Sovranità e (è) lotta di classe?
feb 28th, 2014 | Di Redazione | Categoria: Capitale e lavorodi Rodolfo Monacelli
Fonte: Bottega Partigiana
Nel variegato mondo “sovranista” italiano c’è un grande assente: la lotta di classe. Una precisazione è d’obbligo: in quest’articolo non leggerete affermazioni politicamente corrette della serie “il problema non è l’euro, ma il capitalismo”, tipiche di una certa sinistra ormai in svendita. Al contrario, l’autore di quest’articolo ritiene che il problema sia “l’euro come strumento del capitalismo”. Proprio per questo, pensiamo però che l’assenza nel dibattito sovranista della lotta di classe (con chi? come esercitarla? eccetera) sia un grave errore di analisi e che rischia di andare a rimorchio dei “gattopardi no-euro e dell’ipocrisia interclassista” (cit. Emiliano Brancaccio).
Intendiamoci: quando parliamo di lotta di classe non vogliamo rifarci a nostalgie ottocentesche e operaiste, ma cercare di analizzare se e come la lotta per la sovranità (politica, monetaria, economica) vada integrata, e come, con una lotta di classe adatta a questi tempi storici.
Prima di iniziare, però, e per comprendere come e in che modo la lotta di classe sia oggi necessaria, bisogna distinguere tra il concetto di modo di produzione capitalistico secondo Marx e il concetto di società capitalistica, come si è delineata nell’attuale momento storico. Il primo è un processo storico dialettico, caratterizzato da salti qualitativi: conseguentemente, se si condivide questa valutazione, non è possibile identificare i concetti di borghesia e proletariatocome concetti fissi e immutabili, ma vanno inseriti all’interno di un mondo storico, artistico, letterario, filosofico. Per questo, cambiato ormai irrimediabilmente il mondo, le categorie di borghesia e proletariato – che sono classi polarmente complementari, in cui l’una non può esistere senza l’altra – non sono più sufficienti per interpretare l’attuale società capitalistica globalizzata fondata sulla «mercificazione universale dei beni e servizi, per cui oggi sono mercificati beni e servizi che la borghesia classica intendeva invece preservare dalla sua stessa attività mercificante. I marxisti sciocchi e superficiali naturalmente non capiscono questa distinzione elementare, e continuano a definire “forze conservatrici” le forze economiche e politiche capitaliste, laddove ovviamente è il contrario. Esse non ‘conservano’ proprio nulla». (Costanzo Preve, Marx inattuale, p. 184).
Chi scrive ritiene che, per evitare le semplificazioni interclassiste a cui abbiamo accennato all’inizio dell’articolo, le categorie da utilizzare nell’attuale momento storico siano, invece, quelle dei dominanti e dei dominati, cioè gli «agenti storici attivi e passivi della riproduzione sociale complessiva del modo di produzione capitalistica» (Costanzo Preve, La crisi culturale della terza età del capitalismo. Dominati e dominanti nel tempo della crisi del senso e della prospettiva storica, Petite Plaisance, 2010).
Di conseguenza, quali sono i settori sociali nostri interlocutori, quale il “blocco storico” a cui riferirsi e, soprattutto, come inquadrare la lotta di classe all’interno di una battaglia sovranista? Prima di tutto è necessario essere onesti, soprattutto con sé stessi. Siamo vicini a una nuova rivoluzione, a un nuovo 1917 (costruzione del partito comunista del proletariato e dei contadini)? Non lo crediamo, almeno nel breve periodo. Riteniamo, invece, che la polarizzazione estrema verso un polo oligarchico-capitalistico da un lato, e un immenso e politicamente espropriato “Terzo Stato” dall’altro (composto da lavoratori dipendenti, precari, piccoli commercianti e imprenditori, abbandonati all’insicurezza della vita e al lavoro sottopagato, flessibile e precario) porti più credibilmente verso un nuovo 1789 (unificazione di un nuovo Terzo Stato).
Per fare questo, però, la sinistra dovrebbe operare un “riorientamento gestaltico” o, più semplicemente, una riflessione teorica e politica sulla propria azione politica. Come bene ha scritto ultimamente Moreno Pasquinelli:
«Cos’è che abbiamo non solo intravisto, ma toccato con mano? Che lo sfascio del tessuto sociale ha generato un’ampia e magmatica zona di emarginazione e di esclusione; che in questa zona si sono depositati brandelli delle più diverse classi sociali; che essa ribolle ed è sul punto di eruttare fragorosamente; che il collante decisivo che tiene unito l’insieme caotico è l’odio per la casta politica e i ricchi, ma perché hanno fatto strame della giustizia sociale, della democrazia, della sovranità nazionale. A sinistra ha prevalso il disprezzo: l’odio per la casta è stato bollato come qualunquismo, la richiesta di giustizia sociale come populismo. Peggio ancora è andata con la richiesta diffusa di sovranità nazionale. Per il fatto che la sola bandiera usata dai dimostranti è solo quella tricolore, le due sinistre (quella affetta dalla sindrome da globalismo eurista e l’altra da internazionalismo compulsivo) hanno gridato al nazionalismo, allo sciovinismo, alla xenofobia» (Moreno Pasquinelli, ”Forconi, antisemiti, fascisti”).
