LA SOVRANITÀ NAZIONALE È DI SINISTRA
apr 2nd, 2014 | Di Maurizio Neri | Categoria: Contributidi Enrico Grazzini*
2 aprile. «La sinistra dovrebbe lottare per recuperare la sovranità nazionale. Solo così sarà possibile contrastare questa Unione Europea contro i popoli e rifondare l’Europa democratica. La destra avanza in Europa denunciando che l’euro e la UE producono povertà e sottomissione alle misure autoritarie calate dall’alto della tecnocrazia di Bruxelles. Come si è visto nella Francia di Hollande, la progressione della destra è simmetrica rispetto al calo socialista e all’aumento dell’astensionismo di sinistra. Il problema è che il socialismo europeo è ormai profondamente compromesso con questa Europa liberista e della finanza. Ma anche la sinistra radicale europea, soprattutto quella italiana, soffre di una grave ritardo culturale e politico nei confronti dell’Europa reale.
Questa Europa fa male, molto male. Ormai una forte minoranza dell’opinione pubblica che sta diventando maggioranza non sopporta più l’euro ed è sempre più critica verso questa UE che impone una crisi che non finisce più. L’elettorato si sta polarizzando e radicalizzando, e la rabbia contro questa Europa della disoccupazione e della povertà – altro che austerità! austerità è un delicato eufemismo! -, sta dilagando. Però se i ceti popolari votano massicciamente a destra, qualche colpa anche la sinistra ce l’avrà!
La nostra proposta è che per rifondare l’Europa occorre recuperare la sovranità nazionale sia in campo politico che in quello economico, senza cederla a questa UE neoliberista. Occorre prendere atto che questa Europa è antidemocratica e persegue politiche intrusive e ferocemente liberiste che prolungano e approfondiscono la crisi. Queste politiche, senza abolire Maastricht, sono irriformabili. Non è più possibile farsi illusioni. Dopo la caduta del muro e dopo la fine della minaccia sovietica, dopo la riunificazione della Germania e l’allargamento a est, l’Unione Europea ha subito una mutazione genetica rispetto alle speranze dei padri fondatori. L’attuale Unione Europea è un “non stato”, una istituzione intergovernativa che opprime i popoli, che è diretta dalla finanza ed è guidata da una sola nazione, la Germania, e che è solo debolmente legittimata da un Parlamento senza potere eletto nel 2009 dal 43% dei cittadini europei. L’Europa non ci protegge dalla crisi ma ci affossa. In questo contesto per uscire dalla crisi è necessario rivendicare la sovranità economica e monetaria degli stati – anche se sarà ovviamente parziale, perché la sovranità piena non è più possibile nella globalizzazione . A livello politico la sovranità popolare si esprime attualmente, nel bene e nel male, solo a livello nazionale dove esistono istituzioni elette dai cittadini. La sovranità nazionale e la democrazia non possono essere cedute gratis all’Unione Europea in cambio dell’austerità.
La sinistra non dovrebbe lasciare alla destra la rivendicazione della sovranità nazionale in nome di un astratto ideale europeista. Sovranità nazionale è un concetto ambiguo ma non può essere confuso con il bieco nazionalismo sciovinista e xenofobo di Le Pen o con l’isolazionismo britannico. Battersi per la sovranità nazionale deve invece significare semplicemente che esigiamo la democrazia e non vogliamo essere diretti da tecnocrazie opache asservite alla finanza e ai governi dei paesi dominanti. Oggi è necessario lottare perché i popoli possano decidere democraticamente le loro politiche economiche: ma questo è possibile solo a partire dagli stati nazionali. Solamente recuperando l’autonomia degli stati in campo economico e monetario e la sovranità nazionale in campo politico è possibile tentare di rifondare su basi aperte, democratiche e completamente nuove una Europa dei popoli. In questo senso occorre rivendicare una sovranità nazionale aperta alla cooperazione europea e alle battaglie democratiche contro la crisi all’interno della UE, per esempio per la ristrutturazione dei debiti alla Grecia.
