L’Italia, un Paese senza sovranità e senza democrazia. Intervista con il Prof. Costanzo Preve*
apr 16th, 2019 | Di Thomas Munzner | Categoria: Primo Pianodi Costanzo Preve/Luigi Tedeschi – 11/01/2008
1) La costituzione italiana, emanata a seguito della fine della 2.a guerra mondiale, la caduta del Fascismo e il mutamento istituzionale dalla monarchia alla repubblica, costituì la carta fondamentale del nuovo stato italiano. Tuttavia gli elementi di continuità in essa contenuti, rispetto all’ordine istituzionale preesistente, prevalsero su quelli innovativi. E’ vero che fu istituito un ordinamento democratico – parlamentare e furono preservati i valori dello stato sociale istituito dal Fascismo, ma continuarono ad essere in vigore i 4 codici (dei quali solo uno è stato discutibilmente rinnovato), e le leggi amministrative, la cui ispirazione autoritaria si rivelò assai poco compatibile con il nuovo ordinamento democratico. La continuità col precedente regime fu peraltro evidente nel campo politico. Venne alla luce infatti una democrazia bloccata, un regime dominato dal partito – stato impersonato dalla DC, unico partito legittimato ad assumere la guida del governo, quale garante della appartenenza dell’Italia all’area occidentale della Nato. La repubblica italiana, come stato democratico, trae la sua legittimità dalla occupazione angloamericana susseguente alla sconfitta e soprattutto da una sovranità limitata imposta dalle potenze vincitrici che, nel mondo bipolare USA/URSS, erano le fonte primaria della legittimazione degli stati europei. Oltre che nella sfera internazionale, anche nell’ambito dell’ordinamento economico sociale italiano, il compromesso tra le forze politiche di ispirazione cattolica, liberale e socialista denuncia una carenza di sovranità dello stato stesso. Tale compromesso non rappresentò una sintesi tra forze di diverso orientamento politico – ideologico, che si riconoscessero nei valori unitari della carta costituzionale. L’Italia è stata infatti governata dal ’45 in poi da una costituzione materiale imposta dalla prevalenza di questa o quella coalizione di partiti politici cui facevano riscontro gli interessi dei poteri economici di riferimento. Quindi, la costituzione si è rivelata, nella sostanza, una carta suscettibile di molteplici attuazioni ed interpretazioni, in relazione ai “poteri forti” di volta in volta egemoni nella società. La costituzione è stata infatti solidarista (col primato della DC), statalista (col primato politico – sindacale della sinistra), liberista (col primato del capitalismo nella seconda repubblica). Si dirà che il deficit di sovranità esterna è la causa primaria che trova il suo effetto nella carenza di sovranità interna. Ma uno stato abbandonato alla egemonia dei “poteri forti” che si impongono alle istituzioni politiche non è un paese democratico. Democrazia e sovranità non sono dunque valori inscindibili, senza i quali non può sussistere né indipendenza nazionale né sovranità popolare?
Cerchiamo di rispondere separatamente per punti per non fare troppa confusione. La “carne al fuoco”, infatti, è veramente tanta.
In primo luogo, come è noto, esiste una costituzione formale ed esiste una costituzione materiale, e questo anche nei paesi astrattamente più “democratici” del mondo, tipo Islanda o Danimarca. La costituzione formale italiana, scritta dall’assemblea costituente eletta il 2 giugno 1946 ed entrata in vigore nel 1948, si studia per l’esame di diritto costituzionale nei primi anni della facoltà di giurisprudenza. Un visitatore spaziale che fra mille anni visitasse il nostro pianeta nel frattempo privo di abitanti (facciamo le corna!) e che trovasse questo documento non potrebbe capire letteralmente nulla del paese chiamato Italia. La costituzione materiale è invece oggetto di storici, economisti e sociologi, non certo di costituzionalisti, ed è entrata informalmente in vigore il 18 aprile 1948 con la vittoria elettorale soverchiante della Democrazia Cristiana. In estrema sintesi, questa costituzione materiale, la sola che conti veramente, si basa su questi punti fondamentali: 1) mancanza di sovranità militare indipendente, territorio occupato da basi militari USA dotate di armi nucleari, scelte strategico-militari compiute altrove oltre Oceano; 2) forte componente economica di un capitalismo di stato, ereditata dal periodo fascista precedente, unita ad una sostanziale connivenza con le scelte del capitalismo familiare privato (FIAT, eccetera), complesso mantenuto anche e soprattutto dopo l’inizio dello sviluppo economico a partire dal 1958; 3) centralità assoluta del partito della Democrazia Cristiana, formalmente di centro-destra (1948-1964), e poi di centro-sinistra (dopo il 1964), ma in realtà caratterizzata non tanto dalla dicotomia Destra/Sinistra, già allora largamente “specchietto per le allodole”, ma dal fatto di “coprire” praticamente l’intero spettro sociale, dai più ricchi ai più poveri; 4) opposizione politica di sinistra che non poteva strutturalmente giungere al governo, perchè legata organizzativamente, finanziariamente ed ideologicamente alla potenza avversaria (l’URSS) del blocco militare a guida USA cui l’Italia faceva parte; 5) opposizione di destra che a partire dagli anni cinquanta aveva accettato strategicamente la guida politico-militare USA in nome dell’anticomunismo simbolico dell’antifascismo istituzionale. Potremmo ovviamente aggiungere a questo elenco altri importanti elementi, ma è meglio non complicare troppo il modello, e chiederci perché: tutto questo può essere chiamato “regime”, oppure il termine è improprio e diffamatorio, perché dovrebbe essere limitato soltanto agli stati detti totalitari (fascismo e comunismo in primo luogo) ?
