IL SALE DELLA TERRA (Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, 2014),
feb 24th, 2015 | Di Maurizio Neri | Categoria: RecensioniL’uomo libero è colui agli occhi del quale i filosofi sono superstiziosi,
e i rivoluzionari, conservatori. […] Vi è un diritto che prevale su tutti gli altri, è il diritto all’insurrezione.
(Emile Henry)
di Pino Bertelli
[…] Il cinema, quando è grande, figura lo spirito corrosivo o le speranze tradite di un’epoca… Il sale della terra. In viaggio con Sebastião Salgado (2014), di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado (figlio del fotografo), contiene il gusto della bellezza, della raffinatezza, del coraggio propri a quanti fanno dell’arte di comunicare la denuncia della barbarie. Salgado, come sappiamo, è un fotografo che incendia i tumulti dello sguardo e parla la lingua degli ultimi, degli esclusi, degli offesi… al tempo delle costruzioni delle nuove cattedrali (i centri commerciali) i talenti autentici sono rari… purtroppo i fotografi esistono… si occupano di ornamenti, minuetti e di sterilità felice richiesta dai mecenati, caimani, politici indissociabili dalle casistiche della rapina neoliberista.
In fotografia e in ogni forma d’arte, lo stile è l’espressione diretta della maestria svincolata dalle aberrazioni galleristiche o riconoscimenti prezzolati… è un’architettura dello spirito, una genialità che bene si accorda con le idee che irrompono nel razionale e lo ignudano di verità. L’entusiasmo degli ignoranti “colti” disseminato nelle cloache della cultura servente va combattuto… si tratta di amare il diverso da sé e rendere la vergogna di ogni potere ancora più vergognosa. La sovversione non sospetta della società consumerista o la pratica della verità dei libertari d’ogni dove è sempre attuale: respingere dappertutto l’infelicità1.
Child, Ecuador, 1998 © Sebastião Salgado |
Il documentario di Wenders e Ribeiro Salgado è la raffigurazione commovente di uno dei più grandi fotografi dei nostri giorni, è una testimonianza radicale e una riflessione profonda sulla condizione disumana nella quale versa l’intera umanità… l’aroma della fotografia autentica trabocca da ogni immagine di Salgado e afferma, con lo sdegno salutare dei moralisti, che gli uomini non vedono le cose nel modo in cui sono, ma le vedono nel modo in cui vivono, cioè da beoti dell’illusione elettorale o schiavi dell’ideologia comunista. Il mondo mantiene il proprio delirio sul fiato morente dei bambini… le armi si sono sostituite alle parole e in questo fiorente mercato di morte gli uomini (specie i più ossequiosi a dio e allo stato) sono incapaci di comprendere che il povero fa più bene a se stesso e al proprio figlio non quando bacia la mano al ricco, ma quando lo prende a calci in culo.
Greater Burhan Oil Field, Kuwait, 1991 © Sebastião Salgado |
La visione tragica di Salgado s’aggancia alla ricerca della maggior felicità per il maggior numero e sottolinea che il neoliberismo genera, alimenta e accresce la povertà e la distruzione del pianeta… l’iconografia del brasiliano sottolinea che l’ipocrisia istituzionale ha sempre la meglio sulla verità e va combattuta, disvelata, disobbedita… le sue fotografie contengono la medesima conflagrazione poetica di Keats, Kleist, Rilke, Pound, Brodskij, Pasolini… accorpano l’intensità del bello alla pienezza del sublime… ogni immagine è un apologo in divenire di un’infinita malinconia che anticipa catastrofi ecologiche e l’indifferenza deplorevole della società contemporanea… l’immensità estetica che raggiunge lascia negli occhi dei lettori una sorta d’intimità, di complicità, di pietà laica indissociabile con la ricerca del buono, del bello e del bene comune.
Le fotografie di Salgado contengono quella capacità di stupire e meravigliare, non solo per la loro austera compiutezza estetica, ma anche per quella politica della bellezza che persegue il medesimo fine della giustizia, appicca il fuoco della verità ai saperi prezzolati e squarcia le ombre funeste dei palazzi, delle chiese, delle guerre, delle ferite inflitte all’ecosistema da una cosca di saprofiti… accosta l’idea di destino degli uomini all’incomprensibilità dei predicati mercantili che determinano il consenso a tutte le manifestazioni di dominio dell’uomo sull’uomo. La fotografia senza la poesia in eresia che l’accompagna si dissolve nel nulla.
