università è stata distrutta con corsi triennali ridotti ad esamifici per il futuro lavoro flessibile e precario. La spaventosa inflazione derivata dall’introduzione dell’euro ha comportato di fatto (le statistiche lo testimoniano) l’erosione di trenta anni di conquiste del lavoro salariato europeo organizzato. Il dominio militare Usa non è stato minimamente diminuito, ma anzi si aumentano e si ampliano le basi. In definitiva, l’errore metafisico consiste in ciò, che si vorrebbe che gli europei amassero l’Europa quando la stessa Europa si è manifestata di fatto con un peggioramento delle loro condizioni di vita, l’apertura di un epoca di aspettative decrescenti per la classe media, la precarizzazione e la flessibilizzazione del lavoro dipendente, la degradazione del sistema scolastico e universitario, l’aumento del controllo del dominio militare USA, ecc. È il caso di dire: no, grazie!

Il secondo errore metafisico è di tipo culturale. Si è infatti sviluppato una sorta di “gioco al massacro”, o gioco delle cancellazioni reciproche, per cui la  casta analfabeta e settaria degli intellettuali europei è stata chiamata a “cancellare” le tradizioni culturali che erano odiose a ciascuna scuola. È come se nel mondo antico i platonici, gli aristotelici, gli epicurei e gli stoici fossero stati chiamati a “cancellare” ciò che non piaceva a ciascuno, per cui alla fine l’identità culturale del mondo antico sarebbe risultata o da cancellazioni, o da veti reciproci, o da una sorta di eclettismo concordato per cui erano messi tutti per quieto vivere e per “politicamente corretto”, senza che però nessuno ci credesse veramente. E così abbiamo assistito al demenziale scontro tra fautori “religiosi” dell’identità detta ebraico – cristiana e fautori “laici” della eredità detta razionalistica, illuministica e dei cosi detti “diritti umani di libertà”. In proposito svolgerò due sommari ordini di ragionamento.

In primo luogo, non capisco che cosa voglia dire eredità ebraico-cristiana, a meno che si intenda il fatto che nella Bibbia c’è sia l’Antico che i Nuovo testamento. L’identità ebraico-cristiana naturalmente non esiste, non è mai esistita come fatto unitario, e non esisterà mai, ed il fatto che questo improbabile concetto sia stato coniato deve essere fatto risalire esclusivamente al complesso di colpa per il così detto “olocausto”. L’Europa ha una tradizione primariamente cristiana (senza dimenticare mai un fatto che nel paese di Padre Pio è costantemente dimenticato, e cioè che i cristianesimi sono tre, e cioè cattolicesimo, protestantesimo ed ortodossia, e sono tutti e tre sul medesimo piano), e solo secondariamente ebraica e musulmana. Se ci si riferisce al monoteismo normativo e prescrittivo, allora non c’è nessun profilo binario ebraico – cristiano, ma c’è un profilo ternario cristiano-ebraico-musulmano. Dire ebraico-cristiano oggi significa soltanto escludere l’Islam. Dica pure qualcuno che gli ebrei sono i nostri “fratelli maggiori”. Per quanto mi riguarda, i miei fratelli maggiori sono i greci, i miei cugini primi sono i cristiani, e tra i miei cugini secondi ho anche sia musulmani che ebrei. Nessuno mi costringerà mai a belare accettando ciò che il politicamente corretto mi appiccica al bavero della giacca.