La seconda questione tocca allora il problema del “ regime”. La prima repubblica è stata un “regime”, oppure no? Formalmente certamente no. Sostanzialmente si, perchè concordo con la tua affermazione “sostanzialistica”, per cui “uno stato abbandonato ai poteri forti che si impongono alle istituzioni politiche non è un paese democratico”. Le istituzioni politiche, persino nel caso in cui siano burocratizzate e corrotte, sono pur sempre almeno in parte permeabili dalla volontà popolare, mentre i cosidetti “poteri forti” sono caratterizzati dalla segretezza della presa delle decisioni. Mussolini ha certo preso in modo non “democratico” la decisione sciagurata di entrare in guerra nel 1940, ma le decisioni di entrare in guerra nel 1915 (prima guerra mondiale) e nel 1999 (aggressione della NATO alla Jugoslavia) non furono certamente più “democratiche” di quella del 1940, anche se l’ipocrisia degli intellettuali chiama in generale “democratiche” le guerre vinte e “non democratiche” le guerre perse. In poche parole, chi crede che la costituzione materiale sia più importante di quella formale in genere ritiene anche che il termine “regime” possa essere allargato anche ad istituzioni pluripartitiche come la prima repubblica italiana. È il mio caso ed anche – per quanto mi è dato capire – il tuo.
Il terzo problema è quello di definire correttamente la natura e l’ideologia del neofascismo italiano dopo il 1945 (MSI e gruppi minori “estremisti”, del tutto speculari e complementari ai gruppi minori “estremisti” di contestazione al PCI – potremmo definire provvisoriamente entrambi in termini di “fondamentalisti” fascisti e comunisti). È impossibile farlo senza prima impadronirci concettualmente della natura del fascismo italiano (1919-1945) e del nazionalsocialismo tedesco (1919-1933 all’opposizione, 1933-1945 al potere). Si trattò di fenomeni politici sottoponibili alla dicotomia Destra/Sinistra oppure no? Diamo qui per scontato il fatto che è possibile classificare in modo ideal-tipico ( e pertanto per me del tutto fuorviante, perché l’idealtipicità bobbiana è un sapere di nullatenenti e di professori universitari) vari tipi di destra e di sinistra (cfr. Marco Ravelli, Sinistra Destra. L’identità smarrita, Laterza, Roma-Bari, 2007). Diamo anche per scontato, anche se per ragioni di spazio non possiamo discuterne, che il fascismo può essere definito come un fenomeno storico-sociale di destra (Romualdi ed altri), oppure al di là della destra e della sinistra (Zeev Sternhell ed altri). Compendierò brevemente la mia opinione, scusandomi di non poterla argomentare in questa sede; laddove oggi la dicotomia Destra/Sinistra è ormai obsoleta, sostituita dalla nuova dicotomia Fautori/Avversari dell’impero ideocratico USA, fra il 1918 ed il 1945 questa dicotomia esisteva storicamente ancora, ed anzi funzionava a “pieno regime”; il modello fascista era caratterizzato da una specifica unità di destra e di sinistra, in cui però la destra era strutturalmente dominante e la sinistra strutturalmente dominata; la destra era quindi sempre sovrana in ultima istanza (Carl Schmitt), in quanto essa deteneva il lato “esecutivo” , laddove alla sinistra era lasciato il lato “ideologico”, sempre revocabile.
