Giovanilismo ideologico, problema demografico, immigrazione e nuove strategie di divide et impera

feb 27th, 2010 | Di | Categoria: Politica interna

di Lorenzo Dorato

62  Quadro AnnaDa alcuni anni in Italia il ceto mediatico-giornalistico coadiuvato dagli economisti dominanti punta il dito contro l’opprimente gerontocrazia che affosserebbe le risorse giovani del paese bloccandone lo sviluppo e compromettendone il futuro. Questa rappresentazione della realtà tocca tutti gli ambiti della vita sociale, dall’età media assai elevata della classe politica, ma anche impresariale, fino al presunto problema dell’insostenibilità del sistema pensionistico con annessa necessità di tagliare il monte pensioni degli anziani o di elevare sempre di più l’età pensionabile a fronte dell’aumento della vita media nazionale.

Naturalmente è assolutamente innegabile che esista in Italia, così come in tutto l’occidente un grave e serio problema demografico per cui il rapporto tra giovani e vecchi tende a diventare via via più piccolo. Un problema la cui origine patologica è la scarsa natalità, posto che l’allungamento progressivo della vita media è un dato la cui positività in sé non può essere negata.

La bassa natalità ha due cause fondamentali: una causa culturale ed una causa economico-sociale.

La prima consiste nella scarsa propensione a mettere al mondo figli, e nel ritardo anagrafico sempre più grande con cui tale scelta di vita viene compiuta. Si tratta effettivamente di un problema reale e di dimensione pubblica che sarebbe sbagliato derubricare a mera questione personale di libera scelta. E’ scontato naturalmente che ogni famigia è liberissima di scegliere se avere figli e quanti averne, ma dal momento che da circa 40 anni esiste una tendenza progressiva alla riduzione della natalità, è giusto rilevarne le cause culturali generali. Ebbene è innegabile che il trionfo di una società capitalistica totalmente post-comunitaria che fa dell’anomia individualistica un fondamento morale e che coltiva il mito dell’uomo sradicato, flessibile e dotato di una libertà assoluta (nel senso di sciolta da ogni vincolo) ha favorito e sta favorendo una cultura atomistica e falsamente libertaria che influenza in un senso ben preciso le scelte di vita delle persone. Il passaggio, suggellato simbolicamente dal sessantotto, da un capitalismo dominato dalle culture borghese e proletaria, ad un capitalismo ancor più classista di un tempo, ma culturalmente post-borghese e post-proletario vede tra le sue coerenti conseguenze la crisi demografica dei paesi occidentali.

Esiste tuttavia un secondo fattore altrettanto importante che spiega la bassa propensione alla natalità in occidente ed in particolare in alcuni paesi come l’Italia: si tratta della deliberata e criminale precarizzazione del lavoro salariato e piccolo autonomo attuata nell’ultimo ventennio nel contesto di una vera e proprio guerra di classe condotta unilateralmente e con scarse resistenze dalle oligarchie capitalistiche. I ventenni e i trentenni di oggi vivono una condizione di precarietà lavorativa spaventosa che si protrae a lungo proprio negli anni della teorica stabilizzazione familiare e delle conseguenti scelte in termini di filiazione.

Chi finge di non vedere le cause economico-sociali del problema demografico denunciando soltanto il fattore culturale determinato dall’individualismo esistenziale, coglie solo metà del problema. Analogamente chi non rileva l’importanza della questione culturale afferra solo l’altra metà. In entrambi i casi si finisce per non comprendere la natura complessiva, culturale, economico-sociale, politica delle relazioni sociali e la conseguente unità spirituale e materiale di ogni epoca.

Le interpretazioni parziali del problema demografico italiano conducono d’altra parte a considerazioni fuorvianti se non persino dannose. Tra queste vi è la considerazione, generalmente di matrice culturale progressista, dell’immigrazione come risorsa giovanile per risolvere il problema dell’invecchiamento demografico occidentale. Si tratta di una valutazione aberrante e strumentale al profitto capitalistico. Anziché cogliere la natura drammatica e la matrice capitalistico-imperialista delle ondate migratorie, si guarda a tale sradicamento planetario imposto come ad una sorta di fenomeno naturale che riequilibrerebbe gli squilibri demografici del mondo. Così l’immigrato, in apparente opposizione, ma in piena complementarietà con la lettura reazionaria, diviene colui del quale non possiamo fare a meno, il badante dei nostri vecchi abbandonati alla malattia e alla solitudine, il contribuente che consente di sostenere il sistema pensionistico, l’artefice dell’economia produttiva che svolge lavori che gli italiani non vogliono più svolgere e via dicendo e banalizzando.

Questa impostazione cosmopolitica e sradicante vede l’immigrazione come la soluzione al problema demografico (di cui si nega la causa e la risoluzione conseguente interna) e indirettamente alla cosiddetta gerontocrazia nostrana. In tal modo l’immigrato, definitivamente disumanizzato, diviene elemento oggettivo di risoluzione del problema di valorizzazione dei profitti capitalistici, mentre il tutto viene coperto da belanti cori umanitari che impongono una visione dell’immigrazione strumentale di tipo personalistico ad alto impatto emotivo.

Ma torniamo a questo punto al giovanilismo ideologico tracciato all’inizio. Tale ideologia dominante, lungi dal porre seriamente il problema demografico nazionale e occidentale (che come visto, ha una matrice insieme culturale ed economica che solo i riduzionismi di ogni tipo possono non cogliere), serve una funzione ben precisa. Oltre a distorcere completamente la verità dell’immigrazione, dipingendola come necessità di riequilibrio demografico in un paese di vecchi e di svogliati, funge da vettore per una chiara finalità: quella di creare un nuovo scontro fittizio, definito epocale da economisti e sociologi “dominanti”, tra giovani e vecchi, facendo passare l’idea che l’attuale condizione di precarietà e di povertà dei giovani italiani dipende dai privilegi e dalle rendite di posizione dei vecchi. In questo modo non soltanto si oscura il reale conflitto tra oligarchia capitalistica e dominati, ma si trova la leva ideologica fondamentale per un attacco ai residui diritti sociali incarnati dal sistema pensionistico pubblico e dal contratto di lavoro a tempo indeterminato (di cui sono generalmente titolari le generazioni più in avanti con l’età).

La vera natura del giovanilismo ideologico è quella di creare le condizioni di un divide et impera generazionale, imponendo ai giovani un odio verso un mondo trascorso che si vuole definitivamente distruggere fatto di protezione e di stabilità residua del lavoro e di equi e solidali patti generazionali sociali (di cui il sistema pensionistico a ripartizione è concreta espressione). Contrapporre il giovane precario al vecchio privilegiato che gode di generose pensioni, è un’operazione mediatica criminale volta ad imporre un modello sociale di carattere atomistico e ultra-competitivo, in cui la guerra tra poveri, tra generazioni, tra sessi e tra etnie oscuri le vere ragioni sociali del disastro economico in cui siamo da tempo precipitati.

Ecco a cosa serve il giovanilismo di Tito Boeri, di Gad Lerner, di Giuliano Cazzola e di Renato Brunetta. Le ultime dichiarazioni politiche di quest’ultimo in merito al bonus per i diciottenni indipendenti da ottenere tagliando le pensioni d’anzianità, sono solo l’espressione folcloristica di una tendenza ben radicata nella strategia culturale delle classi dominanti.

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