IL BUCO NERO DELL’ISLAM. (2/2)
apr 25th, 2019 | Di Thomas Munzner | Categoria: Politica Internazionale
Pierluigi Fagan
[ Proveniamo da questa prima parte del ragionamento. In questa seconda parte scenderemo dalle premesse storico-strutturali dell’Islam, alla più stretta attualità incarnata da quel Isis di cui molto si parla e discute. Per la completezza del ragionamento si consiglia di leggere anche le note, sopratutto l’ultima.]
PARTE SECONDA: Il potere di ridurre il Molteplice ad Uno.
Ricostruito il quadro delle linee di significato e di forza dell’Islam storico, possiamo provare a dare una prima interpretazione dei fatti che abbiamo e stiamo osservando nelle cronache recenti, ci riferiamo al problema del fondamentalismo, del terrorismo, delle guerre mediorientali, delle cosiddette primavere, del nuovo califfato dell’Isis (Isil, Is, Da’ish). Per operare questa interpretazione dobbiamo però prima sospendere la presenza, il ruolo ed i condizionamenti e distorsioni che un attore esterno, porta nella dinamica: l’Occidente.
Sia nel bene di coloro che ritengono che ogni cosa che accade nel mondo riguardi chissà perché la nostra civilizzazione, sia nel male di color che ritengono che tutto ciò che accade nel mondo è colpa nostra, gli occidentali trattano l’Islam sempre e solo come una materia la cui forma è data da noi, dai nostri interessi. L’Islam non ha sostanza a sé, ma è sempre trattato come sostanza per noi. Chi scrive non pensa ciò sia sempre errato, anzi. E’ dato storico incontrovertibile che noi ci si sia occuppati ed impicciati fin troppo di quello che succede nell’Islam. Chi scrive già segnalò l’assurdità per la quale noi interveniamo in ogni dove, distorcendo la dinamica storica degli altri e domandava per paradosso cosa saremo noi oggi se una potenza straniera fosse intervenuta nella nostra guerre intestine, nella nostre rivolte e rivoluzioni, nella nostre dialettiche storiche perché preoccupata della piega che stavano prendendo gli eventi, dal “suo” punto di vista. Immaginiamo la civilizzazione “Altri” che interviene in forza nella Parigi del 1789 perché legata in affari o interessi vari alla monarchia regnante. Cosa sarebbe oggi “Occidente” senza quel momento storico, Napoleone, il ’48 e tutte le catene delle loro conseguenze? Come produrre anticorpi se non si prendono malattie? E come si superano le malattie se qualcuno ha interesse a tenerci malati? Quale nevrosi di civiltà (oltre quelle che abbiamo) si manifesterebbero dopo una serie interminabile di coiti interrotti e repressi da un tutore-tiranno, interessato e spesso in conflitto d’interessi, che decide cosa è bene e cosa è male (per lui), noi si faccia?
Dobbiamo quindi dare per assodato che dietro i fatti di cronaca recente (guerra in Siria, Isis, Libia, curdi etc.) vi siano pupari occidentali ed israeliani che tentano di gestire la loro parte di sceneggiatura, ma una cosa è gestire i fenomeni, altro pensare essi si possano creare in laboratorio. Si fa torto alle altre civilizzazioni ed alla possibile loro comprensione se di ogni fatto, di ogni dinamica, di ogni significato storico riguardi loro, noi si legga lo sviluppo sempre e soltanto da dietro le lenti distorcenti dell’occhiale occidentale. Così come non si può immaginare che il movimento fondamentalista nasca e si sviluppi del tutto spontaneamente, non si può ridurlo ad una covert operation dei servizi segreti occidentali o israeliani i quali, per altro, ben sanno che i movimenti non si creano dal nulla, si incoraggiano, si sfruttano, si orientano, si usano.
Questa misinterpretazione che a sua volta è una riduzione di complessità, è animata da una sbrigativa passione per la semplificazione dialettica per la quale ci sono A e B, se non A allora B, o A o B. Gli arabi non hanno passioni, sentimenti, ragioni, interessi, trame storiche, sono solo pupazzi che l’Occidente manovra. Così facendo, ci è preclusa la comprensione di cosa potrebbe essere un mondo multipolare, poiché non vediamo gli attori plurali che agiscono sulla scena, le loro contraddizioni, la dinamica complessa dei loro interessi e della loro condizioni di possibilità. Invito dunque a riporre per un momento gli occhiali occidentali (stante che essi rimangono nelle nostra costituzione mentale di cui non ci posiamo spogliare se non perdendo la nostra stessa facoltà interpretativa) ed a tentare una interpretazione dei fatti islamici partendo dal loro contesto e non dalle nostre proiezioni su di esso.
La nostra tesi è che proprio in funzione del futuro, di un mondo sempre più multipolare, quindi ricco di opportunità ma anche di potenziale disordine ed in funzione di due previsioni assai probabili, l’una che dice che l’Islam crescerà e di molto, l’altra che dice che il potere della ricchezza araba è a termine poiché le fonti energetiche stanno o hanno superato il picco, altre se ne cercano e trovano da altri parti, altre forme di energia prima o poi verranno cercate e trovate, qualcuno nell’area arabo sunnita, lì dove origina il fenomeno islamico, si sta ponendo il problema del suo futuro ordinamento. Questo qualcuno è il centro naturale del fenomeno islamico, cioè il mondo arabo ed all’interno del mondo arabo il centro del centro: il mondo politico e culturale arabo saudita quale buco nero dell’Islam.