Habermas e Streeck. Il dibattito sulla sovranità nazionale in Europa
In Francia Frederic Lordon[2] e Jacques Sapir sostengono la sovranità nazionale e l’uscita coordinata degli stati dall’euro con la creazione di una moneta comune, l’Eurobancor (di cui parleremo in seguito); mentre il filosofo marxista Etienne Balibar afferma invece che tornare alla sovranità nazionale sarebbe storicamente regressivo. Balibar mira piuttosto alla democratizzazione dell’Europa[3]:“L’unica soluzione è fare blocco assieme, costruire contro-poteri e non dissolversi in una frammentazione di stati”. In Germania si è aperto un dibattito vivace tra Jurgen Habermas e Wolfgang Streeck. Il filosofo Habermas vorrebbe che la Germania (proprio questa nazione…) si desse la missione di guidare in maniera lungimirante il processo di formazione costituzionale degli Stati Uniti d’Europa dal momento che questo processo nel lungo periodo sarebbe estremamente positivo per la stessa nazione tedesca[4]. Habermas mostra così la radice idealista e hegeliana del suo pensiero. Wolfgang Streeck, direttore del Max Planck Institute for the Study of Societies, indica invece che a causa della pressione del capitale finanziario crescono le divergenze tra i paesi europei e aumenta il pericolo per le democrazie; per lui è improponibile affidare proprio alla Germania il compito di fondare l’Europa unita. Allo stato attuale, secondo Streeck, gli Stati Uniti d’Europa sono impossibili perché non esiste un demos europeo e perché l’Unione Europea, espressione del dominio della finanza, prevarica i popoli e la democrazia. Meglio quindi ritornare alla sovranità nazionale in modo che le nazioni possano anche riprendersi il diritto di svalutare o rivalutare le loro monete[5].
In Europa si incendia il dibattito sul futuro della UE e dell’euro: in Italia curiosamente sembra che la sinistra non sia ancora culturalmente pronta ad affrontare apertamente questi temi, che peraltro sono discussi animatamente anche in Grecia all’interno della stessa Syriza. Nella sinistra italiana, una volta scartata l’ipotesi di uscire unilateralmente dall’euro, considerata come catastrofica, prevale l’allineamento alle tesi pro-euro e pro-UE, e spesso le opinioni eterodosse vengono accantonate e censurate, come vedremo, ed escluse a priori dal dibattito pubblico. Le mie critiche alla sinistra, anche ai pezzi nobili e pensanti della sinistra, come il Manifesto e Sbilanciamoci, tendono a riaprire un dibattito che è ineludibile perché la sinistra possa ancora contare qualcosa in Italia.
La bestemmia monetaria dell’euro
L’euro, la moneta unica prevista per tutti i 28 stati dell’Unione Europea e utilizzata da 12 paesi [qui l'autore commette un banale errore, com'è noto dei 28 paesi che compongono l'Unione europea, sono 18 quelli la cui moneta è l'euro, Ndr], sul piano economico è una solenne bestemmia: infatti significa che 12 paesi molto differenti, dalla Spagna alla Germania, dall’Italia all’Olanda, dal Portogallo alla Lettonia, sono soggetti allo stesso tasso di interesse, devono avere la stessa base monetaria e subiscono lo stesso tasso di cambio verso i paesi extraeuropei. Ma è chiaro come il sole che le esigenze sono diverse nei diversi paesi: un paese che corre troppo, in cui l’inflazione è elevata, ha bisogno di alti tassi di interesse; invece un altro paese (come l’Italia) che è fermo necessita di tassi bassi per stimolare gli investimenti. Un paese come la Germania può riuscire ad esportare con l’euro a 1,40 sul dollaro; altri paesi invece con lo stesso tasso di cambio non riescono più ad esportare e a compensare l’import, e sono quindi costretti ad accendere debiti. Le esigenze sono molto differenti.
La moneta unica presuppone paesi con tassi di inflazione, livelli di competitività, debiti pubblici e bilance dei pagamenti sostanzialmente in equilibrio o tendenzialmente in equilibrio. Altrimenti la moneta unica, che non permette svalutazioni e rivalutazioni della moneta, cioè flessibilità monetaria, agisce in senso esattamente contrario: disequilibra le economie dei paesi. Amplifica le divergenze. Quelli più competitivi e in surplus commerciale guadagnano ed erogano crediti; quelli in deficit accendono debiti e perdono competitività. Se i paesi meno competitivi non possono svalutare – che non significa fare qualcosa di immorale ma significa solo riprezzare i prodotti nazionali verso i compratori esteri – le divergenze si approfondiscono e generano un perverso circolo vizioso. La moneta unica applicata in diversi contesti economici aumenta i differenziali delle economie reali. La Germania diventa sempre più competitiva; gli altri paesi invece perdono industria. La Germania impone una politica deflattiva per ridurre i deficit altrui e per garantirsi che le siano restituiti i debiti. Ma la politica deflattiva comprime l’economia , provoca la crisi fiscale dello stato, la disoccupazione, la precarizzazione del lavoro, la riduzione dei redditi, della domanda e degli investimenti. Diventa così sempre più difficile restituire i debiti. Non a caso i debiti pubblici dei paesi mediterranei continuano ad aumentare inesorabilmente nonostante l’austerità. In questa situazione l’euro sarà sempre in bilico. Questa è la realtà dell’euro. Questi processi connessi alla moneta unica in aree valutarie non ottimali, ovvero in paesi profondamente diversi, sono chiaramente spiegati nei libri di testo dell’economia monetaria; ma molti politici ed economisti di sinistra, vuoi per idealismo vuoi per incompetenza, vuoi per mancanza di spirito critico e per conformismo, non hanno voluto riconoscere la realtà.