In secondo luogo, non c’è alcun dubbio che il razionalismo moderno abbia prodotto le due teorie convergenti e complementari del diritto naturale (giusnaturalismo) e del contratto sociale (contrattualismo). E tuttavia il fatto che da queste due componenti (e segnatamente dalla prima) sia derivata l’attuale teologia interventistica dei cosiddetti “diritti umani” (ad apertura alare asimmetrica e con bombardamento interventistico differenziato) non elimina un fatto grosso come la catena delle alpi. E questo fatto sta in ciò, che all’interno di questo stesso pensiero europeo la fondazione giusnaturalistica dei diritti umani è stata criticata “in tempo reale” prima da Hegel (e dai successivi differenziati hegelismi di destra e di sinistra) e poi da Marx (tenendo conto che il pensiero marxiano originario deve essere tenuto ben distinto dalle formazioni ideologiche marxiste posteriori, tipo quella egemone di Stalin). Ora, so perfettamente che in questa provvisoria congiuntura storica Hegel e Marx sono stati cancellati come cani morti e consegnati ad irrilevanti gruppi di hegelologi e di marxologi accademici, ma ripeto che questo è dovuto soltanto ad una provvisoria congiuntura storica. È molto probabile che tra cinquant’anni le cose andranno diversamente, e sarà finita l’epoca della fine della storia (Fukuyama), del disincanto verso le grandi-narrazioni (Lyotard) e del cosiddetto (e ridicolo) “patriottismo della Costituzione” (Habermas, Napolitano, ecc.).

Per il momento, parafrasando i giudici “golpisti” di Mani Pulite, possiamo ispirarci ad un solo motto: resistere, resistere, resistere. Nessuna adesione a profili inesistenti come quelli chiamati “ebraico-cristiano” o “dei diritti umani”.

2) Costatiamo come l’identità dell’Europa oggi sia una problematica rimossa dalla coscienza dei popoli, in quanto evocatoria di un fondamentale senso di colpa collettivo di cui l’Europa è vittima. L’Europa è quindi la patria delle colpe originarie. La sua cultura è vista come la sintesi generatrice dei peggiori crimini contro l’umanità, quali l’olocausto e il colonialismo. Il suo peccato originale sarebbe dunque geneticamente connaturato alle sue radici culturali. L’eurocentrismo viene identificato sia col dominio coloniale che con la concezione razziale del nazismo. Al di là del giudizio storico sul colonialismo (epoca tramontata da almeno 50 anni), l’Europa ha lasciato in Africa, Sudamerica ed in minor misura in Asia, una impronta culturale che oggi è parte integrante della identità di molti popoli oggi indipendenti. Tale patrimonio culturale comune può costituire oggi una fonte di dialogo e di confronto in funzione antimperialista nei confronti del dominio globale americano. Ma come può l’Europa svolgere un ruolo di motore politico – culturale per la liberazione dei popoli se è essa stesa ad identificare la propria cultura con il suo senso di colpa irredimibile se non attraverso la rimozione dalle coscienze degli europei del proprio patrimonio identitario? Occorre inoltre aggiungere che l’Europa intera (e non solo l’Italia e la Germania), è stata condannata dal tribunale della storia dei diritti umani istituito dalla superpotenza americana, che, alla luce del proprio primato morale – armato, da Norimberga a Baghdad ha emanato solo sentenze di morte di ispirazione biblica. Il senso di colpa europeo è esplicativo di una subalternità morale e politica dell’Europa, che accetta supinamente la condizione di protettorato continentale americano.

Tu cogli il punto essenziale della questione, quando affermi che senza rimuovere il senso di colpa collettivo di cui l’Europa è vittima ogni ulteriore discussione diventa superflua, inutile ed impossibile. Sono d’accordo -se posso dirlo- al cento per uno per cento. Ma, appunto, qui comincia la discussione.

In primo luogo, l’Europa è vittima, ma è vittima consenziente. Essa è come il masochista che si piega alle frustate gemendo di piacere. Vedremo poi i diversi ruoli delle quattro fonti principali di masochismo, il colonialismo, il fascismo, il comunismo, ed infine l’olocausto ebraico. A mio parere, di fatto solo il quarto conta, e gli altri tre restano del tutto accessori e complementari. Finché il masochismo dell’Europa non verrà curato in modo radicale, le basi USA espiatorio-punitrici continueranno ad occupare militarmente l’Europa.

