IL COMUNITARISMO DI JEAN THIRIART
set 19th, 2014 | Di Maurizio Neri | Categoria: Documenti storiciRiproponiamo questo vecchio articolo uscito sulla Rivista Comunitarismo del 2005
visto il dibattito apertosi a seguito dei fatti Ucraini
ALLA RICERCA DEL COMUNITARISMO ITALIANO
IL COMUNITARISMO DI JEAN THIRIART
Una ricostruzione filosofico – politica del comunitarismo, non può non soffermarsi sulla figura di Jean Thiriart, sia per l’ uso particolare che del termine in questione è derivato in seguito alla sua riflessione teorica e alle sue iniziative politiche, sia per i riflessi che esse hanno avuto sulla parabola del comunitarismo stesso in Italia. Partiamo allora da una breve biografia del personaggio.
.1. BIOGRAFIA RAGIONATA
Jean – Francois Thiriart, nato a Bruxelles nel 1922 da una famiglia di cultura liberale, in gioventù militò nella Jeune Garde Socialiste Unifiée e nell’ Union Socialist Antifasciste. Ma ad un certo punto iniziò un’ evoluzione simile a quella che aveva caratterizzato vari esponenti dell’ estrema sinistra fin dai tempi della Grande Guerra (si pensi, solo per limitarci al caso più clamoroso, al percorso di Mussolini). Infatti prima collaborò con il Fichte Bund, una filiazione del movimento nazionalbolscevico amburghese, poi aderì all’ associazione Amis du Grand Reich Allemand, favorevole ad un’ alleanza del Belgio con la Germania nazista, tanto che nel 1943 venne condannato a morte dalla resistenza belga. Dopo il crollo del Terzo Reich, Thiriart scontò alcuni anni di carcere. Nel 1960, all’ epoca della decolonizzazione si schierò decisamente in difesa del predominio bianco nel Congo, in Katanga, in Rhodesia, partecipando alla fondazione del Comité d’ Action et Défense des Belges d’ Afrique, che sarebbe successivamente diventato il Mouvement d’ Action Civique. Il controllo dell’ Africa gli appariva necessario per la lotta che l’ Europa avrebbe dovuto condurre contro gli imperialismi statunitense e sovietico. Due anni dopo, proprio come rappresentante di questo movimento, si incontrò a Venezia con esponenti di altri gruppi i “nazionalrivoluzionari” europei. Ne uscì una dichiarazione nella quale i partecipanti si impegnavano a dar vita ad
“un Partito Nazionale Europeo, centrato sull’ idea dell’ unità europea, che non accetti la satellizzazione dell’ Europa occidentale da parte degli USA e non rinunci alla riunificazione dei territori dell’ Est, dalla Polonia alla Bulgaria passando per l’ Ungheria”
Ma il progetto, come tanti altri fra quelli ideati da Thiriart, non decollò affatto. Egli tuttavia non si rassegnò e decise di fondare autonomamente un nuovo raggruppamento, la Giovane Europa (Jeune Europe), che ben presto si impiantò in numerosi Paesi del vecchio continente: Belgio, Olanda, Francia, Svizzera, Austria, Italia, Germania, Spagna, Portogallo, Inghilterra. L’ organizzazione offrì l’ appoggio delle sue reti sul territorio metropolitano all’ OAS (Organisation del l’ Armée Secrète), formazione politica costituita da militari di estrema destra legata agli ambienti dei Francesi d’ Algeria che si opponeva all’ indipendenza della colonia. Diversi militanti, tra cui lo stesso Thiriart, conobbero la prigione. L’ alleanza era motivata dal fatto che, in caso di vittoria dell’ OAS, l’ Algeria e la Francia stessa avrebbero potuto costituire dei “santuari” in vista di un’ azione rivoluzionaria in Europa.
