Sulla rivoluzione
mag 18th, 2014 | Di Maurizio Neri | Categoria: Teoria e criticadi Costanzo Preve – 24/04/2012
1. Cesare Allara ha messo in rete l’8 aprile 2012 un corposo intervento sulla rivoluzione. Benché Allara sia solo un geometra in pensione, rivela nel suo intervento di essere un politologo più in gamba di Bobbio e di Sartori. E questo per una ragione semplicissima, perché si rifiuta di modellizzare astrattamente la democrazia, il liberalismo, le forme di Stato e di governo, eccetera, separando metodologicamente lo spazio economico dallo spazio politico. Esattamente ciò che Bobbio e Sartori non fanno, per cui poi hanno buon gioco nell’isolare un sistema di regole sospeso nel vuoto.
Oggi parlare di rivoluzione fa passare chi lo fa per irresponsabile estremista potenzialmente totalitario. Non è così, ma è quello che oggi passa il convento politicamente corretto. Per farla breve, sosterrò le seguenti tesi:
a) La rivoluzione non può più essere considerata inevitabile storicamente, come un marxismo utopico e drogato ha fatto passare per un secolo e mezzo. Può anche darsi che non arrivi mai, almeno in tempi storici. Al massimo se ne possono ipotizzare le precondizioni trascendentali (in linguaggio kantiano), culturali (in linguaggio idealistico-hegeliano) e socio-economiche (in linguaggio marxiano).
b) Per pura analogia, dirò ciò che penso di quattro rivoluzioni storicamente già avvenute: Francia 1789, Russia 1917, Cina 1949 e Cuba 1959. Da questo esame comparativo risulterà che oggi non possiamo aspettarci più nulla di lontanamente simile.
c) Mi sento di escludere soltanto due modelli come del tutto improbabili: il modello leniniano della rivoluzione operaia, salariata e proletaria organizzata in partito di tipo comunista, e il modello Negri-Hardt-Badiou delle moltitudini comuniste mondializzate. Ritengo il cincischiarsi intorno una perdita di tempo, e Allara ha fatto bene a parlare provocatoriamente di confetto Falqui. Poteva anche parlare di “dolce Euchessina”, visto che è una persona cortese e non ha voluto scortesemente dire: “Ma va a cagare!”.
d) Naturalmente io non so assolutamente come può avvenire una prossima rivoluzione. Ma ritengo un presupposto fondamentale lo sganciamento dalla globalizzazione, dagli USA e da questa Europa, nonché la fine della pestifera dicotomia Destra/Sinistra, modo infallibile di dividere il popolo potenzialmente riaggregabile su basi ideologiche e paleo-ideologiche.
2. Per un secolo e mezzo il marxismo scolastico, esplicito o implicito, ortodosso o eretico, rozzo o sofisticato, ha abituato a considerare la rivoluzione socialista pressoché inevitabile sulla base dell’analogia storica con la rivoluzione francese del 1789: così come c’era stata una rivoluzione borghese, così prima o poi arriverà inevitabilmente anche una rivoluzione proletaria.
Errore, errore scusabile, ma errore. E questo errore si fonda, a mio parere, su di una confusione teorico-pratica fra borghesia e capitalismo, come se il capitalismo fosse un treno trainato da una locomotiva chiamata borghesia e il macchinista potesse essere cacciato dai viaggiatori stanchi del fatto che non si fermava alle stazioni che volevano loro. In realtà la borghesia è una classe dialettica, che produce contemporaneamente sia sfruttamento ed estorsione di plusvalore, sia coscienza inquieta ed infelice per la mancata universalizzazione dei valori illuministici ed idealistici di libertà, eguaglianza e fraternità. Karl Marx, che non aveva nulla di proletario, elaborò in modo brillante e profondo questa coscienza infelice borghese unendola a una lettura alternativa della teoria del valore di Smith e Ricardo. Il capitalismo, di cui la fase borghese è soltanto una fase, perché ha avuto una fase pre-borghese, ed è ora in piena fase post-borghese (mai confondere la borghesia con i gruppi strategici della riproduzione capitalistica globalizzata e con la proprietà privata giuridico-catastale dei mezzi di produzione!), è invece un meccanismo tecnico (nel senso di Heidegger), burocratico (nel senso di Max Weber), sistemico e anomico, vero “processo senza soggetto” (nel senso di Althusser e di La Grassa). Per questo la rivoluzione anticapitalistica si identifica filosoficamente con l’umanesimo e politicamente con il comunitarismo.
Dunque la rivoluzione non ha nessuna necessità. Potrebbe anche farsi attendere per secoli o non arrivare mai. Chi parla della sua necessità scientifica deve essere cordialmente inviato al confetto Falqui o alla dolce Euchessina.