In secondo luogo (andrebbe da sé, ma è meglio chiarirlo per evitare pittoreschi equivoci diffamatori) quanto dico non significa per nulla che il genocidio ebraico non sia mai avvenuto, e che -se avvenuto- non debba essere radicalmente respinto, deplorato, condannato e ovviamente “ricordato”. Io sono per la totale libertà di parola e di espressione pubblica per i cosiddetti “revisionisti” ed i cosiddetti “negazionisti”, non posso entrare nel merito del gioco dei numeri delle vittime accettate o supposte (non sono infatti mai entrato in vita mia in un archivio storico – sono totus philosophus), ma parto dal dato storico per cui Hitler intendeva realmente sterminare il popolo ebraico in quanto popolo, per un insieme di ragioni razziali (preservare la purezza del sangue tedesco) e di ragioni storico-complottivo-paranoiche (il complotto ebraico compiuto in alleanza informale fra capitalisti finanziari e commissari politici bolscevichi). Per quanto mi riguarda, il genocidio ebraico è veramente esistito (così come quello armeno, che non è per nulla meno odioso e più “giustificato” del precedente). Detto questo, è evidente che esso merita che ne venga coltivata la memoria. Altra cosa, invece, è  il culto religioso della memoria. La memoria è coltivata soprattutto nell’ambito privato famigliare e nello spazio pubblico scolastico, ed ha come fine principale l’impedire il più possibile che fatti consimili possano essere in futuro legittimati e ripetuti. Il culto della memoria non ha questo scopo preventivo ed educativo, ma esercita una funzione di legittimazione di eternizzazione di un senso di colpa collettivo e generazionale permanente.

In terzo luogo, bisogna dire che la cosiddetta responsabilità collettiva e intergenerazionale, spostata nel campo della politica, è una superstizione assiro-babilonese irrazionale, da respingere come si respinge uno scorpione velenoso. Responsabili sono coloro che hanno compiuto i crimini. I giovani tedeschi non sono affatto responsabili per Hitler e per Auschwitz. I giovani russi non sono affatto responsabili per le fucilazioni di migliaia di ufficiali polacchi nelle fosse di Katyn. I giovani italiani non sono affatto responsabili per il colonialismo italiano in Libia ed in Etiopia. I giovani americani non sono affatto responsabili per le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki. I giovani mongoli non sono affatto responsabili per il massacro di ottocentomila persone (800.000) a Bagdad. Ed i giovani israeliani, ovviamente, non sono affatto responsabili per le atrocità del sionismo. Se cominceranno ad esserlo, lo saranno quando cominceranno a massacrare i palestinesi.

Hai dunque totalmente ragione quando te la prendi con al sindrome di colpa, e quando capisci perfettamente che non si tratta per nulla di un giusto risarcimento morale, ma di un rito espiatorio di tipo religioso, tendente a creare un senso di colpa (d’altronde, le stesse analisi di René Girard sulla religione finiscono con il dire cose simili). A questo punto, però, è bene differenziare i fattori da te segnalati.

Per quanto riguarda il colonialismo, sono d’accordo in linea di massima con il tuo rifiuto della colpevolizzazione eterna. Devo però far notare che il colonialismo merita però una autocritica particolare, non tanto e non solo per ciò che è avvenuto in passato ed è ormai consegnato alla storia, quanto perchè oggi l’adesione all’imperialismo USA si nutre ideologicamente anche di una rilegittimazione del vecchio colonialismo. Ed infatti il punto sta qui, e solo qui. Io non voglio stucchevoli cerimonie del “chiedere perdono”, perchè esse sono anzi funzionali al mantenimento del senso di colpa. Vorrei però che l’autocritica ai presupposti anche razziali del colonialismo servisse da premessa all’estensione di questa critica anche all’odierna legittimazione dell’interventismo imperialistico attuale.