Buco nero sta qui come metafora delle nuove conoscenze che abbiamo sulle galassie. Sembra infatti che al centro di ogni galassia in rotazione ci sia un buco nero che è anche l’unico oggetto che non ha orbita e che con la sua enorme massa gravitazionale risulta il perno, il motore immobile intorno al quale tutto il resto ruota, per sfuggire alla fatale attrazione (Aristotele ne giorebbe!). La dialettica (diciamo così) tra la forza gravitazionale e la velocità di fuga crea l’oggetto galassia che è un oggetto in equilibrio dinamico tra la fatale attrazione del centro che inghiotte tutto ed ontologicamente annulla l’oggetto di cui è centro e la spensierata libertà di fuga che però annulla lo stesso l’ontologia dell’oggetto galassia, per dissipazione. Si tratta dunque di vedere i rapporti tra Arabia Saudita e mondo arabo e tra mondo arabo e mondo islamico in dilatazione (che è anche fuga dal punto di vista della purezza del significato di Islam) per vedere il ruolo centrale del buco nero arabo-saudita-hanbalita-wahhabita.
Vediamo allora alcuni eventi recenti con gli occhiali sauditi e non con quelli occidentali, anche se lenti diverse possono pur avere una messa a fuoco coincidente.
Guerra in Afghanistan. In Afghanistan era in corso un tentativo di fondamentalizzazione dopo che la società afghana aveva tentato addirittura la carta del socialismo seguita da una restaurazione di un governo probabilmente manovrato dagli occidentali, invasione dei russi etc. L’Afghanistan si presentava come caso esemplare per tutto il destino degli equilibri islamici nel centro-Asia, nell’area pakistano-indiana, nel confine sunnita (afgano e pakistano) vs quello sciita (Iran) in una zona propensa all’adozione di sincretismi derivanti dall’antichissima tradizione di origini indoeuropee. La fondamentalizzazione un po’grezza dei talebani al-qaedizzati, ad un certo punto è stata sacrificata per dar sfogo alla “comprensibile reazione” all’11 Settembre, stante che in obiettivo si aveva una seconda e più importante mossa: l’Iraq di Saddam Hussein.
Ecco quindi la guerra all’ Iraq in cui c’era un partito, il temibile partito Ba’th, lo stesso del siriano al-Assad, temibile perché panarabo quindi rivolto allo stesso ideale dell’Umma musulmana sebbene secondo un ordinatore politico e non religioso, interreligioso nella fondazione (fondato da un alawita quindi sciita, un cristiano ortodosso ed un sunnita) e temibile poiché orientato almeno all’origine come “socialista”. Oltre al partito c’era anche un leader laico, sebbene sunnita. I rapporti tra laicità e concetto dell’Islam sono assai innaturali dal punto di vista dei fondamenti, ogni laicizzazione o secolarizzazione è possibile, forse per alcuni anche auspicabile ma bisogna riconoscere che dal punto di vista della logica del sistema islamico (che è un sistema con un ordinatore religioso, non politico o economico o militare o culturale che sono i cinque pilastri di ogni forma di civilizzazione) essi sono innaturali ed assai problematici. Ad esempio configgono con il concetto di Umma (dal punto di vista religioso) che è assai più concreto e meno vago dell’ecumene di origine greca o di cristianità. La distruzione dell’Iraq è stata integralmente addebitata all’interesse americano ed in sub-ordine a quello israeliano, ma si ricordi che la materia prima dell’11 Settembre, i presunti attentatori, erano tutti arabo-sauditi.
Poi abbiamo operazioni fondamentaliste occasionali in India ed Indonesia zone dall’alto contenuto disordinante per la purezza dell’Islam, aree in cui il fondamentalismo ha agito in aperto contrasto alla possibilità di conseguire qualsiasi concreto obiettivo politico che non fosse “l’avvertimento”, il “segno” rivolto più alla comunità islamica generale che non quella specifica.
Segue la sequenza delle cosiddette “primavere arabe”, tutti eventi avvenuti in paesi laici o quasi laici: Tunisia, Egitto, Libia, Siria, con tentativi non chiari in Yemen e con una onda lunga, subito contenuta, in Turchia. Per sbaglio (cioè spontaneamente) si accende anche il Marocco ma nessuno ha reale interesse nel destabilizzare il Marocco e la cosa presto rientra.
Nel mentre, operazioni fondamentaliste sub-sahariane, di monito alle nuove forme islamiche del Mali, Niger, Nigeria[i] etc. ed anche rivolte a gli algerini che vanno un po’ per conto loro, nel mentre la versione somala diventa egemone del proprio territorio. Più ci si addentra nel centro Africa (la nuova frontiera dell’espansione islamica) più il sincretismo tra Islam e culture tribali animistiche è un dato di fatto, tanto inevitabile, quanto sgradevole a gli occhi di chi non concede alla shari’a possibilità adattative ed interpretative, anche perché così perderebbe il controllo del sistema di cui è centro.
Alcuni casi vanno visti meglio da vicino. Nel caso libico abbiamo un leader che se vantava a parole, talvolta, l’identificazione totale con l’Islam, nei fatti però era una scheggia impazzita del tutto individuale. Gheddafi più che un laico sembrava addirittura un agnostico-ateo ed oltretutto, al momento dello scoppio della crisi, era impegnato in un ambizioso tentativo di egemonizzare l’islamismo africano in una mixture di black power, anticolonialismo, Islam identitario afro-arabico. Gheddafi era in odio ai sauditi e compagni (Qatar, Emirati) dal celebre scontro tra rialzisti (Iraq, Algeria, Iran, Venezuela) e ribassisti (monarchie del Golfo) nell’Opec anni ’70. Oltretutto pare si fosse messo a vagheggiare un cambio di valuta nella vendita del petrolio. La Lega araba si riunisce tre settimane dall’inizio delle ostilità in Libia e consente la no fly zone ma non l’intervento militare occidentale, poi però i “golfisti” inviano mezzi e uomini e contribuiscono non poco alla legittimità islamica dell’abbattimento del regime di Tripoli, continuando sino ai giorni nostri a etero-dirigere la distruzione per cannibalizzazione, via tribalizzazione, di ogni forma istituzionale in Libia.
