IL GIOVANE FAVOLOSO (Mario Martone, 2014)

mar 18th, 2015 | Di | Categoria: Cultura e società

 

Il mio cervello non concepisce masse felici fatte di individui infelici.

(Giacomo Leopardi)

di Pino Bertelli

I. LA GOBBA DI LEOPARDI E LA TENTAZIONE DI ESISTERE

Il cinema muore di cinema, lo sanno perfino i professori universitari che dicono d’insegnarlo… ma il cinema non s’insegna, come la fierezza: si trova nella strada… i cattivi registi sono sempre superiori alle loro opere… motto di spirito: il cinema non serve a nulla, come la musica di Mozart o il coltello del Caravaggio! I talenti sono sempre compresi e prezzolati, i geni mai! Il genio comincia sempre col dolore, per questo è vilipeso, relegato nella follia o suicidato dalla società.
Il cinema è parte integrante dello spettacolo consumerista e discorso ininterrotto che l’ordine presente tiene su se stesso… è il suo monologo elogiativo, è l’autoritratto del potere all’epoca della gestione totalitaria della condizioni di esistenza, diceva… il solo artista degno di nota è quello che ha fatto della propria vita dissennata un’opera d’arte sovversiva… un mondo senza cinema sarebbe noioso quanto un parlamento senza idioti.
Il giovane favoloso di Mario Martone è un’operazione furba… a cominciare dal manifesto (brutto)… l’immagine dell’attore che interpreta Leopardi (Elio Germano) è rovesciata… la trasgressione non c’entra… c’entrano gli esperti della produzione e della comunicazione del film, che viene annunciato come un prodotto commerciale di un certo rilievo… e dato che in un paese come questo – dove il popolo è felice di essere addomesticato dalla partitocrazia (carta stampata, cinema, televisione, videotelefonia…), dalla spettacolarità demenziale di chef, calciatori, cantanti, comici e primi ministri che dissertano sulla fame nel mondo vestiti da sarti quotati in borsa… confortato dalla tristezza esultante di un papa che andrebbe protetto in un manicomio per allucinati dalla fede -… un film del genere rischia davvero di essere preso sul serio.
La gobba del conte Leopardi si aggira per tutto il film come preludio di una cattiva fine… il giovane intellettuale si trascina per campi, strade, salotti e bordelli in cerca di un po’ di verità o d’amore per la dolente umanità che lo circonda… la sua saggezza incompleta non trova proseliti né comprensione… nessuno o pochi si accorgono che Leopardi voleva conquistare la vita autentica, e il solo modo per goderne era abolire prima di tutto l’ipocrisia e l’indifferenza. Rompere i legami con l’educazione imposta e fare della malinconia, del piacere o della gioia epicurea il primo passo contro la barbarie istituzionale come destino.
Il nobile padre di Leopardi relega Giacomo e i fratelli nella biblioteca di famiglia (nella villa di Recanati)… il mondo esterno passa sotto la finestra… il giovane Leopardi lo guarda attonito, come dalle sbarre di una prigione… gli sguardi che butta oltre il cielo contadino della contrada contengono il preludio della purezza e la vitalità della liberazione… la madre, bigotta e anaffettiva, lascia l’educazione dei figli al marito e al prete… in molti scritti Leopardi descriverà il senso di abbandono della madre, che si è portato addosso per tutta la sua tormentata vita.
Nell’epoca delle biografie banalizzate anche la farsa si porta dietro le stimmate della storia… tutti i poeti sono appannaggio di civiltà fondate sull’idea di comprensione, redenzione o salvezza e solo il pazzo – o il genio – possiede il privilegio di passare indenne dalla casistica sanguinolente del consenso paludato, che finisce sempre in un best-seller, un film di successo o uno stage estivo per operai sindacalizzati o della Digos… ciò che importa è l’aureola del consumo di massa, l’insincerità dei sentimenti truccati, l’onorabilità della famiglia e dello stato come succedanei di esistenze appese sull’orlo dell’essere… e fare di tutti i cammini di liberazione un universo di appestati dei quali perdere finanche il ricordo del loro dissidio o della loro diversità, come è stato per Leopardi in questo film. Una società esiste e si afferma soltanto grazie ad atti di provocazione; quando comincia a restaurare la ribellione vuol dire che è al culmine della sua decadenza.

