Classi popolari: la “sinistra” prepara la vittoria di Marine Le Pen
ott 7th, 2014 | Di Maurizio Neri | Categoria: ContributiGiuseppe Allegri
Il grande dibattito scatenato in Francia dal libro di Christophe Guilluy, La France périphérique. Comment on a sacrifié les classes populaires, un cowboy solitario percorre le lande desolate della sinistra che porterà al potere la destra reazionaria e sovranista del Front National.
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Classes populaires. Le livre qui accuse la gauche. Questo il titolo a tutta pagina di Libération del 17 settembre (qui il resto del dibattito).
Mentre così apostrofa il celebre settimanale Marianne della stessa settimana: “Le vere fratture francesi: un’opera esplosiva che spiega l’avanzata di Marine Le Pen”. Aggiungendo che c’è un solo libro che devono leggere Hollande, ma anche Valls, Mélenchon, Bayrou, Juppé, Sarkozy. Cioè tutta la classe dirigente repubblicana francese, dai socialisti moderati e al governo (Valls e Hollande) a quelli pseudo-radicali (Mélenchon), fino alla destra gollista ancora in apnea dopo la sconfitta presidenziale (Juppé e Sarkozy).
Qui l’intero dibattito del settimanale Marianne.
Un geografo indipendente nelle fratture sociali francesi
E il libro in questione è La France périphérique. Comment on a sacrifié les classes populaires, appena uscito per Flammarion (pp. 186, 18 €). Un libro che andrà letto attentamente, ma che intanto ha già ravvivato l’asfittico ambiente della sinistra francese.
L’autore è il cinquantenne Christophe Guilluy, geografo, consulente indipendente, formatosi negli ambienti della sinistra radicale, organizzando le prime azioni e concerti di SOS Racisme, già collaboratore proprio di Libération e Le Monde, a lungo sostenitore della trockista Arlette Laguiller (più volte candidata alle presidenziali francesi per Lutte ouvrière), ma anche capace di incontrare “il nemico” Sarkozy in occasione dell’ultima campagna presidenziale, quindi ora firma assidua di Causeur, mensile dalla connotazione reazionario-conservatrice, molto sovranista e nazionalista, ma anche aperto a interventi e polemiche politiche connotate a sinistra.
Guilluy non è un accademico: non ha una cattedra universitaria, né un posto da ricercatore al CNRS. Appare quindi come un isolato, un lonesome cowboy di una Francia fratturata, alla disperata ricerca delle classi popolari, come osserva con un po’ di sarcasmo Libération, che definisce Guilluy l’Onfray de la géographie, per il suo ruolo piuttosto compiaciuto di estremo battitore libero soprattutto contro i luoghi comuni della sinistra benpensante e più o meno saldamente al potere politico-culturale, proprio come Michel Onfray.
Del resto Guilluy da quasi un ventennio indaga in modo indipendente le vecchie e nuove fratture sociali della Francia. Quelle prodotte dallo smottamento del ceto medio, in Francia come in Italia, in una popolazione di invisibili, impoveriti, precari e impauriti, che diviene maggioranza rabbiosa nella vita quotidiana delle piccole e medie città di provincia, come delle zone periferiche, extraurbane, degli hinterland interminabili, piuttosto che dei sobborghi senza spazi pubblici frequentabili, dove spesso è letteralmente segregata la vecchia e la nuova generazione di immigrati.
Francia periferica
Da una parte i pochi, grandi centri metropolitani, dove la sinistra, acculturata e benestante, quella dei Bobos, precedentemente oggetto degli strali di Guilluy, si incanta nel suo cosmopolitismo elitario ed autoreferenziale. Dall’altra la periferica marginalità in cui vivono milioni di persone che subiscono il lato più oscuro del capitalismo finanziario globale. Così nelle metropoli francesi si concentrano i vincitori della mondializzazione, mentre nelle periferie (delle metropoli, come della “nazione”) vengono relegati gli sconfitti, i dannati, del progresso. Questa è la tesi piuttosto polemica di Guilluy, il quale sostiene anche che i soli fenomeni di mobilità sociale verso l’alto negli strati popolari si realizzano tra gli immigrati delle metropoli.
La sinistra ha dimenticato le classi popolari?