Per quanto riguarda il nesso fascismo-comunismo, è inutile negare che io sia a tutti gli effetti un allievo critico di Marx, e che quindi possa essere connotato come un “marxista critico non-pentito”. Ed infatti io sono proprio questo: un marxista critico non-pentito, e quindi un “comunista” nel senso di Karl Marx. E tuttavia, non ho nulla in contrario a che venga istituito un paragone critico fra fascismo e comunismo, come fa il mio amico de Benoist. Non ha infatti senso ripetere che le intenzioni del comunismo erano universalistiche, mentre quelle del fascismo erano razzistiche e particolaristiche. Alle vittime dei lager e dei gulag non importa infatti nulla che nel primo caso le pallottole che gli vengono sparate in testa siano “particolaristiche” e nel secondo caso “universalistiche”. Piuttosto, considero masochista il limitarsi a condannare il fascismo ed il comunismo ritenuti entrambi “totalitari”, con ridicolo effetto di legittimare indirettamente il “terzo assente”, e cioè il liberalismo capitalistico. È questa la radice del successo di quella dotata professoressa di scuola media chiamata Hannah Arendt, eretta a sacerdotessa della critica al totalitarismo, laddove il suo primo marito Günther Anders, dotato intellettualmente cento volte più di lei, resta del tutto sconosciuto.

E tuttavia, l’unico vero fattore di colpevolizzazione europea è la religione dell’olocausto. Che si tratti di una religione è perfettamente chiaro a molti ebrei critici (Joseph Finkelstein, Israel Shamir, Ghilad Atzmon, eccetera). Per usare il linguaggio teologico di una sacerdotessa italiana dell’olocausto (cfr. Elena Löwenthal, “La Stampa”, 19/01/08) “la shoah sfugge drasticamente ad ogni fenomenologia della storia, divina e umana”. Se le parole hanno ancora un senso, significa che il genocidio ebraico (che -ripeto a scanso di equivoci protervi- c’è veramente stato) non può essere paragonato a nulla di quanto è successo nella storia. Ma queste sono sciocchezze inaccettabili, del tutto inutili peraltro per la stessa causa giusta del ricordo delle vittime innocenti di Auschwitz. Tutti gli eventi storici, essendo per l’appunto “storici”, sono paragonabili ad altri eventi storici. Solo gli eventi religiosi, appunto perchè religiosi, sono imparagonabili: la crocifissione di Gesù e la sua resurrezione, i comandamenti dati da Dio a Mosè, le visioni di Budda, le rivelazioni a Maometto, eccetera.

La religione dell’olocausto è il principale fattore di “eternizzazione” del senso di colpa dell’Europa. Per capirlo basterebbero due ore di pacata conversazione razionale. Ma queste due ore sono impossibili per una coercizione sociale esterna. Chi infatti le proponesse verrebbe diffamato come “antisemita” – pur ovviamente non essendolo per nulla- e ben pochi hanno il coraggio di sopportare le conseguenze sociali di questa diffamazione. Nessuna carriera politica o universitaria diverrebbe possibile. Situazione a tutti gli effetti superstizioso-medioevale, per fortuna senza roghi. Ed è già, effettivamente, un “progresso”.

3) Il problema della identità europea è indissolubilmente legato a quello della sua indipendenza. La sovranità europea non è in alcun modo concepibile alla stregua dell’indipendenza nazionale di un popolo, perché l’Europa non è una nazione, ma un insieme assai diversificato di stati. L’Europa è una entità geopolitica troppo grande per essere considerata un’unica nazione e, nello stesso tempo, troppo piccola per essere autosufficiente rispetto alla potenza globale degli USA e delle stesse potenze emergenti, quali la Cina, La Russia e l’India. L’eurocentrismo, oltre che un retaggio del passato, è oggi un lusso che l’Europa non può permettersi. L’Europa è portatrice di un patrimonio culturale che va dalla cultura classica all’idealismo otto/novecentesco di carattere universalistico, aperto al contributo di tutti i popoli extraeuropei che possono potenzialmente essere partecipi dei valori universali originari dell’Europa. L’Europa dunque essere in quanto universalista, altrimenti non è. L’Europa è allora estranea alla problematica schematica sia dello stato – nazione che del cosmopolitismo globale senza radici, in quanto il suo universalismo deriva dalla coscienza di sé stessa, così come, in parallelo, dal riconoscimento delle altre identità diverse da essa. L’Europa è quindi oggi un aperta contraddizione dialettica sia con sé stessa (che non riesce ad essere una sintesi delle diverse specificità dei propri popoli), che con gli altri (che non riconosce sulla base di una propria identità, ma in funzione dell’ideologia cosmopolita dei diritti dell’uomo, che nega ogni radice originaria dei popoli).

