Crisi e ri-proletarizzazione: prodromi rivoluzionari?
mar 1st, 2010 | Di Eugenio Orso | Categoria: Contributi, Idee e propostedi Eugenio Orso
E non c’è più il ceto medio, non ci sono i contadini non ci sono più le donne, forse non ci sono più neanche i bambini il comunista ci rimane soddisfatto perché sono tutti in fila ‘n zieme col proletariato
G. Manfredi, La proletarizzazione, 1972
E’ un dato di fatto, ormai, e lo constatiamo nella vita di tutti i giorni: lo spazio sociale occupato dal così detto ceto medio tende a ridursi progressivamente e, dopo la lunga epoca del welfare, nonché di quel fordismo che garantiva alti salari e delle politiche keynesiane e neo-keynesiane che cercavano di mantenere in equilibrio stato e mercato – in una fase storica ormai irrimediabilmente conclusa – le disparità di reddito si approfondiscono sempre di più, in particolare nel nostro paese che sotto questo aspetto, nell’Europa dell’Unione, non è secondo neppure alla Grecia, ri-proletarizzandoci tutti in un’ottica moltitudinaria imposta dalla globalizzazione.
Ben magra soddisfazione è, giunti a questo punto, quella dell’anonimo comunista, oggi soltanto un superstite, simile all’ultimo dei Moicani – come cantava nei primi anni settanta il profetico Gianfranco Manfredi, sulle note de La proletarizzazione – nel vedere i “piccolo borghesi” e gli ultimi epigoni delle aristocrazie operaie, di marxiana memoria, ingrossare le file interminabili dei poveri di sempre.
La mano invisibile, ormai estesa a tutto il pianeta dopo aver attraversato qualche secolo di accumulazione e realizzazione [per usare espressioni marxiste], sta rubando il futuro anche a coloro che in occidente hanno tratto benefici dal capitalismo del compromesso fordista e dello stato sociale diffuso, dall’affermazione sociale dei colletti bianchi, degli impiegati, quadri e professionisti con automobile privata, villetta e figli all’università, vacanze estive rilassanti e livelli di vita crescenti, nonché portatori della ingenua speranza in un domani sempre migliore dell’oggi.
Stanno rapidamente saltando, a beneficio dell’estensione in ogni dove dei meccanismi del mercato mondiale, i differenziali in termini di tenore e di qualità della vita, di presenza significativa di classi intermedie relativamente agiate, che fino a pochi anni fa separavano l’occidente del pianeta dai paesi “in via di sviluppo”.
L’uniformità e l’omogolazione, imposti dalla globalizzazione, si vedono anche nella profonda modifica delle strutture e della composizione sociale nei paesi di antica industrializzazione, tradizionalmente definiti “sviluppati”, che tendono rapidamente ad un inesorabile appiattimento verso il basso.
Sono espropriato, sei espropriato/ egli è espropriato, siamo espropriati/ siete espropriati,/ sono espropriati/ siamo tutti quanti proletari-tarizzati. Come giustamente ha predetto nei lontani anni settanta il cantautore Manfredi, pur rivolgendosi ai giovani di quella epoca.
La verità è che un esteso ceto medio, con funzioni di “cuscinetto” fra i livelli di comando sistemici e le così dette sotto-classi, atto a gestire i delicati processi di passaggio all’economia immateriale e a sempre più sofisticate produzioni sociali, non ha moltaragione d’essere, nelle dimensioni attuali che implicano una forte pressione sulle risorse e un limite al tasso di profitto, e la classe globale se ne è resa conto da tempo.
Anzi, la presenza di una numerosa classe intermedia, colta e portatrice di aspettative di miglioramento e affermazione crescenti, in parte ben introdotta nelle produzioni avanzate, depositaria di cultura e know-how, capace di gestire autonomamente le attività produttive e di rendere efficaci le proprie rivendicazioni, rappresenta oggi un pericolo per il grande capitale internazionalizzato e per la ristretta cerchia dei Signori della mondializzazione, i nuovi Rentiers globali che dominano il finanziario, l’energetico e l’alimentare, oggetto delle loro speculazioni indiscriminate.
La penalizzazione del ceto medio occidentale, in effetti, è iniziata prima dell’insorgere dei sintomi della grave crisi finanziaria in atto – che per altro accorcerà sempre di più la coperta delle risorse disponibili, penalizzando in misura crescente i gruppi intermedi – come se la cosa rientrasse in una sorta di “disegno sistemico”, di modificazione dell’architettura sociale a beneficio del potere di pochi, il cui effetto non può non essere socialmente criminale: espellere dall’area del benessere parecchie decine di milioni di persone, dagli Stati Uniti d’America all’Italia – dove queste espulsioni procedono a spron battuto, come ben sappiamo – passando per la Gran Bretagna e per l’Europa continentale.
Questo processo di declassamento sociale e di riduzione del reddito che colpisce ampi strati del ceto medio, in Italia – paese dove più di altri in Europa occidentale sono cresciute le sperequazioni e le differenze di reddito – è particolarmente accentuato e in fase avanzata, come testimoniato da una recente indagine Ocse sull’eguaglianza dei redditi nei 30 Paesi dell’organizzazione, in cui la ridente penisola si piazza al venticinquesimo posto, cioè in coda.