Una nuova lotta di classe, dunque, anche con soggetti sociali diversi da quelli tradizionali della sinistra, che permetta di unire liberazione nazionale e liberazione sociale: due elementi non in contrapposizione ma, anzi, assolutamente complementari. Senza l’elemento sociale, che prevede il conflitto (esterno e interno), infatti, le istanze emancipatorie di una lotta per l’indipendenza nazionale rischierebbero di sfociare nella xenofobia, nel razzismo e nel nazionalismo. Così, quello che potrebbe essere uno strumento di liberazione dei popoli dall’oppressione capitalistica si trasformerebbe in un mezzo utilizzato dai dominanti per integrare la nazione all’interno degli stessi meccanismi di oppressione e discriminazione. È necessario, quindi, far integrare e far interagire tra di essi i due piani (questione nazionale e questione sociale e, quindi, lotta di classe) ma, per fare questo, come abbiamo cercato di argomentare in questo breve articolo, è assolutamente necessario ridefinire il concetto di classe che, proprio grazie alla questione nazionale, sappia adattarsi al mutamento delle realtà sociali.
L’ultimo elemento da affrontare, e che si rapporta con gli altri sinora affrontati, quello della sovranità e quello della lotta di classe, è il ruolo dello Stato. Giustamente, gran parte del mondo sovranista, per contrastare l’ideologia neoliberista, ha tra i suoi obiettivi principali un rinnovato intervento statale e pubblico nell’economia. Chi scrive condivide in toto. Nello stesso manifesto di Bottega Partigiana si legge infatti:
«La separazione tra le banche commerciali e le banche d’affari, la sovranità monetaria e fiscale, il ritorno all’unione tra Tesoro e Banca D’Italia, e l’istituzione di misure protezionistiche che impediscano le attuali forme di delocalizzazione liberoscambista, sono i primi passi necessari per costruire uno Stato che protegga i cittadini dall’aggressione dei grandi speculatori togliendo loro il dominio sull’economia».
Queste riforme, e più in generale un ritorno all’intervento pubblico nell’economia, sono assolutamente necessarie e fondamentali per una politica di fase. Qualche parola sul ruolo dello Stato i miei venticinque lettori però me lo permetteranno. Inizierei con una citazione del vecchio rivoluzionario Vladimir Il’ič Ul’janov:
«Per capire la lotta intrapresa contro il capitale mondiale, per capire l’essenza dello Stato capitalistico, bisogna ricordare che lo Stato capitalistico, entrando in lotta contro lo stato feudale, andava a combattere con la parola d’ordine della libertà. L’abolizione della servitù della gleba significava la libertà per i rappresentanti dello Stato capitalistico e rendeva loro un servizio, in quanto la servitù della gleba veniva abolita e i contadini ricevevano la possibilità di possedere la piena proprietà la terra che avevano riscattata, oppure di possederne un lotto, acquistato pagando un tributo. Allo Stato ciò poco importava: esso si basava sulla proprietà privata e difendeva la proprietà, qualunque ne fosse la provenienza. I contadini si trasformarono in proprietari privati in tutti gli stati civili moderni. Lo Stato proteggeva la proprietà privata e dove il grande proprietario fondiario cedeva una parte della terra al contadino, lo Stato lo ricompensava per mezzo del riscatto, della vendita in contanti. Era come se lo Stato dichiarasse: conserveremo la completa proprietà privata, e le offrisse ogni specie di appoggio e di difesa. Lo Stato riconosceva questa proprietà ad ogni mercante, ad ogni industriale, ad ogni fabbricante. E questa società, fondata sulla proprietà privata, sul potere del capitale, sulla completa sottomissione di tutti gli operai non abbienti e della massa lavoratrice dei contadini, questa società dichiarava di dominare basandosi sulla libertà. Lottando contro la servitù della gleba, essa proclamò la libertà della proprietà ed era particolarmente fiera del fatto che lo Stato avrebbe cessato di essere uno Stato di classe. Intanto lo Stato, libero in apparenza, continua ad essere come prima una macchina che aiuta i capitalisti a tenere sottomessi i contadini poveri e la classe operaia. Esso proclama il suffragio universale, dichiara per mezzo dei suoi sostenitori, predicatori, scienziati e filosofi di non essere uno stato di classe» (LENIN, Sullo Stato, Lezione tenuta l’11 luglio 1919 all’università di Sverdlov).
Cosa vogliamo dire con questo? Che lo Stato non è mai “neutro” ma, come sempre, riflette rapporti di forza, di classe e di potere. In altre parole: il recupero della sovranità sarà mero trasformismo se, a essa, non si collegherà un rinnovamento delle classi dirigenti economiche italiane (e non solo), ma anche dell’attuale ceto politico professionale. Cioè di chi gestisce lo Stato. Questo sarà il vero e autentico discrimine tra un’uscita anticapitalistica dalla crisi e un’uscita gattopardesca. In altre parole, tra uno Stato e un governo popolare e uno Stato e un governo oligarchico in cui “lo Stato, libero in apparenza, continua ad essere come prima una macchina che aiuta i capitalisti a tenere sottomessi i contadini poveri e la classe operaia”.