Se ti ho capito bene, e non ti ho frainteso, tu sei contemporaneamente contro lo stato-nazione, che consideri ormai sorpassato o troppo debole per contrapporsi allo strapotere economico e militare USA, e contro il “cosmopolitismo globale senza radici”, di cui tu individui correttamente la forma dominante presente nell’ “ideologia cosmopolita dei diritti dell’uomo, che nega ogni radice originaria dei popoli” anche (aggiungo io) scioglie ogni popolo, ogni nazione ed ogni stato in un insieme di individui sradicati, deterritorializzati ed assolutizzati in quella che il filosofo Lukács avrebbe definito “insieme di onnipotenza astratta e di concreta impotenza”.

Sono d’accordo sul fatto che “l’eurocentrismo, oltre che un retaggio del passato, è oggi un lusso che l’Europa non può permettersi”. Non sono però d’accordo – e penso sia bene dirlo francamente – a mettere sullo stesso piano lo stato-nazione e il cosmopolitismo sradicato dei diritti umani. Posso concederti che siano entrambi due mali. Ma il fatto che siano entrambi due mali resta del tutto astratto. Una slogatura ed una cardiopatia sono entrambe due mali, ma quale dei due è il maggiore? Nello stesso modo credo si debba dire apertamente che, fra i due mali, i difetti dello stato-nazione sono meno gravi dei difetti del cosmopolitismo (interventista) dei diritti umani. I diritti umani sono il male maggiore, lo stato-nazione è il male minore. Ritengo che la questione debba essere impostata così, perchè in caso contrario ci condanneremo per sempre ad un pendolarismo impotente del tipo di “nè…nè”, moralmente gratificante, ma che non ci porterà da nessuna parte. Permettimi allora di impostare diversamente la questione, proprio sulla base non del “nè…nè”, ma del “male maggiore…male minore”.

L’ideologia dei diritti umani è in questo momento storico il male maggiore del panorama ideologico internazionale (dico “ideologico”, non  certo filosofico o religioso). In questo momento, essa è una semplice teologia del diritto all’interventismo imperialistico, e come teologia normativa viene insegnata ai giovani studenti dei dipartimenti universitari di studi internazionali, perennemente eccitati all’idea di essere l’equivalente laicizzato professionale dei vecchi missionari (Kosovo, Irak, Birmania, Sudan, eccetera). Mi spiace dover dire una cosa simile, perchè mentre molti filosofi appartengono a correnti apertamente relativistiche (Richard Rorty, Gianni Vattimo, lo stesso Alain de Benoist), io sono invece un vecchio e tenace universalista, della stessa scuola universalistica di Spinoza, Hegel e Marx. Inoltre, ho sempre condiviso la tesi di fondo del filosofo tedesco Ernst Bloch, per cui il diritto naturale è un alleato della dignità dell’uomo. Ma tutto questo non mi impedisce di capire la natura interventistica dell’ideologia dei diritti umani.

Dal momento che l’impero americano ha un fondamento messianico-religioso, e non certamente giusnaturalistico-razionalistico, esso non ha alcun vero interesse per i diritti umani, che sono pur sempre un terreno di dibattito filosofico razionalistico. Ma esso usa strumentalmente questa ideologia, perchè sa bene che essa è il terreno ideale di incontro con la parte più stupida degli intellettuali europei (e cioè la parte che va dal novanta al novantacinque per cento del totale). Questa intellettualità esce da una delusione nei confronti del proprio precedente universalismo, rivoluzionario-comunista o anche moderato-socialista, ed è quindi pronta a sublimare le sue precedenti illusioni con un mutamento di funzione del proprio passato universalismo, che passa così dalla trasformazione sociale al desiderio di punire i dittatori, non importa se glabri, baffuti o barbuti. È anche in questo modo che l’universo simbolico degli USA tiene al guinzaglio tutta questa gente disorientata, confusa e fallita. Bombardare lo Zimbawe! Bombardare il Myanmar! Bombardare il Sudan! Bombardare l’Iran! E se non si può bombardare, almeno embargo, embargo, embargo!