Ci è ormai chiaro che le politiche complessivamente adottate dal IV governo Berlusconi non faranno altro che accentuare, nel prossimo futuro e in combinata con la pesante crisi economica alle porte, questa tendenza, rendendo incolmabile l’abisso fra il gruppetto di testa dei ricchi e il resto della società italiana, semplificata socialmente e ri-proletarizzata, sfrondata in quelli che per il mercato globale sono soltanto rami secchi o addirittura ostacoli, come la pubblica istruzione di buon livello a tutti garantita, un settore pensionistico che funziona e tutela la vecchiaia, una spesa sanitaria efficiente e inevitabilmente crescente, la presenza di un esercito, ormai diventato largamente inutile per i poteri forti, di colletti bianchi, quadri e dirigenti nel settore pubblico ed anche in quello privato.
Minaccia l’uomo di Goldman Sachs alla testa di Bankitalia, Mario Draghi: La crisi economica colpirà non solo le imprese ma soprattutto le famiglie e avrà quindi ripercussione sull’economia reale. E poi ancora: Il protrarsi delle tensioni di liquidità e l’aumento del costo della raccolta rischiano di costringere le banche a un rapido deleveraging, che potrebbe comportare una contrazione del credito. Come dire che della crisi di liquidità faranno le spese le famiglie, con ulteriori effetti negativi sul ciclo economico, già da tempo compromesso, e ulteriori impoverimenti e discese verso la soglia di povertà.
Non è escluso che l’attuale governo riproponga, per sostenere il settore bancario ed anche le imprese private decotte, il “metodo” che Giuliano Amato ha usato nel 1992, con una significativa sottrazione di risorse ai risparmiatori dai conti correnti, a fronte di una fiscalità immutata o crescente e di consistenti tagli al sociale.
Tutti i segnali che in questo periodo riceviamo convergono verso tale direzione e il futuro che ci attende è anch’esso racchiuso, dunque, in un verso apparentemente sbarazzino della profetica canzone di Gianfranco Manfredi: La proletarizzazione è una gomma americana/ l’allunghi, l’accorci come fosse una sottana/ la tiri la molli come più ti fa piacere/ giù vicino alle caviglie o al di sotto del sedere.
Resta da chiedersi se questa deriva sociale sarà accettata supinamente dagli italiani, ed in particolare dai moltissimi che ancor oggi sono considerati, in questo paese, “classe media”, rassegnati a scivolare nel calderone della composita Pauper [super] Class, assieme ai poveri di sempre, ai marginali, a moltissimi immigrati, in cui gli interessi della Global Class vorrebbero che ad un certo punto si concentri la larga maggioranza della popolazione mondiale, ad Oriente come anche ad Occidente, quale serbatoio di risorse umane perfettamente intercambiabili, cui attingere senza vincoli e problemi, nei processi di produzione e riproduzione della ricchezza.
Rispetto alle precedenti fasi storiche dell’accumulazione e della realizzazione capitalista [tanto per usare ancora una volta una terminologia marxista] oggi, però, vi è un più elevato grado di consapevolezza da parte delle vittime designate della ri-proletarizzazione, cioè gli appartenenti al ceto medio, e maggiori possibilità di comunicazione e di sviluppo di sinergie fra i resistenti nei vari paesi, nonché di reazione concreta, soprattutto se tale reazione partirà dal cuore del mostro sistemico globalizzato, che batte pur sempre negli Stati Uniti d’America, e in Europa occidentale, Italia compresa.
Va comunque rilevato, come primissimi segnali di reazione in Italia alla politica di liquidazione definitiva del sociale e, di conseguenza, di impoverimento generale della società, le resistenze alla “riforma” della pubblica istruzione, che hanno già prodotto scontri con la polizia a Milano e tensioni a Bologna … mentre Berlusconi in persona, evidentemente allarmato, esce allo scoperto minacciando repressioni poliziesche.
Speriamo che la reazione a questo stato di cose, e all’espropriazione del nostro futuro che avanza non si limiti alla lotta contro la Gelmini, alla reazione universitaria e studentesca – i ceti medi di domani a rischio di sprofondare nell’indigenza con i loro genitori – e che non costituisca semplicemente l’innesco per un nuovo ’78, con tutti i limiti del caso, ma che rappresenti l’avvio di un processo di formazione di forze autenticamente rivoluzionarie, estese a tutto il gran corpo della società civile, e che ciò non avvenga soltanto in periferia, ma gli stessi fenomeni inizino a manifestarsi anche oltre oceano e nel mondo anglosassone in generale.
Speriamo che non si tratti solo dell’avvio di una rivolta locale, destinata a spegnersi per effetto della repressione annunciata e della difficoltà di coinvolgere altri settori della società.
A questo punto, richiamiamo in causa il cantautore Manfredi: Ecco è giunto il grande giorno: scateniam l’insurrezione/ alle sette siamo in piazza/ col fucile col pugnale con il mitra e col cannone/ Ci siamo tutti: viva la rivoluzione/ ma al momento di sparare non si trova più il padrone.
Infatti, è necessario individuare bene il nemico da combattere, prima di iniziare qualsiasi lotta, ma nell’epoca della globalizzazione ci si può trovare accanto, anche lui in disgrazia, quello che i proletari d’altra epoca non avrebbero esitazioni a additare come il vecchio “nemico di classe”, perché i nuovi nemici, i veri avversari, stanno altrove, nello spazio globale in cui si dovrà combatterli e dal quale manovrano a nostro danno.
E’ appena giunto, tutto sudato/ anche lui in fila col proletariato/ e ci sorride con emozione:/ o che miracoli fa la proletarizzazione! Non posso che concludere con un: Grazie, Manfredi!