Nel “Manifesto alla Nazione Europea”, si poteva individuare il nucleo essenziale del pensiero politico di Thiriart:
“Tra il blocco sovietico e il blocco degli USA, il nostro compito è di edificare la grande Patria: l’ Europa unita, potente, comunitaria da Brest sino a Bucarest”
La scelta era decisamente centralista, perché
“Europa federale o Europa delle Patrie sono delle concezioni che nascondono la mancanza di sincerità e la senilità di coloro che le difendono”
La Nazione Europea avrebbe dovuto dotarsi di una forza atomica propria, “ritirarsi dal circo dell’ ONU” e sostenere le lotte per la libertà e l’ indipendenza dell’ America Latina.
L’ attività di Thiriart si fece da quel momento febbrile. Fondò una scuola per la formazione dei militanti (che dal 1966 al 1968 pubblicò il mensile L’ Europe Communautarie), cercò di dar vita ad un “Sindacato Comunitario Europeo” e, nel 1967, ad un’ associazione universitaria- “Università Europea” – che si mostrò particolarmente vivace in Italia. Non a caso, tutto ciò avvenne in coincidenza con gli anni della contestazione occidentale. Dal 1963 al 1966 uscì un’ altra pubblicazione, prima settimanale, poi quindicinale, in lingua francese, intitolata Jeune Europe, (mentre in Italia si stampava l’ affiliato “Europa Combattente”). Dal 1966 al 1968 uscì La Nation Européenne, che nella versione italiana “La Nazione Europea” proseguì fino al 1969.
Questo gran movimento, benché coinvolgesse ristretti gruppi giovanili, evidentemente fece acquisire una certa notorietà a Thiriart, che nel 1966 ebbe un colloquio a Bucarest, attraverso la mediazione dei servizi segreti rumeni, addirittura con il ministro degli Esteri cinese Chu En-lai, al quale chiese appoggi finanziari per la costituzione di un apparato politico- militare europeo in grado di combattere contro i nemici comuni. Non se ne fece nulla, per l’ immediata diffidenza mostrata dalla diplomazia di Mao, sicché nel 1967 Thiriart rivolse il suo interesse verso l’ Algeria, dove presumeva di poter formare
“una sorta di Reichswehr europea, i quadri di una futura forza politico – militare che, dopo aver servito nel mediterraneo e nel Vicino Oriente, un giorno potrà battersi in Europa per farla finita con i Kollabos di Washington”
Sfumato anche quest’ altra ipotesi, Thiriart rivolse l’ attenzione alla Palestina e più in generale al Medio Oriente. Anche qui trovò inizialmente ascolto, perché nel 1968 fu invitato dai governi di Baghdad e del Cairo, nonché dal Partito Ba’ath, a fare un tour.
L’obiettivo del suo viaggio fu, ancora una volta, quello di trovare concreti sostegni per creare quelle che adesso chiamava le Brigate Europee. Esse avrebbero dovuto partecipare in una prima fase partecipare alla lotta per la liberazione della Palestina, in un secondo momento sarebbero dovute sbarcare in Europa per costituire in nucleo di un’ Armata di Liberazione Europea. Il sognò svanì, ancora una volta, dinanzi al secco rifiuto dei governi iracheno ed egiziano, pressati da quello sovietico. Scoraggiato per l’ ennesimo fallimento, ormai privo di risorse finanziarie per portare avanti una lotta politica con un minimo di spessore, Thiriart decise di ritirarsi a vita privata. Per circa dodici anni si eclissò, dedicandosi esclusivamente alla sua attività professionale e sindacale nel settore dell’ optometria. Ma nel 1982 incontrò Luc Michel, un militante entusiasta che due anni più tardi fondò in Belgio un Parti Communautaire National-Européen, di cui Thiriart diventò
l’ideologo ed il consigliere politico. Abbandonata la vecchia parola d’ ordine degli anni Sessanta “Né Mosca né Washington”, la nuova linea diventò “Con Mosca contro Washington”:
“Un ‘ Europa occidentale aggregata all’ URSS sarebbe la fine dell’ imperialismo americano. I Russi bisogna che ci offrano, in cambio della schiavitù dorata americana, la possibilità di costruire un’ entità politica europea. Se la temono, il modo migliore di scongiurarla consiste nell’ integrarvisi”
Dopo il crollo del Muro di Berlino e la disgregazione dell’ Unione Sovietica, le ultime elaborazioni di Thiriart trovarono ascolto presso i circoli eurasisti slavi. La nuova situazione venutasi a creare dopo l’ allontanamento di Gorbaciov, con la “destra nazionalpopolare” e la “sinistra comunista” che lottavano in Russia contro il comune nemico- l’ imperialismo statunitense -, riportò in auge le sue idee. Nel 1992 si recò, per il suo viaggio finale, a Mosca dove incontrò Aleksandr Dugin, uno dei più noti esponenti dell’ ambiente dei geopolitici ed ebbe un colloquio anche con il segretario del Partito Comunista della Federazione Russa. Verso la fine dello stesso anno, Thiriart morì in Belgio stroncato da una crisi cardiaca.