Questa mia valutazione è verificata dalla storia. Apparentemente, il fascismo lottava su due fronti, il cosidetto “capitalismo demo-pluto-giudaico-massonico”, da un lato, ed il “bolscevismo ebraico ed asiatico”, dall’altro. Ma si trattava di una bilateralità solo apparente, ed in realtà asimmetrica. La guerra del fascismo contro le potenze occidentali era di fatto solo “geopolitica”. E cioè una guerra classica tradizionale di potenza (come fu la guerra di Germania ed Italia contro l’Inghilterra del 1939-1941), mentre la guerra del fascismo contro l’URSS del 1941-1945, (il che comporta a mio avviso la conclusione storiografica che vi furono due guerre mondiali distinte, e non una sola), fu sia “geopolitica” che “ideologica”, ed addirittura ideologico-religiosa-messianica. La conseguenza fu che l’aspetto anti-comunista fu sempre dominante rispetto all’aspetto anti-liberal-capitalista, che fu sempre dominato e marginalizzato. E lo fu al punto che gli intellettuali fascisti di sinistra (Delio Cantimori, Galvano Della Volpe, fino a Pietro Ingrao ed agli studenti del GUF e dei Littoriali di cui ha parlato Zangrandi nel suo Lungo viaggio attraverso il fascismo) passarono dopo il 1945 in massa al comunismo, che Ugo Spirito fu sempre attentissimo al comunismo (c.f.r. Il comunismo Sansoni, Firenze, 1965), e lo stesso ultimo libro di Giovanni Gentile (c.f.r. Genesi e struttura della società, Sansoni, Firenze, 1946 – pubblicato due anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1944 per un attentato partigiano dei GAP fiorentini) è di fatto un libro comunista” (questa è anche l’opinione di Sergio Romano, che personalmente sarei portato addirittura a radicalizzare). Ma il neofascismo dopo il 1945 non potè strutturalmente “rinascere” sulla base di questa componente ideologica di “sinistra”, in quanto almeno tre fenomeni storici precedenti (partecipazione alla guerra di Spagna dalla parte di Franco, aggressione all’URSS 1941, ed infine sanguinosissima guerra civile 1943-1945 con mattanza posteriore prolungata di qualche mese) avevano fatto pendere irrevocabilmente il piatto della bilancia verso “destra”.
Fu così assolutamente inevitabile che il Movimento Sociale Italiano dopo il 1945 occupasse uno spazio di “estrema destra”. Certo, la sua necessità partitica strutturale di entrare in qualche modo nel sistema politico italiano a centralità democristiana e di “venire incontro” alla spontanea mentalità anticomunista dei suoi iscritti e sopratutto elettori fece si che le esigenze “intellettuali” dei suoi aderenti più radicali venissero soddisfatte da pensatori più conseguenti (Julius Evola, Ezra Pound, Vintila Horia, eccetera), e questo compito fu soddisfatto dalle piccole case editrici e dalle riviste di “nicchia”. Ma a partire dal 1948 il coinvolgimento del MSI con i servizi segreti NATO (non importa se italiani o USA, ma preferibilmente USA- perchè rivolgersi al maggiordomo quando ci si può rivolgere direttamente al padrone?) fu sempre essenziale.
Restava, certo, la pregiudiziale antifascista, il che conferì alla costituzione materiale italiana tra il 1946 ed il 1992 un aspetto che non aveva nulla a che fare con Santi Romano o con Calamandrei, ma era invece spiegabile soltanto con Franz Kafka e con Jorge Luis Borges. In breve, i neofascisti stavano dalla parte della costituzione materiale della prima repubblica, in quanto fortemente presenti in quelli che in Russia chiamano correttamente “ministeri della forza” (esercito, polizia servizi segreti eccetera), mentre i comunisti, esclusi da tutti i ministeri della forza e della diplomazia, erano invece presenti nella costituzione “formale”, basata sul giuramento preventivo antifascista.
La lunga marcia di Gianfranco Fini dal Movimento Sociale Italiano ad Alleanza Nazionale, destinata a lasciarsi dietro fisiologicamente le componenti ideologiche (Rauti), populistiche (Storace), e semplicemente buffonesco-mediatiche (Alessandra Mussolini), oltre a quelle razzistiche (Forza Nuova), non ha dunque nulla a che fare con presunti “tradimenti”. Solo lo sciocco che non ha capito la natura “sistemica” del passaggio dal MSI ad AN può sentirsi “tradito”, e lo stesso avviene per i babbioni urlanti che si sentono ancora “traditi” da Occhetto, D’alema, Fassino e Veltroni.
Siamo di fronte quindi ad un compito epocale, ma anche impossibile: la destupidizzazione dei babbioni identitari che si sentono “traditi”. Ma destupidizzare è molto più difficile di tifare, andare a votare o brontolare.
