Allarmi son fascisti
lug 18th, 2015 | Di Maurizio Neri | Categoria: Primo PianoFabrizio Marchi
Si definiscono “antimondialisti”, anticapitalisti e antimperialisti ma sono solo fascisti, vecchi o nuovi, del secondo o del terzo millennio, in camicia nera o in camicia verde. I concetti che sostengono e i metodi che utilizzano sono più o meno sempre gli stessi.
Dicono di lottare per la difesa delle identità culturali contro i processi di omologazione imposti dalla globalizzazione capitalista (lo chiamano “differenzialismo”), ma è solo un escamotage per coprire il loro razzismo ideologico e pratico (il razzismo “biologico” è ormai impresentabile e improponibile, anche per loro…). Confondono e sovrappongono, a volte per malafede (i leader e i gruppi dirigenti) e spesso per ignoranza (la base e la manovalanza) il concetto di omogeneizzazione (che è un processo effettivamente posto in essere dal sistema capitalistico assoluto che vuole ridurre il pianeta ad un gigantesco Mac Donald) con quello di eguaglianza (che nulla ha a che vedere con il primo) nei confronti del quale sono profondamente, visceralmente e violentemente ostili (altrimenti non sarebbero quello che sono, cioè fascisti…).
Sostengono che il loro nemico non sarebbero gli immigrati ma il sistema (capitalista) che produce l’immigrazione, ma poi, all’atto pratico (che è quello che conta), il loro presunto anticapitalismo si traduce nell’aggressione sistematica e violenta nei confronti degli extracomunitari, come è successo ieri in quel quartiere residenziale a nord di Roma dove solo la presenza della polizia ha impedito che alcuni migranti fossero linciati, o come è successo qualche giorno fa nel Trevigiano, anche se in quel caso indossavano la casacca verde.
Il loro livore e la loro rabbia si scarica sempre sugli ultimi, sulle prime vittime di quel sistema che a parole dicono di voler combattere. Ma sono solo menzogne. Avete forse mai visto dei fascisti assaltare con la stessa veemenza con cui aggrediscono un gruppo di immigrati la sede di una banca, di una multinazionale, di una base militare degli USA o della NATO oppure contestare con altrettanta virulenza questo o quel vertice dei potenti della Terra oppure ancora, che so, un ritrovo di “vip” in qualche località esclusiva per soli ultraricchi? Per quanto mi riguarda, mai. Sempre in prima fila, invece, quando si tratta di prendere a sprangate un immigrato.
Non perché serva a qualcosa prendere a sassate la filiale di una banca o di una multinazionale, sia chiaro, anzi, il più delle volte si tratta di atti politicamente sciocchi e controproducenti. Però, dal momento che quegli stessi atti, per quanto infantili, hanno un valore simbolico (e per questa ragione vengono posti in essere), allora vale anche e soprattutto per le “bravate” dei “fascisti del terzo millennio”, come amano definirsi. E se tanto mi da tanto, se me lo permettete, tra assaltare la filiale di una multinazionale o contestare anche in modo violento un vertice del G8 o l’inaugurazione di una “kermesse di regime” come l’Expo da una parte, e aggredire un gruppo di immigrati dall’altra, c’è una bella differenza. E chi non riesce a vederla e mette tutto e tutti nello stesso calderone, vuol dire che è ottuso oppure in malafede.
Purtroppo queste organizzazioni neofasciste (vale per la Lega Nord come per Casa Pound o simili, comunque oggi alleati) hanno buon gioco nel fare ciò che fanno. Speculano, come sempre hanno fatto, sull’insicurezza di tanta gente che vive una condizione di sofferenza e di forte disagio sociale e che, priva di una coscienza politica e di classe, individua negli immigrati, cioè in quelli che se la passano ancora peggio di loro, la causa o una delle cause principali della loro condizione. Ma anche sull’egoismo di quei settori della piccola e della media borghesia, impauriti anch’essi e in parte impoveriti dalla crisi economica, che credono di difendersi chiudendosi, non solo metaforicamente, nei loro fortilizi. Quanto accaduto in questi giorni a Roma e nel Trevigiano è emblematico in tal senso. Ciò che ha animato la “rivolta” non è stato in questi casi solo l’ostilità nei confronti degli “stranieri” ma il timore, molto più prosaico, che le loro case potessero deprezzarsi, perdere di valore a causa della presenza di questi ultimi che, in quanto tale, è considerata come fonte e causa di degrado.
Questo non vuole essere un giudizio moralistico e men che meno un atteggiamento ideologico e supponente nei confronti di chi, in molti casi anche faticosamente e a prezzo di grandi sacrifici, si è messo un tetto sotto la testa e ha costruito per se e per la propria famiglia una vita decente, ma solo il tentativo di abbozzare un’analisi lucida (che non vuol dire giustificare…), sia pur estremamente sintetica, sulle cause che sono a monte dell’ ostilità nei confronti dei migranti.