2. LE RADICI DEL COMUNITARISMO DI THIRIART
Al di là della disinvoltura con cui Thiriart condusse la propria azione (del resto era un grande estimatore di Machiavelli), bisogna tener presente che l’ elaborazione politica da lui compiuta trovava le sue radici nelle idee sviluppate durante la Seconda guerra mondiale da alcune figure del collaborazionismo francofono. Emblematico il caso dello scrittore Drieu La Rochelle (1893 – 1945), che già nel 1942 aveva parlato di un Impero Europeo in via di riunificazione sotto il vessillo croceuncinato:
“Trecento milioni di uomini cantano in un solo campo. Un solo stendardo rosso sta sulla cima delle Alpi”
Era stato lo stesso Drieu ad enunciare per primo l’ idea eurasista di un grande blocco estendentesi da Lisbona a Vladivostok. Quando il conflitto si andava avviando verso una concluzione catastrofica per gli eserciti dell’ Asse, l’ intellettuale francese vide nell’ Armata Rossa l’ unico strumento storico in grado di sostituirli nella costruzione dell’ unità continentale. Fra le sue ultime, allucinate righe (marzo 1944), si poteva leggere:
“Saluto con gioia l’ avvento della Russia e del comunismo. Sarà atroce, atrocemente devastante per la nostra generazione che perirà tutta di morte lenta o improvvisa, ma è meglio questo che il ritorno del vecchiume, del ciarpame anglosassone, della ripresa borghese, della democrazia rabberciata”
E già qualche mese prima (settembre 1943) aveva avuto modo di chiarire:
“Del resto, il mio odio per la democrazia mi fa desiderare il trionfo del comunismo. In mancanza del fascismo solo il comunismo può mettere veramente l’ Uomo con le spalle al muro costringendolo ad ammettere di nuovo, come non avveniva più dal medioevo, che ha dei Padroni. Stalin più che Hitler è l’ espressione della legge suprema”.
Dopo la sconfitta del fascismo e del nazismo, l’ autocrazia sovietica veniva individuata come unica alternativa alla democrazia e all’ individualismo prodotti della décadence , perché i Russi avevano una “forma” ed il marxismo non era altro che “una febbre di crescenza in un corpo sano”:
“Scompariranno così tutte le assurdità del Rinascimento, della Riforma, della Rivoluzione americana e francese. Si torna all’ Asia: ne abbiamo bisogno” (aprile 1943)
Il mito dell’ Europa imperiale, il complementare “orrore” per la democrazia, la positiva valutazione della Russia sovietica per lottare contro le potenze atlantiche nascono quindi come patrimonio teorico di ambienti ben individuabili e catalogabili. Thiriart non farà che riprendere queste idee aggiornandole ed adattandole all’ epoca del secondo dopoguerra.
3. ECONOMIA E SOCIETA’ NEL COMUNITARISMO DI THIRIART
E’ in un simile quadro, allora, che dovranno essere collocati anche gli spunti economici e sociali del Comunitarismo di matrice thiriartiana. Fu in seguito all’ eliminazione dell’ “estrema destra razzista” esasperatamente anticomunista dalla Jeune Europe, avvenuta tra il 1964 ed il 1965, che all’ interno del gruppo divennero dominanti due orientamenti: da una parte un radicale anti-americanismo, dall’ altro il Comunitarismo inteso come teoria economico-sociale che “superava” il marxismo (L’ analyse négative de Marx est correcte. Son plan positif est enfantin, normatif, vertuiste).