2) Con Tangentopoli si inaugura la cosiddetta “Seconda Repubblica”. Si trattò di un colpo di stato giudiziario, oltre che a destituire la DC e il pentapartito, delegittimò le stesse opposizioni del PCI e del MSI, dato che esse non ebbero alcuna parte in tale rivolgimento istituzionale. Da tale situazione emerse chiaramente l’inconsistenza e la complicità più o meno palese delle opposizioni stesse con il regime democristiano. Anche tra prima e seconda repubblica la continuità è evidente: così come fu eterodiretta la fondazione della repubblica stessa, allo stesso modo lo fu l’avvento della seconda. Il nuovo ordine mondiale dominato dagli USA esigeva ordinamenti politici compatibili con l’espandersi del capitalismo e la seconda repubblica ne rappresentò l’adeguata attuazione politica. La seconda repubblica non espresse nuovi valori, ma, al contrario, rappresentò la fine del primato della politica e la sua subordinazione all’economia globale. Infatti non si verificarono mutamenti costituzionali rilevanti, ma si procedé invece ad una abrogazione di fatto di quelle norme fondamentali concernenti il welfare e i diritti sociali dei cittadini. Si può definire oggi l’Italia odierna come un paese con costituzione e sovranità in stato di quiescenza. L’avvento della seconda repubblica coincide con lo smembramento dei settori strategici dell’economia devoluti alle multinazionali. L’unico “patriottismo” oggi sussistente è quello bancario, teso alla salvaguardia del controllo del sistema del credito nelle mani di Bankitalia. Infatti, al crollo del regime democristiano – socialista è succeduto, con Ciampi, un governo di ispirazione bancaria che estende la sua influenza coattiva sia nel campo economico che in quello politico. Un sistema bancocentrico come quello italiano non contempla forze politiche differenziate nei loro contenuti, ma partiti omogenei e pragmatici. La finanziarizzazione dell’economia globale ebbe la sua attuazione in Italia nello strapotere di Bankitalia e nell’acquiescenza delle forze politiche di destra e di sinistra. Tale mutamento filocapitalista e americanista ha il suo riconoscimento ideologico nella rivendicazione del riconoscimento dei diritti e delle libertà economiche individuali non adeguatamente espresso nella costituzione (i fondi nel Corsera di Angelo Panebianco sono esplicativi in tal senso). Il dilagare della superpotenza USA e dell’americanismo inteso come modello economico – sociale rappresenta, semmai, una “metafisica della democrazia”, che ha la sua attuazione nella sua legittimazione a-priori, nell’affermarsi dello stato di fatto della contingenza quotidiana, che non abbisogna né di consenso, né di riconoscimento. La ragion d’essere della seconda repubblica è dunque in questa “metafisica della democrazia” americana?
Non credo di essere interamente d’accordo con la tua formulazione. Da un lato, non c’è dubbio che il Manipulitismo, uno dei fenomeni meno puliti e più sporchi della storia italiana dell’intero novecento, è stato a tutti gli effetti un colpo di stato giudiziario extraparlamentare, diretto non solo e non tanto a destituire la DC, il craxismo ed il pentapartito (questo è solo il poco importante aspetto sovrastrutturale e superficiale), quanto a delegittimare e poi distruggere in senso neoliberale privatistico il precedente capitalismo di stato. Questo capitalismo di stato era largamente corrotto, ma tutti i capitalismi di stato sono per definizione più o meno corrotti (Kant direbbe che la corruzione nel capitalismo di stato è un giudizio analitico, in quanto il predicato è contenuto nel soggetto stesso). Varie forme di “manipulitismo” avvennero negli stessi anni in tutti i paesi in cui era presente un forte capitalismo di stato (Giappone, Grecia, la stessa Francia, eccetera). Dal momento che l’idiozia domina il mondo e l’auspicata destupidizzazione è ancora al di là da venire, tutta la banda urlante dei futuri girotondisti di Nanni Moretti e degli urlatori di Beppe Grillo interpretò questo severo fenomeno storico neoliberale in termini di lotta di onesti magistrati contro corrotti cinghialoni (Craxi) e Balenotteri (Forlani). Devo dire che anche la stupidità può attingere vette sublimi, come la santificazione del contadino sgrammaticato Di Pietro e la lapidazione con monetine (le monetone se le tennero bene in tasca!) di Craxi.