Nel caso egiziano, i Fratelli musulmani (che ricordiamolo sono hanbaliti, quindi rivolti all’area del -ritorno ai fondamenti- anche se con metodi e prassi “sociali” e dal basso, invise ai wahhabiti) hanno svolto un ruolo molto periferico nelle rivolte che portarono alla destituzione di Mubarak, salvo poi proporsi come nuovo ordinatore. Morsi viene destituito perché l’Egitto tutto è tranne che fondamentalista, è forse il paese arabo meno islamico ci sia[ii] . Ricordiamo che l’Egitto è il paese più grande della zona araba, demograficamente parlando, ha l’esercito probabilmente più grande ed efficiente è egemone dal punto di vista della cultura soprattutto civile, popolare, di massa ed anche “alta”. Dopo 60 anni di oggettiva alleanza tra i Fratelli ed i sauditi, una volta che Morsi esprime la sua presidenza e la sua visione pan arabica ed egalitaria del modello della Fratellanza ecco da parte saudita il repentino cambio d’atteggiamento, l’attivo supporto al colpo di stato militare ed il recente inserimento della Fratellanza nella lista dei terroristi secondo Ryad. Una bella faccia tosta.
Il caso siriano è il più interessante. La Siria è un paese a maggioranza sunnita ma con una componente sciita. E’ sciita in particolare, la famiglia del presidente al-Assad (dello stesso partito Ba’th di Saddam), ma di una fazione sciita assai irregolare che ha forti influssi gnostici che crede nelle ipostasi (una vecchia eredità neoplatonica che si ritrova anche nella quaballah ebraica) e puzza di politeismo o enoteismo. Si ricordi che la Siria fu storicamente, il crocevia intellettuale della tarda antichità, lì dove gnostici anche di origine ermetico – sapienziale egiziana, s’incontravano con neo-platonici di origine greca, cristiani delle origini (non normalizzati, cioè eretici)- mazdei, caldei e mesopotamici di varie forme. Poiché l’Islam è un fenomeno che origina dalle tribù e clan seminomadi meccani, cioè della fetta di penisola araba stretta tra Mar Rosso e deserto (Hijaz) , esso divide il tempo in due: la Jahiliyya ovvero età dell’ignoranza (la primitività) ed il periodo successivo che inizia ai quarantanni del Profeta (circa 610 d.C.). Ne consegue che in tutti i paesi in cui prima del 610 d.C. ci fu cultura, fatti e civiltà di un certo rilievo, si sovrappone un codice che negando ampie porzioni delle radici storiche, crea situazioni precarie e contraddittorie: casi in cui il diavolo fa la pentola ed anche i coperchi ma non le valvole di sfiato. Egitto e Siria sono casi del genere, casi a cui sono sfuggiti la Turchia per varie ragioni tra cui la diversa identità etnica e la storia ottomana e l’Iran-Persia che infatti è sciita, in cui la teologia, la giurisprudenza e i rapporti con l’entità politica e con la stesa filosofia sono ben differenti da quelli in ambito sunnita. Convincere egiziani o siriani che prima del 610 essi erano primitivi ed ignoranti è assai problematico. Tra le fazioni che hanno combattuto al-Assad dalla prima ora, troviamo l’Esercito siriano libero che ha origini laico-militari (semmai è veramente esistita una realtà non fittizia con queste credenziali, cosa dibattuta); una variegata miriade di sigle salafite (molte appartenenti o ex-appartenenti al network al-Qaeda) che hanno tutte origine sunnita-fondamentalista e poi il famoso Isis-Isil-Is-Da’ish (noi useremo ISIS per l’identificazione). Cos’è l’Isis?
ISIS
L’ISIS ha compiuto alcuni atti, di cui molti simbolici, di grande significato che noi prenderemo “sul serio”, a cui cioè dedicheremo una curiosità non minimizzante. Per definirlo, non ricorreremo ai vari “dietro le quinte”, incerti, confusi da una fitta nebbia di punti di vista ed interessi eterogenei, ma dal suo fenomeno evidente, da cose che si possono osservare nel suo comportamento manifesto.
- Il loro comandante si è proclamato “califfo”. Il califfo (a cui corrisponde in ambiente sciita l’imam sebbene questi abbia funzioni parzialmente diverse) è un figura di riferimento di grande importanza per tutto l’ambiente islamico sunnita, quindi per il circa 90% dei musulmani. Egli è il vicario o successore addirittura di Maometto e svolge la funzione di capo militare e politico con limitati risvolti spirituali (non prevedendo l’Islam una centralizzazione ed un clero in fatto teologico) per tutto l’Islam. Ma il califfato (ottomano) termina nel 1924 ed anche in ragione della successiva divisione in stati e nazioni, nessuno si è più sognato di riproporlo poiché il califfato prevede l’unità dell’Umma ovvero l’unità, anche politica, di tutti musulmani quindi il superamento degli stati nazionali e dei relativi poteri ed interessi.