Per questo le ricerche di Guilluy accusano l’incapacità della sinistra di aver perso il proprio ruolo, nell’intercettare le nuove condizioni di sfruttamento di questi milioni di persone, ulteriormente vessate da politiche di austerità e rigore, che anche in Francia, come nel resto d’Europa, mettono in crisi quella che era la tradizionale classe media, oramai sempre più evanescente. Perché non più ceto medio (erede del Terzo Stato nelle democrazie pluraliste), né forza lavoro fordista (erede del Quarto Stato nel patto keynesiano tra capitale e lavoro del Welfare novecentesco), ma come abbiamo provato a descrivere oggetto di una condizione di Quinto Stato escluso dalla cittadinanza sociale e dalle garanzie di base, in un processo di continuo impoverimento delle forme del lavoro (Working Poor) e di creazione di sempre maggiore diseguaglianza sociale, disoccupazione e marginalità.
Guilluy rivendica la sua appartenenza di sinistra, “che si occupa delle persone più modeste”, compito che l’attuale sinistra politica di governo rifugge, lasciando le risposte in mano al populismo intollerante e xenofobo del Front National di Marine Le Pen, capace di mettere insieme malcontento sociale diffuso nei territori, con l’intolleranza nazionalista contro le élites europee. È questo lo scacco della Francia periferica e dell’oblio da parte della sinistra di quelle classi popolari che ora vanno alla ricerca del Front National per contestare l’inettitudine della sinistra di governo.
La sinistra in coma
Certo le ricerche di Guilluy sono spesso accusate di una lettura culturalista e razziale dei concetti di popolo e popolare, così come si nota che le zone di povertà sono anche interne alle metropoli (Erich Charmes) e le politiche di prossimità non sembrano aver prodotto dei reali successi (Michel Kokoreff). Ma la domanda, posta da Guilluy con le sue ricerche, sul presente e il futuro di una sinistra interessata alla trasformazione sociale, economica ed istituzionale in favore delle persone sfruttate e impoverite rimane intatta. E senza risposte. In Francia, come in Italia e, diremmo, nel resto d’Europa.
Del resto negli stessi giorni delle polemiche su Guilluy Le Mondepubblicava un confronto tra due paludati intellettuali della gauche francese – il consigliere politico della presidenza Mitterand Jacques Attali e l’economista della sinistra sociale keynesiana Bernard Maris – sotto il lugubre titolo come evitare la morte della sinistra? Partendo dalla constatazione che la sinistra di governo francese è confinata in uno stato di coma cerebrale, acuito dagli scandali fiscali ed economici dei propri (ex) rappresentanti di governo, come Jérôme Cahuzac e Thomas Thévenoud (pare che in vita sua non abbia mai pagato imposte, multe e bollette!).
Ma è soprattutto in assenza di nuove idee e visioni sociali che Attali e Maris rintracciano nelle possibilità di un’economia della gratuità in grado di spezzare l’incantesimo neoliberale del capitalismo finanziario e realizzare, anche tramite un uso sapiente, aperto e inclusivo delle nuove tecnologie, una società del tempo liberato, della cooperazione sociale come dimensione di autorealizzazione individuale, libertà e solidarietà collettiva.
Non è l’articolo 18, ma il senso del lavoro
E qui sembra di essere dinanzi a uno spiazzamento temporale. Da una parte si sente l’eco delle spinte libertarie e post-lavoriste dei movimenti sociali dell’ultimo quarantennio, oltre che del pensiero di André Gorz e Ivan Illich, per rimanere in Francia. Dall’altra c’è come un posticcio sentore di utopia schiacciata dall’invadenza del lavoro gratuito di massa, cui sono quotidianamente sottoposti interi segmenti di popolazione in Europa, fuori da qualsiasi integrazione sociale e garanzia di libertà dal ricatto.
Su una cosa si concorda con Attali e Maris: che non si tratta solamente di dare lavoro, purché sia, ma di interrogarsi sul suo senso, il suo contenuto, la sua utilità, per le persone e per l’intera società. Perciò la domanda principale riguarda le condizioni nelle quali le persone si trovano nell’affrontare una qualsiasi attività lavorativa, intesa come scelta di autorealizzazione esistenziale e non come ricatto individuale.
Per questo lo stucchevole, odioso e ottuso eterno dibattito intorno all’abolizione dell’articolo 18 del nostro Statuto dei lavoratori sembra inesorabilmente certificare che la sinistra italiana, politica e sindacale, è ben al di là della morte cerebrale.