Non sono invece d’accordo con la tua valutazione, secondo la quale il manipulitismo avrebbe delegittimato le stesse opposizioni del PCI e del MSI, in quanto- come tu dici. “esse non ebbero alcuna parte in tale rivolgimento”. A ognuno la sua parte. Il colpo di stato giudiziario di Mani Pulite invece fu il grande “rilegittimatore” massimo sia del PCI che del MSI, ovviamente riciclati ed “imbiancati” entrambi in DS ed in AN. Ma l’imbiancamento in DS ed in AN non fu un fenomeno ideologico. Fu un fenomeno sistemico e strutturale, e la sua comprensione è il primo atto del processo di destupidizzazione che prima o poi avverrà, con l’auspicabile tramonto di Nanni Moretti e di Beppe Grillo. Ed inoltre, bisogna capire che effettivamente il piano golpista originario non contemplava la piena rilegittimazione a governare della classe politica del PCI e del MSI, ma prevedeva una sorta di dittatura plebiscitaria di Mariotto Segni. Ma la stupidità nuragico-notabilare di Mariotto Segni portò a ritenere di poter fare a meno del numeroso personale politico e del gigantesco deposito elettorale PCI-MSI, e questa fu la sua ben meritata rovina. In realtà potremmo compendiare il tutto in tre punti: (1) la costituzione formale della prima repubblica restò intatta, ma la costituzione materiale cambiò nel 1992 con il golpe giudiziario extraparlamentare dei manipulitisti (e del resto, anche in Francia, nel 1958 ci fu un golpe militare che permise il passaggio dalla quarta alla quinta repubblica- la quinta si rivelò migliore della precedente, grazie al grande patriota francese ed europeo Charles De Gaulle); (2) il golpismo extraparlamentare coinvolse fortemente il personale politico-giudiziario PCI, che funzionò da “guardia plebea” per conto dei grandi interessi oligarchici neoliberali; (3) il fallimento della cupola politica di Mariotto Segni, dovuto alla personale stupidità nuragico-notabiliare del personaggio, comportò la necessità del pieno riciclaggio del personale politico e dei depositi elettorali del PCI e del MSI.
Il sistema “bancocentrico” italiano non fu sostanzialmente toccato, in quanto resta funzionale (anche se ancora troppo “caro” e parassitario, vedi la Grande Finanza e l’Industria Decotta-GF e ID- di cui parla Gianfranco La Grassa) alla finanziarizzazione dell’economia globale di cui tu parli. Restava da fare un gigantesco “riciclaggio ideologico” delle innumerevoli masse di pecoroni identitari che costituivano e tuttora costituiscono il cosidetto “popolo di sinistra” (cfr. M.Badiale-M.Bontempelli, La sinistra rivelata, Massari editore, Bolsena 2007). Questa gigantesca operazione “egemonica” (uso qui il termine proposto da Antonio Gramsci) fu resa possibile dall’antiberlusconismo, e facilitata dai quotidiani “Repubblica” e il “Manifesto”. Il quotidiano “Repubblica” occupò lo spazio ideologico della sinistra moderata già convertita all’occidentalismo ed al neoliberalismo, che già da tempo aveva come nemici non il capitalismo e l’imperialismo, ma i due Giuseppe (Joseph Stalin e Joseph Ratzinger), e che agitava come bandiera Norberto Bobbio e Charles Darwin. Il quotidiano il “Manifesto” occupò invece lo spazio ideologico della cosidetta “sinistra radicale”, e ne facilitò la riconversione in ammasso decerebrato di ecologisti di regime, femministe isteriche ed odiatrici del sesso maschile in quanto tale, pacifisti ceriomoniali specializzati in sfilate rituali di tipo belante e pecoresco, integrate da alcuni gruppi in passamontagna di spaccatori di vetrine ampiamente assicurate, in modo da nutrire contemporaneamente l’incazzatura dei poliziotti pasoliniani, le compagnie d’assicurazione ed il circo mediatico. E’ triste, ma per ora siamo ancora a questo punto.