- L’organizzazione fonde alcune altre precedenti autonome attraverso la riproposizione del “Patto dei profumati” ovvero la riedizione di un mitico accordo tra clan rivali della Mecca, una alleanza federale, addirittura di epoca pre-Maometto che ha un preciso significato nell’immaginario musulmano.
- Esso dichiara che prima di scontrarsi con Israele, il nemico da abbattere è Hamas, ritenuto gruppo apostata, inverte quindi la logica dello jihad che prima deve far pulizia dentro l’Islam e semmai dopo rivolgersi ai non islamici[iii]. Sino ad oggi si è dedicato proprio ai nemici interni secondo una certa visione dell’Islam e secondo una strategia che è inversa rispetto ad al-Qaeda.
- Dove opera l’Isis viene imposta la shari’a più stretta ancorpiù coranica che non sunnitica, secondo la visione hanbalita-wahhabita più estrema. L’Isis non si dichiara salafita e pare che la sua dottrina interna di riferimento sia proprio quella di Abd-al-Wahhab.
- Si propone di superare l’accordo Sykes-Picot, accordo coloniale anglo-francese del 1916 che definì più o meno gli attuali confini in cui è divisa l’area (lo stato-nazione è un concetto del tutto refrattario alla logica dell’Umma coranica che ricordiamolo, proviene da tempi animati da tribù seminomadi vagheggianti in gradi spazi aperti). Superamento dello stato-nazione previa demolizione controllata degli stati, Umma-califfato, un unico potere politico per una unica moschea per un unico dio.
- La capitale del nuovo stato islamico è al-Raqqa, nel nord della Siria e lì vicino accadde qualcosa di molto significativo per la storia dell’islam soprattutto per quanto riguarda la sua divisione. Lì infatti, nella Battaglia di Siffin (657) si venne a creare la spaccatura che porterà alla divisione tra la tradizione (minoritaria) sciita e (maggioritaria) sunnita, nonché alla fazione kharigita oggi quasi del tutto scomparsa (e c’è chi accusa ISIS di essere proprio un’incarnazione kharigita che è come accusarli di apostasia, il che nell’Islam è accusa assai grave. Questo qualcuno è al-Qaeda ovvero il progetto fondamentalista perdente che è in disgrazia, superato da quello che chiamiamo Isis, e con quell’accusa vuole screditarlo sul suo stesso terreno, quello della purezza).
- Da tutto questo retroterra simbolico non è quindi un caso che le concrete azioni di guerra o aggressione si siano rivolte contro il governo iracheno (sciita) e siriano (sciita-alawita), contro ogni minoranza stanziale sul Dar-al-Islam (la terra sacra dell’islam) ovvero cristiani, yazidi, zoroastriani, curdi, la Moschea Giona di Mosul “meta di apostasia”, la tribù Chaitat in Siria ed da ultimo libanesi.
- La presenza su Internet dell’Isis, secondo gli esperti del settore, raggiunge i picchi di qualità occidentale e dice di una sofisticata e ben organizzata volontà culturale nella loro personale interpretazione della jihad. Dopo siti, bandiere di seta nera, magliette, ci aspettiamo i mouse-pad e le immancabili mugs (tempo di scrivere il pezzo e nel frattempo l’ironia è diventata realtà, qui).
Sappiamo dell’alto livello organizzativo di questa entità, il suo manifestarsi quasi all’improvviso e già bella matura, dotata di belle divise uniformi ed armamenti sofisticati e pronta ad una operatività non spontaneistica, sappiamo della sua ricchezza e sappiamo che dietro ci sono capitali del Golfo, interessi americani e forse anche israeliani, connivenze turche. Ma a noi interessa domandarci a quale concreto progetto, tutto ciò fa capo? Un progetto che “parla” all’Islam non in maniera improvvisata, ben motivata, ben dentro la complessità culturale che lo connota, con piani precisi, con uno sforzo continuo nell’usare “simboli” e costruire quindi una grande narrazione che ha un fine non campato per aria ma solide radici e che va incontro ad un problema tutt’altro che inattuale: come dare senso unico alla molteplicità espansiva dell’Islam contemporaneo e futuro? Quale autorità unica, per una unica moschea che risponda all’ordinamento dato dalla religione del dio unico?
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La domanda è retorica perché la risposta è stata premessa ed è la nostra tesi che l’Arabia Saudita (con alcune altre monarchie del Golfo) abbia un disegno egemone (imperiale diremmo in occidente) ben chiaro. Unire e controllare omogeneizzandole le realtà arabo sunnite. Omogeneizzare significa preventivamente disciogliere le strutture statali (Iraq, Libia, Siria), obiettivo che ha molti interessati nelle regione (tra cui Israele) ed anche fuori (gli USA, l’UK, la Francia). Già si è operato e si sta operando per spaccare le strutture della Libia, della Siria e dell’ Iraq[iv] , poi potrebbe essere la volta della Giordania tenuto conto che tra la famiglia saudita-wahhabita quali custodi di Mecca e quella hashemita giordana vi è una storica competizione per rivendicare il diritto all’eventuale califfato. Ma anche il Libano poiché si sta cercando un solido sbocco al Mediterraneo (inversione dei flussi petroliferi?). Si potrebbe poi vedere cosa succede allo Yemen (dove c’è da sistemare la faccenda degli huthi sciiti) ed all’Oman (dove c’è da sistemare gl’ibaditi-kharigiti), sempre che non torni d’attualità l’altro bersaglio grosso ovvero l’Egitto o l’Algeria.