3. La rivoluzione francese del 1789 è riuscita o è fallita? Dipende. In primo luogo, seguendo la teoria della nascita aleatoria del capitalismo di Robert Brenner, che io condivido, non c’è stato nessun bisogno del 1789 e della rivoluzione francese per far “decollare” il capitalismo. Mito per pigri. Nel 1640 in Inghilterra e nel 1776 negli USA non ci sono state rivoluzioni, almeno nel significato classista del termine. Il capitalismo è fiorito in Olanda e Inghilterra senza nessun bisogno di rivoluzione. Svegliatevi bambine!
In secondo luogo, la rivoluzione “borghese” della Bastiglia è riuscita, ma perché la borghesia era già al potere, ed è bastata una “spallata”, sia pur pittoresca con ghigliottina e Napoleone.
In terzo luogo, il suo programma originario è fallito completamente con la decapitazione di Robespierre (1794). Il programma originario, di tipo russoviano, prevedeva l’applicazione di un diritto naturale rivoluzionario e di un contratto sociale egualitario. Peggio che andare di notte, da Napoleone a Sarkozy.
4. La rivoluzione russa del 1917 invece, è fallita o è riuscita? Risponderò a modo mio, e scordatevi le tre sinfonie, leninista, trotzkista e stalinista.
La rivoluzione russa del 1917 ha avuto come base sociale e di classe la classe operaia e quella dei contadini poveri, organizzata necessariamente da un partito comunista leninista; senza organizzazione sarebbe ancora a pettinare le bambole e a sfogliare le margherite. Ed appunto perché ha avuto questa base sociale di classe, e non ha saputo, voluto o potuto allargarla è poi fallita nel 1991, sulla base di una controrivoluzione sociale di massa dei nuovi ceti medi “socialisti”, stanche dei metodi trogloditici del livellamento dispotico operaio e proletario. Stalin, lungi dall’essere stato un incidente di percorso o un burocrate termidoriano di destra (come raccontano le vulgate trotzkista e anarchica), è stato il solo modo con cui una classe radicalmente incapace di egemonia pacifica e consensuale, come la classe operaia, salariata e proletaria, ha potuto accedere al potere, sia pure per soli 74 anni (1917-1991).
Bestemmia! Anatema! Sacrilegio piccolo-borghese! Ma andate per favore alla dolce Euchessina e al confetto Falqui.
5. La rivoluzione cinese è riuscita, ma non certo a fare una Cina proletaria ed egualitaria (se non in parte nel periodo 1949-1976), quanto nel fare della Cina una grande potenza economica, politica e militare. Anche in Cina, come in URSS, per un po’ gli operai e i contadini poveri hanno dominato con metodi dispotico-egualitari, e poi c’è stata anche lì la fisiologica controrivoluzione dei ceti medi e dei nuovi ricconi. A differenza della Russia, in cui c’erano i trafficoni sionisti, l’idiota e ipocrita Gorbaciov e l’alcoolista Eltsin, i cinesi avevano una saggezza millenaria, e hanno fatto transitare pacificamente la baracca senza spaccare tutto. Questione di lunga durata con i Chin, gli Han e i Ming. Saggezza confuciana, sovranità nazionale e nessun postumo da sbronza sa vodka.
6.La rivoluzione cubana non ha nessun rapporto con il mito operaio, salariato e proletario. Essa è dovuta ad una avanguardia nazionalista combattente, che Dio benedica Castro e Chavez. Raul Castro, privatizzatore cauto, si è messo in una strada di tipo cinese, ma tiene sempre le redini del potere politico. Per questo le varie Yoani Sanchez e le altre iene sono tanto insoddisfatte. Ma quanto durerà nessuno lo sa. Spero a lungo, ma è un azzardo. E non ditemi che el pueblo unido jamas sera vencido. Finora è sempre stato sistematicamente vinto. E’ vero che c’è sempre una prima volta.
7. In Italia, per opera soprattutto della pigra tradizione inerziale “di sinistra”, la rivoluzione è pensata secondo un modello da confetto Falqui. E’ una sorta di CGIL + FIOM + Landini + CUB + COBAS, rafforzati da centri sociali casinisti e insaporita da salsa FEP (femminista, ecologista e pacifista). Dal momento che appare una base sociale insufficiente anche per i più ingenui, si attuano varie addizioni a fisarmonica, con lavoratori precari, gay, salariati vari, giovani flessibili, immigrati arabi e neri, cattolici progressisti, Ciotti vari, eccetera, fino a raggiungere la stragrande maggioranza del genere umano, sottraendo soltanto Berlusconi, Rosy Mauro e il povero Trota. Questa addizione e questa sottrazione restano sempre e solo virtuali, e cioè del tutto inesistenti. La grancassa mediatica nel frattempo demonizza Stalin, Pol Pot e il caro leader Kim Il Sung, avvertendo educatamente che i centri commerciali sono pur sempre meglio delle utopie totalitarie. La generazione del Sessantotto, nel frattempo pentitasi di essere esistita, ha trasformato il pentimento in una vera e propria organica visione del mondo.