3) Come già accennato nella precedente domanda, il terremoto “Tangentopoli” destabilizzò l’intero sistema politico italiano, dai partiti di maggioranza che si estinsero, a quelli di opposizione, che subirono radicali metamorfosi. Destra e sinistra nella prima repubblica furono le opposizioni di una democrazia dimezzata, parzialmente delegittimata, in quanto a determinate forze politiche fu inibito nei fatti l’accesso al governo del paese: Il MSI, per via del veto antifascista, e il PCI a causa del suo legame con l’URSS. Ci si chiede oggi in quale misura il loro ruolo di oppositori abbia inciso sulle trasformazioni della società italiana e se esse fossero in grado di generare qualsivoglia mutamento istituzionale. In realtà, in Italia, paradossalmente, per 50 anni l’unica rivoluzione possibile poteva consistere nella attuazione della costituzione, anziché nella sua abrogazione. Si può allora costatare come destra e sinistra non abbiano affatto contribuito alla sostanziale affermazione della sovranità popolare e del principio lavorista posto a fondamento della costituzione stessa. Infatti, nulla è stato fatto per attribuire un ruolo definito ai partiti nell’ambito istituzionale, perché questi non si appropriassero dello stato intero, per garantire una effettiva partecipazione politica dei cittadini attraverso norme che disciplinassero la democrazia interna dei partiti e dei sindacati. Dal punto di vista economico – sociale, non è stata mai promossa una politica che favorisse la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, e definisse un ruolo istituzionale dei sindacati nella elaborazione della politica economica del paese. Destra e sinistra si sono rivelate opposizioni sterili nella misura in cui non hanno contribuito ad una crescita civile del paese, attuando i precetti costituzionali riguardanti la politica della famiglia, della casa, del diritto al lavoro, quali fondamentali prerogative dello stato sociale. Per opporsi efficacemente al capitalismo, si sarebbe dovuto creare un sistema di garanzie sociali atte a proteggere la collettività sia dai mutamenti ciclici del mercato che dalla preponderanza dei poteri forti dell’economia, fattori che hanno determinato la degenerazione della condizione del cittadino a suddito. I motivi ideologici della destra e della sinistra hanno creato militanza diffusa in vista di paradisi futuribili impossibili (di sinistra), e di ritorni ad eden arcaici improbabili (di destra), ma né destra né sinistra hanno mai rivendicato l’indipendenza nazionale, facendosi esse stesse strumento del bipolarismo USA/URSS. Con la fine delle ideologie si è reso evidente il loro vuoto di sensibilità e cultura etico –comunitaria, con la conseguente trasformazione del popolo militante in massa elettorale mediatica. Non è spiegabile in questa prospettiva, la repentina omologazione di destra e sinistra in partiti leggeri, cioè fabbriche di consenso di un sistema di consumismo economico ed elettorale adeguato al capitalismo assoluto?
Concordo pienamente con le due principali affermazioni contenute nella tua domanda. In primo luogo , che “… in Italia paradossalmente per cinquant’anni l’unica rivoluzione possibile sarebbe stata la piena attuazione della costituzione del 1948, anziché la sua abrogazione”. In secondo luogo, che “… né la destra né la sinistra hanno mai veramente rivendicato l’indipendenza nazionale, facendosi esse stesse strumento del bipolarismo USA/URSS. A questi due rilievi se ne può aggiungere un terzo, che cioè “…con la fine delle ideologie si è reso evidente il loro vuoto di sensibilità e di cultura etico-comunitaria, con la conseguente -altrimenti inspiegabile- trasformazione del popolo militante in massa elettorale mediatica”.
In primo luogo, ciò che viene chiamata la “fine delle ideologie” è in realtà un gigantesco processo di riclassificazione ideologica di massa, processo attuato congiuntamente dal circo mediatico omologato (clero secolare) e dalla corporazione dei professori universitari di scienze sociali (clero regolare). Si tratta dell’ultimo stadio di piena incorporazione del ceto degli intellettuali nati grosso modo alla fine dell’ottocento (affare Dreyfus, eccetera) nel meccanismo unico impersonale della riproduzione sociale che Martin Heidegger chiama Gestell, e cioè Dispositivo (cfr. Costanzo Preve, Il ritorno del clero, Editrice CRT, Pistoia 1999). L’ideologia, in quanto tale, è una forma ineliminabile della coscienza umana, e non può quindi mai “finire” ma solo cambiare di forma e di funzione (cfr. Terry Eagleton, Che cos’è l’ideologia, Il Saggiatore, Milano, 1992).
In secondo luogo , quello che tu chiami “vuoto di sensibilità etico-comunitaria”, equamente distribuito sia nel PCI che nel MSI, non è solo uno dei tanti problemi, ma è il problema, anzi Il Problema. Il “vuoto di sensibilità” è stato storicamente, psicologicamente e culturalmente la matrice di quei fenomeni che Joseph Ratzinger chiama correttamente “nichilismo” e “relativismo” anche se poi non è in grado di decifrane la genesi storica, in quanto li vede unicamente come errori, peccati e sviamenti, laddove si tratti invece di effetti ideologici secondari della totale mancanza di legittimazione etico-politica di un mondo dominato dall’impero USA distruttore del diritto internazionale (il nichilismo) e del dominio dell’accesso “relativo” ai beni di consumo a seconda del differenziato ed appunto “relativo” potere di acquisto di beni e servizi da parte di individui, popoli, nazioni e classi sociali (relativismo).