La strategia sembra quindi voler porre l’Isis oltre che come costruttore del califfato anche come punto di riferimento per l’intera galassia fondamentalista trans-islamica, di modo da orientare questa nelle operazioni in tutto l’Islam anche il più eterodosso e con ciò, tenere a bada ogni eventuale eccentricità. Isis sembra essere un progetto 2.0 che supera ed evolve quello di Al-Qaeda con la quale, infatti, è in concorrenza. Isis bada all’Islam più che all’Occidente ed è una struttura compatta invece che federativa. Controllare o provocare in remoto, eventi africani, caucasici e quindi anche russi, centroasiatici e quindi anche cinesi, indo-asiatici e fornire un modello identitario forte per i musulmani occidentali, il suo scopo. Già si manifestano molte defezioni dal sistema al-Queda in favore del nuovo sistema Isis i cui relativi successi stanno catalizzando tutti i giovani musulmani sia dell’Islam interno, sia coloro che ne vivono fuori. Un modello storicamente fondato, credibilità del poter perseguire il progetto e di poterlo offrire come alternativa concreta, come “cosa che si può (e deve) fare”, ora e qui.
Il califfato sarebbe la premessa di un porre il potere sul mondo arabo mediorientale in mani saudite/golfo (basato sullo standard dei “fondamentali” islamici), relativizzando Turchia (che pure partecipa ma con sue ragioni strategiche a questo primo tratto di sviluppo della strategia in Siria), Iran ed Egitto, depotenziando i due pericolosi confinanti, smembrandoli (Siria e Iraq), ed acquisendo anche nuovo petrolio e sopratutto un altra ricchezza poco notata nei commenti, acqua, molta acqua. Garantire all’Arabia Saudita un ampio potere politico ed un deciso peso geopolitico in chiave multipolare, visto che il suo peso economico-finanziario potrebbe ridursi e quello demografico è irrisorio e gonfiato da autodichiarazioni ed immigrati-schiavi. Questo obiettivo dell’unione dei sunniti “veri”, va preso come un “tendere a…”, non cioè come cosa che si realizzerà nella sua compiutezza, non certo tutto realistico ed immediato e certamente ad un certo punto, l’Isis sarà formalmente sacrificato (almeno in SyrIraq) come già lo furono i talebani, per permettere all’Arabia Saudita di comparire in prima persona o tramite un potere sunnita tradizionalista locale, appena più presentabile dei tagliatori di gole. Lungo questa via, l’istituzione di uno stato (califfale) che spacchi Siria ed Iraq (portando alla definitiva tripartizione sciiti-curdi-sunniti), sarebbe già un grande successo, un precedente, un modello, un segnale che in questo riassestamento epocale della zona, avrebbe una importante valenza “culturale”.
L’ISIS non è che il braccio operativo di questa strategia, quanto sta accadendo non è che il deployment di questa stessa strategia. Controllare riformulandolo il cuore arabo a guida Hijaz, di modo che questo possa provare a controllare l’Islam. Ridurre il Molteplice all’Uno, far ruotare la galassia intorno al buco nero[v] .
Tentano di farlo usando l’ordinatore religioso, il più universale e profondo ma anche il meno determinante (il meno preciso). Intendono farlo usando l’ordinatore in versione originaria, semplificata, tradizionale, fondamentale ma queste qualità derivano da un periodo storico più semplice, un periodo storico che aveva una struttura oggi irripetibile. Dall’analfabetismo di Maometto al suo essere l’ultimo, il “sigillo dei profeti” colui che chiude per sempre la serie, dal giustificare la rivelazione come ultimo avvertimento di un Dio stanco di non esser ascoltato e mal interpretato alla diffidenza per la stessa teologia speculativa (per non dire della filosofia di cui gli arabi hanno intuito meglio dei greci stessi, il potere antagonista vs la fede), dall’assenza di clero ai limiti ermeneutici autoimposti di continuo nella storia dei rapporti tra testo-fede e comportamenti concreti, la struttura di questa interpretazione che vuol ordinare il Molteplice all’Uno tenuto saldamente in mano dai Pochi (i clan dominanti l’Hijaz arabo) è la stessa di chi vuol fare di tutto il mondo un mercato in mano a coloro che detengono le fiches del gioco (i clan banco-finanziari occidentali). Ma questa tendenza che come abbiamo visto ha antecedenti storici profondi, è sistematicamente avversata dall’altra, la diversificazione per adattamento a contesti storico-locali eterogenei, la dialettica irriducibile si riproporrà e dal rimbalzo all’Uno, ci si può aspettare un contro rimbalzo al Molteplice.
Questa strategia è una riduzione ad Uno della quale non si può discutere nulla, quindi integrale, è una struttura che vuole ordinare il Tutto, quindi totalitaria. Siamo sempre e sempre di nuovo alla stessa struttura fondamentale della riduzione di complessità, Pochi vs Molti, una struttura che sebbene la si voglia vestire di religione o di economia o di forza militare o di sapienza è intrinsecamente sempre e soltanto una struttura politica. Relativa cioè ai modi in cui le persone regolano la loro convivenza. E’ questa struttura che oggi entra in fatidica tensione, qui come in Occidente ed entra in tensione perché l’ambiente umano e quello fisico che l’umano ospita ha raggiunto livelli di complessità oggettiva forse non più così meccanicamente riducibili. Anche i clan del’Hijaz come quelli di Wall Street (che non a caso sono grandi amici) vanno incontro a grandi falcate verso una possibile crisi adattativa e noi con loro, fintanto che a loro delegheremo la decisione su i modi di stare al mondo. La riduzione all’Uno è un po’ come il ritirarsi delle acque prima dell’onda di tsunami, è il ritorno ai fondamentali, alle origini, alle certezze dell’ordine semplificato, prima del liberarsi di una nuova fase storica.