Per la verità già nel Manifesto fondativo della Jeune Europe veniva abbozzato un discorso di “alternativa” al Sistema, proclamando la “superiorità del lavoratore sul capitalista e dell’ uomo sul formicaio”, auspicando una “comunità dinamica” che vedesse “la partecipazione nel lavoro di tutti gli uomini che la compongono”. Alla democrazia parlamentare veniva contrapposta una rappresentanza organica riunita in un “Senato della Nazione Europea formato dalle più alte personalità nel campo della scienza, del lavoro, delle arti, delle lettere” ed in una “Camera sindacale che rappresenti gli interessi di tutti i produttori dell’ Europa liberata dalla tirannia finanziaria e politica straniera”.
Si trattava, in sostanza, di un trasferimento sul piano continentale del corporativismo di matrice fascista. Nel 1965, Thiriart definiva il Comunitarismo come un “socialismo nazional-europeo” e profetizzava che “in mezzo secolo il comunismo giungerà, malgrado o di buon grado, al comunitarismo”. Una ventina d’ anni più tardi, egli precisava che il comunitarismo era un “comunismo europeo de-marxistizzato”. Di qui derivò il suo sempre maggiore interesse ed avvicinamento a quei regimi che evolvevano nel senso del “nazional-comunismo”, ossia la Jugoslavia di Tito e la Romania di Nicolae Ceausescu.
Ma è necessario guardare oltre la cortina fumogena di termini usati spesso ambiguamente.
Per capirci qualcosa, si rivela significativa la lettura di un documento steso da Thiriart negli anni Ottanta, intitolato Approche du Communitarisme.
Esso delinea un contraddittorio modello in cui convivono elementi di ascendenza socialista, con altri liberisti:
“Il faut donc responsabiliser les entreprises collectives. Actuellement toutes les pagailles son couvert par l’ anonymat de ‘majorités non responsables’ et payéès par l’ Etat. Le Communauitarisme tendra à encourager les sociétés coopératives, mais simultanément il les considérera comme des entités responsables d’ elles-memes (autogestion)”
In che modo potranno stare assieme libera concorrenza e “forme cooperative” nel Comunitarismo? Non viene specificato, ma resta fermo per Thiriart che la ricerca del profitto rimarrà l’ elemento essenziale in quanto
“pour le commun des mortels la motivation la plus efficace demeure l’ intéret. On peut le deplorer sur le plan éthique, mas c’ est une réalitè”
Egli vede un fattore positivo nell’ economia di mercato, perché la libera impresa e la concorrenza generano “selezione”. La gerarchia sociale sussisterà, basandosi “essenzialmente sul lavoro”. Anzi, già negli anni Sessanta, nell’ opuscolo La grande nazione. 65 Tesi sull’ Europa, Thiriart aveva chiarito che il suo Comunitarismo in concreto era “un massimo di proprietà privata nei limiti seguenti: non sfruttamento del lavoro altrui, non ingerenza nella politica per ipertrofia di potenza economica; non collaborazione con interessi estranei all’ Europa”. Solo la grande proprietà privata delle industrie strategiche, che può mettere in pericolo la sovranità politica, va eliminata. Per questo i settori dell’ energia, degli armamenti, delle comunicazioni) dovranno essere nazionalizzati e strettamente controllati dallo Stato:
“Par exemple, une centrale hydro-életrique exige (…) la nationalisation. Par contre, la production et la répartition des produits agricoles et avicoles exige l’ économie libre (…) Le marxisme dogmatique veut tout nationaliser, le libéralisme veut tout laisser faire, Le Communautarisme veut conserver le control politique absolou tout en laissant subsister le maximum de liberté économique possibile”