È evidente allora che lo stato-nazione è il male minore, di fronte a questa adunata di invasati “umanitari”! Non  ha forse fatto una cosa meravigliosa il generale De Gaulle, cacciando le basi americane e restaurando il sacrosanto stato-nazionale francese? Non deve forse essere ammirato il grande Fidel Castro, nel difendere lo stato-nazionale cubano? Non sarebbe meraviglioso su unvero stato nazionale italiano restaurasse la sovranità politica e militare, congedando tutte le basi USA e Nato presenti nel paese, in modo che in Italia (che nessuno altro stato nazionale vicino minaccia!) ci siano soltanto militari armati del nostro paese?

Con questo, voglio assicurarti di essere personalmente consapevole che i piccoli stati nazionali non sono sufficienti per resistere e muoversi sullo scacchiere geografico globalizzato. Mi è completamente noto. E nello stesso tempo, l’Europa di oggi è quella dei Solana e dei D’Alema. Pensiamo veramente di fermarli? È molto difficile. Per questa ragione, insisto che una bella indipendenza nazionale (tipo Venezuela e Iran, per intenderci) è comunque un male minore, e quindi un bene maggiore, rispetto al peggio. Ed il peggio è oggi l’ideologia interventistica dei diritti umani.

4) L’Europa è giustamente considerata la fonte originaria dei diritti dell’uomo, della democrazia politica, dello stato sociale. Valori imprescindibili della società civile. Tuttavia in Europa, parallelamente ai diritti dell’uomo, nacque l’economia capitalista, il cui sviluppo si estese, attraverso il colonialismo, a tutto il mondo. Nacque in Europa, e fu esportato quindi nel mondo, un modello di sviluppo che si è affermato a tutt’oggi come universale, quale fonte di progresso ed evoluzione a livello mondiale. Al primato eurocentrico dell’Europa coloniale si è sostituito quello americano, quale potenza imperialista, che impone con la forza delle armi, oltre all’economia capitalista, anche la democrazia e i diritti umani. Come dunque si può constatare, l’imperialismo europeo è stato propedeutico alla globalizzazione. Ci si chiede allora, come l’Europa, che ha diffuso a livello mondiale il modello di sviluppo capitalista, possa oggi rivendicare l’indipendenza dei popoli, costituire un modello di sviluppo alternativo a quello americano, quando è essa stessa ad essere colonizzata da un capitalismo assoluto made in USA e dalla cultura liberal dei diritti umani, da fenomeni cioè da essa stessa generati. Ogni problematica riguardo l’indipendenza europea è destinata a restare prigioniera di questa contraddizione. E’ vero che l’Europa fu anche la patria del fascismo e del comunismo, ma questi sono fenomeni storicamente sconfitti e sono considerati parte integrante del senso di colpa collettivo europeo cui prima abbiamo fatto riferimento. Forse l’Europa, per essere antagonista, deve reinventare se stessa, creare in se stessa un nuovo libero pensiero universale, senza il quale non potrà liberarsi delle macerie del passato e della egemonia politica e culturale anglosassone. Sono queste le linee fondamentali di una auspicabile lotta di liberazione europea?

Credo che tu colga il cuore della questione, affermando che “l’Europa deve reinventare se stessa, creare un nuovo libero pensiero universale, senza il quale non potrà liberarsi delle macerie del passato e della egemonia politica e culturale anglosassone”. Dal momento che condivido al cento per cento questo tuo modo di impostare la questione, ritengo utile problematizzare ulteriormente quanto dici.