La multipolarizzazione planetaria è il nuovo scenario al quale andiamo incontro. Come gli anglosassoni tentano il ricompattamento dell’Occidente, un ritorno ai fondamentali ed alle identità-storico culturali ispira tanto i russi-ortodossi, quanto gli arabi-sunniti, ma anche gli indiani del nazionalismo hindu e presto anche gli altri asiatici. Ognuno si sta apprestando a definirsi e compattarsi, prima di affrontare le nuove e complesse relazioni esterne. Le frizioni tra i bordi di queste nuove zolle storico-culturali saranno i primi effetti di questa ripresa della geo-storia e forse molte entità fragili che si trovano su i bordi si spaccheranno. Che alla lunga fase dell’ordinarsi planetario secondo i principi dell’economia, faccia seguito una fase più complessa che includa l’ordinarsi secondo principi religioso-culturali può essere un bene come un male. La differenza sarà data da quanto l’unico principio in grado di ordinare il nuovo e complesso mondo, avrà possibilità di esprimere una sua logica autonoma: il principio politico.
Ma il principio politico non può agire se non a seguito di una teoria, una nuova teoria-mondo che oggi né esiste, né sembra avere tradizioni. E se non si vedono costrutti culturali politici rivolti all’esterno, non si notano neanche quelli rivolti all’interno. Decenni di ordinamento economico occidentale hanno desertificato la teoria politica rivolta agli stati ed all’autorganizzazione dei popoli. Il sistema parlamentar-liberale è ancillare rispetto al sistema economico è sconta quindi una debolezza intrinseca, quello social-comunista è stato diroccato dalla storia, quello democratico è inquinato e corrotto e nella sua forma originaria (la democrazia diretta e diffusa) è sconosciuto e dimenticato dai più. Trionfa quindi dappertutto il ritorno ai Pochi, che siano oligarchi econo-finanziari o aristocrazie di partito o di etnia o di fede o militari. E’ questo trovarsi in una situazione del tutto nuova e del tutto inedita che intendiamo, quando parliamo del problema di “adattamento alla complessità”. Stiamo per affrontare qualcosa di molto nuovo e sconosciuto, ritirandoci in qualcosa di molto vecchio e tradizionale. All’incipiente disordine, si reagirà con un irrigidimento progressivo verso l’alto dei vari sistemi geo-cultural-politici, che è l’esatto contrario di quanto dovrebbe fare un sistema per adattarsi ad un ambiente sempre più complesso.
A questo problema abbiamo dedicato gran parte delle ricerche qui pubblicate ed ad esso continueremo a dedicare le nostre attenzioni e sforzi di comprensione ed analisi. Le cronache del mondo nuovo sono appena all’inizio.
(Fine. 2/2)
Arabia Saudita in breve:
L’Arabia Saudita è uno stato islamico (l’unico propriamente tale, fino ad oggi) basato su un monarchia assoluta ereditaria, basata su una unica famiglia che in “intima riunione” stabilisce la successione e la cui “costituzione” è la shari’a. Non si svolgono elezioni, non vi sono partiti, sindacati, possibilità di manifestare. Gran parte della sua popolazione era nomade o seminomade ancora negli anni ’60 del ‘900.
E’ vietato ogni altro culto che non sia islamico, l’apostasia è perseguita con la condanna a morte. E’ il 45° stato per popolazione (ma più di un quarto sono immigrati soprattutto filippini e come tutti gli altri immigrati in condizione praticamente schiavile) ma il 9° per spesa militare, il secondo per rapporto tra spesa militare e popolazione dopo gli USA. Mentre la popolazione aumenta, i proventi delle vendita del petrolio diminuiscono. Il reddito pro-capite ha registrato il record storico di contrazione da quando esistono tali registrazioni, passando dai 25.000 US$ del 1980 a gli 8.000 del 2003. Facenti parte del corpo statale i mutawwi’in, commissari per la propagazione della virtù e la prevenzione del vizio, una polizia religiosa. Non è ovviamente rispettata la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la pena di morte per decapitazione è stata eseguita 26 volte solo nello scorso Agosto 2014, non sempre si tengono processi a riguardo e l’intera procedura giudiziaria è assai opaca. Sono regolarmente comminate la fustigazione, il taglio di piedi e mani, secondo Amnesty International e Human Rights Watch è regolarmente applicata la tortura. L’Arabia Saudita è stata tra le ultime nazioni a dichiarare illegale la schiavitù (1962) sebbene il Dipartimento di stato degli USA affermi che ancora oggi l’AS sarebbe il 3° paese in graduatoria per questo tipo di commercio.
L’Arabia Saudita è il primo produttore mondiale di petrolio, quindi è il dominus dell’OPEC, è stimata avere il 25% delle riserve mondiali di greggio ed è 6a per riserve di gas. Fu l’Arabia Saudita per prima (1973) ad accettare la richiesta USA di adottare il dollaro come moneta unica di riferimento per gli scambi petroliferi, l’OPEC seguì due anni dopo, dollari poi convertiti in debito pubblico americano e protezione militare per i pozzi del Golfo.
Dopo aver lungamente brigato per farvi parte, l’Arabia Saudita ha rifiutato l’anno scorso, il seggio che le era stato offerto (!) al Consiglio di sicurezza dell’ONU come membro non permanente. L’AS non scambia informazioni fiscali ma ciò non l’ha portata nelle black list che del resto sono state abolite nel 2012, assieme alle grey ed alla grey-dark (con l’eccezione di Nauru e Guatemala).