In quanto alla mancanza di “etica”, l’etica intesa come insieme di costumi intergenerazionali condivisi e trasmissibili fra le generazioni (i Sitten di Hegel), essa presuppone necessariamente che la società “non si fondi sul lavoro casuale, flessibile e precario, ma si fondi invece (non importa se in modo “borghese” o “proletario” – questo è del tutto secondario) su di una prospettiva famigliare e lavorativa stabile e permanente, prospettiva che ha alle spalle sia la scuola che la famiglia. È allora normale che la distruzione dell’etica (i Sitten) implichi il regresso alla semplice “morale” individuale, nelle sue convergenti e complementari forme del moralismo e dell’immoralismo (mani pulite e scopata generalizzata). La scuola viene anch’essa distrutta dall’azione convergente di pedagogisti pazzi e futuristi, psicologi invasivi, sindacalisti CGIL-Scuola, ex-estremisti descolarizzatori (e si veda la firma di Luigi Berlinguer in un documento delirante rivolto contro la scuola in generale sulla rivista Il Manifesto del 1970). Il passaggio da Kant e Hegel a Tinto Brass ed Oliviero Toscani connota un processo di individualizzazione assoluta, in cui è “vietato vietare”, o meglio in cui la sola cosa che resta “vietata”, ed addirittura punibile, è sforzo umano verso una vita comune sensata e solidale.
E questo ci porta alla questione “comunitaria”. Da molti anni ci dedico attenzione e sforzo (cff. Costanzo Preve, Elogio del Comunitarismo, Controcorrente, Napoli, 2006), nel silenziamento assoluto della cosidetta (e scoppiata) “cultura di sinistra”, silenziamento ogni tanto interrotto da insulti ed accuse di “fascismo” da parte di chi ovviamente non si prende affatto l’onere di leggere. In effetti , leggere è più difficile di sputare, richiede più tempo e più soldi per l’acquisto di libri. E invece una ridefinizioni di comunitarismo e di virtù comunitaria con conseguente separazione tra la sfera dellIntimo e la sfera del Comune (utilizzo qui l’ottima dicotomia del giovane filosofo italiano Lorenzo Dorato), è la sola via d’uscita dalla soffocante complementarietà in segreta solidarietà antitetico-polare fra individualismo anomico neoliberale, da un lato, ed il collettivismo tribale identitario, dall’altro.
Detto questo il processo di destupidizzazione culturale è appena iniziato, e non bisogna nutrire eccessive illusioni a breve termine.
4) Il partito leggero, il consenso epidermico – emozionale delle masse, il leader carismatico – virtuale sono gli elementi essenziali che caratterizzano la seconda repubblica. Si è voluto ricreare in Italia un sistema maggioritario di stampo anglosassone estraneo alla cultura politica del nostro paese. L’Italia è vissuta per mezzo secolo nel culto di modelli culturali e politici esterni, prontamente importati e pedissequamente imitati. Si costata quindi l’incapacità totale della cultura e della politica a creare modelli originali ed autonomi coerenti con l’identità e la specificità italiana. La fondazione del Partito Democratico e del nascente Partito delle Libertà fa prevedere nuovi trasformismi che potrebbero portare all’avvento di una terza repubblica. I partiti maggioritari e i loro leaders carismatico – virtuali (Veltroni e Berlusconi), sono il simbolo concreto e visibile di questi anni di infinita e inconcludente transizione verso il nulla. Entrambi avvertono l’esigenza di riforme istituzionali, ma, al di là della legge elettorale e del bicameralismo, non sono prevedibili mutamenti costituzionali sostanziali. A mio modo di vedere, questo sistema politico deve ricompattarsi e rendersi compatibile con le direttive degli organismi internazionali (FMI e BCE), in campo economico, mediante l’abrogazione delle ultime vestigia dello stato sociale, privatizzazioni a raffica e tagli rilevanti della spesa pubblica. Pertanto, il sistema vuole razionalizzare se stesso creando un sostanziale bipartitismo tra partiti privi di contenuti specifici ed omologhi al capitalismo assoluto. Le periodiche reprimenda di Draghi e gli attacchi di Montezemolo sono chiari segnali di tale tendenza. Da tale quadro, emerge chiaramente la fine della vocazione propria della politica alla trasformazione della società nella storia, in quanto tali potenzialità sono oggi patrimonio dell’economia globale.