Fortress of Solitude, Antarctica, 2005 © Sebastião Salgado |
Il sale della terra è un film epico e tragico insieme… è il ritratto storico, politico e creativo di un gigante della fotografia sociale e come le gesta dei cavalieri che fecero l’impresa, le sue icone d’indignata tenerezza si trascolorano in cantici d’eternità. La macchina da presa di Wenders e Ribeiro Salgado ripercorre il lavoro fotografico di Salgado in 26 paesi e attraverso la lettura delle sue immagini in un superbo bianco e nero si comprende che il fotografo costruisce un mondo degli espropriati come atto di sfida al mondo degli espropriatori o dei parassiti. I registi lo seguono nel suo viatico, nella sua erranza, nella ricerca di ciò che genera dolore e disuguaglianze, amore e fraternità, e autorizza ciascuno a prendersi cura di tutto quanto limiti l’uomo all’esercizio della libertà. Salgado racconta la sua vita e quella della sua famiglia in maniera pudica, in punta di fotografia. Da un lato le sue immagini sono un florilegio fotografico tra i più sublimi che un uomo abbia mai dedicato alla bellezza della terra, e di contro esprimono una denuncia profonda della politica schizofrenica con la quale la rapacità del potere oltraggia da secoli l’intera umanità.
Yamal Peninsula, Siberia, Russia, 2011 © Sebastião Salgado |
Salgado nasce nel 1944 nello stato di Minas Gerais (Brasile), in una famiglia della buona borghesia terriera… nel film parlano il padre, la moglie, il figlio, Wenders… in maniera piuttosto schiva, Salgado racconta l’infanzia felice e le turbolenze della giovinezza… negli anni caldi della contestazione partecipa a manifestazioni di sinistra contro la dittatura nel suo paese… poi va in esilio e solo dopo la caduta del regime tornerà alla sua terra, ormai erosa dalla siccità e dal degrado. Insieme alla moglie piantano milioni di alberi e fanno rifiorire l’antica foresta. Resteranno a vivere lì, nelle tracce dei padri, e come gli alchimisti che volevano ridare vita alla materia si sono meritati ciò che hanno sognato.
La fotografia della rêverie di Salgado è scritta con la luce dei corpi derisi, umiliati, defraudati di ogni sorriso… i paesaggi sono gravidi di magnificenze ed epifanie materiche e figurano una fragile finezza, che appartiene all’intelligenza dell’uomo o al suo disprezzo del meraviglioso. Il patronato della Provvidenza o la perdizione nel Paradiso dei mercati che gli “illuminati” dei governi predicano ai miserabili contiene un fascino sinistro… quello dell’arroganza economica/politica di una civiltà esausta che nel suo declino inarrestabile cerca, senza mai riuscirvi, una qualche opportunità per non finire nella farsa. «Una civiltà esiste e si afferma soltanto grazie ad atti di provocazione» (E.M. Cioran). Quando comincia ad erigere templi della partitocrazia, allargare il mercato delle armi e saccheggiare le ricchezze del pianeta, è segno che si sgretola.
Dinka group at Pagarau, Southern Sudan © Sebastião Salgado |
Le immagini di Salgado sono un’esplosione di poesia eidetica, «egli appartiene al paese della dinamite e proietta ovunque stelle» (Gaston Bachelard)2. La sua cartografia fotografica si dipana nel film in un rizomaio d’immagini icastiche… i cercatori d’oro affondati nella più grande miniera a cielo aperto del mondo s’intrecciano ai genocidi africani, ai massacri della guerra del Golfo, ai pozzi di petrolio incendiati, ai cadaveri accatastati nelle strade del Rwanda, alle tribù indios ancora ingenue o non contaminate dalla cupidigia dei mercati globali… la commozione prende alla gola… le fotoscritture di Salgado denunciano la volgarità del potere e rivendicano soggettività radicali che si oppongono agli ordinamenti, codici e valori delle ideologie del sopruso. Ci fanno comprendere che lavorare a fianco dei violentati significa contribuire alla salvezza e alla felicità della comunità che viene.
La scrittura fotografica di Salgado si abbandona alla gioia figurale/surreale delle foreste tropicali dell’Amazzonia, del Congo, dell’Indonesia, della Nuova Guinea… verità e umanità si riflettono in quelle visioni amorose dell’esistenza e sembrano accusare di scarsa attenzione alla bellezza e alla giustizia i profeti dell’indecenza politica… il pianeta muore… e liberare la bellezza dalla repressione e dallo sfruttamento intensivo dei “tesori ancestrali” della terra significa aprire l’anima al piacere, alla grazia, alla delizia e decretare la fine dell’utilitarismo. L’inclemenza dei potenti governa l’universo e poggia sulla servitù volontaria (oltre che sulla forza delle armi), e solo quando la ragione degli eccessi e delle grandi abdicazioni dei popoli in rivolta metterà fine alla secolarizzazione delle lacrime, si potrà giungere alla felicità comune.
