Terry Eagleton e l’idea di cultura
mar 5th, 2010 | Di Rodolfo Monacelli | Categoria: Cultura e societàdi Rodolfo Monacelli
Terry Eagleton è uno dei critici marxisti contemporanei più interessanti essendo riuscito a rinnovare il metodo materialistico attraverso la dialettica e l’ironia rifacendosi a quella linea ‹‹comica›› individuabile in Benjamin, Brecht e Bachtin
Tra gli oltre quaranta testi scritti da Eagleton (tra i quali da segnalare sono certamente “Le illusioni del Postmodernismo” e “Ideologia: storia e critica di un’idea pericolosa“)in questo articolo affronteremo le questioni poste in “L’idea di Cultura“. Un testo assolutamente fondamentale perché in esso viene specificato ciò che si deve intendere con il termine cultura, che non va riferito esclusivamente ad un’idea accademica ma, come vedremo, a vari ed opposti significati.
Di particolare interesse è il terzo capitolo di questo libro, ‹‹Guerre di Cultura››, in cui Eagleton entra nel merito della questione sulle varie interpretazioni che si possono dare al termine Cultura, svelandone anche i diversi risvolti politici e ideologici e le possibili implicazioni sull’agire quotidiano di noi tutti. Come scrive infatti Eagleton proprio all’inizio di questo capitolo l’errore che non bisogna mai fare è quello di confondere le opere con la funzione che esse svolgono:
‹‹Quello che i radicali dovrebbero biasimare non è tanto il contenuto complessivo di questa cultura, quanto piuttosto la funzione che essa svolge. Quel che si può obiettare è il fatto che essa sia stata usata come distintivo spirituale da un gruppo privilegiato e non il fatto che Alexander Pope fosse tory o Balzac monarchico. [...] Quel che importa non sono le opere in sé, ma il modo in cui vengono elaborate concettualmente dalla collettività, modo che le opere di per sé difficilmente avrebbero potuto preannunciare››(pag. 64).
Una funzione che Eagleton definisce come una sorta di ‹‹persuasione morale››, uno strumento con cui ‹‹la Classe dominante può creare una propria identità scolpita nella roccia, scritta e orale, che abbia l’effetto d’intimidire oltre che di ispirare››(pag. 66). Una cultura intesa dunque come “Civiltà” che non è però l’unica versione di essa. A questa cultura “alta” Eagleton oppone infatti ‹‹le culture››. Un’opposizione che per Eagleton può però anche essere ingannevole perché esse possono anche rappresentare nient’altro che una ‹‹Cultura dell’identità›› che finisce col riprodurre una versione macrocosmica nel proprio mondo chiuso di quel tipo di società a cui ci si vorrebbe opporre (una cultura dunque totalmente opposta alla visione comunitaria, aperta e non chiusa, che in questo sito proponiamo). Uno degli elementi più inquetanti dell’attuale momento storico e culturale viene qui ribadito da Eagleton quando scrive che l’ideologia odierna non è più analizzabile come in passato opponendo culture dei dominanti a culture dei dominati ma si compone, tutta, di ‹‹false alternative›› legate, alla fine, alla stessa logica ‹‹globale e multiculturale›› che provoca come reazione la nascita di tendenze localiste e municipaliste anche da un punto di vista culturale.
‹‹Sono entrambe il prodotto dello stesso sistema economico globale. Ma poiché il capitalismo transnazionale è portatore anche di isolamento e ansia, sradicando uomini e donne dai propri legami tradizionali e mandandoli in crisi cronica d’identità, esso favorisce, per reazione, le culture di solidarietà difensiva nello stesso momento in cui è occupato a propagare questa nuova coraggiosa dimensione cosmopolita. Più il mondo diventa d’avanguardia, più è arcaico››(pag. 75)
Queste fittizie ‹‹Guerre di Cultura›› contrappongono dunque, secondo Eagleton, una cultura intesa come “civiltà”(imperialista e colonialista) ad una cultura intesa come “identità” che Eagleton giustamente critica fortemente, ma che non va però ridotta – e sarebbe un gravissimo errore farlo – esclusivamente ad un retaggio puramente reazionario ed arcaico. Ciò viene inteso perfettamente dallo stesso Eagleton che dopo le critiche sottolinea però come questa culture dell’identità possono essere guidate ‹‹da pulsioni patologicamente feroci non meno che da pulsioni emancipatrici››. Questa crisi della cultura è, com’è ovvio che sia, il sintomo dell’attuale sistema economico-sociale anche perché, come bene sottolinea Eagleton:
‹‹il capitalismo industriale non è mai riuscito a tirare fuori un’ideologia culturale credibile e, per raggiungere questo fine, è stato costretto a sfruttare le risorse simboliche della tradizione umanistico-romantica e, nel fare così, tradiva la discrepanza tra il suo ideale utopistico e la sua sordida realtà››(pag. 80)
E’ per questo che oggi ‹‹disquisire di Virgilio o di Dante non è affatto una questione accademica. Alleanze come la Nato o l’Unione Europea di solito hanno bisogno di rafforzare i loro legami con qualcosa di più consistente della burocrazia, degli obiettivi politici comuni o degli interessi economici condivisi, soprattutto quando hanno di fronte dei nemici islamici per i quali il senso spirituale della cultura è profondamente vitale. In questo contesto, i dibattiti sui Libri Sacri assumono un significato nuovo››(pag. 81).