I tedeschi lo sanno e ci hanno spinto a sottoscrivere dei trattati, a partire da quello di Maastricht e del fiscal compact, che rispecchiano in pieno la loro filosofia deflattiva (e gli interessi delle loro banche e della loro industria). L’euro è nato a immagine e somiglianza del marco; la BCE ha uno statuto ancora più restrittivo della Bundesbank, e il fiscal compact condanna tutti gli stati a non avere debito, ad annullare qualsiasi politica di rilancio della domanda di stampo keynesiano, ad avere bilanci asfittici e sempre in equilibrio, senza deficit. In questo modo è annullata alla radice qualsiasi possibilità di investimento per il futuro e qualsiasi possibilità di ripresa. Siamo in un vero e proprio cul de sac, e con il fiscal compact – la restituzione accelerata dei debiti pubblici e la compressione drastica della spesa pubblica – la situazione è destinata drammaticamente a peggiorare.
La UE non ci aiuta ma ci bastona. La Commissione UE nel suo ultimo rapporto ha dato la pagella all’Italia e ci ha bocciato. Per rilanciare la competitività la UE ha decretato che l’Italia deve abbassare ancora il costo del lavoro, parametrare i salari alla produttività aziendale e differenziare i salari in base alle aree territoriali (cioè realizzare le gabbie salariali). Il paradosso è che la sinistra, anche quella radicale e soi disant comunista-marxista, sembra sottovalutare questi espliciti e dettagliati diktat neocoloniali. Non sorprendiamoci poi se Grillo fa le battaglie “populiste” contro l’Europa e conquista nove milioni di voti! Per fortuna, dico io, che in Italia c’è Grillo e non Le Pen!
A sinistra molti suggeriscono che occorre completare l’euro, la “moneta unica incompiuta”, grazie a una maggiore integrazione europea a livello di politica fiscale e di bilancio, e grazie a una maggiore centralizzazione sulle decisioni economiche, magari accompagnata da una maggiore democrazia delle istituzioni europee. Ma non si può innalzare un grattacielo su fondamenta di sabbia e argilla. Altrimenti si producono mostri come l’Unione Bancaria su cui recentemente l’autorevole Wolfgang Munchau sul Financial Times ha scritto un articolo titolato “L’Europa dovrebbe dire no ad una unione completamente sbagliata”[6]. Prima bisogna abbattere le cattive fondamenta e poi ricostruire l’edificio su solide basi. Del resto la centralizzazione europea sulle politiche economiche è già in atto, ed è fortemente negativa per l’economia e la democrazia. Grazie al Six Packs la Commissione UE dà già la sua approvazione preventiva – o il suo rifiuto – ai bilanci pubblici dei paesi europei, anche prima dei Parlamenti nazionali. I governi e i Parlamenti sono già sorpassati ed esautorati. Anche il governo Renzi, dopo avere alzato la voce, e dopo che forse avrà ottenuto qualche concessione marginale, dovrà abdicare al vincolante potere europeo.
Il governo Renzi e i trattati da ripudiare
Il governo Renzi cerca di trattare all’italiana con la UE: dice che rispetterà i vincoli dell’austerità ma vuole fare anche manovre espansive e di crescita. Vuole la botte piena e la moglie ubriaca. Il problema è che gli italiani firmano i trattati internazionali pensando a come evaderli; ma i tedeschi pretendono invece (legittimamente) che i trattati sottoscritti vengano rispettati integralmente e senza eccezioni, fino all’ultimo comma. Sapendo che esistono i furbi, i tedeschi hanno imposto delle sanzioni automatiche per chi infrange i trattati europei: le sanzioni scattano in caso di non rispetto degli accordi e possono essere sospese solo con un voto a maggioranza qualificata (molto improbabile) di due terzi dei paesi europei. Gli aiuti ai paesi in crisi verranno poi concessi solo alle draconiane condizioni della Troika (UE, BCE, FMI), che sono più pesanti di quelli del FMI e del Washington Consensus.