 

II. IL GIOVANE FAVOLOSO

Mario Martone è autore di due film importanti, Morte di un matematico napoletano (1992) e L’amore molesto (1995), e modesto apologeta del Risorgimento italiano con un film molto premiato – ma non per questo sopportabile -, Noi credevamo (2010). Ne Il giovane favoloso rilegge (in parte) la vita corta di Giacomo Leopardi… l’onestà intellettuale c’è, la costruzione e l’impudenza di un’anima morsa dall’utopia, un po’ meno. Il film ha inizio con una certa allegrezza di Leopardi per la natura e la crescita irrequieta incline alla conoscenza del mondo fuori dall’insegnamento paterno o pretesco… una forma di tubercolosi ossea deforma il corpo acerbo di Leopardi, ma lascia intatta la sua belligerante intelligenza, tra le più fulgide mai apparse tra i letterati del proprio tempo… da subito Leopardi è poeta di grandezze infinite e mostra a conventicole politiche o dottrinarie che non si può essere insieme normali e vivi.
Dopo alcuni minuti di figurazione campestre e descrizione dell’ambiente familiare, la gobba di Leopardi invade lo schermo… Germano striscia per tutto il film, anche abbastanza bene, quasi a ricordare la splendida interpretazione del gobbo di Charles Laugthon, in Notre Dame (1939) di William Mieterle… l’attore ce la mette tutta, tuttavia non convince… c’è il senso della fatalità nel suo personaggio, ma non c’è il dolore e lo smarrimento del disinganno.
Leopardi inizia a pubblicare… gli amici letterati lo stimano (Pietro Giordani sarà il suo mentore), a ventiquattro anni lascia Recanati e va a Firenze… qui conosce Antonio Ranieri, nobile napoletano, insofferente alla politica e ai costumi dell’epoca… Leopardi condivide con lui alloggi, salotti e gli eccessi della giovinezza… s’innamora di una giovane aristocratica, Fanny Targioni Tozzetti, ma lei sceglie Ranieri. Leopardi e Ranieri abitano insieme per qualche mese a Roma (Ranieri ha una relazione con l’attrice Maria Maddalena Pelzet), poi vanno a Napoli: il poeta è ospite nella casa della famiglia Ranieri (in dissestata situazione economica). Paolina, sorella di Antonio, si occupa con devozione delle opere letterarie di Leopardi. A Napoli scoppia il colera… Giacomo e Antonio si trasferiscono nella villa di un amico (Carafa-Ferrigni), alle pendici del Vesuvio (Torre del Greco)… Leopardi assiste all’eruzione del vulcano, scrive una delle sue più belle poesie, La ginestra (1836), e muore (in realtà scompare nel 1837, all’età di trentotto anni).
Va detto. Leopardi e Ranieri si frequentano per sette anni (fino alla morte del poeta). La loro particolare amicizia ha suscitato polemiche, fraintendimenti e illazioni tra gli studiosi e gli abatini delle patrie virtù… ma a leggere questa lettera d’amore di Leopardi all’amico, si comprende che ogni amore ha i suoi profumi e per l’amore, come per la libertà, non ci sono catene: «Ranieri mio, tu non mi abbandonerai però mai, né ti raffredderai nell’amarmi. Io non voglio che tu ti sacrifichi per me, anzi desidero ardentemente che tu provvegga prima d’ogni cosa al tuo ben essere: ma qualunque partito tu pigli, tu disporrai le cose in modo, che noi viviamo l’uno per l’altro, o almeno io per te; sola ed ultima mia speranza. Addio, anima mia. Ti stringo al mio cuore, che in ogni evento possibile e non possibile, sarà eternamente tuo»1. Ne Il giovane favoloso, naturalmente, di tutto questo non c’è traccia… l’improbabile incontro di Leopardi con il femminiello nel casino di Napoli (accompagnato da Ranieri), Martone se lo poteva anche evitare. I momenti di raffinatezza nascondono un principio di stile, e lo stile, quando è fine a se stesso, è più fragile di qualsiasi finezza.
Il quadro generale de Il giovane favoloso è una successione di interpretazioni di stampo televisivo… uno sceneggiato ben fatto e quasi sopportabile… Martone e Ippolita Di Majo confezionano la sceneggiatura/biografia di Leopardi un po’ all’acqua di rose… giocano sui luoghi comuni e sull’amore risorgimentale degli italiani verso l’autore di All’Italia (1818). La fotografia (Renato Berta) è calligrafa, stucchevole, e come la scenografia (Giancarlo Muselli) restituisce in parte l’atmosfera di un’epoca. Il montaggio (Jacopo Quadri) rispecchia la monotonia del film e le musiche (Apparat/Sascha Ring) non c’entrano nulla con il racconto filmico. Martone sembra conoscere i filamenti teatrali di una storia, ma ignora del tutto che la costruzione di un film di questo tipo sta nella seduzione epica del personaggio e nella forza sociale che lo stritola.