Coal Mining, Dhanbad, Bihar, India, 1989 © Sebastião Salgado |
Lo sguardo in utopia di Salgado s’invola sulle bellezze incontaminate dei ghiacciai dell’Antartide, percorre deserti africani, le montagne dell’America, del Cile, della Siberia… ovunque testimonia l’aggressività dell’uomo verso la natura e smaschera le leggi di sopraffazione, rapina, devastazione dell’economia politica… la cosmogonia fotografica che ne consegue deflagra, fuoriesce, irrompe nella detestazione di terrori di prima qualità… si ribella all’asineria del fatalismo e configura nel giusto, nel buono, nel bello il desiderio di un nuovo mondo amoroso dove ogni autoritarismo è bandito e il sapere precede il potere. L’immensa ricchezza di pochi genera l’impoverimento di molti e il cammino della liberazione non può che essere opera di uomini e donne che con tutti gli strumenti utili conquisteranno la verità, la libertà e la pace nel mondo.
Il soggetto e la sceneggiatura de Il sale della terra è di Wenders, Ribeiro Salgado, David Rosier, Camille Dalafon, e l’ossatura filmica si avvale delle presenze di Sebastião Salgado, Wim Wenders (narratore), Hugo Barbier (se stesso), Jacques Barthélémy (se stesso), Lélia Wanik Salgado (moglie e collaboratrice del fotografo)… ciascuno esprime sentimenti incrociati, intuizioni poetiche, ricordi personali… e tutti si legano alla fotografia archetipale di questo maître à penser per immagini che è Sebastião Salgado. La mano di Wenders si riconosce nella sapiente architettura filmica già vista in documentari come Lampi sull’acqua – Nick’s Movie (1980), Tokyo-Ga (1985), Buena Vista Social Club (1999) o Pina (2011). Non importa se questo film sarà coperto di riconoscimenti (e premiato perfino con un Oscar), tutte cose secondarie rispetto alla portata eversiva o al grido di salvezza che contiene: il messaggio dell’uomo in libertà che si oppone al male assoluto del sistema mercantilista e innesca i presupposti sociali per mettere fine alla sofferenza.
Serra Pelada gold mine, Brazil, 1986 © Sebastião Salgado |
La fotografia di Hugo Barbier e Ribeiro Salgado avvolge il film in un’aura d’identificazione proiettiva e sembra che ogni inquadratura porti al reincanto del mondo. La musica di Laurent Petitgand s’accorda bene alla percezione magica de Il sale della terra e sottolinea con delicatezza e marcate variazioni sonore i mutamenti degli scenari, senza mai abbandonarsi a ricami sull’estetica della visione. Il montaggio di Maxine Goedicke e Rob Myers è una sorta di sinfonia filmica… intreccia colore e bianco e nero, conversazioni, interviste, riflessioni del fotografo, della troupe con la forza espressiva delle immagini di Salgado, e l’intero film si pone come una critica profonda dei vangeli ipocriti del liberismo. La bellezza di ogni opera dello stupore e della meraviglia che disfà millenni di bruttezza del potere è il punto più vicino fra il genere umano e l’eternità.
Va detto. Il sale della terra è un canto libertario contro la perversione rappresentativa di quanti esercitano il potere, chiunque essi siano… fossero pure capi di stato, papi o primi ministri… che si dicono interessati alle sofferenze profonde delle genti… il loro disegno comporta un’addomesticazione della ragione pubblica e in bella evidenza s’intreccia con gli affari criminali delle mafie e forma una reticolazione onnipotente che sollecita guerre, saccheggi, repressioni… è un sistema molecolare, una casta di governanti (destra e sinistra, non fa differenza) che elabora regole, leggi, balzelli ed estende il dominio poliziesco su sudditi, amministrati, elettori… sotto ogni aspetto del governare, democrazie dello spettacolo e regimi comunisti sono del tutto simili e integrati nella feticizzazione mercantile dello stato. La società di controllo, disciplinare o liquida, ha costruito il divenire gregario degli individui e l’oligarchia finanziaria che si arroga il potere di decidere l’atlante della sopravvivenza, ricompensa in modo non trascurabile i fautori di povertà, vessazioni, olocausti… restano le energie ribelli delle giovani generazioni che si battono contro la violenza costituita della realtà quotidiana… sacche di resistenza e insubordinazione che – con tutti i mezzi necessari – attentano alle insignificanze teologiche della partitocrazia… poiché ogni potere è marcio e sanguinario… ogni forma di insurrezione popolare – anche la più estrema – è giustificata dall’innocenza del divenire che contiene, e in ogni caso, senza nessun rimorso.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 14 volte febbraio 2015
1 Stefano Taccone (a cura di), Contro l’infelicità. L’Internazionale Situazionista e la sua attualità, Ombre Corte, 2014.
2 Gaston Bachelard, Lettere a Jean-Clarence Lambert (1953-1961), il melangolo, 2013.