Quando Renzi ha presentato all’Unione la sua politica economica con velleità semi-espansive, Josè Manuel Barroso, il presidente della Commissione UE, gli ha risposto che “i trattati vanno rispettati integralmente”. E soprattutto gli ha ricordato che “i trattati possono essere modificati solo con l’unanimità di tutti i paesi della UE”. Cioè è impossibile riformarli! In pratica è possibile solo ripudiarli!
I tedeschi hanno accettato una sola importante (contro)riforma proposta da Renzi: quella del lavoro precario, che deregolamenta completamente il mercato e rende il lavoro una merce indifesa e senza valore, una merce che costa poco e si butta quando si vuole. La riforma di Renzi è simile a quella del socialista Peter Hartz promossa in Germania dieci anni fa dal governo rosso-verde di Gerhard Schröder che ha generato milioni di posti di lavoro sottopagati. Così anche in Italia, grazie alla UE, ci saranno i mini job alla tedesca a 400 euro al mese. Del resto se non si può svalutare la moneta si svaluta il lavoro: questa è la legge ferrea della moneta unica. Ma insieme al lavoro si svaluta anche il capitale nazionale: così è più facile per le aziende estere conquistare le banche e le industrie di un paese in debito, magari privatizzate in nome dell’Europa. E così i paesi più deboli cadono nel sottosviluppo, nella subordinazione e nella povertà.
Patriottismo economico, Europa e globalizzazione
Ma la sinistra che si vorrebbe marxista o alternativa non si accorge del pericolo. Un esempio per tutti: in un mio articolo sul Manifesto a proposito dell’assalto di Telefonica a Telecom Italia principale azienda tecnologica nazionale, scrivevo tra l’altro che «Il patriottismo economico è necessario per contrastare la globalizzazione selvaggia”. Matteo Bartocci, autorevole editorialista del suddetto quotidiano mi ha allora pubblicamente redarguito. Riferendosi al mio articolo scriveva: “Tutto ciò è preoccupante …. Già nel definire «straniere», mani europee, si indirizza l’opinione pubblica verso una concezione competitiva della presenza dei singoli stati nell’Unione. Se poi ci si mette di mezzo anche il «patriottismo» i termini della questione si fanno ancora più sinistri. In tutta la discussione sul mercato delle aziende e sulla politica industriale la dimensione europea semplicemente scompare…”. Il marxista Bartocci non si accorge neppure che all’interno dell’Europa gli stati competono già ferocemente e che la svendita delle maggiori aziende nazionali, soprattutto nel campo delle tecnologie e del risparmio, condannerà l’Italia al sottosviluppo e alla dipendenza. Questa è la pericolosissima minaccia incombente! Gli speculatori vogliono i gioielli e le banche dei debitori. Altro che Telefonica … ci vorrebbero tanti nuovi Mattei! Forse bisognerebbe ricordare a Bartocci le pagine di Marx sul colonialismo inglese e quelle di Lenin sull’imperialismo e il sottosviluppo.
La sovranità nazionale è democrazia
Si dice che gli stati non contano più nulla perché la finanza ormai è globalizzata e quindi l’Europa e l’euro sono necessari per difendersi dalla globalizzazione. Ma la verità è un’altra. La UE e l’euro non ci hanno procurato né stabilità né sviluppo. L’euro non ci ha veramente difeso dalla speculazione internazionale, è un freno per lo sviluppo e la cura dell’austerità uccide il paziente. I paesi europei che non hanno adottato l’euro (Gran Bretagna, Svezia, Danimarca, Polonia, ecc, ecc) e hanno una loro moneta nazionale stanno molto meglio di noi. In Italia in cinque anni di crisi abbiamo perso circa l’8,5% del PIL e il 30% degli investimenti. I redditi sono scesi al livello dei primi anni ’90, quando l’euro ancora non c’era, e l’Italia ha il 13% di disoccupazione. Un terzo delle famiglie è a rischio povertà, aumenta la pressione fiscale, diminuisce la spesa pubblica e tuttavia cresce il debito pubblico, e l’Italia non può più neppure manovrare la sua moneta. Opera con una valuta sostanzialmente straniera che impone il fiscal compact. E’ francamente difficile affermare che … fuori dall’euro saremmo stati peggio!