Germano sa portare bene la gobba… fa poco di più… non riesce a figurare l’intimità ferita di Leopardi… Michele Riondino non ha la sfrontatezza nobiliare di Ranieri, nemmeno quando è nudo… Massimo Popolizio fa il padre austero e non sembra credere molto in ciò che interpreta… Anna Mouglalis è una signora impiumata con la faccia da puttana dabbene… Paolo Graziosi fa teatro di sé e Iaia Forte è una comprimaria da operetta… il resto della compagnia cantante è roba nemmeno da menzionare.
Il giovane favoloso è un brutto film… pretenzioso, sentimentale, deprecabile sotto ogni aspetto (non solo) estetico… le dissennatezze poetiche, sotto ogni taglio, respingono gli eruditi della menzogna e smascherano i teologi del restauro… i maniaci del rigore filologico rimandano alla costruzione delle forche spettacolari… diffidiamo della politica consacrata e rifuggiamo coloro che hanno la pretesa di possedere una storia esatta su qualunque cosa… rinchiudere una vita in una commedia mal fatta equivale a bloccare l’eresia di un uomo, ribelle per vocazione, che ha ritenuto deplorevole i paraventi della civiltà.
Leopardi era sospetto alle autorità del suo tempo… i suoi libri furono proibiti e messi all’indice dalla santa romana chiesa… il pensiero radicale del poeta, atonale a ogni potere, lo affrancava agli occhi dei maggiori esponenti del romanticismo europeo (Byron, Shelley, Chateaubriand)… fu inoltre interprete di una filosofia materica, “liberale” (che passava dalle letture del barone d’Holbach, di Pietro Verri, di Condillac…), e preannunciava il grossolano e il terribile del dominio dell’uomo sull’uomo… a scavare a fondo nella sua opera fuoriescono quegli impeti radicali che lo indurranno a passare dal bello al vero e fare del principio del piacere una sorta di concezione filosofica dell’esistenza (è il medesimo dissidio irreconciliabile con l’ordine istituito che ritroviamo nelle pagine di Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche o Kafka).
Va detto. Il fascio della critica italiana è andata in delirio per Il giovane favoloso… le lodi sono state sperticate… si è visto nel film quello che non c’era e il coro è diventato contagioso… non è cosa nuova per l’italietta catto/postcomunista… l’accorato plauso delle maggiori testate giornalistiche è stato solerte, quasi sincero… tuttavia, quando la verità è messa al bando, non si evita la santificazione e l’insincerità che ne consegue si diletta nella prostituzione o nel parassitismo d’autore… non è la sofferenza che rende liberi, ma il desiderio e la passione di rompere la sofferenza e abbandonarsi all’indecenza di vivere tra lo stupore e la meraviglia. Là dove l’autoritarismo delle forme apparenti impone i propri ferri, ogni forma di disobbedienza civile e resistenza sociale è autorizzata… la distruzione dei miti porta con sé quella dei pregiudizi.
Il giovane favoloso confeziona rabbia e rassegnazione, rimpianti e belle glorie, speculazioni e disarmonie di un uomo che ha infranto tradizioni, provincialismi, intolleranze… che ha ignudato imbonitori santificati e deriso le volgarità secolari di politici e servi, che hanno fatto del privilegio della feccia l’inumanità del genere umano. I suoi canti sono sprezzanti contro il cinismo dei profeti, dei partiti, delle fedi, e condannano (senza gridarlo mai) i naufraghi dell’indifferenza alla schiavitù e all’ignoranza… quel che più conta, le sue parole non sono state ingabbiate dai vocabolari e i suoi zibaldoni e operette morali restano a memoria di tutti gli uomini che si sono esiliati dai relitti di tristezza e hanno respinto dappertutto l’infelicità.

 

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 16 volte gennaio 2015

 


 

1 Giacomo Leopardi, «Lettera 481» (11 dicembre 1832), in Lettere, Salani, Firenze 1958.

 

 

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