Non penso che ci stiamo veramente avviando verso il sistema politico definibile come “terza repubblica”. Viviamo sempre nella seconda repubblica, quella che ha come costituzione materiale il neo liberismo economico, la personalizzazione politica mediatica, l’incredibile diffusione della droga nella gioventù, la distribuzione della vecchia scuola borghese da parte dei descolarizzatori pedagogico sindacali CGIL-Scuola, la distruzione del diritto internazionale fra stati da parte dell’interventismo umanitario (Jugoslavia 1999) oppure geopolitico-petrolifero (Afganistan 2001 e Irak 2003), la normalizzazione del circo mediatico universitario, eccetera. Piuttosto, in questa fine del 2007 si vedono “sintomi” di accelerazione e di stabilizzazione che restano tuttavia del tutto “interni” al processo apertosi nel 2007. La consacrazione carismatica di Veltroni, la “lenzuolata” (sic!) di privatizzazioni di Bersani, l’isterico ordine di dimagrimento rivolto alla classe politica attraverso ridicoli libelli che mettono l’accento sui piccoli privilegi da straccioni dei politicanti professionali (privilegi certamente odiosi per l’eterna plebe invidiosa e manipulitista sempre favorevole ai veri succulenti privilegi dei Montezemolo e dei Brambilla, oltre che dei giocatori di calcio, eccetera, eccetera).
Il grottesco tentativo sponsorizzato dalle bande mediatiche e dalle camarille universitarie di imporre il sistema elettorale maggioritario di stampo anglosassone ha avuto per più di un decennio la sua avanguardia vociante negli apparati politici ex – PCI (Fassino) ed ex -MSI (Fini). E questo non a caso perchè queste due bande mercenarie ci avrebbero avuto tutto da guadagnare portando a termine il processo di eliminazione e di subordinazione degli apparati DC della prima repubblica. Ma in questa fine del 2007 sembra (dico per ora soltanto “sembra”) che questo tentativo golpista, che consegnerebbe completamente la politica alle oligarchie del circo mediatico non possa più essere portato a termine. Le due bande mercenarie non posssono infatti governare senza Casini, da una parte, e senza Bertinotti, dall’altra. Già adesso esse sono “in sofferenza”, sofferenza segnalata a “destra” dalla scissione populistico berlusconiana di Storace e a “sinistra” dalla cosiddetta Cosa Rossa di Fabio Mussi, ex bombardatore della Jugoslavia nel 1999 ed ex-espulsore del gruppo del “Manifesto” dal PCI nel 1969 (leggerne l’esilarante intervento di espulsione negli atti del comitato centrale, insieme con i paralleli interventi di espulsione di Napolitano e di D’Alema).
Un sistema elettorale proporzionale è sempre migliore di un sistema elettorale maggioritario. E’ sempre migliore perchè è meno cesaristico, dà meno potere alla manipolazione mediatica, ed in quanto all’inevitabile corruzione (la corruzione dei politici è inevitabile perchè essi non sono mai “ricchi di famiglia”, e fanno il lavoro che fanno quasi sempre in quanto “falliti” in campo professionale- quindi non possono che “magnare” , per dirla in modo popolare romanesco), essa ci sarebbe e c’è sia in un sistema elettorale maggioritario che in un sistema elettorale proporzionale. Ma su questo punto sono d’accordo con Benedetto Croce, che richiesto di un’opinione sulla corruzione dei politici rispose che dovendo affidare un familiare malato all’operazione di un chirurgo qualunque persona intelligente non si chiede se il chirurgo sia un buon padre di famiglia o uno stupratore di giovani infermiere, ma si chiede se sia un buon chirurgo oppure un buon mestierante. I descamisados argentini dicevano saggiamente: “Onesto u ladròn”, que viva Peròn!”, e facevano bene a dirlo, perchè Peròn li riempiva di provvedimenti sociali. Io non ce l’ho con D’Alema perchè si compra scarpe di lusso e barche da diporto, in quanto tutti i suoi consumi resteranno sempre meno di un decimo di quelli di Montezemolo o della Brambilla ma ce l’ho con lui (e vorrei processarlo, se potessi, ma purtroppo non posso) perchè ha aggredito la Jugoslavia nel 1999 sulla base di un genocidio inesistente (e certificato come tale da osservatori OSCE) e di una spudorata violazione di una carta dell’ONU e della stessa Costituzione Italiana, interrompendo così per sempre la continuità della legittimità costituzionale italiana.
Il succo di tutto il problema è quello che tu segnali opportunamente alla fine della domanda, e cioè il pericolo incombente della fine della vocazione propria della politica alla trasformazione della società nella storia in quanto tali potenzialità sono state oggi “trasferite” alla dinamica autoriproduttiva dell’economia globale (il famoso ed idolatrico “giudizio dei mercati”, su cui concordano sia Prodi che Berlusconi). Il personaggio di Veltroni costruttore di “eventi mediatici”, raccoglitore delle figurine Panini ed intrattenitore del Jet-set cinematografico di icone americano-partenopee come Sofia Loren, segnalano un’incredibile caduta della personalità politica che -senza essere Toynbee, Spengler o Nietzsche- a questo punto possiamo definire tranquillamente “decadenza”.
*a cura di Luigi Tedeschi