Queste teorie trovano un loro inquadramento logico se si considera che l’ interesse di Thiriart è interamente rivolto alla creazione di una economia di potenza (économie de puissance ) nella quale la “libera impresa” è un elemento molto positivo (est un facteur trés positif ), mentre semmai dovranno esser castrate politicamente le oligarchie del denaro (les oligarchies d’ argent), poiché il capitalismo ha interessi contrastanti con quelli della Nazione. Come si vede, anche in questo caso riemergono elementi tipici di certe correnti fasciste e nazionalsocialiste degli anni Trenta – Quaranta del Novecento. Alla stessa temperie culturale richiamano alcune considerazioni circa la natura dell’ Uomo Europeo che ricercherebbe lo sviluppo dell’ Essere, contrapposto all’ Uomo Americano interessato unicamente all’ incremento dell’ Avere… E se nell’ antichità i Persiani e i Cartaginesi, esempio di coloro che sono protesi solo verso quest’ ultima dimensione, furono distrutti, così nella nostra epoca- suggerisce Thiriart- gli americani saranno destinati a confrontarsi con la Nazione Europea. Si arriva per questa strada ad un altro aspetto essenziale del Comunitarismo thiriartiano: esso ipotizza un modello autarchico sempre su scala continentale in vista dello scontro finale con gli Stati Uniti:
“Le Nationalisme économique consiste nottament à veiller à ce que l’ Europe soit totalement autonome en matière d’ armament et totalement autonome dans le domaine du ravitaillement en matiéres premières”
Gli Stati Uniti hanno potuto approfittare del fatto che “i capitalisti europei sono meno dinamici, meno giovani dei loro cugini americani”. La Nazione Europea ed il Comunitarismo, così come concepiti da Thiriart, dovrebbero essere i due fattori in grado di colmare lo svantaggio della disparità di forze.
4. IL COMUNITARISMO ITALIANO E THIRIART
Chi in Italia, tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del nuovo secolo, ha tentato di dare forma politica al Comunitarismo, ha dovuto fare i conti con la pesante eredità dell’ esperienza thiriartiana. Da essa, dopo una fase di studio e approfondimento (ottobre 1999 – ottobre 2000), sono state prese le distanze. E’ apparsa, infatti, sempre più evidente dall’ analisi degli scritti dell’ uomo politico belga e dalle scelte dei suoi epigoni, la strumentalizzazione del termine “comunitarismo” per giustificare una visione che ha al suo centro l’ evocazione della guerra tra opposti imperialismi (americano ed europeo) per il dominio del mondo, senza peraltro proporre alcun modello economico – sociale realmente alternativo a quello capitalistico. A ciò va aggiunta- come dato negativo- la riproposizione, a livello organizzativo, di una struttura di tipo leninista, di cui peraltro vengono enfatizzati gli aspetti gerarchici e leaderistici. Ma, al termine di questo saggio, si può avanzare una spiegazione della vicenda di Thiriart, dei suoi precursori e dei suoi seguaci anche di tipo psico-sociologico, sintetizzabile nella definizione “incontro degli estremi”. Si nota infatti una prossimità caratteriale tra “fascisti” e “stalinisti”. Essi sono entrambi “autoritari” e “attivi”. Il modo di concepire l’ atto politico è lo stesso, va oltre le divergenze ideologiche. Il temperamento “autoritario/attivo” sfocia nel totalitarismo. D’ altra parte, vi è convergenza di temperamento tra liberali e gauchistes, data dalla prossimità di queste correnti nella fede verso la democrazia ed il cosmopolitismo (sia che si presenti sotto forma di liberoscambismo, sia che si presenti sotto forma di internazionalismo). I passaggi tra queste due correnti sono frequenti allo stesso modo, se non di più. La maggior parte dei leaders gauchistes della fine degli anni sessanta del Novecento sono oggi buoni borghesi integrati nel sistema.
BIBLIOGRAFIA
Moreno Marchi, I duri di Parigi. L’ ideologia, le riviste, i libri, Settimo Sigillo, 1997
Luc Michel, Da Jeune Europe alle Brigate Rosse, Società Editrice Barbarossa, 1992
Claudio Mutti, Drieu un solo stendardo rosso…, in Rinascita, 1 febbraio 2004
Jean Thiriart, La grande nazione. 65 Tesi sull’ Europa, Società Editrice Barbarossa, 1993
Jean Thiriart, Europa. Un impero di 400 milioni di uomini, Volpe, 2003
Jean Thiriart – Luc Michel, Le socialisme communautaire, PCN