La commissione Camera e Senato USA che redasse il Rapporto sull’11 Settembre si vide secretare da Bush, 28 delle 838 pagine. Nel 2003 una lettera bipartisan di 46 senatori che citavano l’ipotetico coinvolgimento della Arabia Saudita (ripetendo ciò che insinuava certa stampa che poi sarebbe il New York Times) ne richiesero la divulgazione, invano. Ora, c’è una richiesta più formale di un senatore democratico ed un repubblicano che ha definito la lettura della parte secretata “scioccante”. La richiesta verrà reiterata pubblicamente dai due assieme all’organizzazione dei parenti delle vittime, il prossimo 11 Settembre (2014).
Concludiamo con cronaca degli ultimi giorni ricordando che secondo i sauditi che hanno reso apposita dichiarazione alla fine di Agosto basate su un rinvenuto “laptop dell’Apocalisse” in Siria, organizzazioni terroristiche islamiche si appresterebbero a compiere attacchi biologici in UE ed USA. Avvertimento o minaccia?
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[i] La penetrazione africana che crea disordine e caos certo verrà guardata con occhi benevoli da coloro che vogliono contrastare l’altra penetrazione africana, quella cinese.
[ii] Segnalo tre cose su questa affermazione un po’ stentorea: la prima è che c’è l’Egitto del deserto, quello nilotico e quello delle città, quello del nord e quello del sud e quindi dire “L’Egitto è…” è sempre problematico. La seconda è un letterato egiziano Taha Husayn il quale scrisse il celebre “Sulla poesia pre-islamica” nel 1926. Husayn sostenne, non senza fondate ragioni, che la radice egiziana affondava nel lungo periodo della civiltà faraonica che a sua volta aveva forti legami con quella greca. E’ questa tra l’altro una tesi sviluppata nel celebre Atene Nera da M. Bernal, tesi impopolare tanto nel mondo arabo che in quello occidentale i quali si vivono come naturalmente contrapposti. In ciò si può vedere la dinamica per la quale quando c’è la volontà di unirsi non c’è limite alla fantasia che crea genealogie comuni del tutto inventate e le teorie diventano fatti, quando invece ci sono reali radici comuni ma c’è la volontà opposta, i fatti diventano teorie. In sostanza Husayn sosteneva che la radice egiziana non è islamica e l’Islam è una sovrapposizione. Da cui l’islamismo storicamente problematico degli egiziani. Husayn fu anche Ministro dell’Educazione dal 1950 e in quanto tale affermò obbligatorietà e gratuità dell’insegnamento scolastico primario ( egli era cieco dall’età di tre anni, ma come spesso accade in questi casi, forse ci vedeva meglio di altri…). Husayn è l’equivalente di Satana per i salafiti. La terza è che dall’Egitto non è provenuta nessuna delle quattro scuole giuridiche storiche per i sunniti, ma deriva il revival neo-salafiyya, il pensatore Sayyid Qutb (1906-1966) a cui si rivolgono spesso le radici teoriche di molte organizzazioni salafite (con più o meno ragione è da vedere) ed il movimento dei Fratelli Musulmani che è di ambito hanbalita. A dire che la complessità egiziana è irriducibile e che si manifesta in un arco che dalla relativizzazione dell’Islam arriva fino alle punte più fondamentaliste, segno di fragilità delle convinzioni basilari islamiche, che è quanto volevamo sostenere nella dichiarazione forse un po’ troppo stentorea.
In Egitto, tra XIX° e XX° secolo, si formò il movimento culturale Nahda che portò alla nascita dei primi giornali, ai movimenti femministi (!), al nazionalismo arabo e pan-arabo (anche in Siria, Libano), alla ripresa della filosofia, della scienza, della riflessione giuridica, della letteratura, delle prime forme di coscienza anti-coloniale.
[iii] In questo senso è interessante la cartina del futuro califfato, distribuita recentemente dall’Isis. In Occidente ci si è divertiti e preoccupati di vedere la Spagna ed i Balcani inclusi nei sogni jihadisti e i furbi dietro l’operazione, conoscendoci, hanno anche dichiarato che arriveranno a San Pietro. Hanno titillato la nostra paranoia del feroce Saladino-Mira Lanza. In realtà, l’informazione contenuta nella cartina è interessante per come hanno diviso l’Islam. Platone diceva che l’essere va tagliato come il macellaio taglia la carne, lungo le sue linee di minor resistenza ovvero separando le parti che hanno più consistenza in sé. Così la cartina mostra quello che dicevamo all’inizio, le aree storico-culturali che dividono i vari Islam non secondo la recente partizione coloniale e stato nazionale, ma secondo la storia reale, dura, concreta e di lungo periodo. Chi l’ha fatta sa bene di cosa parla e a chi si rivolge.