Sul piano politico la democrazia si esprime esclusivamente a livello nazionale. Nessuno della Troika (commissione UE, BCE, FMI) è stato eletto dai cittadini. Il Parlamento della UE non ha praticamente poteri e serve soprattutto a dare una patina di legittimità alle decisioni dei governi e della Commissione UE. Non può proporre disegni di legge. Anche se i socialisti prevarranno nel Parlamento europeo, i trattati intergovernativi avranno vita propria, almeno fin quando non verranno aboliti. Come pensa Schultz di rovesciare, come promette, le politiche UE? I parlamenti e i governi nazionali sono invece, nel bene e nel male, eletti democraticamente, e possono rigettare i trattati. A livello nazionale i popoli possono influenzare – seppure con molta fatica! – la politica economica e di bilancio (fisco e spese pubbliche) perché hanno l’arma potente del voto, delle mobilitazioni sociali e sindacali, della lotta e della partecipazione democratica. Tutto questo per ora non esiste a livello europeo – e prevedibilmente non esisterà ancora per parecchi anni – . I trattati intergovernativi non sono stati sottoscritti dai popoli ma possono essere ripudiati dai Parlamenti nazionali o rigettati via referendum. In Italia un referendum sull’euro attualmente non si può fare. Ma sarebbe giusto farlo. In Francia e in Olanda i popoli si sono già espressi contro una falsa Costituzione Europea per salvaguardare la loro sovranità. E la Svezia e la Danimarca con un referendum hanno deciso di non entrare nell’eurozona. Beati loro! La Polonia ha rimandato l’ingresso nell’eurozona. Una forma felice di nazionalismo! Solo recuperando la sovranità nazionale è possibile che i popoli possano difendersi dalle politiche neocoloniali della UE e sperimentare nuovi modelli di sviluppo sostenibile. Senza sovranità nazionale non ci può essere neppure un’ombra di democrazia.
Ma il progetto che suggerisco non è solo di tornare in maniera concordata alla sovranità nazionale e monetaria. E’ possibile proporre una moneta comune europea[8]. Per combattere la speculazione internazionale, la UE e la BCE dovrebbero gestire, sulle orme di quanto proponeva John M. Keynes a Bretton Woods, una moneta comune europea, l’EuroBancor, di fronte al dollaro e allo yen[9]. Così si potrebbero coniugare efficacemente sovranità nazionale e cooperazione europea, stabilità e sviluppo.
Purtroppo però buona parte della sinistra ritiene che la sovranità nazionale sia da demonizzare perché sempre di destra. Eppure, senza reclamare il potere democratico delle nazioni, la sinistra rischia di apparire cedevole verso i poteri forti e di allontanarsi dal sentimento popolare nel nome di un nuovo “sol dell’avvenire”, il nobile ideale europeista».
* Fonte Micromega
NOTE
[1] Martin Schulz, la Repubblica, Quel doppio shock che risveglia l’unione, 21 marzo 2014
[2] Frédéric Lordon, Manifesto-Le Monde Diplomatique, Si può uscire dall’euro con una moneta comune, agosto 2013
[3] Etienne Balibar, Manifesto-Le Monde Diplomatique, Un nuovo slancio, ma per quale Europa? Marzo 2014
[4] Democracy, Solidarity and the European Crisis, Lecture delivered by Professor Jürgen Habermas, 26 April 2013, Leuven
[5] Streeck Wolfgang, Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico, Feltrinelli 2013
[6] FT, 16 marzo 2014 “Europe should say no to a flawed banking union”
[7] Vedi Micromegaonline, Enrico Grazzini, Lafontaine e la trappola dell’euro, 21 maggio 2013
[8] Enrico Grazzini, Micromegaonline, Da moneta unica a valuta comune: una terza via per superare l’Euro, 27 dicembre 2013; Massimo Amato, Luca Fantacci, “Fine della finanza. Da dove viene la crisi e come si può pensare di uscirne”, Donzelli, 2012; Daniela Palma e Guido Iodice, Euro e monete nazionali, the best of both worlds, pubblicato da keynesblog il 26 agosto 2013; Alfonso Gianni, Micromegaonline, Tra perseverare nell’euro e uscirne, c’è una terza strada da percorrere, 3 settembre 2013, e Alternative per il socialismo N. 28
[9] John Maynard Keynes “Eutopia. Proposte per una moneta internazionale”, a cura di Luca Fantacci, et al./edizioni, 2011