In primo luogo, la strategia di legare il carro dei destini europei all’asse anglosassone USA-Inghilterra passa attraverso il concetto di Occidente, e bisogna avere quindi il coraggio mediato e razionale di respingerlo. Se non
si respinge totalmente il concetto di Occidente è inutile poi lamentarsi che l’Europa è messa al carro dell’impero USA, perchè è proprio attraverso il concetto di Occidente che l’Europa vi viene incatenata, in senso culturale, politico e soprattutto geopolitico. Questa è la ragione principale della mia adesione all’eurasiatismo (rivista “Eurasia”, eccetera), che pure ha molte versioni,alcune delle quali personalmente non condivido(come ad esempio l’idea russo-mongolica oppure l’idea politica imperiale). Il concetto di Occidente deve essere respinto senza furberie, distinguo, specificazioni o mezzi termini. Non ha senso dire che  l’Europa è l’unico “vero” occidente, e gli USA sono un “falso” occidente. Oggi c’è un solo occidente, ed è l’unione geopoliticomilitare strategica fra USA ed Euiropa sotto il comando militare americano, che decide sovranamente la politica internazionale facendosi beffe del diritto ed inscenando disgustosi processi biblici contro i leaders sconfitti, in primo luogo i benemeriti Milosevic e Saddam Hussein, fra le oscene urla di consenso del circo mediatico e dei difensori dei “diritti umani”. Devo dire che su questo punto trovo molta confusione, in quarto un mucchio di gente in buona fede, sia a destra che a sinistra, continua a pensare che l’Europa sia l’unico e vero “occidente”. In questo modo faremo come i lemming, che vengono portati ad annegare nel mare dietro il pifferaio di Hamelin.

In secondo luogo (e qui vengo al punto da te evocato) l’Europa ha  nello stesso tempo avviato un processo di mondializzazione, globalizzazione e quindi universalizzazione geografica del modo di produzione capitalistico con tutti i suoi derivati (distruzione delle comunità, indebolimento del potere normativo del monoteismo, distruzione progressiva della famiglia e della figura del padre in particolare, economicizzazione del conflitto, società dei consumi di massa, individualismo generalizzato ed anomico, eccetera), ed un processo di proposta culturale universalistica, che non vedo espresso soltanto nei tre punti da te indicati (diritti dell’uomo, democrazia politica, stato sociale), ma vedo soprattutto in un profilo di libertà individuale all’infuori di ogni vincolo comunitario. Si tratta di una vera e propria unità degli opposti in senso dialettico, perchè la mondializzazione capitalistica distrugge la libertà, o quanto meno la riduce a libertà dell’individuo rispetto ad un consumo di merci di cui abbia però la disponibilità monetaria solvibile.
In ogni caso questo processo storico, iniziato a metà settecento in Europa, è oggi passato integralmente negli USA. Si dirà che l’avverbio “integralmente è scorretto ed esagerato, perchè pienamente capitalistici sono ormai non solo l’Europa stessa ed il Giappone, ma anche l’India, la Cina, il Brasile, eccetera. Eppure vorrei tenere fermo l’avverbio “integralmente”, in quanto qui non si parla tanto dell’esistenza geografica ed economica di rapporti capitalistici di produzione in un singolo paese o in un insieme di Paesi (se così fosse, mi sbaglierei certamente), ma si parla del fatto che gli USA garantiscono in modo imperiale l’unità dei rapporti capitalistici nel mondo, e non si spiegherebbe altrimenti la fittissima rete di basi militari ovunque, che garantiscono certamente in primo luogo l’abnorme livello di consumi interni della superpotenza USA, ma assicurano più in generale l’unità politica e culturale del sistema. Non si spiegherebbe infatti altrimenti l’incomprensibile fatto per cui le oligarchie capitalistiche continuano a fornire basi militari alla superpotenza USA. Il fatto, ad un tempo scandaloso e ridicolo, che gli USA si permettano di allargare la loro base militare a Vicenza a sessantatre (63) anni dalla fine della seconda guerra mondiale, con la scusa di difenderci dalla minaccia dell’Iran o della Corea dei Nord, e che su questo punto non vi siano differenze fra Berlusconi e D’Alema, Fini e Prodi, eccetera, è il segreto di Pulcinella di questa configurazione geopolitica mondiale.
Detto questo, quali dovranno essere i fondamenti di questo “nuovo libero pensiero universale” da te auspicato? Qui finiscel’intervista, e dovrebbe cominciare la vera discussione, fatta tutta al di fuori del circo politico, del circo mediatico, del circo universitario, e del circo degli intellettuali politicamente corretti con l’accesso garantito alla comunicazione sociale.

 

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