[iv] I confini dei paesi arabi mediorientali usciti dagli accordi Sykes-Picot sono notoriamente instabili. Quelli tra Siria ed Iraq, da sempre quantomeno porosi, praticamente inesistenti. Spaccare l’Iraq in tre è una vecchia idea americana e non vedrebbe che d’accordo l’Arabia Saudita, poco o nulla potrebbe e forse vorrebbe fare l’Iran, tantomeno i curdi a cui anzi, si potrebbe regalare anche una forma di autonomia pre-nazionale da usare anche contro l’Iran (esiste un Kurdistan nel nord dell’Iran) ed utile anche per tenere sottopressione le arditezze di Erdogan. La nostra analisi è a grana grossa ma le cose mediorientali hanno una complessità frattale che si riproduce a varie scale, fino alle più piccole, fino alla grana finissima come la sabbia del loro deserto fatto di roccia, vento e tempo. A dire che se questa è l’intenzione che intravediamo, non è detto che avrà vita facile. Coloro che ad oggi sono alleati oggettivi e financo forze interne al mondo Isis, domani potrebbero rivelarsi con un diverso disegno. E’ il caso ad esempio, dei molti militari iracheni ex-Saddam che forse vogliono solo raggiungere una posizione di forza contro la parte sciita con cui poi trattare, ma non sciogliere l’Iraq o spezzarlo come è nei piani Isis. Sta di fatto, che l’invenzione dell’Iraq tri-etnico (curdi, arabi, iranici) è una creatura simile all’ircocervo e non poteva venire in mente che ai presuntuosi, quanto ignoranti (o diabolicamente perversi), geografi coloniali inglesi e che una struttura così improbabile è certo destinata a spaccarsi.
[v] Il nostro ragionamento non è originale, molte fonti hanno segnalato la presenza e il ruolo dell’Arabia Saudita nella faccenda di cui abbiamo parlato. Quello che cambia, nel nostro caso, è la convinzione che l’AS non sia un finanziatore, un ambiguo fiancheggiatore, un indiretto protettore, un demiurgo a cui è sfuggito di mano il mostro, come certi commentatori sembrano voler accreditare (dall’Aspen Institute in giù) ma il cervello che ha pensato tutta l’operazione, la strategia ed ha curato l’avvio delle operazioni, continuando a dirigerle in prima persona. All’Ottobre 2013, l’ambasciatore siriano in Giordania, Benjat Suleiman, ebbe a dichiarare che il vero capo di al-Qaeda era il principe Bandar bin Sultan, dichiarazione ripetuta dall’ex primo ministro iracheno (sciita) al-Maliki al Marzo di quest’anno. Il personaggio ha un bel curriculum che trovate qui e che vi suggerisco caldamente di leggere. Un ben informato punto sulla situazione recente qui (si consiglia un giretto nel blog della giornalista della Stampa, davvero completo e ben informato). Un ben informato punto sulle origini ideologico-storiche dell’Isis (nonostante la mia diffidenza verso fonti inglesi e viepiù da parte di agenti MI-6, quanto riportato risulta dalla stessa ricerca indipendente sin qui esposta) in chiave Arabia Saudita – Isis, qui. Certo, l’articolo sembra dar retta ad un presunto dualismo arabo-saudita, come la versione ufficiale di “privati”, “forze interne” al regno siano i finanziatori occulti dell’Isis, tende ad accreditare. Dal parziale occultamento di Bandar, all’elevazione delle pene per i jiahdisti sauditi che volessero tornare in patria, fino al spontaneo finanziamento di una struttura ONU che si occupa di terrorismi, all’aver “scoperto” attentatori Isis interni che si apprestavano a far saltare pozzi sauditi, l’AS sembra voler mostrarsi per ciò che non è, in una escalation di improvviso “ripensamento e distanziamento”. Questa seconda parte dell’articolo di Alastair Crooke entra nel dettaglio di questa ipotesi di un conflitto intestino al mondo wahhabita, ipotizzando addirittura un cambio di dinastia come obiettivo Isis, ovvero prendere il posto di casa al-Sa’ud. Chi scrive è diffidente sull’ipotesi del dualismo, chi detiene il potere in AS (un potere totalitario a cui non credo possa sfuggire qualcosa di così evidente) sa perfettamente cosa stia succedendo, perché sembra proprio che lo stia facendo succedere lui stesso in conseguenza di ben precisi interessi strategici. Tale strategia ha chiari e lampanti motivazioni, ha fatti non difficili da reperire per chi ha una volontà di ricerca minimamente indipendente, ha chiari precedenti nei coinvolgimenti dell’AS nelle primavere arabe, nei finanziamenti a vari jihadisti inclusa la prima fase di al-Qaeda, nella cosciente delega a Bandar di “creare e risolvere” la crisi siriana (delega benedetta dagli ambienti neo-con americani di cui Bandar è grande amico), nell’oggettiva convergenza ideologica di lungo corso con i promotori dello stato islamico Syria-Iraq che sembra proprio stiano realizzando null’altro che un progetto wahhabita piantato nel DNA di casa Al Sa’ud. Altresì, l’ipotesi della “serpe in seno” per la quale Isis starebbe coltivando un progetto di rivoluzione islamica ai danni della casa Al-Sa’ud, ci sembra poco realistico sul piano internazionale. Davvero Crooke pensa che gli USA, la sua UK, la Francia e le altre golfo-monarchie, per non dire dell’Iran, della Turchia, dell’Egitto, della Russia etc. permetterebbero ai tagliagole di impossessarsi delle riserve petrolifere planetarie? Queste versioni delle due Arabia Saudite a me paiono assai di comodo. Tendono ad accreditare una casa regnante con vocazioni moderniste che francamente non ci risultano se non come operazioni limitate e di facciata, mentre ci risultano nove interrotti anni di Bandar bin Sultan a capo del National Security Council.
L’iscrizione dell’Arabia Saudita a “stato canaglia”, per coloro a cui piace usare questa categoria, dovrebbe esser oggettiva ma l’oggettività è sempre relativa, specie se il giudicante dipende geo-strategicamente dal fatto che deve giudicare o a livello individuale dagli interessi del suo committente.