La globalizzazione complessa
gen 30th, 2017 | Di Maurizio Neri | Categoria: Primo Pianodi Pierluigi Fagan
I britannici e l’America di Trump, vogliono passare dalla globalizzazione olistica a quella complessa. Qual è la differenza?
Prima o poi, il dibattito pubblico si accorgerà di non riuscire a stare più appresso agli eventi, gli eventi muovono la realtà, le categorie stanno ferme – ergo – si crea disallineamento tra realtà e facoltà di interpretazione e di giudizio. Pendiamo “globalizzazione”.
Dopo aver accompagnato il referendum britannico parlando di migranti, europeismo, populismo ed altre cose che non c’entravano granché con quello che muoveva le élite inglesi (inglesi, non britanniche) dei brexiters, si è poi andati avanti convinti che al mondo esistono solo due categorie: i globalisti e i protezionisti. Ora arriva May e fa un lungo discorso e poi va a Davos a farne uno simile e l’impostazione del principio di contraddizione vacilla: cosa diavolo hanno intenzione di fare i maledetti brit? I britannici e l’America di Trump, vogliono passare dalla globalizzazione olistica a quella complessa. Qual è la differenza?
Nell’olismo vige il principio “Tutto è Uno”, così la globalizzazione WTO, una serie contenuta di pochi principi quadro e poi tutti a giocare dentro questo quadro, una impostazione ordinata da un principio molto astratto che portava il libero commercio e la circolazione dei capitali ad ordinare il gioco economico e finanziario e questi tutti gli altri visto che ormai in tutto il mondo ci si ordina con l’economico.
Obama voleva derogare parzialmente da questa impostazione, promuovendo la globalizzazione manichea con Tpp, Ttip e Tisa: “noi” al centro di un sistema (l’occidentale & friends) vs gli Altri (Cina, Russia etc.), una sorta di “Tutto è in due”, due mondi separati come nella guerra fredda. Già si notava nella strategia Obama, la comparsa di un ordinatore diverso perché questa impostazione non aveva alcuna ragione strettamente economica e finanziaria ma geopolitica.
Da qui si giunge a May e Trump che intendono passare ad una globalizzazione complessa, quella che recita “Tutto è maggiore della somma delle parti” uno dei pochi principi fondativi della complessità. Qui l’ordinatore diventa chiaramente il fattore geopolitico che intende subordinare a sé non solo l’economico ed il finanziario ma anche il politico ed il militare e forse anche il culturale. Non c’è più alcun “noi”, affiora solo l’Io, l’Io inglese, l’Io americano, l’Io cinese, tedesco e via di questo passo. Trattati multilaterali a dimensione planetaria o a dimensione d’area (occidentale) verranno sostituiti da una rete di bilaterali, una tessitura a grana fine di reciprocità ed alleanze a geometrie estremamente variabili e facilmente reversibili. Vantaggi? Poter discernere, caso per caso, cosa è conveniente, per chi, cosa no, qual è il bilancio complessivo di questa relazione (politico, geopolitico, economico, finanziario, militare, culturale), mettere in concorrenza i partner, strappare volta per volta condizioni migliori, ragionare a grana fine.
Mettiamo che venga Trump in Italia e faccia un bilaterale con noi. A fine anno e per tre anni di fila, vediamo che l’Italia esporta più di quanto importa, bene per noi? Mah, Trump ha subordinato questo specifico accordo al fatto che noi si firmi anche un altro trattato in cui devolviamo alla partecipazione di una alleanza militare con gli USA una certa percentuale di Pil. Ecco che quello che guadagniamo nel commerciale, lo restituiamo nel militare e con questo, ci leghiamo geopoliticamente a gli USA.
Il discorso potrebbe andare avanti ancora perché a grana fine, conseguenze su conseguenze, apparirà una rete complessa di interdipendenze ed effetti di ritorno che è appunto il significato di questa strategia. Mettete questa rete di relazioni ed interessi sul tavolo grande con più di 200 stati e la dinamica dell’Asia in ascesa, la Russia euroasiatica, il Medio Oriente che non è più il centro del mondo, i tedeschi nascosti a farsi buco nero della galassia europea da cui succhiano materia ed energia ed ecco perché il sottotitolo del mio libro è: il gioco di tutti i giochi nell’era Trump.
da Sinistrainrete