Il caso di Casale San Nicola è simile (nell’ostilità) ma allo stesso tempo in larga parte diverso (nella sostanza) da quello di Tor Sapienza dove, non molto tempo fa, scoppiò una rivolta contro il centro che ospitava gli immigrati. Tor Sapienza è una borgata, un quartiere periferico da sempre disagiato e degradato, che una volta avremmo definito “proletario” (oggi il termine è desueto ma la sostanza è la stessa…), dove gli autoctoni e gli stranieri si trovano a condividere lo stesso degrado sociale, la stessa assenza di servizi e di strutture, la stessa mancanza di lavoro e di prospettive e la stessa condizione di miseria esistenziale, oltre che materiale. E’ in questo contesto che cresce e si sviluppa una sorta di competizione che finisce per sfociare nell’ ostilità e nel risentimento, anche e soprattutto in questo caso, da parte dei primi nei confronti dei secondi: la famosa “guerra fra poveri” alimentata ad arte dai padroni del vapore (divide et impera) e da quelle forze neofasciste che su di essa proliferano.
Casale San Nicola è invece un quartiere residenziale, abitato per lo più da una neo piccola e media borghesia di commercianti e piccolissimi imprenditori, per lo più culturalmente sprovveduti, in molti casi di origine popolare, che difendono il loro “status” di “neo borghesi” (termine anche questo improprio ma ci capiamo anche in questo caso) e il “loro” territorio che rischia di essere “invaso” dagli stranieri. I quali, è bene ricordarlo, sono poveri, anzi poverissimi, e questa è la loro “colpa”. Perché se invece di essere poveri fossero benestanti e abitassero nella villetta accanto alla loro o addirittura in una villa, qualora fossero ricchi, il problema non si porrebbe e le “rivolte” non scoppierebbero. Tutt’al più ci sarebbe una sorta di rancore, di invidia più o meno manifesta nei confronti di quello straniero “che ha fatto i soldi”.
Quindi, come vediamo, il problema non è dato tanto dalla questione etnica quanto da quella sociale. E’poi ovvio che quando questi due aspetti si sovrappongono si crea una miscela esplosiva.
Ed è sempre facendo leva su questi “sentimenti” che la destra neofascista e leghista riesce a costruire un blocco sociale interclassista (e ad esercitare anche egemonia politica e culturale), il cui collante è appunto l’ostilità nei confronti degli stranieri e di un non meglio identificato “sistema” (nulla a che vedere con una critica strutturale del dominio capitalistico che non ha nessuna intenzione di mettere realmente in discussione se non in determinati aspetti “culturali”) che provocherebbe questa situazione (e in effetti è così, solo che sono sia la diagnosi che la “cura” ad essere completamente sballate…). In questo blocco sociale interclassista è solo apparentemente assente la borghesia più ricca e altolocata per un motivo molto semplice: i ricchi e i potenti non vivranno mai le contraddizioni create dal loro stesso sistema per la semplicissima ragione che ne godono solo i vantaggi e i privilegi. Del resto, per fare solo un esempio, nessun centro di accoglienza per migranti verrà mai collocato in una quartiere di ricchi. Il rapporto che questi ultimi hanno con gli immigrati è solo quello che hanno con i nuovi “servi”, cioè con i camerieri e le cameriere, i badanti e la badanti, le baby sitter e i dog sitter che prestano servizio nelle loro case. Questa alta borghesia (diciamo classe sociale ultracapitalistica), data la sua condizione, può permettersi anche di assumere rispetto a questo ordine di problemi, un atteggiamento liberale e “politicamente corretto”, ed in effetti è proprio quello che il più delle volte assume, fingendo di scandalizzarsi per i comportamenti intolleranti, rancorosi e violenti di quei settori popolari e di piccola e media borghesia di cui sopra. Ma è proprio qui che continua il depistaggio ideologico da parte della destra neofascista e neoreazionaria la quale si guarda bene, ovviamente, dall’organizzare la rabbia dei ceti popolari verso i veri responsabili della loro condizione di oppressione e disagio sociale (altrimenti sarebbe un’altra cosa…), per dirottarla contro quelli che vivono una condizione ancora peggiore. Ecco che in questo modo si chiude il cerchio. Nella migliore scuola fascista, si acchiappano due, anzi, tanti piccioni con una fava: si alimenta ad arte una guerra fra poveri, si depistano ideologicamente le masse, si crea una gigantesca falsa coscienza e ultimo, ma niente affatto per ultimo, si disinnesca il conflitto di classe.
Coloro che, specie negli ultimi anni (fra cui anche autorevoli pensatori), hanno sostenuto che il fascismo fosse un fenomeno ormai storicamente superato, hanno commesso un grave errore interpretativo. Certo, se per fascismo intendiamo solo ed esclusivamente quello che si è determinato nel ventennio italiano dal 1922 al 1943, allora hanno “tecnicamente” ragione, perché quello è un evento che in quelle date forme e modalità appartiene appunto alla storia e non è ripetibile. Ma noi sappiamo che tutto si trasforma, con il trasformarsi della realtà storica. Questo vale naturalmente anche per il fascismo che si manifesta in forme e modalità sia pure in parte nuove, come è normale che sia, date le differenti circostanze e contesti storici. E non c’è alcun dubbio sul fatto che gli atteggiamenti di ostilità, di razzismo, di intolleranza diffusa e di odio nei confronti degli immigrati affondino le loro radici nella cultura e nell’ideologia fascista e nelle sue propaggini.
E’ doveroso sottolineare che questa sorta di fascismo diffuso (la logica degli “sparuti gruppi di provocatori e violenti “ non regge più, bisogna affrontare il toro per le corna e non raccontarsi balle…) prolifera anche e soprattutto a causa dell’assenza sempre più drammatica di una forza politica in grado di sviluppare una moderna ma forte critica di classe e anticapitalistica.
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