A questa contrapposizione tra Cultura e culture va inoltre aggiunta la cosiddetta cultura ‹‹commerciale o postmoderna››, una cultura cioè intesa come merce che costituisce la dominante culturale dell’intero Occidente poiché:
‹‹non c’è niente che appiattisca i valori più spietatamente della forma merce, una forma che nelle società dalla mentalità conservatrice difficilmente cadrà in disgrazia. In effetti, quanto più la cultura viene commercializzata, tanto più questa imposizioni delle leggi del mercato spinge i suoi produttori verso i valori conservatori della prudenza, del mantenimento e del timore della destabilizzazione. Il mercato è il meccanismo migliore per garantire che la società sia al tempo stesso altamente emancipata e profondamente reazionaria. La cultura commerciale difende così molti dei valori della cultura alta, che però disprezza perché elitaria. Il fatto che essa, a differenza della cultura alta, è in grado di avvolgere questi valori in un pacchetto sensibilmente antielitario››(pag. 84)
Ciò che comunque interessante notare, ed è probabilmente l’elemento più innovativo della riflessione di Eagleton, è che rispetto alle vecchie “guerre” di cultura, nella società attuale in nessuno dei tre casi vi è un conflitto tra “alto” e “basso” poiché: ‹‹perfino la cosiddetta cultura alta va sempre più spesso oltre questa divisione e la cultura come identità accanto alle icone popolari ha i suoi manufatti sacri. Il postmodernismo, analogamente, abbraccia il popolare e l’esoterico, la scaltrezza e l’avanguardia››(pag.96). Le vecchie e antiche classificazioni per poter leggere il mondo e il conflitto politico e culturale in atto sono dunque ormai del tutto superate. Nonostante certa sinistra continui ad esempio ad additare l’idea di nazione come un elemento culturale oggettivamente fascista, Eagleton giustamente afferma come essa, ‹‹la più tenace cultura dell’identità››, possa essere al tempo stesso moderna o reazionaria, emancipatrice o colonialista, prodotta dalla cultura alta così come da quella dell’identità e, addirittura, anche da quella postmoderna.
Ciò che manca a quest’analisi è però il quarto fronte culturale: ciò che una volta veniva chiamata cultura d’opposizione, ormai inesistente. Un elemento affrontato da Eagleton alla conclusione del libro. Una cultura cioè che voglia e si sappia contrapporre alle tendenze culturali dominanti nelle sue varie diversificazioni, rendendosi conto però senza alcuna fantasia illusoria che ormai l’attuale dibattito politico non è più incentrato su questioni di valore o addirittura di arte e i cosiddetti teorici culturali possono ormai fare ben poco per contribuire alla loro soluzione. Cultura però, ribadisce Eagleton, non è solo un inutile dibattito accademico ma è tutto ciò per cui viviamo, gli affetti, i rapporti, la memoria, le affinità, la comunità. Elementi certamente più vicini alla maggior parte di noi ‹‹di quanto non lo siano una Carta dei diritti umani o un trattato commerciale››. Ed è proprio da questi elementi culturali e dunque comunitari, ovviamente insieme ad una seria analisi teorica come da sempre cerchiamo di fare, che può rinascere una cultura d’opposizione che possa opporsi teoricamente e politicamente al sistema capitalista integrando gli elementi più sani ed emancipatori della Cultura e delle culture.