C’è poi la variante centri sociali-marxismo universitario prevalentemente anglosassone, che rifiuta gli orribili burocrati coreani con gli occhi a mandorla, prende atto del fatto che gli operai al massimo possono darci dentro con tamburi e fischietti, e sognano di moltitudini di singolarità unificate magicamente da un impero deterritorializzato. Qui siamo a mio avviso nel delirio puro, ed è appunto per questo che piace tanto. Vogliamo voltare pagina, o no?
8. Voltare pagina è difficile, perché ti chiedono subito che cosa proponi tu, e siccome in effetti non glielo sai dire, allora ti mandano al diavolo e ripiegano, i più moderati su Camusso e Bersani, gli intermedi su uno dei tre porcellini (Vendola, Diliberto, Ferrero), e i più estremisti su di una setta bordighista (Lotta Comunista), staliniana (Rizzo) o trotzkista (Ferrando). Ma così ci si dimostra subalterni, perché solo un subalterno credulone si aspetta che gli scodellino la minestra già riscaldata. In realtà il gas deve addirittura essere ancora acceso, e i fiammiferi non si sa neppure dove cercarli.
9. Allara ha fatto benissimo a condividere l’auspicio del vecchio Mario Monicelli per una rivoluzione, ignota fino ad oggi nella storia d’Italia, che ha conosciuto solo forme di trasformismo metamorfico, da Depretis a Giolitti fino a D’Alema e Bersani. Ma non vorrei che questo troppo facile auspicio ci facesse sfuggire il punto più delicato, e cioè che l’auspicio sulla rivoluzione si accompagni a un sorvolare e a un silenziamento sui tre presupposti politicamente scorrettissimi che dovrebbero accompagnarli.
Primo, la globalizzazione è l’equivalente di ciò che la sinistra, l’ANPI, i centri sociali, il PD e i tre porcellini chiamano “fascismo”.
Secondo, l’alleanza militare NATO e l’impero strategico USA nel mondo sono l’equivalente di ciò che sinistra, l’ANPI, i centri sociali, il PD e i tre porcellini chiamano “fascismo”.
Terzo e ultimo, l’euro è l’equivalente di ciò che la sinistra, l’ANPI, i centri sociali, il PD e i tre porcellini chiamano “fascismo”.E perciò, delle due l’una: o la sinistra, l’ANPI, i centri sociali, il PD e i tre porcellini vivono nel mondo reale e io ho perso ogni contatto con il mondo, oppure è il contrario. Il lettore barri la casella giusta. Da tempo non mi offendo più, anche se mi dicono che ho perso ogni contatto con il mondo reale.
10. Partiamo dall’euro. Posso anche concedere la buona fede nei suoi creatori, tipo “rispondere alla sfida della globalizzazione” oppure “evitare in futuro altre guerre fratricide in Europa”. Non sono un economista, e l’euro potrebbe anche restare come moneta di riserva (Giacché, Mélenchon), ma bisogna prima ammetterlo: l’euro è stato un tragico errore, è incompatibile con il welfare, sia pure “dimagrito”, bisogna tornare alla sovranità monetaria dello Stato nazionale. Che poi ci possa o debba essere anche una moneta di conto parallela, lo si chieda agli “economisti di sinistra”.
La sfida della globalizzazione ha voluto dire di fatto l’adattamento supino alla globalizzazione. Non esiste una globalizzazione buona, virtuosa, o l’altermondialismo per gonzi politicamente corretti. Globalizzazione significa lavoro flessibile e precario, decentramento produttivo, speculazione finanziaria, privatizzazione tendenziale di tutta la sanità e di tutta l’educazione pubblica. I comportamenti della giunta Draghi-Monti-Napolitano sono sotto gli occhi di tutti, almeno di quelli che non si lasciano distrarre dall’avanspettacolo del Trota e della Santanchè.
Hanno aumentato l’età pensionabile, arriverà la mazzata dell’IMU, ma siamo appena agli antipasti. Sotto attacco ci stanno la sanità e l’educazione pubbliche. Il modello è quello americano, perché la globalizzazione tendenzialmente ha un solo modello: assicurazioni sanitarie private ed educazione privata a pagamento. Paesi scandinavi e Cina resisteranno per un poco, ma non possono farlo a lungo. La primavera araba cosiddetta ha liquidato l’autonomia dell’intero mondo arabo, consegnandolo a un pool di sceicchi sauditi e di fratelli musulmani insaporiti di salafismo.
Si parla di antiglobalizzazione e di finanz-capitalismo (Gallino), e poi per politicamente corretto non se ne vuole pagare il prezzo: fuori dalla NATO, USA a casa loro, asse politico Parigi-Berlino-Mosca (niente a che fare con il vecchio comunismo), ripristino della sovranità e della moneta nazionale, contingentamento dell’immigrazione (niente a che fare con il razzismo!), eccetera.
Svegliatevi bambine! E’ impossibile criticare il capitalismo, la globalizzazione, e avere anche il politicamente corretto di sinistra. Per fare la frittata bisogna rompere le uova. Se qualcuno per caso avesse questa ricetta, me la dica, e gliene sarò grato. Ma non credo ci sia.